I disturbi dell'alimentazione e della nutrizione: criteri diagnostici Eating and feeding disorders: diagnostic criteria.

Pagina creata da Valerio Puglisi
 
CONTINUA A LEGGERE
I disturbi dell’alimentazione e della nutrizione: criteri diagnostici

Eating and feeding disorders: diagnostic criteria.

Virginia Lo Montei

Riassunto
I disordini alimentari, classificati dal Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali DSM V
come Disturbi dell’alimentazione e della nutrizione, sono patologie psichiche particolarmente
perturbanti, sia per chi ne soffre che per coloro che ne osservano dall’esterno l’esordio e lo
sviluppo. Le persone che manifestano condotte disfunzionali nell’alimentazione sviluppano specifici
sintomi che possono avere una durata variabile e che possono intaccare, talvolta anche
gravemente, il benessere psicofisico e il funzionamento globale, psicologico o sociale. I disturbi
dell’alimentazione vengono distinti sulla base di specifici criteri diagnostici; secondo la
classificazione diagnostica descritta dal DSM V si suddividono in: pica, anoressia nervosa, bulimia
nervosa, disturbo da binge-eating, disturbo da ruminazione, disturbo evitante/restrittivo
dell’assunzione di cibo, disturbo dell’alimentazione con altra specificazione e disturbo
dell’alimentazione senza specificazione. Tali disturbi possono manifestarsi in diverse fasi del ciclo
evolutivo di ogni persona. Per giungere ad una corretta valutazione della patologia e ad una
diagnosi differenziale risulta fondamentale riconoscere e saper distinguere le specifiche
manifestazioni cliniche delle varie tipologie di disordini alimentari.

Parole chiave
Disordini alimentari, disturbi dell’alimentazione e della nutrizione, criteri diagnostici, condotte
alimentari.

Abstract
Eating disorders, classified by the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders DSM V
as Feeding and Eating Disorders, are mental disorders particularly distressing for the patient and
for those who observe from outside the beginning and the development of these disorders. People
who manifest dysfunctional eating behaviors can develop specific symptoms that may have variable
duration. These symptoms can affect, sometimes severely, psychological well-being and the overall
functioning at the psychological or social level. Eating disorders are characterized by specific
diagnostic criteria and according to the diagnostic classification described by DSM V are divided
into: pica, anorexia nervosa, bulimia nervosa, binge-eating disorder, rumination disorder,
avoidant/restrictive food intake disorder, other specified feeding or eating disorders and feeding
and eating not specified disorder. These disorders can appear at different stages of the development
cycle of each person. To arrive at a correct assessment of the disease and at a differential diagnosis
is essential to recognize it and

know how to differentiate the specific clinical manifestations of the different types of eating
disorders.

Keywords
Eating disorders, eating and feeding disorders, diagnostic criteria, eating behaviors.

	
                                                5	
  
Introduzione

Si definisce “alimento” tutto ciò che serve per nutrire. In particolare si parla di “alimenti” per
indicare ogni sostanza che associata ad altri alimenti, in proporzioni adeguate, è in grado di
assicurare il normale svolgimento della vita di un individuo e la sopravvivenza della specie.
L’alimento deve essere unito ad altri in misura adeguata implicando così il concetto di
“alimentazione”: un regime alimentare corretto implica l’assunzione di numerosi alimenti per far
fronte a tutti i bisogni dell’organismo (Peruzzo, Larousse,1984).
L’alimentazione è fondamentale per la vita di ogni essere umano e deve essere bilanciata al
fabbisogno calorico ed al fabbisogno plastico di ogni essere umano.
L’alimentazione rende l’esistenza più piacevole, ma talvolta può trasformarsi in un problema, come
nel caso delle forme contemporanee dei cosiddetti “disordini alimentari”: può infatti diventare
un'ossessione, come nella bulimia, o essere rifiutata fino al rischio di morire, come nell'anoressia.
Tra tutti i disturbi psichici pochi si mostrano così tanto perturbanti quanto i disturbi alimentari. Le
manifestazioni tipiche dei disordini alimentari infatti sembrano essere eventi contro natura che
vanno in direzione opposta alle logiche razionali ed al buon senso. Inoltre le condotte alimentari
tipiche di questi disturbi, all’opposto della maggior parte delle patologie psichiche, portano ad
evidenti alterazioni corporee ed estetiche che vengono immediatamente percepite dagli osservatori
esterni, lasciando in questi ultimi una sensazione di sconvolgente turbamento (Nardone, 2013).
I disturbi dell’alimentazione si caratterizzano inoltre per i loro sintomi tendenti
all’“autodistruzione”, che li accomunano ai disturbi da uso di sostanze. È stata rilevata l’esistenza di
una relazione tra i disturbi alimentari e la dipendenza da sostanze sia in termini di comorbidità, che
per l’esistenza di affinità psicopatologiche tra i due disturbi.
Un comportamento disfunzionale relativo all’alimentazione, con le sue poliedriche caratteristiche e
le sue varie forme, può manifestarsi e svilupparsi nelle varie fasi del ciclo evolutivo della vita di
ogni persona e quindi presentarsi in età adulta, durante l’adolescenza e la preadolescenza o durante
l’infanzia.
Col tempo la ricerca scientifica internazionale, a causa dell’aumento nella popolazione di persone
affette da tali patologie, si è interessata maggiormente allo studio dei disturbi della nutrizione e
dell’alimentazione. Oggi, tale ricerca ha condotto alla descrizione dei criteri diagnostici presenti nei
vari tipi di disturbi alimentari, presentata dettagliatamente nel Manuale Diagnostico e Statistico dei
disturbi mentali DSM V curato dall’American Psychiatric Association (2014).

