Diritto alla salute e fattore religioso nello spazio giuridico europeo. Alla ricerca di un laico e sostenibile pluralismo etico - Sipotra

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ISSN 1826-3534

           FOCUS HUMAN RIGHTS
             5 FEBBRAIO 2020

Diritto alla salute e fattore religioso
  nello spazio giuridico europeo.
Alla ricerca di un laico e sostenibile
           pluralismo etico

                         2 Alicino
               di Francesco
    Professore ordinario di Diritto ecclesiastico e canonico
     Università LUM Jean Monnet di Casamassima (Bari)
Diritto alla salute e fattore religioso nello spazio
  giuridico europeo. Alla ricerca di un laico e
           sostenibile pluralismo etico *
                                         di Francesco Alicino
                       Professore ordinario di Diritto ecclesiastico e canonico
                        Università LUM Jean Monnet di Casamassima (Bari)

Abstract [It]: Dalla fine della seconda guerra mondiale la tutela salute si è attestata come un valore dal duplice
profilo, personale (l’assenza d’infermità fisica e mentale) e comunitario (il benessere sociale e culturale). Il che si
giustifica anche con l’intreccio fra l’aspetto puramente naturale (la vita biologica degli esseri umani) e gli elementi
socio-culturali (i codici di condotta, le norme di comportamento, i costumi e le credenze), rispetto ai quali il fattore
religioso gioca un ruolo di primaria importanza. Il presente lavoro pone l’accento su queste interazioni
analizzandole alla luce dal processo d’internazionalizzazione dei diritti umani e della dignità umana, motori del
costituzionalismo destatalizzato di cui lo spazio giuridico europeo (CEDU e UE) rappresenta l’archetipo
strutturalmente più avanzato.

Abstract [En]: Since the end of the Second World War, the protection of human health has proven to be a
fundamental right with a dual profile involving personal (the absence of physical and mental illness) and
communitarian elements (social and cultural well-being). That is also evident from the connection between the
natural (the psychological state and physiological condition of human beings) and socio-cultural (codes of conduct,
local beliefs, its socio-cultural elements traditional behaviours) aspects of health, in respect to which religions play
a very important role. This essay analyses these interactions in the light of the internationalization processes of
human rights and human dignity, such as those relating to the European-based legal systems (ECHR and EU).

Sommario: 1. La seconda guerra dei trent’anni e il diritto umano alla salute. 2. Il diritto alla salute e la teologia
etica. 3. Salute e credenze cultural-religiose. 4. Obiezione di coscienza e pluralismo etico. 5. Simboli religiosi sul
corpo e diritto alla salute. 6. UE e CEDU. Reciproche interferenze. 7. Prospettive.

1. La seconda guerra dei trent’anni e il diritto umano alla salute
I meccanismi di acquisizione e gestione del potere politico si tramutano spesso in potenti macchine del
consenso popolare, con risultati non sempre edificanti.
Adolph Hitler, ad esempio, negli anni Trenta del secolo scorso s’insinua nei loro ingranaggi sfruttandoli
per la sua farneticante battaglia. Dopo cinque turni elettorali, nel 1933 s’insedia nell’ufficio del Cancelliere
da dove raccoglie il 43,9% dei voti. Garantendo che li userà bene, dopo due settimane Kniébolo1 chiede
al Reichstag i pieni poteri. Li votano 441 parlamentari contro i 94 resistenti che, pur apprezzando il lavoro

* Articolo sottoposto a referaggio. Questo lavoro riproduce in parte la relazione tenuta al Conferenza sul tema “Valetudo
et religio: intersezioni fra diritto alla salute e fenomeno religioso”, che si è svolta presso la Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università “La Sapienza” di Roma il 4 aprile 2019, ed è destinato alla pubblicazione negli Atti.
1 Così lo definisce ERNST JÜNGER, Gärten und Straßen, Berlin, 1942, trad. it. a cura di F. FEDERICI, Giardini e strade,

Milano, 1943, p. 48.

1                                               federalismi.it - ISSN 1826-3534                              |n. 3/2020
dei costituenti di Weimar, ritengono il diavolo capace di impadronirsi anche dei migliori manufatti
costituzionali2. Il pensiero non sfiora i colleghi deputati, i quali spianano la strada al pittore fallito ed ex
caporale dell’esercito bavarese verso un dominio incondizionato, foriero di catastrofi terrificanti. Una
delle più inqualificabili lo vedrà protagonista accanto a Josef Mengele, ideatore di una scienza medica
informata a un’eugenetica dell’orrore. L’angelo della morte la sperimentata nella baracca n. 10 di Aushwitz
dove, con il compiaciuto avallo del Führer, non esita a sottoporre uomini, donne e soprattutto bambini
a indicibili trattamenti sanitari3.
I due si candidano così a rappresentare meglio di molti altri “l’anticristo che è in noi”4. Colui che, nella
prima metà del Novecento, ha scritto a contrario la disciplina dei diritti umani i quali, per questi stessi
motivi, hanno poi coltivato un inscindibile rapporto con i sistemi democratici, con conseguenze
beneficamente paradossali5.
Questi diritti non fanno parte della democrazia, perlomeno non necessariamente, ma servono alla
democrazia. Non sempre traggono legittimazione dall’adesione popolare, ma sono consustanziali per la
vita di una qualsiasi democrazia costituzionale6. La loro tutela è un anticorpo al rischio che, come già
paventato da pensatori della Grecia classica, qualcuno diventi per via legale kùrios tón nómon: padrone di
tutto l’apparato normativo, abusandone7. Da ciò deriva la duplice dimensione dei diritti umani, individuale
e collettiva, la cui importanza s’accresce alla luce di settori strategici e nodali per il funzionamento degli
attuali ordini democratici. Lo testimonia quello che afferisce alla salute delle persone, necessario
presupposto dello ius existentiae, inteso nel senso di un’esistenza libera e dignitosa8.
La dignità assume in questo caso la connotazione di principio che, consentendo di interpretare i diritti
umani in funzione del libero sviluppo della persona, evita il rischio di una loro banalizzazione9. La dignità
agisce da centro unificatore rispetto al progressivo e inarrestabile ampliamento dei diritti, a cominciare da
quelli che definiscono la tutela della salute10. Una tutela che, attraverso il principio di dignità, si candida

