Frizzi: quella volta a Lourdes

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Frizzi: quella volta a Lourdes
Frizzi:   quella                             volta           a
Lourdes …
Frizzi: quella volta a Lourdes …

di Davide Vairani

Fabrizio Frizzi è morto. Il noto conduttore televisivo si è
spento nella notte del 25 marzo a sessant’anni all’ospedale
Sant’Andrea di Roma, in seguito ad una emorragia cerebrale. Il
23 ottobre era stato colto da un malore, una ischemia, durante
la registrazione di una puntata del programma “L’Eredità”.

Quando muore un volto televisivo è un po’ come se se ne
andasse uno di famiglia. Se ne ne va un pezzetto della tua
quotidianità. Un conduttore televisivo pacato e lontano dai
toni urlati e sguaiati di certi programmi. Persona schiva e
restia a raccontare delle sua vita privata, insomma non era
uno che amava il gossip. Non seguo onestamente il ciacolare
voyeristico mediatico e so poco (o nulla) della biografia di
Frizzi.

Googolando tra un “coccodrillo” e l’altro, mi sono imbattuto
in una vecchia intervista del novembre 2013 su “Oggi” dal
titolo “La Madonna ha aiutato mia figlia”.
Frizzi: quella volta a Lourdes
“Durante la gravidanza ci sono stati problemi seri, e ci siamo
affidati a Maria – racconta Frizzi-. Ho chiesto protezione per
la mamma e la bambina. E ora che tutto è andato bene, il senso
di gratitudine è forte”.

Forse non per caso l’hanno chiamata “Stella”, la piccola nata
nel maggio del 2013 dalla chiacchierata e discussa relazione
con Carlotta Mantovan. “Il fatto stesso che sia arrivata –
aveva raccontato Frizzi in un’altra intervista – è un
miracolo, anche perché la gravidanza non è stata facilissima.
Arriva questo dono di Dio e quando rischi di perderlo ti
spaventi, fai tutto quello che è necessario per evitare di
perdere la creatura. Quando è nata mi sono commosso”. Della
sua piccola Stella ha raccontato fiero: “È una bambina
fortissima, ridiamo insieme, ha il mio stesso sorriso ma
somiglia anche alla mamma. È dolcissima”. Fabrizio e Carlotta
si sono sposati il 5 ottobre 2015, dopo 12 anni di
fidanzamento e venticinque anni di differenza d’età.

Torniamo a quel 2013. Sono passati solo sei mesi dalla nascita
di Stella. Il fiume scorre lieve come le preghiere. Alle due
di notte, l’acqua del Gave accompagnava la recita del Rosario
davanti alla Grotta della Madonna, a Lourdes. Su una panchina,
Fabrizio Frizzi, impegnato su Rai 1 con Tale e quale show, sta
seduto solo e assorto. Tra il fiume e le Ave Maria. Sta lì un
po’. Poi si alza e va verso la Grotta. Poche ore prima, il
conduttore ha presentato la serata di musica e testimonianze,
fatte di sofferenza e di serenità, dedicata ai 110 anni
dell’Unitalsi (Unione nazionale italiana trasporto ammalati a
Lourdes e santuari internazionali).

Cosa rappresenta Lourdes per lei? “Non è facile da spiegare.
Lourdes tocca corde profonde. Da Roma, dove la mia vita va
sempre di corsa, sembra lontanissima. Poi, grazie
all’Unitalsi, diventa vicinissima. La prima volta che mi sono
trovato davanti alla Grotta della Madonna, nell’estate del
2002, ho provato un’emozione forte, profonda. Davanti alla
Grotta c’è un silenzio che non trovi altrove. Eppure non sei
Frizzi: quella volta a Lourdes
mai solo. Eppure si prega tutta la notte. Lì si sente la
speranza, la disperazione e il dolore mescolati insieme. Si
percepisce una mano tesa a darti conforto, ti senti di alzare
le tue per conquistarlo. Qui avverto qualcosa di speciale, che
non ho provato in un altro luogo. A Lourdes vengo soprattutto
per dare un sostegno ai malati e ai volontari dell’Unitalsi,
che si dedicano col sorriso a persone che hanno problemi di
salute, anche gravi. Io faccio poco, non sono bravo come
loro”.

Finora ha tenuto per sé la sua spiritualità. “È difficile
trovare le parole giuste per raccontare il proprio rapporto
con la fede in modo equilibrato. Si rischia di passare per uno
che vuole ostentarla, di banalizzare, di pontificare”.

Della Madonna conserva immaginette, ha una devozione
particolare? “Maria è una figura che riscalda il cuore, e
parlare di una statua o di un quadro può essere poco
rispettoso. La Madonna di Lourdes ha una bellezza
straordinaria, ispira protezione. E mi porto nel cuore
l’immagine accogliente della Madonna della pietà di Bassano
Romano, nel Viterbese, dove hanno vissuto l’ultimo tratto
della loro vita i miei genitori”.