Caratteristiche diagnostiche dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione

I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono definiti dal DSM V (APA, 2014) come
patologie caratterizzate da un persistente disturbo dell’alimentazione oppure da condotte alimentari
che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo. Per essere diagnosticati in
quanto tali, i disturbi dell’alimentazione devono aver danneggiato in maniera significativa la salute
fisica o il funzionamento psicologico e sociale del paziente.
I Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione comprendono l’Anoressia nervosa, la Bulimia
nervosa, il Disturbo da binge-eating, la Pica, il Disturbo da ruminazione, il Disturbo
evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo, i Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione con altra
specificazione e i Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione senza specificazione (APA, 2014).
L’obesità non è stata inclusa nel DSM V perché essendo il risultato dell’interazione di fattori
genetici, fisiologici, comportamentali e ambientali non è attualmente considerata un disturbo
mentale. Tuttavia secondo studi recenti esiste un forte legame tra l’obesità ed alcuni disturbi mentali
come il disturbo da binge-eating, il disturbo depressivo, il disturbo bipolare e la schizofrenia (APA,
2014).

	
                                                 6	
  
Secondo il DSM V, i disturbi come la pica, il disturbo da ruminazione e il disturbo
evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo hanno tassi di prevalenza nella popolazione poco chiari.
Gli studi epidemiologici internazionali rilevano una percentuale di disturbi dell’alimentazione con
altra specificazione e senza specificazione tra il 3,7 e il 6,4 % tra la popolazione femminile dei paesi
occidentali.
Per quanto riguarda l’anoressia nervosa, la prevalenza tra le donne si aggira intorno allo 0,4%,
mentre per la bulimia nervosa la percentuale tra le donne giovani è approssimativamente dell’1-1,5
%. La prevalenza del disturbo da binge-eating è dell’1,6 % tra le donne e dello 0,8% tra gli uomini
(APA, 2014).
Nella maggior parte dei casi, l’età di esordio dei disturbi alimentari va dai 10 ai 30 anni d’età, con
un’età media di insorgenza intorno ai 17 anni.
L’anoressia nervosa è un disturbo individuato in ambito medico da oltre tre secoli, anche se i nomi
per definire tale patologia e i criteri diagnostici sono stati modificati nel tempo (APA, 1980; APA,
1987, APA 1994).
L’anoressia nervosa è una sindrome caratterizzata da comportamenti disfunzionali
nell’alimentazione, manifestati nel “disgusto del cibo” e nel “rifiuto di mangiare” (Peruzzo,
Larousse, 1990).
Attualmente i criteri diagnostici per valutare la presenza di anoressia nervosa comprendono i
seguenti sintomi: restrizione nell’assunzione di calorie con rilevante perdita di peso rispetto al peso
minimo normale, intensa paura di aumentare il peso o di diventare grassi e/o comportamento
persistente che interferisce con l’aumento di peso, alterazione della percezione del peso o forma del
corpo con influenza sull’autostima o disconoscimento del sottopeso che raggiunge livelli di gravità
evidenti (APA, 2014).
Secondo il DSM V (APA, 2014) esistono due tipi di anoressia nervosa, quello con restrizioni e
quello con abbuffate e/o condotte di eliminazione, precedentemente chiamati sottotipo restrittivo e
sottotipo bulimico (APA, 2000). La diagnosi può comprendere inoltre una valutazione di eventuale
remissione completa o remissione parziale del disturbo. La gravità dell’anoressia nervosa può
essere valutata come lieve, moderata, grave o estrema, a seconda del peso del soggetto (APA,
2014).
Nella maggior parte dei casi la persona con tale disturbo viene condotta all’attenzione clinica dai
familiari, specialmente nei casi di notevole riduzione del peso o incapacità di aumentare il peso
corporeo, perché manca la consapevolezza del comportamento disfunzionale o perché viene
manifestato un atteggiamento di negazione del problema. È dunque fondamentale raccogliere
informazioni dai familiari o da altre fonti, in particolare ai fini della valutazione sia del percorso che
ha portato alla perdita di peso che degli altri sintomi clinici.
Lo stato di semi-digiuno dell’anoressia e le condotte di eliminazione a volte associate possono
provocare significativi problemi medici, talvolta potenzialmente pericolosi per la vita. Tale
condizione comporta infatti una grave compromissione nutrizionale, influenzando la maggior parte
dei principali organi e causando una molteplicità di disturbi.
Spesso l’esordio di tale disturbo è associato ad un evento stressante e, nella maggior parte dei casi,
l’inizio si manifesta durante l’adolescenza o nella prima età adulta, più raramente prima della
pubertà o dopo i 40 anni. Molto variabili sono invece il decorso e la remissione dell’anoressia; negli
adulti la durata della malattia può protrarsi per molto tempo e, lungo tale arco di tempo, la
manifestazione clinica può comprendere una vasta gamma di sintomi (APA, 2014).
Alcune persone guariscono subito dopo la manifestazione di un singolo episodio del disturbo,
mentre altre manifestano un decorso cronico. In alcuni casi può essere richiesto il ricovero in
ambiente ospedaliero per il recupero del peso e per fronteggiare le complicazioni mediche.
La percentuale di decessi collegati a tale disturbo, secondo i dati del DSM V (APA, 2014), è di
circa il 5% per decennio, a causa di problemi medici o in seguito a suicidio.
Nell’anoressia nervosa le analisi di laboratorio rilevano anomalie ematiche, biochimiche,
endocrinologiche, nell’ECG, nella massa ossea e nell’EEG. Inoltre, sono presenti specifici segni e

