FEDERIGO ENRIQUES Livorno - LICEO SCIENTIFICO STATALE - Licei Enriques

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LICEO SCIENTIFICO STATALE
                         FEDERIGO ENRIQUES                                           Livorno
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CIRC 617                                                              Livorno, 14/05/2020

                                                                                 Agli Alunni
                                                       e, per loro tramite, ai loro Genitori
                                                                                 Ai Docenti
                                                                  e, p.c., al Personale ATA

Oggetto: 23 MAGGIO “GIORNATA DELLA LEGALITÀ” - Il sacrificio dei giudici
Falcone e Borsellino e delle loro scorte.

         Il 23 maggio del 1992, alle 17,58, “l'ora del massacro, l'ora
dell'infamia, dell'orrore, della morte”, sull'autostrada A29, nei pressi
dello svincolo di Capaci, a pochi chilometri da Palermo, la mafia
uccide Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti
della scorta, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, i
poliziotti della "Quarto Savona 15".

          Il 19 luglio 1992, alle ore 16.58, in via Mariano D’Amelio
21, a Palermo, sotto il palazzo dove viveva la madre, la mafia uccide
il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta: Agostino
Catalano, Eddie Walter Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e
Claudio Traina.

In un momento storico come quello che stiamo vivendo in cui
chiunque conosce il sacrificio e le rinunce per le restrizioni dovute
all’attuale emergenza mondiale, sarà più facile comprendere, in
occasione della “Giornata della Legalità” in ricordo di Giovanni
Falcone, di Paolo Borsellino e di tutte le vittime della mafia, che
coincide con il 28° anniversario della strage di Capaci, la grandezza
del senso del dovere che ha guidato i giudici Falcone, Borsellino e
coloro che insieme a loro hanno perso la vita,che hanno rinunciato
alle abitudini, agli affetti ed alla serenità in nome di principi supremi
che dovrebbero guidare ogni cittadino: lealtà, giustizia e legalità.
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         Riflettiamo allora sull’esempio di Giovanni Falcone e di Paolo
Borsellino, due magistrati, due cittadini, due uomini e sul significato
del loro impegno nella lotta contro la criminalità.

       Di seguito propongo alcuni                               documenti           da     utilizzare,
eventualmente, per la riflessione.

Da “Cose di cosa nostra”, di Giovanni Falcone

[...] occorre sbarazzarsi una volta per tutte delle equivoche teorie della mafia figlia del
sottosviluppo, quando in realtà essa rappresenta la sintesi di tutte le forme di illecito
sfruttamento delle ricchezze. Non attardiamoci, quindi, con rassegnazione, in attesa di una
lontana, molto lontana crescita culturale, economica e sociale che dovrebbe creare le condizioni
per la lotta contro la mafia. Sarebbe un comodo alibi offerto a coloro che cercano di persuaderci
che non ci sia niente da fare.

Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo
mafioso. Per lungo tempo, non per l'eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come
tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.

Da “Oltre il muro dell’omertà”, di Paolo Borsellino

Palermo, S. Ernesto, Veglia del 23 giugno 1992

Una vita spesa per Amore

Ricordo la felicità di Falcone, quando in un breve periodo di entusiasmo conseguente ai
dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta, egli mi disse: «La gente fa il tifo per
noi».

E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l’appoggio morale della popolazione dà
al lavoro del giudice.

Significava soprattutto che il nostro lavoro, il suo lavoro stava anche smuovendo le coscienze,
rompendo i sentimenti di accettazione della convivenza con la mafia, che costituiscono la vera
forza di essa.

Questa stagione del «tifo per noi»sembrò durare poco perché ben presto sopravvennero il
fastidio e l’insofferenza al prezzo che alla lotta alla mafia, alla lotta al male, doveva essere
pagato dalla cittadinanza.
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Insofferenza alle scorte, insofferenza alle sirene, insofferenza alle indagini, insofferenza a una
lotta d’amore che costava però a ciascuno, non certo i terribili sacrifici di Falcone, ma la rinuncia
a tanti piccoli o grossi vantaggi, a tante piccole o grandi comode abitudini, a tante minime o
consistenti situazioni fondate sull'indifferenza, sull’omertà o sulla complicità. [...]

Muore e tutti si accorgono quali dimensioni ha questa perdita. Anche coloro che per averlo
denigrato, ostacolato, talora odiato e perseguitato, hanno perso il diritto di parlare!!

Nessuno tuttavia ha perso il diritto, anzi il dovere sacrosanto, di continuare questa lotta.

Se egli è morto nella carne ma è vivo nello spirito, come la fede ci insegna, le nostre coscienze
se non si sono svegliate debbono svegliarsi.

La speranza è stata vivificata dal suo sacrificio. Dal sacrificio della sua donna. Dal sacrificio della
sua scorta.

Molti cittadini, ed è la prima volta, collaborano con la giustizia.

Il potere politico trova il coraggio di ammettere i suoi sbagli e cerca di correggerli, almeno in
parte, restituendo ai magistrati gli strumenti loro tolti con stupide scuse accademiche.

Occorre evitare che si ritorni indietro.

Occorre dare un senso alla morte di Giovanni, della dolcissima Francesca, dei valorosi uomini
della sua scorta.

Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo
pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera.

Facendo il nostro dovere;

rispettando le leggi anche quelle che ci impongono sacrifici;

rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne (anche gli aiuti, le
raccomandazioni, i posti di lavoro);

collaborando con la giustizia;

testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia;

Troncando immediatamente ogni legame di interesse, anche quelli che ci sembrano innocui, con
qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi, grossi o piccoli;

accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito; dimostrando a noi stessi e al
mondo che Falcone è vivo.

