Esiti Eurogruppo - 9 aprile 2020 COVID-19 La risposta economica all'emergenza - Confindustria Intellect

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Esiti Eurogruppo

La risposta economica
     all’emergenza
        COVID-19

   9 aprile 2020

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Introduzione

Lo scorso 9 aprile l’Eurogruppo ha raggiunto il tanto atteso accordo su un pacchetto
di misure economiche per contrastare la crisi causata dalla diffusione del COVID-19.

L’incontro tra i Ministri delle finanze UE era, di fatto, iniziato nel pomeriggio del 7
aprile ed era proseguito, con varie interruzioni, fino all’alba dell’8, senza tuttavia
trovare un’intesa. Il Presidente Mario Centeno aveva allora stabilito una pausa per i
lavori, che sono quindi ripresi giovedì 9. La video-conferenza tra i Ministri avrebbe
dovuto iniziare alle ore 17.00, ma è stata posticipata e, finalmente, si è aperta alle
21.30. Questo perché durante il pomeriggio sono proseguiti i lavori tra gli sherpa per
agevolare al massimo l’accordo tra i Ministri. Prima dell’Eurogruppo, si è svolto
anche un mini-vertice tra Italia, Francia, Spagna, Germania e Olanda, così come un
giro di chiamate tra i Capi di Stato e di Governo. Alla fine, grazie alla mediazione
svolta da Francia e Germania, che hanno cercato di avvicinare le posizioni di Italia e
Olanda, e al ruolo chiave giocato dal Presidente Centeno, l’Eurogruppo, una volta
iniziata formalmente la riunione, ha raggiunto velocemente un accordo.

Durante i negoziati, le posizioni di Roma e L’Aja sono state influenzate anche dalle
rispettive dinamiche nazionali. In particolare, il Ministro delle finanze olandese,
Wopke Hoekstra, della CDA (partito cristiano-democratico) durante i negoziati ha
assunto una posizione dura anche per mettere in difficoltà il suo “alleato-avversario”
Mark Rutte, liberale, del quale ambisce a prendere il posto strizzando l’occhio
all’estrema destra nazionale.

In breve, il pacchetto approvato dall’Eurogruppo prevede:

   -   uno schema europeo per la disoccupazione (SURE);
   -   l’attivazione di linee di credito dal MES per i Paesi che ne faranno richiesta;
   -   un Fondo di garanzia pan-europeo gestito dalla Banca europea per gli
       investimenti (BEI).

Nel Report finale dell’Eurogruppo, inoltre, viene inserito il riferimento alla creazione di
un Recovery Fund, che dovrà supportare la ripresa economica fornendo
finanziamenti a programmi ad hoc per rilanciare l’economia attraverso il budget
europeo. Tale fondo dovrebbe essere temporaneo e commisurato all’emergenza.

I dettagli tecnici dovranno essere definiti nelle prossime settimane ma, come
sottolineato dal Presidente Centeno, non c’è accordo al momento tra gli Stati membri
sulla possibilità che il fondo possa emettere obbligazioni europee.

Valutazione generale sul pacchetto

Per fronteggiare gli effetti dell’emergenza connessa alla diffusione del virus COVID-
19, l’Unione europea può scegliere due diversi approcci:

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1) intervenire direttamente con gli strumenti comunitari e con risorse europee (in
      modo simile a ciò che l’Unione fa attraverso le diverse azioni finanziate
      nell’ambito del Quadro Finanziario Pluriennale);
   2) lasciare l’azione ai singoli paesi membri eventualmente supportandoli
      finanziariamente.
Il primo approccio è decisamente migliore del secondo per tre ragioni:

   a) evita le distorsioni che interventi differenziati adottati dai diversi Paesi membri
      (soprattutto in materia di sostegno alle imprese) possono creare sul mercato
      interno; questi interventi, infatti, possono alterare la competitività tra le imprese
      dei diversi Paesi membri in relazione all’ammontare e alla tipologia dei
      sostegni erogati dai singoli Stati;
   b) consente di distribuire le risorse tra Paesi dove queste possono produrre un
      beneficio più elevato, quindi nei territori che più ne hanno bisogno. Al
      contrario, lasciare l’azione ai singoli Stati favorisce i Paesi che hanno più
      risorse da destinare all’emergenza;
   c) permette di non scaricare sui debiti pubblici dei Paesi membri il costo delle
      misure adottate per fronteggiare l’emergenza, evitando che questi crescano
      eccessivamente. Nel 2009, l’aver lasciato la risposta alla crisi ai singoli Paesi
      gettò le basi per la successiva crisi dei debiti sovrani che determinò un’ampia
      recessione nei Paesi più indebitati ma trascinò verso il basso anche la crescita
      dei Paesi che lo erano meno.
In generale, con i tre strumenti approvati ieri dall’Eurogruppo per fronteggiare
l’emergenza nel breve periodo, si è deciso di lasciare ai Governi nazionali la risposta
all’emergenza.