2 F. CORDERO, Leviathan contro Dike, in Micromega, 5/2006, p. 53.
3 M. NYSZLI, Dr. Mengele boncolóorvosa voltam az auschwitzi krematóriumban, Grafica, 1946, trad. a cura di A. FONSECA,
Sono stato l’assistente del dottor Mengele. Memorie di un medico internato ad Auschwitz, Lecce, 2013.
4 B. CROCE, L’Anticristo che è in noi, in Quaderni della critica, luglio 1947, n. 8, pp. 67-70.
5 Sul punto cfr. C. CARDIA, Genesi dei diritti umani, Torino, 2005, p. V.
6 L. FAVOREU, La politique saisie par le droit, Paris, 1988.
7 F. CORDERO, Leviathan contro Dike, cit., p. 54.
8 G.M. FICK, Elogio della dignità, Città del Vaticano, 2015; C. TRIPODINA, Reddito di cittadinanza come “risarcimento per

mancato procurato lavoro”. Il dovere della Repubblica di garantire il diritto al lavoro o assicurare altrimenti il diritto all’esistenza, in
Costituzionalismo.it, 1/2015, pp. 1-47 e alla bibliografia ivi pure riportata, reperibile in
http://www.costituzionalismo.it/download/Costituzionalismo_201501_497.pdf (ultimo accesso 24 settembre 2019).
9 N. COLAIANNI, L’Europa e i migranti: per una dignitosa libertà (non solo religiosa), in Rivista telematica

(www.statoechiese.it), 40/2017, p. 5.
10 Su questo intreccio già il Comitato dei diritti economici, sociali e culturali, il c.d. CESCR, General Comment No. 14: The

Right to the Highest Attainable Standard of Health (Art. 12), 12 maggio 2000, E/C.12/2000/4, per cui “[h]ealth is a
fundamental human right indispensable for the exercise of other human rights. Every human being is entitled to the

2                                                     federalismi.it - ISSN 1826-3534                                       |n. 3/2020
così a fissare una delle più importanti variabili nella tendenza del costituzionalismo contemporaneo, il cui
originario punto di approdo rinvia proprio al tragico epilogo della seconda guerra dei trent’anni (luglio
1914-settembre 1945)11.
Incanalata nella “volontà di sottrarre i diritti dell’uomo al vivo flusso della vita storica, che deve passare
davanti ad essi senza toccarli”,12 la salute degli essere umani si è da quel momento attestata come un
valore dal duplice profilo, personale (l’assenza d’infermità fisica e mentale) e comunitario (il benessere
sociale). Il che si giustifica anche con l’intreccio fra l’aspetto puramente naturale (la vita biologica degli
esseri umani) e gli elementi socio-culturali (i codici di condotta, le norme di comportamento, le
convenzioni sociali), rispetto ai quali il fattore religioso gioca un ruolo di primaria assoluta importanza.
Tanto più in un sistema democratico che, oltre a tutelare la libertà di fede e un laico e sostenibile
pluralismo, si trova oggi a dover gestire i poderosi fenomeni dell’immigrazione e della globalizzazione,
non di rado condizionati dall’ambiguo andamento dello ius mercatorum13 e delle sempre più improvvise
scoperte scientifiche e tecnologiche. Fenomeni, questi, duttili e depoliticizzati che, con la propensione a
costituirsi globalmente14, coinvolgono molti comparti della società, compresi l’ambiente, il welfare, la
sanità, le terapie mediche e, conseguentemente, il benessere psicofisico e sociale degli individui15. Il che
ha anche contribuito a un progressivo arretramento dei diritti positivi statali16 favorendo, per contro, il
consolidarsi di ordinamenti sovranazionali17. A loro volta questi sono sostenuti dal processo, parallelo e

enjoyment of the highest attainable standard of health conducive to living a life in dignity. The realization of the right
to health may be pursued through numerous, complementary approaches, such as the formulation of health policies, or
the implementation of health programmes developed by the World Health Organization (WHO), or the adoption of
specific legal instruments” (par. 1).
11 Secondo la definizione di G. STEINER, In Bluebeard’s Caste. Some Notes towards the Redefinition of Culture, New Haven,

1971, trad. it. a cura di I. FARINELLI, Nel castello di Barbablù. Note per la ridefinizione della cultura, Milano, 1990, al quale
“sembra irresponsabile qualunque teoria della cultura, ... che non ponga al centro della riflessione i metodi del terrore
che, tra l’inizio della prima guerra mondiale e la fine della seconda, hanno provocato la morte di circa settanta milioni di
esseri umani” (p. 32).
12 Così ALDO MORO nell’Assemblea costituente italiana del 1946-1948, La Costituzione della Repubblica italiana nei lavori

preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1970, vol. V, p. 4328.
13 Su cui per tutti M.R. FERRARESE, Promesse mancate. Dove ci ha portato il capitalismo finanziario, Bologna, 2017.
14 Come già dimostrato da G. TEUBNER, Breaking Frames: la globalizzazione economica e l’emergere della lex mercatoria, in