La fede, l’ha scoperta col tempo? “Può capitare di avvicinarsi
di più alla fede quando prendi batoste dalla vita, quando
perdi il padre in giovane età e cominci a farti tante domande.
Cogli segni, senti l’esigenza di sperare in un Aldilà, ti ci
appigli. A volte la ragione ti porta a pensare diversamente,
ma le vicende della vita ti spingono a sperare in un’altra
vita”.
Frizzi: quella volta a Lourdes
Lunedì 26 Marzo 2018
Lunedì 26 Marzo 2018
Ss. Baronzio e Desiderio
Lunedì della S.S.
Is 42,1-7; Sal 26; Gv 12,1-11
Il Signore è la mia salvezza

+ Dal Vangelo secondo Giovanni 12,1-11
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si
trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui
fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei
commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di
puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi
li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì
dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariòta, uno dei
suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si
è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono
dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei
poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa,
prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse:
«Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della
mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma
non sempre avete me». Intanto una grande folla di Giudei venne
Frizzi: quella volta a Lourdes
a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù,
ma anche per vedere Làzzaro che egli aveva risuscitato dai
morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche
Làzzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e
credevano in Gesù.

Un antico testo, per molto tempo attribuito erroneamente ad
Agostino, immagina un dialogo in cui si chiede al buon ladrone
come abbia fatto, lui che non conosceva le Scritture e non
aveva studiato, a riconoscere il Salvatore in quel Gesù che
pendeva dalla croce accanto alla sua. Il ladrone, dopo aver
confermato la sua ignoranza, dice: «Il Signore, che era lì
presente, mi guardò e penetrò fino in fondo ai segreti del mio
cuore» (Ser. Caillau 2,60). Il racconto sembra la conferma di
quanto ci ha sempre insegnato don Giussani, ossia che
riconoscere Cristo è facile, a causa della sua eccezionalità:
«è l’eccezionalità con cui appare la figura di Cristo ciò che
rende facile riconoscerlo» (Esercizi della Fraternità 2015, p.
69). Eccezionale è ciò che corrisponde alle attese del cuore,
ciò che sa leggere il suo segreto profondo.

Ma di cosa era costituito il fondo del cuore del buon ladrone?
«Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc
23,42). Disma invoca pietà, vuole la salvezza eterna, chiede
che Dio si ricordi di lui. Così è il cuore dell’uomo: domanda
la pietà della verità e del significato, la pietà della
felicità e dell’amore, la pietà della vita eterna. Dostoevskij
mette in bocca a uno dei suoi personaggi più miseri
quest’attesa di pietà: «Bisognerebbe proprio che ogni uomo
avesse almeno un posto dove andare. […] Bisognerebbe proprio
che ogni uomo avesse almeno un posto dove si abbia pietà di
lui!» (Delitto e castigo, parte prima, II).

Quanti uomini si accostavano a Gesù con questa richiesta di
pietà! I dieci lebbrosi che a distanza gridano: «Gesù,
maestro, abbi pietà di noi!» (Lc 17,13); il cieco Bartimeo che
lo sente passare per le strade di Gerico: «Gesù, figlio di
Davide, abbi pietà di me!» (Lc 18,38-39); i due ciechi che
gridano dietro a lui: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!»
(Mt 9,27); il padre del ragazzo epilettico che gli si getta in
ginocchio: «Signore, abbi pietà di mio figlio!» (Mt 17,15).
Che questo sia il segreto del cuore dell’uomo sembra
testimoniato dall’ultimo annotazione di Pavese nel suo diario:
«O Tu, abbi pietà».

È facile riconoscere Cristo per il suo piegarsi misericordioso
verso di noi. Cosa è infatti la misericordia? «Non è altro se
non un caricarsi il cuore di po’ di miseria [altrui]. La
parola “misericordia” deriva il suo nome dal dolore per il
“misero”. Tutt’e due le parole ci sono in quel termine:
miseria e cuore. Quando il tuo cuore è toccato, colpito dalla
miseria altrui, ecco, allora quella è misericordia» (Agostino,
Discorso 358/A). È facile riconoscere Cristo perché Egli
carica il suo cuore del peso della nostra miseria. «Venite a
me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò
ristoro» (Mt 11,28). Riconosciamo la presenza di Cristo in
ogni abbraccio di misericordia.

L’intuizione che l’abbraccio di Cristo è il luogo dove un uomo
possa andare e farsi vedere senza vergogna, fa della vita
un’inesauribile ricerca. «Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe» (Sl 24,6).

Lo scrittore argentino J. L. Borges, nella poesia intitolata
Cristo in croce, scrive:

I piedi toccano terra.