	
                                                  7	
  
sintomi fisici, spesso dovuti al digiuno, come amenorrea, stipsi, dolori addominali, emaciazione,
ipotensione, ipotermia e bradicardia (APA, 2014).
I fattori di rischio relativi all’esordio dell’anoressia nervosa possono essere di tipo temperamentale,
come problemi d’ansia, di tipo ambientale, collegati ad esempio alla magrezza considerata in alcune
culture come un “valore”, e di tipo genetico e fisiologico.
Tale patologia può portare talvolta a limitazioni funzionali come l’isolamento sociale o i problemi
nell’ambito scolastico o professionale.
La remissione dell’anoressia nervosa avviene nella maggior parte dei casi entro 5 anni dall’esordio.
Tra i soggetti ospedalizzati i tassi di remissione possono essere più bassi.
Gli studi e le ricerche condotte sulla bulimia nervosa sono molto più recenti rispetto alle antiche
origini degli studi sull’anoressia nervosa, anche se stili alimentari bulimici sono stati descritti fin
dall’antichità.
Le prime descrizioni di casi clinici di soggetti bulimici condotte da Wulff, psicoanalista russo-
tedesco, risalgono al 1932. La prima descrizione del quadro clinico di tale patologia e la prima
proposta di classificazione come diagnosi autonoma da parte di Russell risale invece al 1979.
Secondo l’attuale classificazione diagnostica, la bulimia nervosa è contraddistinta da tre segni
caratteristici: ricorrenti episodi di abbuffate, numerose ed inappropriate condotte di compensazione
per prevenire l’aumento del peso e livelli di autostima influenzati dalla forma e dal peso del corpo
(APA, 2014).
Un “episodio di abbuffate” è caratterizzato dal mangiare entro un certo periodo di tempo,
solitamente meno di 2 ore, una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che
normalmente si assumerebbe durante lo stesso tempo. Tale peculiare condotta è regolarmente
accompagnata dalla sensazione di perdere il controllo durante tale azione. Associata alla perdita di
controllo vi è la sensazione di non essere capaci di astenersi dal mangiare o di smettere di assumere
altri alimenti. In alcuni casi sono stati rilevate manifestazioni di estraniamento durante o dopo le
abbuffate. In altri casi invece le abbuffate vengono pianificate dal soggetto affetto da tale disturbo.
Caratteristico di tali episodi è l’anomala quantità di cibo ingerita, piuttosto che la specificità degli
alimenti.
Nel DSM IV (APA, 1992) era presente anche la distinzione tra il sottotipo “con condotte di
svuotamento”, cioè con frequente vomito autoindotto o uso improprio di lassativi e diuretici, e il
sottotipo “senza condotte di svuotamento”, caratterizzato da digiuno o pratica di esercizio fisico
eccessivo.
Per diagnosticare tale disturbo è necessario che le abbuffate e le conseguenti condotte
compensatorie inadeguate si manifestino entrambe in media almeno una volta alla settimana per 3
mesi (APA, 2014).
Come per l’anoressia, anche per la bulimia si può specificare se in remissione parziale o in
remissione completa a seconda dei sintomi manifestati e la gravità del disturbo può essere lieve,
moderata, grave o estrema in base alla frequenza delle condotte compensatorie inappropriate.
Solitamente chi soffre di bulimia si vergogna di tale problema alimentare e tenta di nasconderne i
sintomi, cercando di mettere in atto le abbuffate in solitudine. Nella maggior parte dei casi,
l’abbuffata può protrarsi finché la persona non si sente sgradevolmente o dolorosamente piena.
I fattori scatenanti le abbuffate possono essere emozioni negative, condizioni relazionali stressanti,
restrizioni dietetiche, sentimenti negativi rispetto la forma e il peso corporeo, e momenti di noia. Se
l’episodio di abbuffata all’inizio funge da immediato sollievo ai fattori scatenanti, successivamente
tale comportamento suscita sentimenti di autosvalutazione e sensazioni disforiche come
scontentezza, calo dell’umore e indifferenza (APA, 2014).
Altro indicatore della presenza di tale disturbo è la manifestazione conclamata di condotte di
eliminazione, cioè comportamenti messi in atto come metodi di compensazione delle abbuffate. Il
più comune ed inappropriato modo di compensare le grandi assunzioni di cibo è quello del vomito
autoindotto che ha come effetti la diminuzione del malessere fisico e la riduzione della paura di
accrescere il peso corporeo. Talvolta il vomito può trasformarsi in un obiettivo, creando un circolo