Idem, La cultura del diritto nell’epoca della globalizzazione. L’emergere delle costituzioni civili, trad. it. a cura di R. PRANDINI,
Roma, 2005, p. 146.
15 Per restare alla classica definizione di salute (Health is a state of complete physical, mental and social well-being and not merely the

absence of disease or infirmity) così come contenuta nell’atto costitutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanita-WHO
(Constitution of the World Health Organization) adottato da 61 Stati il 22 giugno 1946 (Off. Rec. Wld Hlth Org., 2, 100) ed
entrato in vigore il 7 aprile 1948. Successivi emendamenti a questo atto sono stati adottati dalle 26°, 29° 39° e 51°
Assemblee (Resolutions WHA26.37, WHA29.38, WHA39.6 and WHA51.23) del WHO, entrati in vigore rispettivamente
il 3 febbraio 1977, 20 gennaio 1984, 11 luglio 1994 e il 15 settembre 2005. Per approfondimenti si veda World Health
Organization, Basic Documents. Forty-eighth edition, 2014, http://apps.who.int/gb/bd/PDF/bd48/basic-documents-48th-
edition-en.pdf#page=7 (ultimo accesso 14 ottobre 2019). Le traduzioni citate in questo lavoro sono mie.
16 R. TEITEL, Comparative Constitutional Law in a Global Age, in Harvard Law Review, 2004, pp. 2570 ss.; S. SASSEN, The

State and Globalization: Denationalization Participation, in Michigan Journal of International Law, 2004, pp. 1158 ss.
17 M. FIORAVANTI, Costituzionalismo. Percorsi nella storia e tendenze attuali, Bari-Roma, 2009, p. 158.

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concomitante, d’internazionalizzazione dei diritti umani e della dignità, motori del costituzionalismo
destatalizzato, di cui lo spazio giuridico europeo rappresenta l’archetipo strutturalmente più avanzato18.
Si tratta di un ordine informato alla sempre maggiore integrazione fra il Consiglio d’Europa,
normativamente incentrato sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), e l’Unione europea
(UE), con i suoi Trattati e le sue norme di rango secondario, entrambi presidiati da appositi organi
giurisdizionali. Nonostante l’autonomia e la distinzione dai singoli Stati che lo compongono 19, lo spazio
giuridico europeo si alimenta alle loro fonti normative, in un rapporto di mutua e reciproca osmosi. Basti
dire del ruolo svolto in questo senso dalla categoria, d’origine giurisprudenziale, delle tradizioni
costituzionali comuni, generatore del processo di progressiva europeizzazione del modello di democrazia
laica e pluralista20.
Non senza incoerenze e problematiche contraddizioni questo processo sta ad ogni modo influendo sulla
disciplina dei diritti umani in generale e sul diritto alla salute in particolare. Lo fa esaltando le sue
molteplici e multiformi intersezioni, a cominciare proprio da quelle strettamente connesse con le
tradizioni cultural-religiose21.

18 G. DE BURCA – O. GERSTENBERG, The Denationalization of Constitutional Law, in Harvard International Law Journal,
2006, vol. 47, p. 244.
19 E. CANNIZZARO, Il pluralismo dell’ordinamento giuridico europeo e la questione della sovranità, in Quaderni fiorentini per la storia

del pensiero giuridico moderno, 31/2002, Tomo I, pp. 245 ss., spec. p. 249.
20 Come si sa il tema è sconfinato, così come lo è la relativa letteratura. Per questo motivo si rinvia ex plurimis ai seguenti

contributi e alla bibliografia e giurisprudenza ivi pure riportate: D. LUSTIG – J.H.H. WEILER, Judicial review in the
contemporary world- Retrospective and prospective, in I·CON, 4/2018, pp. 315 ss.; G. DE VERGOTTINi, Tradizioni costituzionali
comuni e Costituzione europea, in forumcostituzionale.it; S. GAMBINO, Identità costituzionali nazionali e primauté eurounitaria, in
Quaderni costituzionali, 3/2012, pp. 533 ss.; A. RUGGERI, Il futuro dei diritti fondamentali, sei paradossi emergenti in occasione
della loro tutela e la ricerca dei modi con cui porvi almeno in parte rimedio, in Consulta online, 1/2019; S. NINATTI, Dalle tradizioni
costituzionali comuni all’identità costituzionale il passo è breve? Riflessioni introduttive, in Rivista telematica (ww.statoechiese.it),
31/2019; O. POLLICINO, Corte di giustizia e giudici nazionali: il moto “ascendente”, ovverosia l’incidenza delle “tradizioni
costituzionali comuni” nella tutela apprestata ai diritti dalla Corte dell’Unione, in L. D’ANDREA – G. MOSCHELLA – A.
RUGGERI – A. SAITTA (a cura di), Crisi dello Stato nazionale, dialogo intergiurisprudenziale, tutela dei diritti fondamentali,
Torino, 2015, pp. 93 ss.; L. TRUCCO, Carta dei diritti fondamentali e costituzionalizzazione dell’Unione europea. Un’analisi delle
strategie argomentative e delle tecniche decisorie a Lussemburgo, Torino, 2013; M. CARTABIA, Convergenze e divergenze
nell’interpretazione delle clausole finali della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Rivista AIC, 3/2017; P. MORI,
Taricco II o del primato della Carta dei diritti fondamentali e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, in Il Diritto
dell’Unione Europea, Oss. eur., dicembre 2017; G. REPETTO, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa. Teorie
dell’interpretazione e giurisprudenza sovranazionale, Napoli, 2011; P. RIDOLA, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
e le “tradizioni costituzionali comuni” degli Stati membri, in Idem, Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, Torino, 2010, pp.
163 ss.; G. MARINI, La costruzione delle tradizioni giuridiche nell’epoca della globalizzazione, in Comparazione e Diritto civile, 2010,
pp. 1 ss; G. COZZOLINO, Le tradizioni costituzionali comuni nella giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee,
in P. FALZEA – A. SPADARO – L. VENTURA (a cura di), La Corte costituzionale e le corti d’Europa, Torino, 2003, pp. 3
ss.; V. SCIARABBA, Tra fonti e corti. Diritti e principi fondamentali in Europa: profili costituzionali e comparati degli sviluppi
sovranazionali, Padova, 2008.
21 P. CARETTI, L’eguaglianza: da segno distintivo dello Stato costituzionale a principio generale dell’ordinamento comunitario, in P.

