Donne, mercato del lavoro e imprenditoria - Parte I a cura di Ecoform Onlus
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Parte I a cura di Ecoform Onlus Donne, mercato del lavoro e imprenditoria 1. La partecipazione femminile al mercato del lavoro Introduzione Negli ultimi 10 anni si sta assistendo ad una crescita di interesse verso la partecipazione delle donne al mercato del lavoro che, soprattutto nel nostro Paese, è notevolmente aumentata, anche se con notevole ritardo rispetto ad altri paesi europei. È a partire dagli anni 60 che un po’ in tutta Europa si è iniziato a registrare il dato di presenza “significativa” delle donne nel mercato del lavoro; da allora questo dato ha avuto andamento positivo e in continua crescita, ed è stato oggetto d’attenzione di studi del settore. Negli USA la rivista “Economist” con un articolo di fine 1996 intitolato Tomorrow's second sex, afferma che si sta prefigurando una sorta di sorpasso delle donne nel mercato del lavoro a discapito degli uomini, conseguenza della piena presenza femminile in tutti i settori e professioni tradizionalmente maschili, evento questo che invertirà la storica tendenza dell’andamento del mercato del lavoro e della disoccupazione. Nel contesto italiano, però, nonostante i numerosi studi disponibili, ancora oggi non si è giunti ad una sistematizzazione e separazione dei dati esistenti. Infatti, nonostante ci sia un’attenzione particolare al fenomeno della crescita della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, non esistono di fatto dati disaggregati per sesso nei vari settori di attività. In parte questo riguarda tutte le ricerche sulle donne che, specie in Italia, scontano ancora una grave disattenzione da parte degli studiosi e delle discipline quali le scienze sociali; risulta difficile nel nostro Paese fare riferimento ad un corpus organico di conoscenze sul tema, nonché a dati disaggregati per sesso, e quindi anche il raffronto con realtà diverse da quella nazionale risulta tutt’altro che semplice. Se ne deduce che in questo settore più che in altri, i dati sulle imprese avviate da donne spesso non sono disponibili. 9
Questo problema sembra destinato ad estinguersi grazie ad una legge nazionale, la 215/92, che ha portato l’Istat a recepire l’istanza ad elaborare tutte le statistiche ufficiali (circolare dell’Istat del 2 Agosto 1996) adottando un’ottica di genere e perseguendo un obiettivo fortemente sottolineato a livello nazionale (Direttiva del Presidente del Consiglio n. 116 del 27 Marzo 1997), a livello europeo e internazionale, in particolare in sede ONU. L’inadeguatezza dell’informazione statistica sulle tematiche relative alla differenza di genere costituisce in tutto il mondo un grave ostacolo all’adozione di politiche di mainstreaming e di empowerment (attribuzioni di maggiori poteri e responsabilità alle donne), secondo le indicazioni della conferenza mondiale delle donne di Pechino1. Nel capitolo che segue prenderemo in considerazione i vari contributi teorici e di ricerca sull’impresa ed eventualmente sull’impresa al femminile. Particolare attenzione verrà dedicata alle trasformazioni del lavoro femminile nell’ultimo ventennio in Italia in comparazione con la realtà europea, alla distinzione tra lavoro autonomo ed autoimprenditorialità, nonché alle politiche a sostegno dell’imprenditoria femminile nel nostro Paese. Analizzando la realtà imprenditoriale non si può non tener conto della frammentazione dell’attuale mercato del lavoro tale da far emergere una pluralità di figure di lavoratori cosidetti “atipici” perché sfuggono alla rappresentazione delle categorie tradizionali. È questo il caso delle collaborazioni occasionali, collaborazioni coordinate e continuative, part-time, contratti a tempo determinato, formazione-lavoro ecc. 1.1. La condizione delle donne nel mondo del lavoro. Lo scenario Italiano L’obiettivo del capitolo è quello di creare una cornice concettuale dei significati e delle forme del lavoro femminile entro cui si collocherà il lavoro di ricerca sul campo, una introduzione alle problematiche relative al mondo del lavoro “al femminile”, ed in particolare al mondo “delle imprese al femminile”, proficuo alla comprensione delle questioni legate all’entrata delle donne nel mercato del lavoro in qualità di imprenditrici. Innanzitutto c’è da dire che, nello scenario Italiano, si assiste alla crescita della popolazione attiva e ad un ricambio della forza lavoro, fattori che hanno determinato un progressivo restringimento dei differenziali, che tuttavia ancora permangono, tra uomini e donne; ciò risulta particolarmente evidente fra i giovani.2 1 Laura Sabbatini, Le statistiche di genere, una proposta, www.istat.it / Primpag / Pariopp /sabbatini.html. 2 Istat, Indagine sulla forza lavoro, Roma, 2000. 10
Un dato molto significativo è che le donne stanno approfittando delle opportunità derivanti da una domanda di lavoro meglio corrispondente alle loro esigenze e si propongono sempre più frequentemente in posizioni di maggiore e diretta responsabilità, come libere professioniste e imprenditrici, e in qualifiche più elevate. Complessivamente l’occupazione femminile ha beneficiato in misura superiore a quella maschile della crescita di posizioni lavorative non manuali, tanto ad alta che a bassa qualificazione, mentre ha subìto in eguale misura la flessione delle professioni manuali. Questa tendenza si è consolidata nel contesto tradizionale della piccola e microimpresa, ma anche nella fascia delle imprese industriali più strutturate. L’aumento della componente femminile nel mercato del lavoro è determinato da fattori culturali, economici, sociali, etc. In particolare: Ø le donne investono di più in cultura e riescono meglio negli studi; negli ultimi decenni la propensione femminile a proseguire gli studi, in particolare nei cicli dell’istruzione superiore, è fortemente aumentata. L’investimento nell’istruzione non si traduce sempre in migliori risultati sul mercato del lavoro. Il comportamento delle donne tra i 25 e i 34 anni con istruzione elevata è molto simile a quello corrispondente degli uomini.3 Ø crescono i lavori atipici; un fattore decisivo della crescita dell’occupazione, e in particolare della partecipazione femminile al mercato del lavoro, è venuto dalla diffusione delle cosiddette forme contrattuali “atipiche”. L’atipicità si staglia rispetto ai contratti di lavoro a tempo indeterminato ed a tempo pieno, presentando differenze di durata, orario, aliquote contributive e livelli retributivi. L’Italia presenta uno sviluppo delle forme atipiche del lavoro inferiore alla dinamica europea. Ø crescono gli orari atipici; nel corso degli anni ‘90 si è verificato un netto incremento del ricorso abituale ad orari lavorativi atipici (lavoro a turni, serale, notturno, nel sabato e domenicale). Ø si sta determinando un cambiamento culturale tra i giovani; nuovi e maggiori percorsi formativi per i giovani, nuovi lavori, nuovi vissuti quotidiani: il modello “moglie-madre” è ormai in declino: i dati mostrano in generale che all’aumento del titolo di studio diminuisce il ruolo dei legami familiari a favore di strategie individualistiche, mentre il ruolo dei legami “deboli” rimane costante4. Tali cambiamenti risultano particolarmente significativi tra i giovani e tra le giovani donne, questo perché non costretti da rigidi schemi culturali che solo qualche generazione fa rappresentavano un vincolo costante all’autorealizzazione femminile, e che ancora oggi in misura significante caratterizzano le generazioni adulte. I giovani, dunque, stanno sperimentando nuovi modelli di comportamento, uscendo fuori dagli schemi classici che spesso derivano dalla posizione sociale e familiare. 