	
                                                 8	
  
vizioso nel quale la persona tende ad abbuffarsi per poter poi vomitare, in taluni casi anche soltanto
dopo aver mangiato piccole quantità di cibo. Altri comportamenti di eliminazione del cibo
comprendono l’uso inappropriato di lassativi e diuretici (APA, 2014).
Chi presenta tale disturbo spesso può digiunare per uno o più giorni o praticare un’estenuante
attività fisica per ridurre il rischio di un aumento di peso.
L’attività fisica viene considerata eccessiva e sintomo di bulimia quando si verifica in ore o
ambienti insoliti, o quando viene protratta nonostante complicazioni mediche o precarie condizioni
fisiche.
Le persone che soffrono di anoressia e bulimia hanno in comune la paura di aumentare di peso, il
desiderio di diminuire il peso, l’autostima collegata alla forma e al peso corporeo, e un certo livello
di insoddisfazione del proprio corpo.
I soggetti bulimici, a differenza degli anoressici, hanno un peso normale o si trovano nei limiti degli
indici di sovrappeso. In rari casi il disturbo può presentarsi in individui obesi.
Caratteristico di tali soggetti è la preferenza di cibi “dietetici”, cioè a basso contenuto calorico, e
l’evitamento dei cibi che potrebbero incrementare il peso o scatenare l’abbuffata.
Nella bulimia nervosa possono manifestarsi irregolarità del ciclo mestruale, amenorrea, dipendenza
dai lassativi e sintomi gastrointestinali.
L’esordio di tale disturbo spesso avviene in adolescenza o nella prima età adulta. Le abbuffate
iniziano in concomitanza o dopo un periodo di regime alimentare dietetico oppure in seguito ad
eventi stressanti (APA, 2014).
Le alterazioni delle abitudini alimentari tipiche della bulimia spesso persistono per molti anni e il
decorso del disturbo può essere intermittente o cronico, con fasi di remissione alternate a periodi di
ritorno alle abbuffate. Numerosi studi confermano un rischio di mortalità elevato anche nei soggetti
con bulimia nervosa; è stato rilevato un tasso grezzo di mortalità pari al 2% per decennio.
Aumentano il rischio di esordio di tale disturbo fattori temperamentali come preoccupazione
relativa al peso, autostima deficitaria o disforia, fattori ambientali, relativi ad eventuali abusi
durante l’infanzia o all’idealizzazione del corpo magro, e fattori genetici e fisiologici. Tale disturbo
è molto più frequente nelle donne che negli uomini.
Come nell’anoressia, anche nella bulimia nervosa il rischio di suicidio è elevato ed è importante, al
momento della diagnosi, fare un’indagine psicologica dell’ideazione e di eventuali condotte
tendenti al suicidio (APA, 2014).
Negli individui con bulimia nervosa è spesso presente comorbilità con altri problemi psicologici, in
particolare con i disturbi dell’umore. Il cross-over diagnostico dalla bulimia all’anoressia si verifica
in una minoranza dei casi (10/15 %).
Le persone che soffrono di bulimia nervosa possono presentare problemi di funzionamento globale,
soprattutto per quanto riguarda la sfera della vita sociale.
Un altro disturbo dell’alimentazione e della nutrizione di notevole rilevanza clinica è il Disturbo da
binge-eating.
Secondo il DSM V (APA, 2014) i criteri diagnostici di tale disturbo comprendono ricorrenti episodi
di abbuffate almeno una volta alla settimana per un periodo minimo di 3 mesi. Gli episodi di
abbuffate hanno le stesse caratteristiche della bulimia nervosa. Tali episodi però sono accompagnati
ad almeno tre dei seguenti segni diagnostici: velocità nel mangiare, sgradevole sensazione di
pienezza, mangiare molto anche senza appetito, ricerca di solitudine al momento dei pasti e
disgusto verso sé stessi a causa delle abitudini alimentari, accompagnato da depressione o senso di
colpa.
Caratterizzano tale disturbo sia la sensazione di perdere il controllo durante le abbuffate associata al
malessere collegato, sia l’assenza di condotte compensatorie.
 Si devono specificare i casi in cui il disturbo è in remissione parziale o in remissione completa a
seconda dei criteri diagnostici evidenziati. La valutazione del livello di gravità, distinta in estrema,
grave, moderata e lieve, viene fatta in base alla frequenza degli episodi di abbuffate.