CARETTI – M.C. GRISOLIA (a cura di), Lo Stato costituzionale. La dimensione nazionale e la prospettiva internazionale. Scritti
in onore di Enzo Cheli, Bologna, 2010, p. 525.

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2. Il diritto alla salute e la teologia etica
Nelle odierne democrazie costituzionali la tutela della salute predispone il raggiungimento di alcuni
fondamentali diritti (alla vita, all’educazione, alla partecipazione democratica, ad esempio), definendosi
contestualmente con il rinvio ad altri (il diritto al cibo, all’acqua, a un ambiente sano e pulito nonché alle
cure sanitarie). Essa pone al centro della trama legale sempre e comunque la persona umana, intesa sia
come singolo che come socius della macro comunità statuale. Al suo interno ciascuno deve avere la
possibilità di svolgere liberamente la propria personalità22, rispetto alla quale i poteri pubblici, rimuovendo
gli ostacoli di ordine economico e sociale verso una effettiva promozione e protezione della salute,
affrontano il rischio, sempre in agguato, d’irragionevoli e discriminatorie disuguaglianze.
Ciò, però, si presta anche ad alimentare uno dei più delicati dilemmi della democrazia costituzionale,
perennemente contesa fra il principio di eguaglianza e il rispetto delle differenze; fra cioè il
riconoscimento di specificità socio-culturali e religiose, per un verso, e l’universalità dei diritti umani, per
l’altro. Vero è che nell’ambito della tutela della salute un’applicazione ragionevole del principio di
eguaglianza premette e implica la deferenza verso le diversità. Queste differenze non possono tuttavia
oltrepassare i limiti imposti dallo ius existentiae che, come tale, deve essere riconosciuto e tutelato nei
confronti di tutti, indipendentemente dalla cittadinanza, dalla sfera di appartenenza, dalle capacità
economiche e dalle condizioni sociali e psicofisiche individuali.
Un dilemma, questo, oltremodo complicato dalla moltiplicazione di beni, come i farmaci e le cure
essenziali, la cui produzione non è un dono della natura, bensì esclusiva prerogativa dell’uomo. Possiamo
definirli beni sociali23 che, proprio in forza del diritto umano alla salute, sono diventati parimenti
fondamentali, poiché decisivi per, appunto, una esistenza libera e dignitosa24. Lo sono soprattutto alla
luce delle odierne dinamiche glocali – che universalizzano il locale nel momento in cui localizzano
l’universale – e dei nuovi diritti25. Quelli di terza o quarta generazione26, per cui l’esistenza non è solo un
fatto naturale. È anche, e a volte soprattutto, un fatto sociale. E non va dimenticato che, con le suddette
caratteristiche, questo fatto è sempre più condizionato da due elementi tra loro concomitanti e interagenti:

22 Cfr. P. GROSSI, La legalità costituzionale nella storia della legalità moderna e post-moderna, in Giornale di Storia costituzionale,
16/2008, p. 13, ora in P. GROSSI, L’invenzione del diritto, Bari-Roma, 2017, p. 15.
23 L. FERRAJOLI, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Roma-Bari, 2007, Vol. 1, p. 779.
24 G.M. FLICK, op. cit., pp. 12-21.
25 Su cui M. CARTABIA, I “nuovi” diritti, in Rivista telematica (www.statoechiese.it), febbraio 2011, pp. 9-10.
26 Su cui già F. MODUGNO, I diritti della terza generazione. La tutela dei nuovi diritti, in Parlamento, 1989, p. 53.

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il progresso scientifico e tecnologico, delle cui applicazioni e benefici tutti devono poterne godere27; i
percorsi identitari che, come è noto, sono spesso legati a dati fenomeni culturali e confessionali28.
L’intreccio fra fattore religioso e sviluppo della scienza medica conduce così a un’altra problematica, per
cui il dogma della sacertà della salute umana si trova oggi a fare i conti con una vera e propria crisi
epistemologica. Questa si è in particolare manifestata mettendo in discussione nozioni date fino a pochi
anni fa per acquisite, a cominciare da quelle riguardanti la vita, la morte, la dignità, i trattamenti sanitari.
Il che, d’altra parte, spiega l’importanza assunta in quest’ultimo periodo da ciò che è stata definita come
“teologia etica”29.
Se la teologia politica dà conto della rimanenza dei concetti religiosi nella politica contemporanea 30, la
teologia etica deve qui essere intesa quale strumento di analisi per rivelare la permanenza o meno delle
tradizioni cultural-religiose nell’etica dei formanti (normativi e giurisprudenziali) statuali31. Sì concepita,
la teologia etica aiuta a comprendere le impostazioni economiche e i calchi morali, religiosi e filosofici
con cui un ordinamento considera, e si rapporta con, la vita e la salute degli essere viventi. Lo fa senza
peraltro ignorare che il modello di democrazia costituzionale ha nel tempo sviluppato dei propri
riferimenti etici per cui, ad esempio, lo Stato e il suo diritto hanno il dovere di essere laici, ma non possono
pretendere che lo siano tutte le persone.