3 Istat, Indagine sulle forze di lavoro, Roma, 2000. 4 Giovani verso il 2000: quarto Rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, il Mulino, Bologna, 1997. 11
È anche vero che, nonostante queste differenze di rappresentazione dell’universo femminile e maschile da parte dei giovani, nonchè la minore stereotipizzazione dei due sessi, questo passaggio generazionale non è scevro da contrasti e contraddizioni. Quello descritto, dunque, è un mercato del lavoro femminile sempre più eterogeneo e diviso fra i vecchi ed i nuovi lavori, intendendo per vecchi lavori quelli caratterizzati de forme contrattuali tipiche, ad esempio i contratti di lavoro a tempo indeterminato, ed invece per nuovi quelli caratterizzati da forme contrattuali inesistenti, atipiche, le cosiddette forme di lavoro flessibile. Dall’analisi della tabella che segue emerge che negli ultimi tre anni si è determinata un’assenza pressoché totale di mobilità fra le occupate: chi era nel mercato con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, nel 91,6% dei casi lo ha mantenuto, ma il dato più significativo si riferisce alla quota di lavoratrici che tre anni fa appartenevano alla categoria del lavoro atipico che nel 90% dei casi è ancora occupata con la stessa modalità. Chi era irregolare nel 71% dei casi si riconferma tale, nell’11% dei casi è invece passata a svolgere lavoro autonomo e circa il 17% è riuscita ad avere un contratto di lavoro dipendente regolare. Tabella 1 Condizione lavorativa delle donne riferita a quella che occupavano tre anni prima – valori percentuali Tipologia di lavoro tre anni fa Condizione attuale Dipendente Tempo Tempo Indipendente Atipico Irregolare Totale determinato indeterminato Dipendente/determinato 50,4 3,2 0,9 3,1 9,1 7,5 Dipendente/indeterminato 31,5 91,6 1,2 6,6 7,6 67,6 Indipendente 2,9 4,4 95,9 - 11,6 15,4 Atipico 10,3 0,6 1,2 90,3 - 4,7 Irregolare 4,9 0,2 0,8 - 71,7 4,8 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Anno 2000 Fonte: Censis Questi dati dimostrano che le donne che entrano nel mercato del lavoro con formule flessibili hanno buone possibilità di mantenere la propria posizione lavorativa, o comunque di restare nel mercato. Il lavoro atipico ha assunto negli ultimi anni anche in Italia un peso quantitativo e qualitativo rilevante nella formazione di nuova occupazione. Le specificità di questa 12
modalità occupazionale rispetto ai lavori standard hanno sollecitato un ampio dibattito nel mondo scientifico ed in quello sindacale. Gli aspetti problematici emersi in questo ambito sono molteplici (inquadramento normativo, protezione sindacale, precarietà occupazionale, livelli retributivi, formazione professionale, prospettive di carriera, dimensione identitaria); Lo sviluppo e la nuova centralità assunta anche nel nostro Paese nel corso degli ultimi anni dai lavori così detti atipici, è riconducibile ad una serie di trasformazioni che hanno coinvolto, secondo una logica all’insegna della crescente flessibilizzazione, non soltanto il mercato del lavoro, ma anche i modelli produttivi e regolativi. Pur nella loro diversità queste forme di “travail sans emploi” impongono, per la loro stessa natura, una capacità nuova da parte dei soggetti interessati di comporre esperienze lavorative all’interno di un percorso professionale sensato e capace di accrescere le competenze individuali.5 Tale capacità si declina differentemente in base al genere, all’età, alla professionalità, al capitale culturale ed a quello sociale dei soggetti coinvolti. Ciò significa, in concreto, che tanto più l’esperienza lavorativa è temporanea e/o frammentaria, tanto più essa acquisisce un pieno significato se inserita all’interno di un percorso professionale e più in generale di vita degli uomini e delle donne che ne sono protagonisti. Le condizioni di lavoro dei lavoratori atipici, sia uomini che donne, non possono quindi essere comprese se non in una prospettiva dinamica capace di inquadrare l’esperienza lavorativa nel più globale processo di costruzione dell’identità lavorativa e personale di ogni singolo soggetto. La collocazione in una posizione atipica è determinata spesso dall’espulsione da una traiettoria di carriera, normalmente a causa di un licenziamento involontario o, soprattutto per le donne, in virtù di incompatibilità tra le esigenze private e domestiche e quelle del mercato del lavoro. Questo non è da ricollegarsi alle esigenze private delle donne, ma piuttosto al persistere di una divisione sessuata del lavoro domestico ed extradomestico, e dunque alle forme di segregazione lavorativa orizzontale e verticale. Ne discende un’importante indicazione di carattere metodologico, ma anche analitico. Per valutare la precarietà di una occupazione atipica, non solo non è sufficiente considerare le caratteristiche intrinseche dell’attività svolta, ma neppure individuarne le caratteristiche estrinseche e, più in generale il grado di benessere momentaneo che si associa allo svolgimento di tale attività. Uno è il senso di precarietà derivante dal fatto di svolgere un lavoro temporaneo se si è giovani e si stanno muovendo i primi passi all’interno del mondo del lavoro, diverso invece se lo stesso lavoro viene svolto da un soggetto in età avanzata dotato di un proprio bagaglio di esperienze e di responsabilità familiari. Ugualmente, la stessa collaborazione esterna può essere un di più che si cumula alla normale attività svolta da un professionista, ovvero può rappresentare per una giovane donna alle prime armi l’unica fonte di guadagno nonché la sola possibilità di ingresso nel modo del lavoro. 5 Annalisa Tonarelli, Donne e uomini nei lavori atipici, intervento al convegno “Cantieri di storia - primo incontro SISSCO sulla storiografia contemporaneistica in Italia” Urbino, 20-22 settembre 2001. 13