Da “La speranza non è in vendita”, di Luigi Ciotti

Un diffuso analfabetismo etico

Per combattere efficacemente le mafie e tutto ciò che le alimenta sono necessari, in conclusione,
strumenti adeguati: giuridici, investigativi, economici, educativi, sociali, culturali. Ed è
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necessario il concorso di tutti: della politica, delle associazioni, delle Chiese,                   delle
amministrazioni, della scuola, dell'università, dello sport, dei sindacati, dell'industria.

Ma nessun cambiamento sarà mai possibile se non partiremo da noi stessi, da una personale
assunzione di responsabilità.

Come ci ricordava Rita Atria - la giovane siciliana che, a soli 17 anni, divenne testimone di
giustizia, dopo la morte del fratello, ucciso in un regolamento di conti-la lotta alle mafie muove
dalla nostra coscienza, dallo smascherare le sottigliezze della "legalità sostenibile", malleabile a
seconda delle circostanze, ossia finché le regole non cozzano con i nostri interessi.

Presenti da più di un secolo, le mafie hanno trovato inedite sponde nella "società dell'io", del
narcisismo, nel suo diffuso analfabetismo etico.

Solo costruendo una "società del noi", solo purificando le nostre relazioni sociali, possiamo
sperare, davvero, di voltare pagina.

Un lungo cammino in nome di Giovanni

 di Maria Falcone    Sorella del magistrato ucciso e presidente della Fondazione Falcone 20 mag
2017

http://mafie.blogautore.repubblica.it/

È con grande emozione che mi preparo a vivere il venticinquesimo anniversario delle stragi di
Capaci e di via D'Amelio perché, come tutti gli anniversari importanti, è obbligatorio fare dei
bilanci, valutare il cammino realizzato e programmare i traguardi da raggiungere.

Guardando alle migliaia di giovani che, accorsi da tutta Italia, sfilano con variopinti striscioni per
farsi portatori delle idee di Giovanni e Paolo, penso che in venticinque anni è stato compiuto un
cammino, un tempo impensabile. All'indomani dell’uccisione di Giovanni e Paolo la speranza
sembrava aver abbandonato la nostra città e la nostra isola e qualcuno si ricorderà ancora le
parole terribili di Antonino Caponnetto (“Tutto è finito”). Eppure i cittadini di Palermo, la parte
migliore di essi, non si diedero per vinti e seppero trasformare la loro disperazione in protesta e
impegno. Allora, venticinque anni fa, anche io mi feci forza e mi ricordai delle parole di
Giovanni, che la mafia non può e non deve essere ridotta a solo fatto criminale, ma che è anche
un fatto culturale che solo un “tenace, duro impegno collettivo” può arginare.
Queste parole si trasformarono in volontà di reagire attraverso l’educazione dei giovani, che
hanno ancora la vita e le scelte importanti davanti a loro. Così da venticinque anni con la
Fondazione Falcone ci siamo impegnati ad andare nelle scuole per minare alla radice la
subcultura mafiosa fatta di raccomandazioni, clientele, privilegi e violenza contrapponendole un
modello culturale alternativo, fondato sul rispetto della persona, la valorizzazione dei meriti di
ciascuno, sul “senso dello Stato”, unico modello che garantisce il progresso della persona e della
collettività. Se oggi i giovani conoscono Giovanni e vogliono continuare la sua battaglia di civiltà
la nostra gratitudine va a quelle istituzioni che da venticinque anni sono al nostro fianco, e
all’impegno dei tantissimi docenti che quotidianamente con dedizione e passione ci aiutano nella
trasmissione di quei valori.

Allo stesso tempo questo è anche il momento di guardare a quanto lavoro rimane ancora da
fare: ce lo dicono quelle targhe dedicate a Giovanni e Paolo che il mese scorso a Milano sono
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state imbrattate di vernice; ce lo dicono le scritte che sono spuntate due mesi or sono a Locri
contro chi si dedica alla cultura dell’antimafia. Esse ci ricordano che la mafia teme la cultura e ci
dicono che la strada intrapresa è quella giusta, ma che il percorso è ancora lungo. E allora i
giovani che oggi con colori vivaci marciano per le strade di Palermo e manifestano nelle piazza
di tante città d'Italia, rappresentano la speranza di cambiamento e la gioia di condividere gli
ideali di Giovanni, anche quando significa remare controcorrente e costa sacrificio. Giovanni
sarebbe fiero di questi ragazzi e penso che il futuro del nostro Paese è nelle loro mani.

  Da “È così lieve il tuo bacio sulla fronte”, di Caterina
  Chinnici

  Se penso a quello scorcio degli anni Settanta, al fatto che
  successe tutto allora, grandi gioie, grandi dolori, grandi
  intuizioni –e che papà per seguire queste ultime ci rimise
  giorno per giorno pezzi di libertà, si serenità, di sicurezza
  – non posso che ringraziare il Signore per avergli messo
  accanto, fra tutti, proprio Paolo Borsellino. È stato per lui
  un amico vero, con il quale aveva un rapporto serio e
  profondo, poteva condividere i pesi, le tensioni, e del
  quale poteva fidarsi come di se stesso. I primi tempi li ho            “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere,
  visti anche ridere insieme –peccato non avergli fatto una              qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi
  fotografia. ma come avremmo potuto immaginare di                       quel che costi, perché è in ciò che sta l'essenza
  arrivare a rimpiangere, anni dopo, di non aver                         della dignità umana.”
  immortalato un momento così normale? Erano uomini,
  erano amici, erano simpatici: ridevano.

                                               Il Dirigente Scolastico
                                               Prof.ssa Nedi Orlandini
                                               Firma autografa sostituita a mezzo stampa ai sensi
                                               e per gli effetti dell’art. 3 c. 2 D. Lgs 39/93
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