27 Art. 15 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali del 1966. In questo senso anche: l’art.
27 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; l’art. 13 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
l’art. XIII della Dichiarazione americana dei diritti umani; l’art. 14 del Protocollo sui diritti economici, sociali e culturali
della Convenzione americana sui diritti umani; l’art. 42 della Carta dell’Unione africana; l’art. 42 della Carta araba dei
diritti umani; l’art. 32 della Dichiarazione sui diritti umani dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico.
28 Si tratta di percorsi identitari in cui i fattori religiosi hanno letteralmente definito gli ambiti della vita umana, compreso

i modi e i tempi della cura e non solo. Sul punto C. VENTRELLA, Tempo divino e identità religiosa. Culto rappresentanza
simboli dalle origini all’VII secolo, Torino, 2012, spec. pp. 1-45.
29 Così DIDIER FASSIN, La vie. Mode d’emploi critique, Paris, 2018, trad. it. a cura di L. ALUNNI, Le vite ineguali. Quanto

vale un essere umano, Milano, 2019, p. 97.
30 Ibidem. Sul punto R. ESPOSITO, Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale, Torino, 2007 p. 82; R.

ESPOSITO, Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica, Mimesis, Milano, 2008, p. 117; R. ESPOSITO, Concepire
l’impersonale. Verso l’originaria unità dell’essere vivente, Modena, 2009, spec. pp. 16-22. Sulla teologia politica si veda
ovviamente C. SCHMITT, Soziologie des Souveränitätsbegriffs und politische Teologie, in M. PALYI (a cura di), Hauptprobleme der
Soziologie. Erinnerungsgabe für Max Weber, München-Leipzig, 1922, Vol. II, p. 352-557; scritto poi riproposto nel più noto
C. SCHMITT, Politische Teologie. Vier kapitel zur Lehre von der Souveränität, München-Leipzig, 1922, trad. it. a cura di G.
MIGLIO – P. SCHIERA, Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, in C. SCHMITT, Le categorie del
“politico”, Bologna, 1972, p. 33 ss. Si veda anche C. SCHMITT, Verfassungslehre, Berlin, 1928, trad. it a cura di A.
CARACCIOLO, Dottrina della Costituzione, Milano, 1984, p. 114. Per un approccio critico si vedano anche J. TAUBES,
Ad Carl Schmitt. Gegenstrebige Fügung, Berlin, 1987, trad. it. a cura di di E. STIMILLI, In divergente accordo. Scritti su Carl
Schmitt, Macerata, 1996, nel quale Taubes garbatamente polemizza con Schmitt, che pure considera “il più grande
giuscostituzionalista del Novecento”; J. TAUBES, Die Politische Theologie des Paulus, München, 1993, trad. it. a cura di P.
DAL SANTO, La teologia politica di San Paolo, Milano, 1997, p. 20 e p. 125; E. PETERSON, Der Monotheismus als politisches
Problem (1935) trad. it. a cura di H. ULIANICH, trad. it. dei testi greci e latini di F. DELLA SALDA MELLONI, Il
monoteismo come problema politico, Queriniana, 1983, in cui ERIK PETERSON “dimostra l’impossibilità teologica di una
‘teologia politica’”, proprio perché “la teologia non può essere politica” (p. 103). Sul punto si veda anche J. ASSMANN,
Religione totale. Origini e forme dell’inasprimento puritano, Firenze, 2017.
31 D. FASSIN, op. cit., p. 98.

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Nella prospettiva laica del costituzionalismo contemporaneo l’ordinamento statale deve in altre parole
aprirsi al mercato delle sapienze e delle tradizioni diverse. Lo deve però fare nei limiti di un ragionevole
e sostenibile pluralismo etico, i cui confini sono tracciati in base al rispetto della persona umana, la sua
dignità e libertà. Ne deriva un efficace baluardo contro non solo le derive egualitariste, per cui tutti devono
essere uguali e assimilati ai valori della maggioranza. Esso pone anche una salutare barriera
all’indifferentismo e allo scetticismo estremi che, trasferendo il principio di eguaglianza dal piano dei
singoli individui a quello dei soggetti collettivi (si passa dal tutti sono uguali a tutte le comunità sono eguali), non
trova più ragioni valide e specifiche per difendere l’universalità dei diritti umani; compresi quelli
riguardanti la salute delle singole persone all’interno di un dato gruppo socio-culturale e religioso.
Il che assume ancor più rilevanza nei contesti allargati degli ordinamenti sovrastatali, come quello
afferente alla CEDU. Un ordine questo che, nonostante le diffuse e annose problematiche, ha dato vita
ad uno dei più imponenti esperimenti umani improntati alla denazionalizzazione della democrazia
costituzionale.

3. Salute e credenze cultural-religiose
La CEDU non prevede alcuna esplicita disposizione del diritto alla salute. La Convenzione associa
tuttavia la sua “protezione” a quella della pubblica sicurezza, dell’ordine, della morale pubblica e della
garanzia dei diritti e delle libertà altrui. La protezione della salute s’inserisce così fra i motivi che, stabiliti
per legge, permettono agli Stati di limitare le libertà di espressione32, di riunione, di associazione33, di
circolazione34 e di manifestazione di un credo o di una religione35.
Maneggiando questo materiale normativo, la Corte EDU o Corte di Strasburgo ha sviluppato specifici
congegni interpretativi, tra cui un posto di rilievo spetta alla dottrina del margine di apprezzamento, al
principio di proporzionalità e al consenso diffuso fra gli Stati membri36. Lo attesta una corposa
giurisprudenza incardinata attorno al diritto alla vita privata e familiare37, rispetto al quale gli ordinamenti
statali possono stabilire per legge delle ingerenze. Queste devono però essere giustificate e
ragionevolmente motivate sulla base di misure che, in una società democratica, sono necessarie alla tutela
di differenti bisogni, tra cui non a caso ancora una volta figura la protezione della salute38.