Bisogna ricordare che i circa 150.000 nuovi occupati creati in Italia nel 1998 sono nati da contratti “nuovi”, ossia a termine, interinali o part-time. L’evoluzione dell’economia e del mercato renderà “tipici” quei contratti che oggi nel nostro Paese ancora si chiamano “atipici”. Queste tipologie di contratto danno flessibilità, rapidità d’ingresso e non problematicità d’uscita, e portano sul mercato una domanda che altrimenti non si esprimerebbe.6 Bisogna dunque stare attenti a demonizzarli ed a condannarli ad un precoce declino, soprattutto perché, come dimostrano le esperienze dei Paesi a maggior crescita dell’economia e dell’occupazione, il mercato richiede e consente un giusto mix di formule contrattuali, anche se è un po’ rischioso per quanto ci riguarda sposare acriticamente il punto di vista della Confindustria; se l’atipico diventa tipico vuol dire che i problemi sociali finora irrisolti diventano urgenze e priorità. Il 4 febbraio del 1999 è stata approvata dal Senato della Repubblica la proposta di legge n.2049 relativa alle "Norme di tutela dei lavori atipici" (presentato da Carlo Smuraglia) . Il testo è passato alla Camera con il n.5651 e assegnato alla Commissione Lavoro pubblico e privato. Probabilmente la direzione in cui si sta procedendo punta all’“impiegabilità” piuttosto che all’ “impiego”, fattore questo che consente alle imprese di poter contare su quella maggiore flessibilità che è indispensabile per migliorare la loro competitività ed ai lavoratori di poter vedere moltiplicate le opportunità offerte dal mercato, ma per far sì che tutto ciò funzioni occorrerebbe un aumento del valore di mercato dei lavoratori e delle lavoratrici, e questo è un compito che spetta ad istituzioni, sistema formativo, parti sociali. I lavoratori più “professionalizzati” si situano in una posizione di vantaggio nella scalata al mercato del lavoro, è una nicchia realmente in grado di far valere le loro potenzialità. Le donne sembra vadano in questa direzione: investono di più in cultura rispetto agli uomini, riescono meglio negli studi e tendenzialmente danno maggiore rilievo al lavoro ed al loro grado di professionalizzazione. Nella tabella 2 sono riportati i profili lavorativi femminili in rapporto alle professioni svolte, alle ore lavorative, al guadagno, ed alla flessibilità dell’orario. Attualmente il tasso di occupazione femminile (37,3% ) è pari a poco più della metà di quello maschile (66,2%), mentre nel complesso dei paesi dell’Unione europea il rapporto supera il 70% (con livelli rispettivamente pari al 51,1% e al 71,2%); analogamente, il tasso di disoccupazione femminile italiano supera dell’80% quello maschile (16,3% rispetto a 9,1%) mentre il differenziale medio in Europa è del 36% (11,7% rispetto a8,6%). 7 6 Discorso sui lavori atipici tenuto da Giorgio Fossa nel corso dell’ Assemblea del 27 maggio 1999. 7 Istat, Relazione trimestrale sulle Forze di lavoro, Roma, 2000. 14
Tabella 2 I cinque profili del lavoro femminile in Italia. Tipologie d’impiego Dipendente a tempo Dipendente a tempo Atipica Irregolare Indipendente indeterminato determinato Composizione 62,6 10,4 6,3 5,8 14,9 percentuale ha 40-49 anni(47,4%) risiede ha 18-29 anni (57,4%) risiede ha 18-29 anni (48,7%) risiede Ha 40-49 anni (45%) risiede Ha 40-49 anni (45,2%) al nord ovest (37,6%) ha un al centro sud al centro sud al sud (49,1%) ha un livello risiede nel nord-est (27,5%) livello d’istruzione (rispettivamente 22,5% e (rispettivamente 30,9% e di istruzione basso 64,1% ha ha un livello di istruzione 38%) ha un livello di 31%) ha un livello di al massimo la terza media) medio basso (38,2 il diploma Il profilo istruzione medio-alto (50% istruzione medio basso e 38,7% la scuola diplomate e 14,6% laureate) (44,8% il diploma e 35% la dell’obbligo) scuola dell’obbligo) svolge una professione di svolge una professione di svolge una professione di Svolge una professione non Svolge una professione non tipo esecutivo- tipo esecutivo- tipo esecutivo- qualificata (25,9%), qualificata (41,9%) lavora nel amministrativo (40,4%) amministrativo (35,5%) amministrativo nell’ambito dei servizi alle commercio (43,7%) ha nell’ambito dell’istruzione, nell’ambito dell’istruzione, (25,9%) nell’ambito dei persone (30,6%), in un’azienda con meno di 5 Cosa fa sanità e servizi sociali (32%) sanità e servizi sociali servizi alle persone (30,6%) un’azienda con meno di 5 addetti (71%) in azienda con oltre 50 (28,8%) in un’azienda con 5- in un’azienda con meno di 5 addetti (66,2%) addetti (30,9%) 20 addetti (32,4%) addetti (49,1%) Quanto lavora 30-39 ore (40,7%) 30-39 ore (30,6%) Meno di 20 ore (35,6%) Meno di 20 ore (35,6%) 40-45 ore (54,6%) massima flessibilità Quanto è flessibile orario rigido orario rigido orario flessibile orario flessibile nell’organizzazione (80,8%) (76,6%) (54,4%) (42%) Anno 2000 Fonte: Censis. 15
Tabella 3 Tassi di occupazione della popolazione per sesso e ripartizione territoriale Maschi Femmine Totale R IPARTIZIONI TERRITORIALI 1997 1998 1999 1997 1998 1999 1997 1998 1999 Nord Ovest 59.6 59,6 59,9 34,3 34,8 35,9 46,4 46,7 47,5 Nord-Est 61,1 61,2 61,6 36,7 37,1 38,0 48,4 48,7 49,4 Centro 56,3 56,2 56,5 30,3 30,8 31,9 42,8 43,0 43,7 Sud 49,8 50,1 50,0 18,9 19,4 19,4 33,8 34,2 34,1 Italia 55,8 55,9 56,1 28,6 29,1 29,8 41,7 42,0 42,4 Anni: 1997-1999 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat. Tabella 4 Tassi di attività della popolazione per sesso e ripartizione territoriale Maschi Femmine Totale R IPARTIZIONI TERRITORIALI 1997 1998 1999 1997 1998 1999 1997 1998 1999 Nord Ovest 62,4 62,2 62,3 38,3 39,0 36,9 49,9 50,1 50,5 Nord-Est 63,2 63,1 63,3 40,1 40,2 40,9 51,2 51,3 51,7 Centro 60,5 60,4 60,5 35,4 35,7 36,8 47,4 47,5 48,1 Sud 60,1 60,8 60,4 26,9 28,1 28,2 42,9 43,9 43,8 Italia 61,4 61,5 61,5 34,1 34,8 35,5 47,2 47,6 47,9 Anni: 1997-1999 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat. A fronte degli incrementi dei tassi di attività femminile registrati in ambito comunitario, da uno sguardo anche molto sommario ai dati occupazionali del Nostro Paese del 1997 emerge che nel Sud il tasso di occupazione femminile tra il 1998 ed il 1999 è rimasto pressoché invariato, a fronte di un incremento del tasso di occupazione femminile in tutto il resto del Paese. Nel 1999, dunque, il tasso di occupazione femminile risulta in crescita in tutta la penisola, ma resta pur sempre del 25% inferiore a quello maschile al Centro, e del 30,6% nel Sud e Isole8 (tabelle 3 e 4). Questi dati mostrano che la potenzialità della nuova offerta di lavoro delle donne, nella situazione italiana è ancora lungi dal potersi esprimere sul mercato. 8 Istat, Relazione trimestrale sulle Forze di lavoro, Roma, 2000. 16
