IL PROFUMO DELLA TRASPARENZA: SAFFO

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                                        POESIA ANTICA

   IL PROFUMO DELLA TRASPARENZA:
               SAFFO
                                      DI ANDREA G ALGANO

                                    PRATO, 17 MAGGIO 2012
                             http://polopsicodinamiche.forumattivo.com

E
         ffigiata sulle monete dell’isola
         di Lesbo, Mitilene, Ereso,
         dove probabilmente nacque,
già nel suo tempo (VII-VI sec.a.C.),
consacrata da Cicerone e dalla scultura
greca e romana, celebrata dallo Pseudo-
Longino del Sublime e dalla moderna
arte, Saffo rappresenta il vertice della
poesia mondiale.
Cosa porta in seno la sua immagine, che
ha ispirato Catullo, Ovidio, Leopardi e
perfino Baudelaire che intitolò il suo
testo più importante, Fleurs du mal,
originariamente Les lesbiennes?.
È una poesia che ha scoperchiato,
abitato, dato fonte ai millenni e che
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irradia il suo raggio segreto e puro, come scrive W.Jaeger: “Par quasi che lo spirito greco
avesse bisogno di questa donna per compiere l’ultimo passo penetrando nel mondo della
nuova interiorità del sentimento oggettivo. Che ciò fosse qualche cosa di grande, sentirono
i Greci, onorando Saffo, secondo il detto di Platone, quale decima musa”.
Saffo è la poetessa che ha iniziato a dire io nella letteratura, che, attraverso il vetro della
soggettività più profonda, ha vissuto il suo sguardo di clandestina bellezza.
Di nascita aristocratica, orfana di padre sin da bambina, costretta all’esilio in Sicilia con la
sua famiglia, compresi i tre fratelli Larico, Erigio, Carasso, per ragioni politiche, rimpatriò
solo durante il regno di Pittaco, per il quale dimostrò lontananza di intenti e di visioni.
Si dice che sposò un tale di nome Cercilia di Andros e dal quale ebbe una figlia di nome
Cleide, alla quale dedicò lo splendore e il bagliore immacolato.
Mitilene rappresentò il suo tiaso di paesaggio, il suo canto che rischiara le nozze di amore e
vita, raccolto intorno a uno scenario di danza e di bellezza.
Lo struggimento è la forza di un sentimento che abbraccia l’anima delle sue figure, come il
desiderio di una gioia che festeggia la propria umanità “divina dai capelli viola, dal riso di
miele”, come scrisse di lei Alceo, altro faro e miraggio di una poesia che testimonia la
passione per la realtà dell’agone dialettico e quindi politico.
Ma Saffo sposò la bellezza. La luce che appare nel desiderio, l’evidenza somma della
melodia affettiva. Comparve il suo disegno negli incendi e negli assedi della fiamma                                        II
amorosa: «O mia Gongila, ti prego/ metti la tunica bianchissima / e vieni a me davanti:
intorno a te/ vola desiderio d’amore. / così adorna, fai tremare chi guarda:/ e io ne godo,
perché la tua bellezza/ rimprovera Afrodite.».
Le donne del tiaso sono state dipinte nelle altezze di figure astrali, portatrici di una
lontananza da raggiungere, di una nostalgia dura e dolce da riempire, ricolme nei loro volti
e nelle loro aspettualità rigogliose di grazia.
La bellezza di Saffo è una ferita, un’elevazione di sogni, congedi, addii (famosa anche se
infondata, in tal senso, è la leggenda, secondo la quale, si sarebbe uccisa, per colpa di un
amore infelice per Faone, lanciandosi dalla rupe di Leucade) e tempo che non scorre,
quando nel presente appare l’ora del divino e l’io lirico riscopre il suo habitus: «Scuote
amore il mio cuore/ come vento nei monti si abbatte su querce. / ecco che Amore di nuovo
/ mi dà tormento; / Amore che scioglie le membra, / Amore dolce e amaro, / fiera sottile e
invincibile».
Il suo paesaggio ama l’ossimoro. Il contrasto invincibile tra un abbandono e un pathos, tra
la dolcezza e il turbamento, il soggiogamento, la sofferenza, persino la febbre e malattia,
derivati da un dio che spalanca i suoi tormenti e apre ferite, irrompendo invincibile, come
ad esempio il frammento 31, in cui la descrizione dei sintomi della malattia d’amore,
rinvenuta nella gelosia, si avvicina alla trattatistica antica, la ridescrive, la modella.