32 Art. 10.2 CEDU.
33 Art. 11.2 CEDU.
34 Art. 2.2 del Prot. n. 4 CEDU.
35 Art. 9.2 CEDU.
36 Sul punto si rinvia a F. ALICINO, Libertà religiosa, in F. BUFFA – M.G. CIVININI (a cura di), La Corte di Strasburgo,

in Gli speciali di Questione Giustizia, aprile 2019, e alla ulteriore giurisprudenza e alla bibliografia ivi riportata
http://questionegiustizia.it/speciale/2019-1.php (ultimo accesso 28 settembre 2019).
37 Art. 8 CEDU.
38 Art. 8.2 CEDU.

7                                             federalismi.it - ISSN 1826-3534                             |n. 3/2020
Con il passare degli anni si sono in tal modo definiti i caratteri essenziali della concezione di vita privata
e familiare, pilastro portante del diritto alla salute, nei confronti del quale la Corte europea cerca di
delimitare l’ambito del convenzionalmente concepibile. Lo fa caso per caso e tenendo conto delle
variegate tradizioni costituzionali che, a livello statale, risultano sovente improntate a dati schemi cultural-
religiosi.
L’esempio è fornito dalle vertenze riguardanti i Testimoni di Geova che, da questo punto di vista,
diventano alquanto paradigmatiche. Tanto più alla luce della decisione Jehovah’s Witnesses of Moscow and
Others v. Russia del 10 giugno 201039, quando i giudici di Strasburgo rigettano le argomentazioni addotte
dall’autorità giudiziaria russa volte a imporre lo scioglimento della Congregazione e vietarne in modo
permanente l’attività. L’attenzione si focalizza sui motivi elaborati dalla Corte distrettuale di Golovinskiy
per dimostrare il carattere sedizioso e settario nonché la pericolosità sociale di questa organizzazione.
Uno in particolare si appiglia all’annosa questione del rifiuto delle trasfusioni di sangue che, ai sensi del
diritto religioso dei Testimoni, in nessun caso deve essere praticata, neanche quando gli operatori sanitari
ritengono che l’intervento trasfusionale sia indispensabile per la salute o, addirittura, la sopravvivenza
della persona40. Per i giudici europei accettare o rifiutare specifiche terapie, ovvero selezionare forme
alternative di trattamento sanitario, si pone a fondamento dei principi di autodeterminazione, di
autonomia personale e, soprattutto, di dignità umana, la vera essenza della CEDU. Ciò significa che,
verificata l’autenticità della volontà dell’interessato, la sua maggiore età e la piena capacita di intendere e
di volere, il rifiuto a un siffatto trattamento deve essere rispettato41. Il che vale anche nel caso di esiti
fatali, per quanto irrazionale o imprudente una scelta di questo genere possa apparire ad altri, compresi
medici e sanitari42.

39 Ric. n. 302/02.
40 È quanto si legge sulla tessera che ogni fedele deve portare sempre con sé durante la sua esistenza terrena. Com’è
noto il paziente Testimone di Geova prende questa sua decisione in base al comando biblico di “astenersi dal sangue”
(Atti degli Apostoli 15, 29), che si applica agli emocomponenti principali del sangue oltre che alle tecniche di pre-
deposito; gli emoderivati vengono invece in genere accettati dai Testimoni. Se in passato tale scelta personale era spesso
oggetto di critiche, oggi la situazione è diversa poiché le alternative alle emotrasfusioni vengono comunemente
impiegate. Lo attestano diversi documenti del WHO, a cominciare da quelli informati al cosiddetto Patient Blood
Management (PBM): si tratta di tecniche sanitarie che mirano a ottimizzare la risorsa di sangue del paziente stesso, evitando
se del caso di ricorrere al “sangue di banca”. Sul punto si veda la Risoluzione della WHO, Availability, safety and quality of
blood products, 21 maggio 2010, WHA63.12; nonché per l’Italia il Patient Blood Management Italia, reperibile su
http://pbm.centronazionalesangue.it/ (ultimo accesso 16 novembre 2019).
41 Corte EDU, Jehovah’s Witnesses of Moscow and Others v. Russia, cit., par. 36: “[a] competent adult patient is free to decide,

for instance, whether or not to undergo surgery or treatment or, by the same token, to have a blood transfusion.
However, for this freedom to be meaningful, patients must have the right to make choices that accord with their own
views and values, regardless of how irrational, unwise or imprudent such choices may appear to others”.
42 Ibidem, par. 135: “[t]he very essence of the Convention is respect for human dignity and human freedom and the

notions of self-determination and personal autonomy are important principles underlying the interpretation of its
guarantees”.

8                                                federalismi.it - ISSN 1826-3534                                 |n. 3/2020
Detto con la lingua del sistema convenzionale (le disposizione della CEDU così come interpretate dalla
Corte di Strasburgo) 43, l’imposizione delle trasfusioni di sangue interferirebbe in modo irragionevole e
sproporzionato con il diritto di ciascuno all’integrità fisica nonché con le libertà fondamentali previsti e
tutelati dagli artt. 8 e 9 CEDU. Diritti e libertà che nel caso di specie sono stati impropriamente compressi
sotto il peso di un fenomeno normativo statale tendente, così pare, a favorire gli interessi e le facoltà della
confessione maggioritaria, avallando illegali distinzioni a danno di altre44.
La giurisprudenza della Corte EDU rileva in tal modo come i fatti riguardanti la salute umana e il carattere
universale della sua tutela non sempre collimino con gli schemi giuridici, tanto più se informati a date
tradizioni cultural-religiose. A volte, in alcuni contesti del vasto spazio giuridico europeo questi schemi
generano anzi una sorta di cecità selettiva. Parafrasando Gaston Bachelard, essi creano in altre parole
degli ostacoli epistemologici45: barriere legali e conoscitive che, proiettando sui formanti statali l’immagine
di una supposta omogeneità socio-confessionale, alzano un velo d’incomprensione sulla realtà
multiculturale46. Ed è così che questi ostacoli alimentano l’incapacità da parte dei poteri pubblici di
soddisfare i bisogni di quella che è stata definita come l’età dei diritti47 e della diversità48 nell’epoca della
globalizzazione49 e della quarta rivoluzione scientifica50.
Lo attesta una decisione del maggio 2018 riguardante una donna nata e cresciuta in Lituania, dove si è
laureata in legge prima di trasferirsi negli Stati Uniti per conseguire un dottorato51. Ritornata in Patria, dal
1992 ricorre saltuariamente a cure psichiatriche, imposte da una latente depressione, rivitalizzata dalla