Se si considerano le disoccupate nelle fasce di età dai 15 ai 24 anni, e dai 25 ai 49 anni, possiamo rilevare alcuni aspetti significativi: Ø rispetto alla media europea, i tassi di disoccupazione femminile sono più elevati tra le giovani (sotto i 25 anni), mentre i tassi compresi nella fascia centrale adulta (25-49 anni) sono di poco superiori quelli della UE. I dati non permettono però di identificare la questione femminile con quella giovanile; Ø dal 1995 al 2000 la percentuale di giovani donne non occupate è diminuita sensibilmente (-16,3%). La regione che ha registrato una crescita occupazionale femminile maggiore negli ultimi 5 anni è stata l’Umbria, quelle in cui al contrario si è registrata una crescita negativa sono: Campania e Calabria9. Permangono, dunque, ragioni strutturali dei bassi tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro. In particolare: Ø dal lato della domanda, la ridotta capacità del sistema di creare occupazione implica che, a fronte della progressiva crescita dell’offerta femminile, la domanda di lavoro rimanga fortemente inadeguata. Nel Mezzogiorno il peggioramento della situazione in tutti i settori acuisce il divario tra i sessi, e la stessa disoccupazione femminile è percepita come un male minore quando l’occupazione maschile è a rischio. Infine la correlazione dei tassi di disoccupazione con le dimensioni dell’economia sommersa incrementa la segregazione femminile nell’area dei lavori sottopagati Ø dal lato dell’offerta, invece, si assiste ad una situazione in cui, mentre la determinazione femminile ad entrare a far parte del mercato del lavoro cresce con l’innalzamento dei livelli di istruzione, i reali meccanismi di funzionamento del mercato (soprattutto per ciò che concerne il modello di lavoro dipendente) non si sono rivelati “favorevoli” alle donne. Permane, infatti, un numero consistente di donne che escono dal mercato del lavoro a causa delle crescenti responsabilità familiari, fenomeno questo non ancora compensato dal numero crescente di giovani donne che entrano nel mercato del lavoro con alti livelli di istruzione. La crescita economica e occupazionale del Nord Italia, in cui la componente femminile determina in egual misura a quella maschile il benessere economico, evidenzia la necessità di promozione delle donne come fattore chiave di crescita, attraverso politiche in grado di arginare il fenomeno della divisione sessuale del lavoro, fenomeno ancora attuale tanto nel mercato del lavoro, quanto nell’intero contesto sociale. Nonostante le variazioni positive registrate nell’ultimo ventennio rispetto alle medie Europee, i divari presenti nelle diverse regioni italiane restano consistenti e la disoccupazione, con alcune eccezioni, si concentra fortemente nella componente femminile. Inoltre dalle medie Europee si distanziano notevolmente i tassi di attività , e 9 Istat, Relazione trimestrale sulle Forze di lavoro, Roma, 2000. 17
questo soprattutto per effetto del più basso tasso di attività femminile ed i tassi di occupazione maschile sono quasi doppi rispetto a quelli femminili. 1.2. Le trasformazioni del lavoro femminile nell’ultimo ventennio. Conciliazione tra tempo di vita e di lavoro. Durante gli anni ’70, in una fase di pieno sviluppo economico, il mercato del lavoro mostrava una tendenza delle donne ad entrare precocemente nel mercato del lavoro, per uscirne altrettanto rapidamente con il matrimonio o con la nascita del primo figlio; oggi invece le modalità di entrata e di permanenza nel mercato del lavoro si presentano diverse10. Reyneri11 parla di andamento della partecipazione al mercato del lavoro delle donne italiane ad “L rovesciata”, per cui una volta raggiunto un picco, in corrispondenza delle classi di età più giovani, la partecipazione tendeva a diminuire progressivamente. Questo determinava una interruzione dell’avanzamento di carriera in età molto giovane, in coincidenza con eventi associati al corso di vita familiare quali il matrimonio e la nascita dei figli. Attualmente, però, il maggiore investimento in percorsi formativi anche tradizionalmente poco femminili, gli alti livelli di istruzione delle donne e la trasformazione del ruolo del lavoro che è diventato per le donne componente fondamentale del loro progetto di vita, non hanno di fatto migliorato gli squilibri nelle opportunità di carriera. Questi fattori determinano un ingresso nel mondo del lavoro ad un’età avanzata rispetto al passato, cioè tra i 25-29 anni, ma le donne continuano ad incontrare notevoli difficoltà nel fare il loro ingresso nel mondo del lavoro. Agli alti investimenti in formazione ed all’impegno delle donne nel lavoro, inoltre, spesso non corrisponde una traduzione in analoghi miglioramenti della posizione nella gerarchia aziendale, in quella del potere e delle ricompense. Si parla in letteratura di squilibrio di opportunità e riconoscimenti che dà vita ai fenomeni di segregazione occupazionale (orizzontale e verticale) e retributiva.12 Gli anni 70, in cui i tassi di scolarizzazione femminile erano molto bassi, hanno influenzato notevolmente le prassi di selezione organizzativa utilizzate per le donne, determinando una tendenza a generalizzare, a considerare cioè «tutta la forza lavoro femminile portatrice di livelli di preparazione e qualificazione professionale inadeguati e scarsi, o comunque 10 Istud, Lo sviluppo delle donne nelle imprese: approcci ed esperienze, Milano, 2000, 11 Reyneri E., Sociologia del mercato del lavoro, il Mulino, Bologna, 1996. 12 Bianco Maria Luisa, Donne al lavoro. Cinque itinerari tra le disuguaglianze di genere, Paravia, Torino, 1997. 18
inferiori a quelli degli uomini, ma soprattutto ad attribuire alle donne un maggiore interesse a rivestire ruoli esclusivamente nell’ambito familiare»13 La situazione attuale è notevolmente cambiata, anche se ancora oggi le opportunità di carriera per le donne sono ristrette rispetto a quelle dell’universo maschile; in azienda, anche a parità di titolo di studio e di altre condizioni, le possibilità di fare carriera non sono state ancora eguagliate. Se da una parte sembra che il maggior afflusso delle donne nel mondo del lavoro sia segno di una « profonda trasformazione dei valori o delle strutture di priorità da parte delle donne»14, dall’altra sembra troppo ottimistico aspettarsi un altrettanto forte cambiamento, ed in tempi brevi,da parte delle organizzazioni15 In letteratura si è cercato di dare una spiegazione al fenomeno della “segregazione”: tra i modelli interpretativi quello psicologico si rifà all’ impostazione psicoanalitica secondo la quale l’identità femminile e quella maschile si costituiscono nelle prime fasi del processo di socializzazione; il bambino definisce la propria identità a partire dalla separazione dalla madre, la bambina a partire dall’identificazione con essa.16 