Le tre croci sono di uguale altezza.

Cristo non sta nel mezzo. Cristo è il terzo… Il volto non è il
volto dei pittori.

È un volto duro, ebreo. Non lo vedo e insisterò a cercarlo
fino al giorno dei miei ultimi passi sulla terra.

Insistiamo a cercare il Suo volto perché è un volto di pietà!
Preghiera della sera

Al termine del giorno, o sommo Creatore, vegliaci nel riposo
con amore di Padre. Dona salute al corpo e fervore allo
spirito, la tua luce rischiari le ombre della notte. Nel sonno
delle membra resti fedele il cuore, e al ritorno dell’alba
intoni la tua lode.

Gianna Beretta Molla: ogni
vita è sacra
Gianna Beretta Molla: ogni vita è sacra

A Soresina (CR)   la testimonianza della figlia ultimogenita
Emanuela Molla
Nella serata di giovedì 22 marzo è
                     intervenuta a Soresina (CR), nel salone
                     Mosconi del centro parrocchiale, Emanuela
                     Molla, figlia ultimogenita per la quale
                     santa Gianna Beretta Molla diede la vita.
                     L’evento ha chiuso la serie dei
                     Quaresimali promossi dalla parrocchia di
                     S. Siro.

Si assomigliano molto, madre e figlia. Davanti al podio del
salone, dal quale prende la parola Emanuela Molla, è esposta
una gigantografia della sua mamma, santa Gianna Beretta Molla.
I loro volti sono quasi identici. Ma non è solo una questione
di immagine! La figlia della Santa, che Giovanni Paolo II
canonizzò il 16 maggio 2004 come “modello di sposa, madre e
medico”, interviene davanti ad una assemblea composita, nella
quale spiccano diverse famiglie e alcune giovani coppie.

Emanuela, con una voce un po’ stridula ed un portamento
piuttosto dimesso, si introduce parlando dell’amore coniugale
e dell’amore di Dio: nell’esperienza dei suoi genitori –
spiega – i due amori erano in perfetta sintonia e del tutto
interdipendenti.

Emanuela, infatti, vive per l’immolazione della madre, che ha
voluto portare a termine, con una risolutezza senza
ripensamenti, la sua quarta gravidanza nonostante la minaccia
mortale di un voluminoso fibroma uterino; ma anche per il
sacrificio del padre, l’ing. Pietro Molla, che rispettò senza
discutere la volontà della sua sposa, nulla anteponendo alla
vita della nascitura.

Parla della sua “santa mamma” – l’espressione ricorre
continuamente sulle sue labbra – con un trasporto quasi
infantile: la sua è una testimonianza di una semplicità
disarmante, ma che tocca le corde più profonde dell’anima. Le
sue parole hanno una forza di persuasione che commuove e il
suo discorrere si sviluppa con una spontaneità assolutamente
coinvolgente. Sorride spesso e si muove in maniera un po’
goffa: non riesce a nascondere il suo imbarazzo. Non si è
ancora abituata a parlare in pubblico, nonostante le centinaia
conferenze in tutto il mondo, anche in seno a convegni di
livello internazionale e ad importanti congressi medico-
scientifici.

Quando ride i suoi occhi brillano di luce: assomiglia proprio
a sua madre. Ma non è solo questione di immagine! Emanuela
compone tra loro episodi biografici, citazioni di scritti
materni e paterni, in particolare le lettere del fidanzamento,
le gioie e le croci della sua famiglia… recuperando ogni
tessera del mosaico nel “provvidenziale e amorevole” disegno
di Dio. Racconta della straordinaria devozione con cui la sua
“santa mamma” è onorata e invocata in ogni parte del globo: si
schermisce mentre elenca le numerosissime richieste di
testimonianza che riceve non solo dall’Italia ma anche dagli
Stati Uniti, dalla Polonia, dalla Nuova Zelanda,
dall’Australia… Accenna ai miracoli d’amore che santa Gianna
ottiene da Dio soprattutto per le donne con difficoltà nella
gravidanza, per le coppie che non riescono ad avere figli, per
i neonati con gravi patologie.

Al termine della serata tutti la vogliono salutare
personalmente. Qualcuno le affida un biglietto, una lettera,
una intenzione di preghiera: è la figlia di una santa e “deve
avere una corsia preferenziale” al cospetto della madre!
Emanuela accoglie tutti con grande disponibilità e cordialità.