43 Sul punto ampiamente Corte cost., 22 ottobre 2007, n. 349, p.to 6.2, Considerato in diritto.
44 Corte EDU, Jehovah’s Witnesses of Moscow and Others v. Russia, cit., par. 105 e 130.
45 G. BACHELARD, La formation de l’esprit scientifique, Paris, 1938, p. 337: “les obstacles épistémologiques” proiettano

“toujours quelque part des ombres … sur la connaissance du réel, qui n’est jamais immédiate et pleine. Les révélations
du réel sont toujours récurrentes. Le réel n’est jamais ‘ce qu’on pourrait croire’ mais il est toujours ce qu’on aurait dû
penser”.
46 Su cui già A. SHACHAR, The Puzzle of Interlocking Power Hierarchies: Sharing the Pieces of Jurisdictional Authority, in Harvard

Civil Rights – Civil Liberties Law Review, 2000, Vol. 35, n. 2, p. 394; S. BENHABIB, The Claims of Culture: Equality and
Diversity in the Global Era, Princeton, 2002, p. 120, trad. it. a cura di A.R. DICUONZO, La rivendicazione dell’identità culturale.
Eguaglianza e diversità nell’era globale, Bologna, 2005, p. 170.
47 Ciò che a livello nazionale si afferma con testi costituzionali pieni di tutele per i diritti individuali e a livello sovrastatale

con la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo e con le Carte regionali, a cominciare dalla CEDU. Su questo punto
già N. BOBBIO, L’Età dei diritti, Torino, 1990; A. CASSESE, I diritti umani oggi, Roma, 2005, spec. pp. 28 ss.
48 C. GALLI, L’umanità multiculturale, Bologna, 2008, p. 7; J. Tully, Strange Multiplicity: Constitutionalism in an Age of Diversity,

Cambridge, 1995, p. 99.
49 M.R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000; M.R.

FERRARESE, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, 2002; M.R. FERRARESE, Diritto
sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Bari-Roma, 2006; M.R. FERRARESE, La governance tra politica e diritto,
Bologna, 2010. Cfr. anche S. CASSESE, Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Einaudi, 2009, pp. 31 ss.; S.
CASSESE, Oltre lo Stato, Laterza, 2006, pp. 122 ss.
50 L. FLORIDI, The Fourth Revolution. How the Infosphere is Reshaping Human Reality, Oxford, 2014, trad it. a cura di M.

DURANTE, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Milano, 2017.
51 Corte EDU, Mockutė v. Lithuania, 27 maggio 2018 (ric. n. 66490/09).

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notizia di una grave malattia che colpisce suo padre. Nel 2003 la donna ottiene un impiego presso il
Ministero dell’economia, coincidente con la sua adesione al Centro di meditazione Ojas, sezione lituana
del movimento religioso di Osho. Dopo una crisi nervosa, nel maggio dello stesso anno è sottoposta a
trattamento sanitario con ricovero coatto presso l’ospedale psichiatrico di Vilnius. Sulla decisione medica
hanno pesato le dichiarazioni della madre e dei familiari, che attribuiscono il peggioramento delle
condizioni di salute alle pratiche mistiche e, a loro dire, orgiastiche cui sarebbe dedita la comunità in
questione. La vicenda assurge agli onori della cronaca nazionale quando una popolare trasmissione
televisiva ne parla in prima serata, avallando le tesi di parenti e medici. Lo fa senza ascoltare la
protagonista, per la quale i giudizi espressi durante il programma sono dettati dall’intento di criminalizzare
il movimento di Osho e le relative pratiche meditative. È quanto si sostiene in una lettera pubblicata su
un blog, con cui la donna protesta contro il ricovero coatto dettato, a suo dire, da una visione
tradizionalista e conservatrice del cattolicesimo, religione professata dalla madre e alla quale s’ispira – così
pare – l’etica della struttura ospedaliera di Vilnius.
In seguito la donna si rivolge all’autorità giudiziaria statale, chiamando in giudizio l’ospedale psichiatrico
per violazione delle libertà personale e di religione unitamente alla violazione dei diritti all’integrità fisica,
alla privacy e a essere adeguatamente informata sulla diagnosi e sulle terapie mediche somministrate, di
fatto, a sua insaputa e contro la sua volontà. L’ospedale si difende ribandendo che i medici hanno agito
per il bene della paziente, le cui precarie condizioni psichiche sono state indotte dalla frequentazione del
Centro di Ojas. Un’associazione che, all’epoca dei fatti, non è riconosciuta come religione. Non lo è anche
perché dedita ad attività meditative che, non suscettibili di essere definite come confessionali, evidenziano
la presenza di elementi fittiziamente (fictitious in inglese; tariama in lituano) cultuali52. Secondo i convenuti,
tutto ciò documenta l’inconsistenza delle lamentele della ricorrente circa la violazione della sua libertà di
fede. Di più, a detta dei medici tali attività l’hanno indotta ad allontanarsi dalle “tradizionali pratiche e
credenze religiose” causandole una vera e propria “crisi di nervi”53. Il che spiega il ricovero coatto,
speculare alla necessità di persuadere la donna ad abbandonare il Centro di Ojas, in modo da instradarla
verso un efficace percorso terapeutico54.
Nel frattempo la sezione lituana del movimento oshiano ha chiesto di essere riconosciuta come
confessione religiosa. L’istanza è respinta attraverso una delibera delle autorità governative, che non
esitano a definire il richiedente come setta pericolosa. Decisione, questa, impugnata presso il Supremo
Tribunale amministrativo che, pur attribuendo agli organi statali un ampio margine di discrezionalità nel