Dall’esito di questa fase deriverebbero modalità di comportamento e di atteggiamento in età adulta orientate, per gli uomini all’indipendenza, al controllo, alla volontà di essere soli nelle posizioni di vertice, e per le donne all’attaccamento, alla dipendenza, alla cura dei figli17. In campo sociologico si è cercato di sostenere un approccio basato su angolature diverse, intrecciando la prospettiva psicodinamica con quella psicosociale. In particolare Piera Brustia18 si sofferma sui mutamenti del ruolo e dell’identità della donna in seguito alle trasformazioni della società e della famiglia; i promotori di questo modello sostengono che l’identità non si possa considerare qualcosa di dato una volta per tutte, impermeabile alle esperienze ed ai mutamenti che intervengono lungo tutto il percorso di vita19. Al di là di queste considerazioni, dunque, un dato significativo è rappresentato dal fatto che attualmente il percorso di autorealizzazione femminile prevede una progressione nell’ambito professionale; tra lavoro e maternità sembra essersi invertito l’ordine di priorità. Se in passato si sacrificava il lavoro per la famiglia, la tendenza attuale è esattamente l’inverso. 13 Istud, Lo sviluppo delle donne nelle imprese: approcci ed esperienze, Milano, 2000. 14 Saraceno Chiara, Pluralità e mutamento, Franco Angeli, Milano, 1987. 15 Istud, Oltre la parità, Lo sviluppo delle donne nelle imprese: approcci ed esperienze, Edizioni Angelo Guerini e Associati Spa, 2000. 16 Chodorow Nancy, La funzione della maternità, La tartaruga, 1991. 17 Gilligan Carol, Voce di donna, Feltrinelli, Milano 1984. 18 Brusita Piera, Donna e Lavoro. Il mondo interno e la realtà esterna, Il segnalibro, Torino 1990. 19 Saraceno Chiara, Pluralità e mutamento, Franco Angeli, Milano, 1987. 19
1.3. Donne tra lavoro autonomo ed autoimprenditorialità Al di là delle statistiche, un dato che colpisce positivamente osservando la realtà Italiana è la visibilità che ha acquisito l’universo femminile nel mondo del lavoro. Attualmente ritroviamo le donne in quasi tutti i settori in cui svolgono quasi tutti i tipi di lavoro; addirittura nel settore delle costruzioni in cui sono addette anche a lavori di muratura.20 Sul fronte imprenditoriale, da un confronto di genere, emerge un netto predominio maschile: le donne imprenditrici rappresentano circa un quinto del totale. Tuttavia, però, si registra una diminuzione del numero di imprenditori, mentre il numero delle imprenditrici “in senso stretto”, pur essendo calato negli ultimi 2 anni, resta sostanzialmente sui livelli del 1993. Precisamente la presenza delle donne lavoratrici autonome risulta: Ø maggioritaria ma calante nelle posizioni parasubordinate; all’interno di esse si riducono le coadiuvanti, aumentano leggermente le socie di cooperative; Ø decisamente più bassa e lievemente in diminuzione in termini assoluti (ma non in termini percentuali) nelle categorie degli imprenditori e degli altri self employed; Ø sempre bassa ma fortemente crescente nella categoria più dinamica, quella dei self employed professionisti, dove la presenza femminile quasi raddoppia in termini assoluti ed anche in percentuale sul totale Anche in questo settore, come del resto nell’andamento generale della presenza delle donne nel mercato del lavoro, l’innalzamento dell’obbligo scolastico e più in generale l’allungamento dei percorsi di studio si riflette in un significativo incremento della scolarità degli imprenditori, che ha riguardato in misura particolarmente rilevante le donne. Nella ricerca di Formaper di Novembre 1999 svolta in contemporanea sul lavoro autonomo ed imprenditoriale, si osserva che: Ø a causa del forte sviluppo del lavoro atipico, il lavoro autonomo non appare più chiaramente distinto dal lavoro dipendente; Ø all’interno del lavoro autonomo le categorie individuate dalle statistiche sono inadeguate a cogliere le trasformazioni più recenti, sia con riferimento alla separazione tra lavoro imprenditoriale e lavoro autonomo non imprenditoriale, sia nell’ambito di quest’ultimo tra lavoro realmente indipendente e lavoro parasubordinato. Il ricorso a forme di lavoro atipiche, sia dipendenti che autonome, ha creato un’ampia zona non a caso definita “grigia”, i cui confini risultano sfumati e scarsamente definibili. 20 Lia Migale, Imprenditoria femminile e sviluppo economico, Nis, Roma, 1996. 20
Ad esempio, risultano simili nei contenuti, e quindi sostituibili, rapporti inquadrati come dipendenti (ci riferiamo in particolare ai contratti a tempo determinato) ed altri inquadrati come autonomi (es. un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, se questo si riferisce ad un rapporto comunque gerarchico e rappresenta l’unica attività esercitata dal lavoratore). L’analisi delle dinamiche del lavoro autonomo non può perciò prescindere dall’esame dei dati sul lavoro dipendente atipico; si osserva infatti che nell’ ultimo lustro l’incremento nel lavoro dipendente temporaneo, da un lato ha in gran parte ammortizzato la riduzione registrata nell’ambito del lavoro a tempo indeterminato, e dall’altro lato ha certamente influito sul calo del lavoro autonomo. Con riferimento alle donne, dal lavoro precedente si evince che esse partecipano in misura decisamente più rilevante al lavoro atipico, sia part time sia a tempo determinato. Il lavoro a tempo pieno e indeterminato è diminuito sia per gli uomini sia in misura meno rilevante per le donne, quello atipico è significativamente cresciuto, con tassi più elevati per le donne nel part time, e per gli uomini nel tempo determinato. A questo punto è proficuo procedere ad una distinzione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, dividendo quest’ultima categoria in lavoro imprenditoriale e self-employement. In riferimento a questo aspetto i problemi da risolvere sono numerosi: Ø in primo luogo bisognerebbe capire quanto un lavoro è autonomo e quanto è eterodiretto; Ø in secondo luogo occorrerebbe avere una definizione di imprenditore chiara ed economicamente significativa, infatti la definizione di imprenditore usata in Italia oltre a non essere univoca, è basata su criteri inadeguati a cogliere la realtà delle attività più nuove (con particolare riferimento all’area dei servizi alle imprese). Il primo aspetto non è risolvibile sulla base dei dati disponibili; l’Istat individua cinque categorie: imprenditori, liberi professionisti, lavoratori in proprio, soci di cooperative e coadiuvanti, delle quali le ultime due definizioni caratterizzano prevalentemente lavoro parasubordinato, ma non permettono di separare altre figure eterodirette, inquadrate soprattutto nell’ambito del lavoro in proprio (che è una figura residuale, in cui cioè confluisce tutto ciò che non rientra nelle altre quattro categorie). Rispetto al secondo aspetto si osserva che in Italia la definizione di imprenditore non è univoca, ma varia in misura rilevante a seconda della fonte statistica utilizzata. Le definizioni più comuni sono due, molto diverse tra loro: Ø la prima, che fa riferimento al codice civile, stabilisce che è impresa ogni attività avente una struttura giuridica ben definita, ditta individuale o società. Sulla base di essa viene stabilita l’obbligatorietà dell’iscrizione al Registro Imprese presso le Camere di Commercio. Tale definizione include le attività anche di artigiani e commercianti senza dipendenti, mentre esclude la maggior parte delle attività professionali (le più tradizionali attività liberali), anche quando sono organizzate in strutture di dimensioni 21