Gli interventi (audio):

1_intervento_Emanuela_Molla

2_(Breve)_intervento_Emanuela_Molla
I_miracoli_che_hanno_portato_alla_beatificazionee_santificazio
ne

Sabato 24 Marzo 2018
Sabato 24 Marzo 2018
S. Caterina di Svezia; B. Giovanni dal Bastone
5.a di Quaresima
Ez 37,21-28; Cant. Ger 31,10-12b.13; Gv 11,45-56
Il Signore ci custodisce come un pastore il suo gregge

+ Dal Vangelo secondo Giovanni 11,45-56
In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria,
alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la
risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro
andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva
fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il
sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie
molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno
in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e
la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo
sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non
vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo
muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!».
Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo
sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la
nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire
insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno
dunque decisero di ucciderlo. Gesù dunque non andava più in
pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina
al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i
discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla
regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per
purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio,
dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».

«È la conoscenza della potenza di Gesù Cristo la ragione
profonda di ogni nostro gesto di presenza sociale e di
comunicazione al mondo: ma questa motivazione unica e
originalissima non diviene evidente se non nella testimonianza
di una passione per l’uomo, carica di accettazione della
situazione concreta in cui esso si trova, e, quindi, pronta a
ogni rischio e a ogni fatica» (p. 140).

da “L’impegno del cristiano nel mondo” (Jaca Book), raccolta
delle conferenze del teologo Hans Urs von Balthasar e di don
Giussani a un raduno degli universitari di CL della Svizzera a
Einsiedeln nel ’71.

Preghiera della sera
Al termine del giorno, o sommo Creatore, vegliaci nel riposo
con amore di Padre. Dona salute al corpo e fervore allo
spirito, la tua luce rischiari le ombre della notte. Nel sonno
delle membra resti fedele il cuore, e al ritorno dell’alba
intoni la tua lode.
Venerdì 23 Marzo 2018
Venerdì 23 Marzo 2018
S. Turibio di Mogrovejo; S. Gualterio; S. Ottone
5.a di Quaresima
Ger 20,10-13; Sal 17; Gv 10,31-42
Nell’angoscia t’invoco: salvami, Signore

+ Dal Vangelo secondo Giovanni 10,31-42
In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare
Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone
da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli
risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma
per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Disse
loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho
detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai
quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può
essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e
mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto:
“Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio,
non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me,
credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre
è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di
catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. Ritornò quindi
nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima
Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e
dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto
quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel
luogo molti credettero in lui.
Il cristianesimo è l’esaltazione della realtà concreta,
l’affermazione del carnale, tanto che Romano Guardini dice che
non c’è nessuna religione più materialista del cristianesimo;
è l’affermazione delle circostanze concrete e sensibili, per
cui uno non ha nostalgia di grandezza quando si vede limitato
in quel che deve fare: quel che deve fare, anche se piccolo, è
grande, perché dentro lì vibra la Risurrezione di Cristo.
“Immersi nel grande Mistero”. È sperperare qualche cosa
dell’Essere, dilapidare l’Essere della sua grandezza, della
sua potenza e della sua signoria; è lentamente svuotare di
contenuto e far appassire l’Essere, Dio, il Mistero, l’Origine
e il Destino, se noi non ci sentiamo immersi in questo
Mistero, nel grande Mistero: la Risurrezione di Cristo.
Immersi come l’io è immerso nel “tu” pronunciato con tutto il
proprio cuore, come il bambino quando guarda la madre, come il
bambino sente la madre. L’intelligenza del bambino bisogna che
sia recuperata in noi. Si chiama “fede” l’intelligenza umana
quando, rimanendo nella povertà della sua natura originale, è
tutta riempita da altro, poiché in sé è vuota, come braccia
spalancate che hanno ancora da afferrare la persona che
attendono. Non mi posso concepire se non immerso nel Tuo
grande Mistero: la pietra scartata dai costruttori di questo
mondo, o da ogni uomo che immagina e progetta la sua vita, si
è fatta pietra d’angolo su cui solo si possa costruire. Questo
Mistero, Cristo risorto, è il giudice della nostra vita; Egli,
che la giudicherà tutta alla fine, la giudica di giorno in
giorno, di ora in ora, di momento in momento, senza soluzione
di continuità. Voglio sottolineare che questo “vederLo” come
il Risorto, questo riconoscere ciò che è accaduto di Lui, di
Lui morto, è un giudizio: sei risorto, o Cristo. “Cristo è
risorto” è un giudizio, perciò è un gesto, un atto
dell’intelletto che sfonda l’orizzonte normale della
razionalità e afferra e testimonia una Presenza che da tutte
le parti oltrepassa l’orizzonte del gesto umano,
dell’esistenza umana e della storia. (…)

don Luigi Giussani a un ritiro dell’associazione «Memores
Domini» a Riva del Garda, il 16 maggio 1992

Preghiera della sera
Al termine del giorno, o sommo Creatore, vegliaci nel riposo
con amore di Padre. Dona salute al corpo e fervore allo
spirito, la tua luce rischiari le ombre della notte. Nel sonno
delle membra resti fedele il cuore, e al ritorno dell’alba
intoni la tua lode.
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