Gli strumenti individuati consentiranno di fornire prestiti ai Paesi che ne chiederanno
l’attivazione. Trattandosi di prestiti verrebbero comunque contabilizzati nel debito
pubblico. Quindi, poiché i singoli Paesi membri potrebbero ottenere le medesime
risorse emettendo titoli di debito pubblico nazionali, il principale vantaggio derivante
da questi strumenti è limitato ai Paesi che hanno un costo di finanziamento del debito
più elevato, come l’Italia. Tale beneficio però, considerando la dimensione dei prestiti
e l’azione della BCE che sta riuscendo a mantenere bassi i tassi di rendimento dei
titoli di Stato dei Paesi più indebitati, è comunque molto limitato nell’ordine di 500
milioni di euro su un orizzonte decennale.

Va sottolineato, inoltre, che le risorse a cui l’Italia potrebbe accedere con SURE e
MES potrebbero arrivare al massimo a 56 miliardi di euro. Considerando che nel
2021, l’Italia dovrà emettere almeno 350 miliardi di titoli del debito pubblico (235
miliardi di titoli di Stato in scadenza da rinnovare a cui si aggiungerà il fabbisogno
che emergerà a fine anno che potrebbe salire a circa 110 miliardi considerando i
provvedimenti già adottati ma escludendone di ulteriori), il contributo delle linee di
credito aperte dall’Eurogruppo di ieri appaiono marginali. Peraltro, le linee di credito

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MES sono anche privilegiate quindi potrebbero avere l’effetto di far salire il tasso di
rendimento richiesto dai sottoscrittori dei normali titoli di debito pubblico.

Per quanto riguarda la risposta di medio-lungo periodo, invece, l’Eurogruppo, con la
proposta di creare un Recovery Fund, ha evidenziato l’intenzione di voler affidare
l’azione ad un meccanismo comunitario finanziato con risorse europee. Si potrebbe
trattare di una notevole innovazione che consentirebbe di avviare un piano di rilancio
adeguato qualora fosse possibile finanziarlo anche con titoli di debito europei e che
avrebbe i vantaggi indicati ai punti a), b) e c) (tra cui quello di non incidere sul debito
pubblico nazionale). Al momento, però, non sono state definite né le modalità di
finanziamento né il suo ammontare. Alcune indicazioni potranno essere concordate
nel prossimo Consiglio europeo.

Gli strumenti approvati

SURE

Il SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) è uno
strumento di assistenza finanziaria della UE, con un budget atteso di 100 miliardi di
euro. Il nuovo strumento servirà ad erogare prestiti agli Stati membri che ne facciano
richiesta allo scopo di finanziare misure a sostegno dell’occupazione, in particolare
schemi di integrazione salariale.

Come funzionerà in pratica? I Paesi membri potranno richiedere un prestito SURE
per coprire aumenti nella spesa pubblica, intercorsi dal 1° febbraio 2020, legati
all’estensione di schemi nazionali di Short-Time work Compensation (STC) o di
misure analoghe di sostegno al reddito dei lavoratori autonomi introdotte in risposta
all’emergenza sanitaria.

Per reperire le risorse da prestare agli Stati, la UE a sua volta si indebiterà sui
mercati finanziari. Presumibilmente, essa riuscirà a indebitarsi a condizioni piuttosto
favorevoli, e sarà quindi in grado di prestare ai Paesi con un più basso rating
creditizio (ad esempio l’Italia) a tassi inferiori a quelli che essi dovrebbero riconoscere
agli investitori e i titoli saranno garantiti da tutti gli Stati membri. Tali garanzie saranno
emesse su base volontaria e lo strumento entrerà in funzione solo una volta che tutti
gli stati si saranno impegnati a fornire queste garanzie, che dovranno raggiungere un
importo minimo pari a 25 miliardi (circa 3,2 miliardi a carico dell’Italia).

I prestiti hanno alcuni limiti negli ammontari, in modo da evitare una loro
concentrazione eccessiva: i primi tre Paesi beneficiari non potranno infatti ottenere
più del 60% del totale delle risorse disponibili. Assumendo che questo limite massimo
sia raggiunto e che i tre Paesi più colpiti siano Francia, Italia e Spagna, l’Italia
potrebbe richiedere fino a 20 miliardi di prestiti sotto questo strumento.

Quanto si risparmierebbe? Assumendo come benchmark il rendimento medio del
BTP decennale nel mese di marzo 2020 (1,56%) e supponendo che la Commissione
si indebiti al tasso MRO della BCE (0%), l’Italia potrebbe risparmiare circa 300 milioni

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di euro di spesa per interessi se il prestito fosse rimborsabile in 10 anni. In ogni caso,
va sottolineato che le risorse erogate dal SURE agli Stati membri si configurano
comunque come prestiti, contabilizzati come debito pubblico nazionale.