	
                                                 9	
  
Come nella bulimia, anche in questo disturbo è rilevante più la quantità di cibo ingerito che la
specificità degli alimenti. Il soggetto inoltre, come nei casi di bulimia, percepisce vergogna relativa
alle distorte abitudini alimentari, mettendo in atto tentativi di nascondere i sintomi. I fattori
scatenanti e gli effetti conseguenti sono gli stessi della bulimia nervosa e comprendono stress, diete
e sentimenti negativi.
Il disturbo da binge-eating può verificarsi sia in persone con peso normale che in persone in
sovrappeso o con obesità. Tale disturbo è probabilmente associato al sovrappeso e all’obesità nei
soggetti che richiedono una terapia. Nell’obesità, al contrario che in tale disturbo, non sono presenti
abbuffate ricorrenti.
Secondo i dati riportati dal DSM V (APA, 2014) la prevalenza di tale disturbo tra gli americani
adulti è di 1,6 % per le donne e di 0,8 % per gli uomini. Inoltre, il disturbo da binge-eating è
prevalente tra individui che chiedono una cura per perdere peso rispetto alla popolazione generale.
Attualmente non si conoscono ancora molti aspetti di tale disturbo. Le ricerche mostrano la
presenza nei bambini di alimentazione incontrollata senza eccessivo consumo di cibo, collegata ad
aumento di peso e grasso corporeo ed a sintomi psicologici. Secondo i dati del DSM V (APA, 2014)
le abbuffate sono molto comuni sia negli adolescenti che negli studenti universitari, infatti il
disturbo ha esordio nella maggior parte dei casi in adolescenza o nella prima età adulta, come per
anoressia e bulimia. Il problema può comunque presentarsi anche in età matura ed il trattamento è
solitamente richiesto soprattutto dagli adulti.
Secondo recenti studi la remissione della sintomatologia, dovuta sia al decorso naturale sia agli esiti
delle terapie, è più frequente nelle persone affetta da disturbo da binge-eating che nei casi di
anoressia e bulimia. Tale disturbo sembra comunque essere un problema che persiste nella vita di
chi ne soffre ed il decorso è simile a quello della bulimia nervosa.
Questa patologia compromette spesso l’adattamento al ruolo sociale, la qualità della vita e la
soddisfazione della vita dal punto di vista della salute globale; essa è inoltre collegata anche ad
un’aumentata morbilità ed a mortalità medica.
È stato rilevato che il disturbo da binge-eating ha elevata comorbilità con le stesse patologie
psichiatriche associate ad anoressia e bulimia. La comorbilità psichiatrica è collegata alla gravità
degli episodi di abbuffata e non al grado di eventuale obesità.
Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo è presente maggiormente durante l’infanzia e
l’adolescenza. La peculiarità propria di tale disturbo è l’evitamento o la restrizione
nell’alimentazione, evidenziabili da una significativa incapacità nel nutrirsi in maniera corretta o da
assunzione di cibo con apporto energetico deficitario (APA, 2014).
Secondo il DSM V (APA, 2014) per identificare tale disturbo, oltre al precedente indicatore, deve
anche essere rilevata la presenza di uno o più dei seguenti criteri diagnostici: considerevole calo del
peso, rilevante deficit nutrizionale o corrispondente impatto sulla salute, dipendenza
dall’alimentazione parentale o da integrazioni alimentari, oppure una evidenziabile ingerenza nel
funzionamento psicologico e sociale.
Nel caso di bambini e adolescenti deve essere fatta un’adeguata valutazione relativa alla perdita del
peso perché tale disturbo spesso si manifesta con problemi relativi al mantenimento del peso o
dell’altezza secondo la linea evolutiva (APA, 2014).
Inoltre è necessaria un’attenta valutazione dell’impatto sulla salute fisica del deficit nutrizionale,
che può essere anche molto grave, come nei casi di anoressia, e provocare condizioni mediche
significative dovute alla malnutrizione.
Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo non è mai collegato a carenza di cibo oppure a
particolari pratiche culturali o religiose e non comprende normali comportamenti dell’età evolutiva,
come ad esempio i capricci nell’alimentazione tipici dei bambini (APA, 2014).
In alcuni casi, l’evitamento o le restrizioni nell’alimentazione derivano da caratteristiche sensoriali
del cibo, come una forte sensibilità a colore, aspetto, consistenza, odore, gusto o temperatura. In
altri casi tale condotta alimentare è dovuta ad un evento stressante o traumatico accaduto durante
l’assunzione del cibo.