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IL PROFUMO DELLA TRASPARENZA: SAFFO
Questa ‘patografia della paura’, come annota Franco Ferrari, fissa l’episodio in un
delineamento di sensazioni e soggettività, in un magma interiore indefinito.
La gelosia è una delle tracce che questo dio misterioso dissemina nelle pieghe dell’anima e
svaria, come un compasso, tra il tremore sacro e il femminile disprezzo o dispetto per
Andromeda, maestra di un altro tiaso, fino alla preghiera, che annulla distanze, ad Afrodite,
per riportare indietro la fanciulla amata, suo compimento perduto e non compiuto.
La vita trascorsa è il tempo glorioso della relazione dinamica con il piacere, asservita al
dissolvimento per il distacco, quando nelle sue campiture fiorite il nome dei fiori diviene la
meraviglia di una pienezza, sognata e silente: «dormendo sul seno di una tenera
compagna». Il passato origina il presente come mito e ricordo.
La bellezza di una fanciulla sfronda la realtà, eclissando, come la luna tra le stelle, mentre
«risplende al suo colmo su tutta la terra».
Nella pienezza della trasparenza Saffo spinge la sua poesia all’immortalità. A una bellezza
di solchi infiniti amati dal tempo.
Ed è il tempo uno dei suoi cardini. Un tempo di raggiungimenti smossi e di lacrime,
fenomenologia degli orditi affettivi, delle partiture umane, che percepiscono la solitudine -
«è tramontata la luna con le Pleiadi, la notte è al mezzo, il tempo trascorre, e io dormo
sola»- e il turbamento, l’afasia dell’accadimento amoroso, il suo tragico. L’indaco delle sue
notti.                                                                                                                      III
La rappresentazione affettiva si appropria di una esperienza e di una congiuntura, riviste in
un linguaggio diacronico. Il destinatario si occulta nel suo soliloquio e nel suo tessuto
attuale e personale.
I movimenti di Saffo percepiscono ogni gradazione umana, perché la sua voce limpida, pur
toccando il fondo dell’eros, lo bagna di candore e di paesaggio chiaro.
Lo sconvolgimento si incide nella genesi della mitezza della sua anima, nell’introspezione
di un interno arredato di stupore e meraviglia e proteso al fiato e al calore di un soffio
d’amore.
L’occasione, l’avvenimento divengono il suo tempio e la sua cifra: una serena bellezza e
rilucenza siderea.
L’amore risulta una forza feconda e potente che sconquassa e abbraccia, segna in modo
furente le declinazioni umane nelle sue isole di suono, come scrisse Strabone: “Saffo, un
essere meraviglioso! Chè in tutto il passato, di cui si ha memoria, non appare che sia
esistita mai una donna, la quale potesse gareggiare con lei nella poesia, nemmeno da
lontano”.
La sua vertigine, quindi, è un epitalamio di altezze e cieli capovolti, misura i dialoghi e
sfiora la perduta fanciullezza. Il frammento diventa il modo spontaneo di una continua

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attesa e di un miracolo improvviso e puro. Miracolo di una femminilità che innalza una
fusione e un fermento.
Nella sua corolla l’essenziale pervade fuochi, passioni, dolori e dolcezze struggenti; il suo
sole intatto vince anche i segni della sua vecchiezza e il suo indebolimento tremante e
inaridito si ferma, nell’ultimo carme, a una struttura leggera di circolo, laddove l’eternità
abbraccia l’io in un unico e finale profumo di trasparenza.

Sapph., fr 31 V = 31 LP = 2 D
φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν
ἔμμεν' ὤνηρ, ὄττις ἐνάντιός τοι
ἰσδάνει καὶ πλάσιον ἆδυ φωνεί-
   σας ὐπακούει
καὶ γελαίσας ἰμέροεν, τό μ' ἦ μὰν                                                                 τό μοι μὰν
καρδίαν ἐν στήθεσιν ἐπτόαισεν,
ὠς γὰρ  σ' ἴδω βρόχε' ὤς με φώναισ'                                                                  ὠς σε γὰρ ἴδω
φώνας
   οὐδ' ἒν ἔτ' εἴκει,
ἀλλ' †κὰμ μὲν γλῶσσα †ἔαγε λέπτον                                                                 ἄκαν                      IV
δ' αὔτικα χρῶι πῦρ ὐπαδεδρόμηκεν,
ὀππάτεσσι δ' οὐδὲν ὄρημμ', ἐπιρρόμ-                                                                               οὐδ' ἒν
ἐπιβρόμεισι
   βεισι δ' ἄκουαι,
†έκαδε μ' ἴδρως [ψῦχρος] κακχέεται τρόμος δὲ                                                     κὰδ δέ μ' ἴδρως
παῖσαν ἄγρει, χλωροτέρα δὲ ποίας
ἔμμι, τεθνάκην δ' ὀλίγω 'πιδεύης
   φαίνομ' ἔμ' αὔται·
ἀλλὰ πὰν τόλματον ἐπεὶ †καὶ πένητα†

Mi sembra pari agli dei quell’uomo che siede di fronte a te e vicino ascolta te che
dolcemente parli

E ridi un riso che suscita desiderio. Questa visione veramente mi ha turbato il cuore nel
petto: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire,

ma la lingua mi si spezza e subito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli occhi
nulla vedo e rombano le orecchie

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e su me sudore si spande e un tremito mi afferra tutta e sono più verde dell’erba e poco
lontana da morte sembro a me stessa.

Ma tutto si può sopportare, poiché…

                                                                                                                            V

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