elevate. E’ da rilevare che questa fonte, che utilizza una definizione molto ampia di imprenditore, oltre a sovrastimare il peso degli imprenditori, tende in particolare a sopravvalutare il peso delle donne, che più spesso degli uomini, compaiono come socie o titolari di imprese solo in quanto proprietarie. Ø la seconda è stata utilizzata dall’Istat nell’Indagine sulle Forze Lavoro, e fa riferimento al contenuto del lavoro, e definisce imprenditore colui che organizza il lavoro altrui senza prestare direttamente il proprio lavoro per attività produttive. La valutazione dell’attività viene lasciata all’intervistato e può perciò dipendere dalla sue percezione soggettiva. La definizione Istat, risalente all’epoca fordista, è tagliata soprattutto per le attività manifatturiere, non per quelle terziarie, dove la partecipazione dell’imprenditore all’attività di produzione del servizio è spesso fondamentale. Si può perciò supporre che tale definizione sia restrittiva in generale ed in particolare sottostimi il ruolo delle donne imprenditrici, che, come si è visto, sono più presenti nelle attività autonome terziarie. Nella nostra ricerca si terrà conto della distinzione tra self-employed e lavoro imprenditoriale, che si è resa opportuna nell’ottica dell’accezione di imprenditore in “senso stretto”, in alternativa alle due definizioni precedenti. Ma chi è l’imprenditore? E azienda ed impresa sono la stessa cosa? Spesso i due termini, impresa ed azienda, si usano alternativamente, essi però non hanno lo stesso significato. Per azienda intendiamo l’insieme di beni organizzati dall’imprenditore per i suoi fini produttivi (v. art. 2555 C.c.), con il termine impresa, invece, facciamo riferimento all’attività, alla serie di atti cioè che l’imprenditore compie allo scopo di produrre beni o servizi (v. art. 2082 C.c.). L’azienda è designata come bene tangibile, come un insieme di beni organizzati, l’impresa è costituita da azioni, attività coordinate. In Italia l’articolo 2082 c.c. definisce imprenditore “chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio”, e solo indirettamente ne possiamo ricavare la nozione di impresa da un punto di vista giuridico. Bisogna tener presente che l’impresa che caratterizza il sistema economico-produttivo del nostro Paese, l’impresa all’italiana dunque, è la piccola e piccolissima impresa, spesso a conduzione familiare, soprattutto concentrata nel nord-est, nelle Marche ed in Toscana. Questo significa che nel nostro Paese poche e rare sono le imprese di grandi dimensioni, e concentrate prevalentemente nelle aree di prima industrializzazione del Nord-Ovest. In letteratura si è sempre guardato all’impresa come fattore di innovazione ma anche come luogo di dominazione; la media e piccola impresa è stata spesso considerata come meno alienante e spersonalizzante della grande, anche se nella piccola impresa si è spesso annidata, soprattutto in quella di tipo familiare, una parte dell’economia sommersa. Una definizione molto interessante è quella anglosassone, secondo la quale si può parlare di impresa solo quando a distanza di un anno dalla nascita nell’attività economica è inserito almeno un dipendente, e si denomina imprenditore, quindi, solo il titolare o socio di un’impresa con almeno un dipendente. Questa definizione ci sembra sia in grado di fornire dati più realistici, sia in riferimento al numero complessivo, sia al peso specifico delle donne; nella nostra definizione le imprenditrici sono tutte le lavoratrici autonome con dipendenti, ossia tutte coloro che 22
risultano classificate, su base Istat, come imprenditrici o lavoratrici in proprio, escludendo i self-employed, cioè i lavoratori autonomi senza dipendenti. Abbiamo separato i self-employed dai professionisti, che per l’Istat includono i lavoratori autonomi senza dipendenti classificati come imprenditori o come liberi professionisti, e altri self-employed, che invece comprendono i lavoratori autonomi senza dipendenti classificati dall’Istat come lavoratori in proprio. Si è infatti osservato che effettivamente i due gruppi fanno riferimento a due tipologie di lavoratori autonomi alquanto diverse: i primi a professionisti e consulenti ed i secondi ad artigiani e commercianti. Sono state raggruppate le categorie dei coadiuvanti e dei soci di cooperative, definite come lavoro non indipendente, poiché in genere riflettono situazioni di parasubordinazione. 1.4. Le politiche a sostegno dell’imprenditoria femminile. La legge 215/92. La legge 215/92 è lo strumento principale di agevolazione attraverso il quale il Ministero dell’Industria mette a disposizione dell’imprenditoria femminile stanziamenti, sotto forma di contributi in conto capitale, erogati a fronte di investimenti. La Legge 215 permette alle imprese femminili di richiedere un finanziamento a fondo perduto per parte dei loro investimenti; senza entrare nel dettaglio per il quale si rimanda al testo completo della legge 215/92, va detto che è prevista la concessione di benefici per la promozione di nuova imprenditorialità femminile e per l’acquisizione di servizi reali, consistenti in incentivi sotto forma di contributi in conto capitale fino al 50% delle spese per impianti ed attrezzature per l’avvio di imprese e contributi fino al 30% delle spese per l’acquisizione di servizi destinati alle imprese. Detti contributi sono sostituibili mediante crediti d’imposta. Per “fondo perduto” si intende una somma di denaro che il Ministero dell’Industria mette a disposizione dell’imprenditrice a titolo definitivo, senza, quindi, obbligo di restituzione. Ad esempio: Supponiamo, semplificando, che un’azienda programmi un investimento di 300 milioni, in una regione dove la Legge 215 prevede un contributo massimo pari al 50% della spesa, quindi 150. Il contributo sarà erogato all’azienda, direttamente nel proprio conto corrente, in due rate, la prima da 45 milioni (erogata al momento della realizzazione del 30% del programma di investimenti), la seconda di 105 milioni quando l’investimento sarà portato a termine (non oltre 24 mesi successivi alla data del decreto di concessione del contributo). I destinatari e le dirette beneficiarie, dunque, sono le donne che vogliono creare impresa di diverse tipologie sia individuali che cooperative purchè, l’apporto prevalente sia al capitale che al processo produttivo, alla gestione,direzione ed amministrazione sia dato da donne. Precisamente: 23