	
                                                10	
  
Elementi caratteristici di tale problema sono la mancanza di interesse per il mangiare o per il cibo,
con conseguente riduzione di peso o crescita irregolare. Inoltre il comportamento alimentare dei
neonati può comprendere disinteresse per il cibo causato da sonno o agitazione, mentre quello dei
bambini e adolescenti può essere caratterizzato da ansia generalizzata.
I fattori che possono determinare l’insorgenza del disturbo evitante/restrittivo variano molto da
persona a persona ed includono complicazioni fisiche, emotive e sociali. Fattori temperamentali,
come ad esempio predisposizione all’ansia, possono aumentare il rischio di insorgenza di tale
disordine alimentare, così come fattori ambientali, come l’ansia familiare, e fattori genetici e
fisiologici come i disturbi gastrointestinali.
Secondo il DSM V il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo è presente in egual modo
sia nella popolazione maschile che nella popolazione femminile.
Gli indicatori clinici della presenza di tale problema comprendono il peso ridotto, la malnutrizione,
i rallentamenti nella crescita e la necessità di nutrizione artificiale in assenza di complicazioni
mediche.
Dal punto di vista del funzionamento psicologico questa patologia comporta spesso complicazioni
nello sviluppo fisico e problemi sociali, con ripercussioni in ambito familiare.
La comorbilità di tale disturbo alimentare comprende l’eventuale co-presenza di altri disturbi
psichici come ansia, disturbi del neurosviluppo e sintomi ossessivo-compulsivi.
Secondo il manuale diagnostico DSM V, il disturbo da ruminazione è attualmente un disturbo di
cui non si conoscono i tassi di prevalenza nella popolazione e che può presentarsi indistintamente in
qualsiasi fase del ciclo evolutivo. Recenti ricerche dimostrano la maggiore presenza di tale disturbo
in persone con disabilità intellettiva.
Questa patologia è contraddistinta dalla ripetizione di rigurgiti di cibo che si manifestano dopo la
nutrizione o l’alimentazione e che si protraggono per oltre un mese, giornalmente oppure diverse
volte la settimana. Gli alimenti rigurgitati possono essere poi rimasticati, ingoiati nuovamente o
sputati, senza percezioni di nausea o senso di disgusto. Tale condotta alimentare non è correlata a
problemi gastrointestinali o altre condizioni mediche e non si manifesta durante il decorso di
anoressia, bulimia o altri disordini alimentari.
Se la sintomatologia si presenta in concomitanza con un altro disturbo psichico, deve avere un
livello di gravità tale da motivare un ulteriore interesse diagnostico.
Per la diagnosi di tale disturbo spesso è possibile l’osservazione diretta della condotta alimentare
atipica; in altri casi invece la diagnosi può essere fatta in base al racconto del paziente o dei
familiari. Le persone con disturbo da ruminazione possono percepire la loro condotta come
un’abitudine o come un’azione incontrollabile.
Nei neonati tale disturbo è caratterizzato da movimenti di suzione della bocca e inarcamento della
schiena e della testa; possono dare l’impressione di trarre piacere da questa attività o possono
mostrarsi irritabili e affamati tra un episodio di rigurgito e l’altro; spesso vanno incontro a perdita di
peso.
Nei bambini, negli adolescenti e negli adulti tale disturbo può essere contraddistinto, oltre che da
malnutrizione, da tentativi di mascherare o nascondere la condotta inappropriata, evitando ad
esempio di mangiare in pubblico, con conseguenti problemi in ambito sociale e familiare (APA,
2014).
Nell’infanzia il disturbo va spesso incontro ad una remissione spontanea; in caso contrario tale
patologia può protrarsi a lungo, con conseguenti complicazioni mediche, mettendo a rischio la vita
stessa del bambino.
Secondo la letteratura scientifica il disturbo da ruminazione può avere un decorso episodico oppure
manifestarsi in modo continuo fino alla terapia.
Il rischio di insorgenza di tale disturbo durante l’infanzia e la primissima infanzia è connesso a
fattori ambientali quali deprivazione sensoriale, abbandono da parte dei caregivers, eventi stressanti
e problemi nel rapporto con le figure genitoriali (APA, 2014).