Meccanismo europeo di stabilità

L’Eurogruppo ha adottato una nuova linea di credito (Pandemic Crisis Support),
basata su uno strumento già esistente, la Enhanced Conditions Credit Line, per un
ammontare totale di 240 miliardi di euro. L’accesso alla linea di credito ha una
condizionalità limitata. Le risorse devono essere utilizzate per spese direttamente o
indirettamente legate al potenziamento della sanità dovuto all’emergenza COVID-19.
Il massimo ammontare che ogni Stato membro può richiedere è pari al 2% del PIL
del 2019 (per l’Italia quindi si tratterebbe di circa 36 miliardi).

Questo strumento appare quindi limitato negli ammontari disponibili e, per ora, poco
chiaro su quali spese possono essere finanziate (non sono chiare quali possano
essere considerate spese indirettamente legate all’emergenza). Il suo utilizzo
complessivo sarà probabilmente basso, visto che i Paesi con spazi fiscali più ampi
non ne avranno necessità e i Paesi che hanno vincoli di bilanci più stringenti, come
l’Italia, otterrebbero risorse limitate e condizionate a poche tipologie di spese. Inoltre,
i risparmi attesi in termini di spesa per interessi sono marginali. Assumendo che il
tasso di interesse su questa linea di credito sia pari a quello base del MES (0,76%),
se l’Italia ottenesse 35 miliardi, risparmierebbe circa 200 milioni di euro (su un
orizzonte decennale) assumendo come benchmark il rendimento del BTP decennale
di marzo.

Fondo di garanzia pan-europeo della BEI

Un altro pilastro dell’accordo raggiunto dall’Eurogruppo è la creazione, da parte del
Gruppo BEI, di un Fondo di garanzia pan-europeo (d’ora in poi Fondo) di 25 miliardi
di euro, che potrebbe sostenere, anche attraverso gli istituti nazionali di promozione
(in Italia la CDP), finanziamenti di 200 miliardi di euro per le imprese danneggiate
dall’emergenza COVID-19, soprattutto le PMI, assicurando la complementarietà con
altre iniziative già avviate e con il programma InvestEU.

Secondo la proposta di BEI avanzata nei giorni scorsi, ogni Stato membro dovrà
contribuire al Fondo in base alla propria contribuzione al capitale di BEI. Si segnala
in proposito che l’Italia ha una partecipazione al capitale del Gruppo BEI pari a circa il
19%. Applicare tale percentuale ai 25 miliardi di consistenza del Fondo vorrebbe dire
che l’Italia con una contribuzione, in forma di garanzie, di 4,7 miliardi potrebbe
sostenere finanziamenti per 37,4 miliardi. Si osservi che i predetti 4,7 miliardi non
saranno risorse in uscita per il nostro Paese ma, trattandosi di garanzie, l’Italia dovrà
accantonare una cifra di molto inferiore a copertura del rischio di eventuali esborsi
effettivi. Va comunque verificata l’entità di tale accantonamento.

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Riguardo alla struttura dello strumento di garanzia, il Fondo dovrebbe fornire la
propria copertura su operazioni finanziarie del Gruppo BEI effettuate negli Stati
membri e tale garanzia sarà a prima richiesta incondizionata e irrevocabile. In caso di
perdite, gli Stati dovranno rispondere in modo solidale, con una contribuzione
cappata rispetto all’ammontare della somma identificata sulla base della
partecipazione al capitale del Gruppo BEI.

Per accelerare il processo di costituzione e l’operatività del Fondo, BEI propone di
utilizzare una legal entity già esistente, la Partnership Platform for Funds (PPF), una
Piattaforma con processi e procedure standardizzati e già funzionanti.

Le tipologie di prodotti finanziari coperti dalla garanzia del Fondo saranno
principalmente garanzie (il Fondo controgarantirebbe pertanto garanzie fornite
direttamente dal FEI, anche in risk-sharing con gli istituti nazionali di promozione),
ma anche partecipazioni (dirette o indirette) in equity delle imprese.

Da quanto emerge dalla proposta BEI, sembrerebbe esserci spazio per strutturare
un’operazione che possa controgarantire le operazioni di portafoglio del Fondo di
garanzia per le PMI. In tal modo si potrebbe ottenere un moltiplicatore aggiuntivo
derivante dal reimpiego delle possibili risorse liberate del Fondo di garanzia sotto la
forma di ulteriori nuove coperture sui finanziamenti bancari.

Per massimizzare i risultati dell’operazione, sarebbe importante che, nella
strutturazione dell'intervento, venisse chiarito che è possibile coprire il portafoglio in
essere del Fondo di Garanzia per le PMI, sia con riferimento a operazioni di garanzia
future sia con riferimento a operazioni già deliberate e senza limitazioni di importo e
di dimensioni d'impresa (la stessa cosa sarebbe utile anche per il nuovo intervento di
SACE istituito con il DL 23/2020).

Prossime tappe

Il compromesso raggiunto dall’Eurogruppo sarà la base per la discussione al livello
dei Capi di Stato e di Governo, durante la riunione che il Presidente del Consiglio
Europeo, Charles Michel, ha convocato per il prossimo 23 aprile.

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