Ø Società di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai due terzi a donne ed i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne Ø Società cooperative e di persone in cui almeno il 60% dei soci siano donne Ø Imprese individuali gestite da donne Gli incentivi sono contributi in conto capitale fino al 50% delle spese per impianti ed attrezzature per l’avvio di impresa, e contributi fino al 30% delle spese per l’acquisizione di servizi destinati alle imprese. Sono previsti anche finanziamenti agevolati per le società cooperative e per le società di persone per l’acquisto di impianti e servizi destinati all’aumento della produttività sulla base della capacità riconosciuta alle imprese richiedenti di svolgere proficuamente la loro attività economia sul mercato. Durante il primo anno di applicazione della L.215/92 sono pervenute oltre 30.000 richieste di informazione al numero verde attivato presso il Ministero delle Pari Opportunità, circa 20.000 all’IPI (Istituto per la Promozione Industriale) e molte altre alle camere di commercio ed alle varie associazioni imprenditoriali. Nello stesso periodo sono state presentate ben 4.109 domande, di cui 2.679 ammesse, e quindi prive di vizi di forma, principale causa di rigetto, con una graduatoria finale che ha consentito a 518 progetti di accedere ai fondi per un importo complessivo di 43,6 mila miliardi di lire 21. Nella tabella che segue viene riportata una distribuzione del fondo per attività nell’anno di implementazione della legge: Tabella 5 Numero di imprese beneficiare della 215/92 per settore di attività e contributo in milioni di Euro SETTORI DI ATTIVITÀ (ex lege 215/92) Numero imprese Contributo Industria 41 4,60 Artigianato 102 4,96 Agricoltura 23 1,45 Turismo 12 0,93 Commercio 143 4,85 Servizi 197 5,73 Totale 518 22,52 Anno: 1999 Fonte: Istud. 21Istud, a cura di Serafino Negrelli, Istituzione ed imprenditorialità femminile, Guerini e associati, Milano, 1999. 24
I criteri di selezione dei progetti stabiliti dal D.M. 20.12.1996 sono otto e sono: grado di partecipazione femminile alla compagine sociale, nuove iniziative, maggiore occupazione, minore investimento per occupato, iniziative ancora da realizzare, minore spesa, azioni preliminari intraprese per verificare la realizzabilità dell’iniziativa, collegamento con specifici programmi di sviluppo regionale, proiezione territoriale dell’iniziativa in ambito più vasto. Oltre alla legge 125/92, esistono, sia a livello nazionale che regionale, numerose politiche a favore dell’imprenditoria; data la numerosità delle stesse, si è pensato di elencare le più importanti normative che fanno diretto ed indiretto riferimento alle agevolazioni previste sia per favorire nuove opportunità imprenditoriali, che l’ampliamento, riconversione, ristrutturazione, ecc. di quelle già esistenti. 25
Tabella 6 Prospetto delle leggi nazionali e regionali (relative al solo Centro) contenenti disposizioni a favore dell’imprenditoria femminile attualmente in vigore – iniziative ammissibili, destinatari, priorità donne, agevolazioni, servizi reali LEGGI NAZIONALI Legge n.448 del 23/12/1998 Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Nuova attività imprenditoriale Cooperative sociali (tipo B) Nessuna Tipo finanziamento: diretto - Formazione - In proprio Contributo a fondo perduto per imprenditoriale Attività imprenditoriale esistente investimenti - Consulenza per - Nuovo impianto Contributo a fondo perduto per la la progettazione - Ampliamento gestione - Consulenza in - Ammodernamento Finanziamento a tasso agevolato fase di avvio - Diversificazione per investimenti Legge Nazionale N.949 (artt.33-52) del 25/7/1952 Provvedimenti per lo sviluppo dell‘economia e incremento dell‘occupazione Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali - Ditte individuali Società di fatto; Società di Nessuna Finanziamento a tasso agevolato - Servizi di Attività imprenditoriale esistente persone (in nome collettivo, in accomandita per investimenti Finanziamento a consulenza e - Ampliamento semplice); Società di capitali (a responsabilità tasso agevolato per spese di formazione non - Ammodernamento limitata); Società cooperative; Consorzi; gestione Leasing agevolato previsti - Ristrutturazione Imprese familiari Legge Nazionale N.1068 del 14/10/1964 Istituzione presso la Cassa per il credito alle imprese artigiane di un Fondo centrale di garanzia e modifiche al capo VI della L. 25 luglio 1952, n. 949, recante provvedimenti per lo sviluppo dell’economia e l’incremento della occupazione Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Interventi con finalità specifiche Ditte individuali; Società di persone (in nome Nessuna Agevolazione finanziaria: garanzia - Non sono - Accesso al credito collettivo, in accomandita semplice; Società di previsti servizi di La legge ha la finalità di migliorare l’accesso al capitali (a responsabilità limitata); Società consulenza e credito delle PMI con la concessione di cooperative; Consorzi formazione garanzie 26
Tabella 6 (segue) Prospetto delle leggi nazionali e regionali (relative al solo Centro) contenenti disposizioni a favore dell’imprenditoria femminile attualmente in vigore Legge Nazionale N.1329 del 28/11/1965 Provvedimenti per l’acquisto di nuove macchine utensili Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Ditte individuali; Società di persone (in nome Nessuna Contributo a fondo perduto per - Non sono collettivo, in accomandita semplice); Società di spese di gestione previsti servizi di capitali (per azioni, in accomandita per azioni, a consulenza e Attività imprenditoriale esistente responsabilità limitata); Società cooperative. I formazione - Ammodernamento beneficiari, all‘atto di presentazione della domanda, devono essere iscritti al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio Legge Nazionale N.227 del 24/5/1977 Disposizioni sull‘assicurazione e sul finanziamento dei crediti inerenti alle esportazioni di merci e servizi, all‘esecuzione di lavori all‘estero nonché alla cooperazione economica e finanziaria in campo internazionale Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Interventi con finalità specifiche Società di persone (semplice, in nome Nessuna Contributo a fondo perduto per - Non sono - Ricerca nuovi canali e/o mercati. collettivo e in accomandita semplice); Società spese di gestione previsti servizi di È ammessa ad agevolazione l‘esportazione, di capitali (per azioni, a responsabilità limitata e consulenza e verso qualsiasi paese estero, di forniture di in accomandita per azioni); Società cooperative formazione macchinari, impianti, studi, progettazioni, (a responsabilità limitata e illimitata); lavori e servizi. Non sono, invece ammesse le Associazioni; Consorzi esportazioni di beni di consumo (durevoli e non durevoli), di semilavorati o di beni intermedi che non siano destinati in via esclusiva ad essere integrati in beni di investimento 27