	
                                                 11	
  
La pica è un disturbo alimentare che viene diagnosticato in presenza di ripetitiva ingestione di una o
più sostanze, senza contenuto alimentare e non commestibili, che si protrae per un periodo di
almeno un mese. Tale condotta alimentare disfunzionale deve risultare sufficientemente grave da
giustificare l’attenzione clinica e può essere caratterizzata dall’ ingestione di un’ampia tipologia di
sostanze tra le quali carta, sapone, stoffa, gomma, ciottoli, lana, capelli, gesso, vernice, talco in
polvere, ghiaccio, metallo, amido, creta, cenere e carbone. L’ingestione di tali sostanze deve essere
inappropriata per l’età dell’individuo con pica e non deve fare parte di particolari usanze culturali o
sociali (APA, 2014).
Le persone con pica non hanno repulsione per il cibo e l’alimentazione.
Nel caso di disturbo mentale concomitante, tale patologia deve avere un livello di gravità tale da
necessitare ulteriori approfondimenti diagnostici.
Nei soggetti con pica solitamente non sono manifeste anomalie mediche. Talvolta le persone con
tale disturbo arrivano a ricevere attenzioni cliniche a causa di complicanze mediche
gastrointestinali.
Attualmente non è stata ancora chiarita la percentuale di prevalenza della pica nella popolazione.
Secondo i dati del DSM V, le persone affette da grave disabilità psichica presentano più spesso tale
disturbo rispetto agli individui con lieve disabilità psicologica.
La pica è un disturbo che può insorgere durante l’infanzia, l’adolescenza o l’età adulta, e si
riscontra in egual misura sia nelle donne che negli uomini. Recenti studi mostrano che il disturbo ha
esordio più spesso in età evolutiva e in bambini con sviluppo normale.
In età adulta la pica può manifestarsi in condizioni di disabilità intellettiva, durante altri disturbi
psicologici o durante la gravidanza a causa di specifici impulsi incontrollati.
Il decorso della pica può protrarsi per lungo tempo e causare emergenze mediche, come l’ostruzione
intestinale e l’avvelenamento, rivelandosi potenzialmente fatale a seconda delle sostanze ingerite.
I fattori ambientali di rilievo nel rischio di insorgenza della pica sono l’abbandono, il ritardo nello
sviluppo e la mancanza di controllo.
La metodologia diagnostica per accertare la pica comprende metodi per visualizzare le ostruzioni
dovute all’ingestione di sostanza, tra cui radiografia addominale e ultrasuoni, e le analisi del sangue
per valutare il tipo di infezione e di avvelenamento.
Raramente la pica può compromettere il funzionamento sociale di chi ne soffre, mentre invece può
avere conseguenze significative sul piano del funzionamento fisico. I disturbi che presentano più
frequentemente comorbilità con la pica sono: disabilità intellettiva, disturbi dello spettro autistico,
tricotillomania, disturbo da escoriazione e disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo.
Il disturbo della nutrizione e dell’alimentazione con altra specificazione è diagnosticato nei casi in
cui siano presenti alcuni criteri dei disturbi alimentari con conseguenti difficoltà clinicamente
significative o compromissione di una delle aree del funzionamento psicologico. La manifestazione
clinica in questo caso non soddisfa i criteri per nessuno dei disturbi alimentari. Il DSM V specifica
alcuni esempi di questo tipo di disturbo come l’anoressia nervosa atipica e la sindrome di
alimentazione notturna (APA, 2014).
Il disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione ha le stesse caratteristiche del
disturbo della nutrizione dell’alimentazione senza altra specificazione. A differenza di quest’ultimo
però tale disturbo viene utilizzato dal clinico nei casi in cui non ci siano informazioni adeguate per
diagnosticare un specifico disturbo alimentare (APA, 2014).

I disordini alimentari nella società contemporanea

I disturbi dell’alimentazione, come l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa, sembrano essere i
disturbi della nostra epoca. Il bombardamento continuo dei mezzi elettronici di comunicazione,
attraverso le immagini di persone magre che “hanno tutto”, propongono un modello di vita dove
l’apparenza esterna è molto più importante dell’identità interna. Inoltre, l’abbondanza di cibo di

