I paradossi della rete. La "risata estrema" di Stefano Serretta scuote Stoccolma

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I paradossi della rete. La "risata estrema" di Stefano Serretta scuote Stoccolma
I paradossi della rete. La “risata estrema” di Stefano Serretta
scuote Stoccolma
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                                    Shoegaze. Stefano Serretta, IIC, 2019, (11)

Fino al 27 settembre presso l’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma,
in partnership con Konstfack, sarà visibile Shoegaze una nuova
commissione di Stefano Serretta. Il progetto, a cura di Vasco Forconi,
è parte di un ciclo di mostre che nel corso del 2019 vedrà artisti attivi
in Italia e in Svezia confrontarsi con l’edificio dell’Istituto progettato
da Giò Ponti.
Stefano Serretta è un artista che lavora sul reperto, sul feticcio, sulle immagini che la storia
produce e risputa, immagini trasformate dai passaggi di “casacca”, dalle iperboli della
politica. Spesso si è concentrato sull’iconografia e sulle forme di comunicazione dei
fondamentalismi contemporanei, sulle affinità elettive tra la propaganda Jihadista e
l’entertaiment Hollywoodiano.

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Shoegaze. Stefano Serretta, IIC, 2019, (15)

Per la personale Shoegaze, titolo che omaggia l’omonima sottocultura musicale inglese nata
alla fine degli anni ’80, Serretta si addentra nella periferia della rete, in quegli spazi, in realtà
affollatissimi, dove vengono elaborate forme d’appartenenza: “l’artista si è immerso a
lungo nel mondo delle piattaforme di comunicazione online usate da comunità eterogenee
di giovani spesso raggruppati sotto l’etichetta di alt-right, ovvero alternative-right. Tra
milioni di profili anonimi e portavoce carismatici, queste zone di internet apparentemente
periferiche sono in realtà al centro di una sfrenata produzione e diffusione di immagini,
mitologie, simboli e discorsi che veicolano e normalizzano un groviglio inestricabile di
umorismo malvagio, nonsense, meme, scorrettezza politica, malessere economico e ansia
sociale, antifemminismo e aperto razzismo.”

L’edificio, progettato da Giò Ponti, viene svuotato, come fosse assorbito da qualcosa
che non gli appartiene, come fosse annullato da una forza centripeta: la grande vetrata
che separa interno ed esterno viene ricoperta di fogli di giornale, come fosse qualcosa
caduto in disuso, un cambio di gestione, la chiusura di un’attività, un inaspettato inciampo
ideologico. Le pagine sono di Relapse, una rivista creato dallo stesso Serretta che nasce da
quel mondo, da quella periferia di rete capace di elaborare immagini, scritte, testi di una
cultura esterna a tutto, estrema verso tutto e tutti, ma fortemente configurata sul nostro

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presente: “un giornale sospeso tra finzione e verosimiglianza, le cui pagine sono popolate da
personaggi ritratti in pose grottesche e in risate estreme, ai limiti del pianto, come fossero
intrappolati in una sorta di allucinazione collettiva.”

                                  Shoegaze. Stefano Serretta, IIC, 2019, (1)

È quella risata estrema che va oltre il limite e si dipana come il fallimento della struttura
stessa, di quella speranza architettonica immaginata da Giò Ponti. Ecco lo svuotamento che
non è solo fisico, ma ideale, l’eliminazione di simboli preesistenti, la presenza di altri
personaggi, altre facce. Il grottesco si evidenzia in un rovesciamento di prospettiva,
probabilmente anche ideologico, se è lecito usare tale definizione. C’è un disegno in cui
un ragazzo lecca un rospo, una smorfia di schifo che controbilancia la psichedelia del
momento, è un gesto sporco, voluto, ma affaticato. A fianco del ragazzo c’è una scritta
Nothing is true, everything is possible. E qua c’è tutto, c’è il paradosso della rete, di una cultura
o sottocultura che riempie uno spazio istituzionale, che svuota un’architettura di Giò Ponti e
la riempie di pagine violente e fragili, vulnerabili come un ragazzo che lecca un rospo perché
non potrebbe fare altro, perché in quel momento non vuole fare altro. Un paradosso
linguistico che annulla qualsiasi cosa, c’è solo la paura che tutto sia falso e tutto sia
possibile, prima della caduta.

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È la storia di una società che precipita e che mentre sta precipitando si ripete per farsi coraggio:
fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene. Il problema non è la caduta, ma
l’atterraggio.

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Autore
Andrea Tinterri -

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