Tabella 6 (segue) Prospetto delle leggi nazionali e regionali (relative al solo Centro) contenenti disposizioni a favore dell’imprenditoria femminile attualmente in vigore Legge Nazionale N.394 del 29/7/1981 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 28 maggio 1981, n. 251, concernente misure a sostegno delle esportazioni italiane Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Ditte individuali; Società di persone (semplice, Nessuna Finanziamento a tasso agevolato - Non sono Interventi con finalità specifiche in nome collettivo, in accomandita semplice); per investimenti Finanziamento a previsti servizi di - Ricerca nuovi canali e/o mercati Società di capitali per azioni, in accomandita tasso agevolato per spese di consulenza e La legge ha la finalità di far realizzare da per azioni, a responsabilità limitata); Società gestione formazione imprese italiane un insediamento durevole cooperative; Consorzi. I beneficiari, all‘atto di costituito da uffici di rappresentanza, filiali di presentazione della domanda, devono essere vendita, centri di assistenza, magazzini, iscritte al Registro delle Imprese presso la depositi e sale espositive in paesi non Camera di Commercio. Le imprese artigiane, appartenenti all’Unione Europea all‘atto di presentazione della domanda, devono essere iscritte all‘apposito Albo Legge Nazionale N.181 del 15/5/1989 Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 1° aprile 1989, n.120, recante misure di sostegno e di reindustrializzazione in attuazione del piano di risanamento della siderurgia Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Nuova attività imprenditoriale Società di capitali (per azioni, in accomandita Nessuna Contributo a fondo perduto per - Non sono - In proprio per azioni, a responsabilità limitata); Consorzi investimenti Finanziamento a tasso previsti servizi di Attività imprenditoriale esistente agevolato per investimenti consulenza e - Ampliamento; formazione - Ammodernamento; - Riconversione; - Ristrutturazione 28
Tabella 6 (segue) Prospetto delle leggi nazionali e regionali (relative al solo Centro) contenenti disposizioni a favore dell’imprenditoria femminile attualmente in vigore Legge Nazionale N.215 del 25/2/1992 Azioni positive per l‘imprenditoria femminile Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Nuova attività imprenditoriale Ditte individuali; Società di persone (semplice, Nessuna Contributo a fondo perduto per - Servizi di - In proprio in nome collettivo, in accomandita semplice); investimenti consulenza e - In franchising Società di capitali (in accomandita per azioni, formazione non Attività imprenditoriale esistente per azioni, a responsabilità limitata); Società previsti - Ampliamento cooperative. Per le ditte individuali il titolare - Ammodernamento; deve essere donna - Rilevamento di attività preesistente (solo se ad effettuarlo è una nuova impresa); - Sviluppo. Legge Nazionale N.488 del 19/12/1992 Agevolazioni per le attività produttive nelle aree depresse Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Nuova attività imprenditoriale Ditte individuali; Società di persone (semplice, Nessuna Contributo a fondo perduto per - Servizi di - In proprio in nome collettivo, in accomandita semplice); investimenti consulenza e Attività imprenditoriale esistente Società di capitali (in accomandita per azioni, formazione non - Ampliamento per azioni, a responsabilità limitata); Società previsti - Ammodernamento; cooperative. Tutti i destinatari, all‘atto di - Riconversione; presentazione della domanda, devono essere - Ristrutturazione; iscritti al Registro delle Imprese presso la - Rilevamento di attività preesistente; Camera di Commercio - Riattivazione 29
Tabella 6 (segue) Prospetto delle leggi nazionali e regionali (relative al solo Centro) contenenti disposizioni a favore dell’imprenditoria femminile attualmente in vigore Legge Nazionale N.236 (art.1 bis) del 19/7/1993 Interventi urgenti a favore dell‘occupazione Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Società di persone (semplice, in nome Nessuna Contributo a fondo perduto per - Formazione collettivo, in accomandita semplice); Società di investimenti imprenditoriale Nuova attività imprenditoriale capitali (in accomandita per azioni, per azioni, a Contributo a fondo perduto per - Consulenza per la - In proprio responsabilità limitata); Società cooperative spese di gestione progettazione Finanziamento a tasso agevolato - Consulenza in per investimenti fase di avvio Legge Nazionale N.598 del 27/10/1994 Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 29 agosto 1994, n. 516, recante provvedimenti finalizzati alla razionalizzazione dell’investimento delle società per azioni interamente possedute dallo Stato, nonché ulteriori disposizioni concernenti l’EFIM ed altri organismi Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Ditte individuali; Società di persone (in nome Nessuna Finanziamento a tasso agevolato - Servizi di collettivo, in accomandita semplice); Società di per investimenti consulenza e Interventi con finalità specifiche capitali (per azioni, in accomandita per azioni, a formazione non - Innovazione tecnologica responsabilità limitata); Società cooperative. I previsti - Tutela ambientale beneficiari, all‘atto di presentazione della domanda, devono essere iscritte al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio Legge Nazionale N.95 del 28/4/1995 Disposizioni urgenti per la ripresa delle attività imprenditoriali (ex legge 44) Iniziative ammissibili Destinatari Priorità Agevolazioni Servizi reali Società di persone (semplice, in nome Nessuna Contributo a fondo perduto per - Formazione collettivo, in accomandita semplice); Società di investimenti imprenditoriale Nuova attività imprenditoriale capitali (in accomandita per azioni, per azioni, a Contributo a fondo perduto per - Consulenza per la - In proprio responsabilità limitata); Società cooperative spese di gestione progettazione (comprese le minicooperative costituite da 5 a Finanziamento a tasso agevolato - Consulenza in 8 soci) per investimenti fase di avvio 30
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