	
                                                12	
  
numerose aree occidentali è una precondizione necessaria per lo sviluppo di un comportamento
alimentare contraddistinto da “abbuffate” (Gabbard, 1990).
Secondo la letteratura scientifica, anoressia e bulimia sono sindromi diffuse maggiormente tra
giovani donne e sono fortemente influenzate dalle trasformazioni socioeconomiche dei paesi
industrializzati. I soggetti più colpiti da questo disturbo sono istruiti, di sesso femminile,
economicamente avvantaggiati e radicati nella cultura occidentale (Gabbard, 1994).
Attualmente anoressia e bulimia sono ugualmente diffuse in tutti i paesi industrializzati del mondo e
sono considerate sindromi “culture bound”, cioè influenzate da fattori tipici
di un particolare periodo socioculturale della civiltà occidentale (Ammaniti, 2002; Gabbard, 1994).
Nei paesi in via di sviluppo la percentuale di presenza di tali disturbi cresce con l’incremento delle
disponibilità alimentari e con la diffusione di costumi propri delle nazioni più ricche.
Secondo la letteratura sull’argomento alla base dei disordini alimentari vi sono molteplici fattori che
possono interagire tra loro, soprattutto nei periodi caratterizzati da rapidi cambiamenti nello
sviluppo biologico, affettivo e cognitivo, come durante l’infanzia, la preadolescenza e
l’adolescenza.
Attualmente non vi è una teoria sintetica ed esaustiva che spieghi l’eziopatogenesi dei disturbi
dell’alimentazione. Il modello generale più interessante ed utile è quello che considera l’evento
patologico della condotta alimentare atipica come l’esito di vari processi patogenetici, scaturiti da
diverse interazioni tra molteplici elementi (Ammaniti, 2002). I disturbi dell’alimentazione,
indifferentemente dell’età e dalla fase del ciclo evolutivo, si manifestano infatti come tentata
“soluzione” disfunzionale messa in atto per affrontare una varietà di fattori stressanti intrapsichici,
familiari, sociali ed ambientali (Gabbard, 1994; Nardone, 2014; APA, 2014).
I disordini alimentari e le condotte alimentari disfunzionali sono oggi fenomeni di una certa
rilevanza, diffusi sia tra gli adulti che soprattutto in età evolutiva. Per affrontare tale situazione,
all’interno della comunità scientifica italiana ed internazionale che si occupa della salute mentale, è
in corso un acceso dibattito sia sull’eziologia di tali disturbi che sui tipi di trattamenti da adottare al
fine di curare i pazienti che soffrono di queste “divoranti” patologie in modo efficace, efficiente e
duraturo (Nardone, 2013).
Oggi grazie alle numerose ricerche in ambito si è giunti ad una classificazione diagnostica esaustiva
e completa dei disturbi alimentari. La diagnosi clinica è attualmente di fondamentale importanza sia
per differenziare prontamente ed in maniera corretta le varie patologie alimentari che per avviare
successivamente un intervento clinico e psicologico adeguato, efficace ed efficiente.

Bibliografia

       Ammaniti, M. (2002). Manuale di psicopatologia dell’adolescenza. Milano: Raffaello
Cortina Editore.
       Ammaniti, M. (2002). Manuale di psicopatologia dell’infanzia, Milano: Raffaello Cortina
Editore.
       American Psychiatric Association (1980). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali, DSM III, (Trad. It.). Milano: Masson.
       American Psychiatric Association. (1987). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali, DSM III-R (Trad. It.). Milano: Masson.
       American Psychiatric Association (1994). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali, DSM IV, (Trad. It.). Milano: Masson.
       American Psychiatric Association (2000). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali, DSM IV-TR, (Trad. It.). Milano: Masson.
       American Psychiatric Association (2014). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali, DSM V, (Trad. It). Milano: Raffaello Cortina Editore.

	
                                                  13	
  
Cuzzolaro, M. (1998). Una linea guida italiana per il trattamento dei disturbi del
comportamento alimentare. Riflessioni preliminari. Rivista Italiana di Freniatria, CXXII, 69-77.
       Fairburn, C.G., Browell, K. (2002). Eating disorders and obesity. A comprehensive
handbook. New York: The Guidford Press.
       Gabbard, G.O. (1994). Psichiatria psicodinamica, (Trad. It.) Milano: Raffaello Cortina
Editore.
       Garfinkel, P., Garner, D. (1982). Anorexia nervosa: a multidimensional perspective. New
York: Brunner/Mazel.
       Gearhardt, A. N., Davis, C., Kuschner, R., & Brownell, K. D. (2011). The addiction
potential of hyperpalatable foods. Current Drug Abuse Reviews, 4, 140–145.
       Hadad, N. A., & Knackstedt, L. A. (2014). Addicted to palatable foods: Comparing the
neurobiology of bulimia nervosa to that of drug addiction. Psychopharmacology, 231, 1897–1912.
       Kaplan, A., Garfinkel, P. (1993). Medical issues and the eating disorders: the interface.
New York: Brunner/Mazel.
       Larousse, Peruzzo (1994). La grande enciclopedia. Milano: Alberto Peruzzo Editore.
       Meule, A., von Rezori, V., & Blechert, J. (2014). Food addiction and bulimia nervosa.
European Eating Disorders Review, 22, 331-337.
       Nardone, G. (2013). Al di là dell’amore e dell’odio per il cibo. Milano: BUR Psicologia.
       Nardone, G., Watzlawick, P. (1990). L’arte del cambiamento. Milano: Ponte alle Grazie.
       Orford, J. (2001). Excessive appetites: a psychological view of addictions. New York: J.
Wiley & Sons.
       Petruccelli, F., Verrastro, V. (2011). La relazione d’aiuto nella psicoterapia strategica.
Milano: Franco Angeli.
       Russell, G. F. M. (1979). Bulimia nervosa: an ominous variant of anorexia nervosa.
Psychological Medicine, 9, 429-448.
       Wulff, M. (1932). Uber einen interessanten oralen symptomen-Komplex und seine
Beziehung zur Sucht!. Internationale Zeitschrift fur Psychoanayse, 18, 281-302.

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
i
  	
  Istituto per lo Studio delle Psicoterapie	
  

	
                                                                                                                                                                                                                         14	
  
Puoi anche leggere