52 Ibidem, par. 42.
53 Ibidem, par. 25.
54 Ibidem, par. 43.

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riconoscimento legale delle religioni, non considera la comunità di Osho una setta. Né tanto meno ritiene
le pratiche da essa esercitate contrarie all’ordine pubblico interno e internazionale.
Ciononostante la Corte di Appello lituana, ribaltando il verdetto della Corte regionale di Vilnius, rigetta
le richieste della ricorrente aderendo, per contro, alla linea difensiva della struttura sanitaria: l’ospedale
psichiatrico ha agito per il bene della donna, per la tutela della sua salute e nel rispetto dei suoi diritti e
libertà, a cominciare da quella di religione. Segue il ricorso presso la Corte Suprema che, ritenendo i motivi
d’impugnazione non meritevoli di essere esaminati, lo dichiara inammissibile55.
Dopo aver esaurito le vie giudiziali interne, la donna si rivolge allora alla Corte di Strasburgo lamentando
la violazione di fondamentali prerogative personali, in particolare quelle derivanti dagli artt. 8 e 9 CEDU.
Richieste, queste, accolte dai giudici europei per cui non si può utilizzare il diritto alla salute per
irragionevolmente compromettere l’esercizio di altri. Tanto più quando la sua protezione si connette alla
tutela della vita privata, di cui lo Stato lituano ha irrimediabilmente ostacolato il godimento da parte della
ricorrente. Lo ha fatto con misure che, non giustificabili con gli scopi legittimi di una società democratica,
superano i margini di apprezzamento marcando un sproporzionato bilanciamento fra differenti situazioni
soggettive. A cominciare da quelle che riguardano la libertà di fede e il principio di neutralità dello Stato
in materia religiosa, la cui disciplina convenzionale si è delineata attraverso una copiosa giurisprudenza
(Handyside56, Kokkinakis57, Buscarini58, Hasan59, Otto-Preminger-Institut60, Refah Partisi61, Leyla Şahin62 e S.A.S.
c. Francia63) esplicitamente richiamata nelle motivazioni della sentenza.
Non la pensano allo stesso modo i giudici Yudkivska e Ranzoni che, nell’opinione parzialmente
dissenziente, ritengono questa decisione passibile di aver determinato un discutibile collegamento fra la
libertà religiosa, il principio di laicità e la protezione del diritto alla salute; il solo profilo, quest’ultimo, a
dover essere preso in considerazione nella vertenza. Un collegamento che, al contrario, la maggioranza
del collegio giudicante esalta con argomenti attinti anche dall’indagine effettuata circa le incongruenze
presenti in alcuni Paesi dell’ex Unione Sovietica o dell’ex Cortina di ferro relativamente al dovere di

55 Ibidem, par. 53.
56 Corte EDU, Handyside c. Regno Unito 7 dicembre 1976 (ric. n. 5493/72).
57 Corte EDU, Kokkinakis v. Greece, 25 maggio 1993 (ric. n. 14307/88).
58 Corte EDU, Buscarini and Others v. San Marino, 18 febbraio 1999 (Ric. n. 24645/94).
59 Corte EDU, Hasan and Chaush v. Bulgaria, 26 ottobre 2000 (ric. n. 30985/96).
60 Corte EDU, Otto-Preminger-Institut c. Autriche, 24 settembre 1994 (ric. n. 11/1993/406/485).
61 Corte EDU (Grande Camera), Refah Partisi (Parti de la Prospérité) et autres c. Turquie, 13 febbraio 2003 (ric. nn. 41340/98,

41342/98, 41343/98 et 41344/98).
62 Corte EDU, Leyla Şahin c. Turquie, 10 novembre 2005 (ric. n. 44774/98).
63 Corte EDU, S.A.S. c. France, 10 novembre 2015 (ric. n. 44774/98).

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neutralità e imparzialità dello Stato64. Ciò che nei contesti ivi richiamati è sovente sacrificato sull’altare di
versioni confessioniste della libertà religiosa e del sistema di relazioni Stato-Chiese65. Queste sono tali che
a volte impattano rovinosamente sui servizi e sui beni rilevanti dal punto di vista del benessere psicofisico
e sociale dei diversamente credenti (credenti cioè in una religione diversa dalla maggioritaria) e dei non
credenti (atei e agnostici)66.

4. Obiezione di coscienza e pluralismo etico
Tali orientamenti evidenziano come nello spazio giuridico europeo il grado e il livello d’intersezione fra
fattore religioso e diritto alla salute possano variare in ragione delle tradizioni costituzionali dei singoli
Stati membri. Al punto che, a differenza di quanto registrato nei casi or ora esaminati, in date aree di
questo spazio è l’esercizio delle libertà di fede a porsi in contrasto con la tutela effettiva del benessere
psicofisico e sociale di alcuni individui. Lo dimostrano le discipline della contraccezione e dell’aborto che,
alle prese con nuovi ritrovati medici e innovative tecniche sanitarie, hanno riacceso il dibattito pubblico,
sempre più polarizzato fra bioetiche laiche e bioetiche confessionali67.
In proposito risulta interessante la trama di una controversia riguardante alcuni farmacisti di un piccolo
villaggio francese. Essi si sono rifiutati di vendere dei contracettivi a tre donne, nonostante fossero stati
prescritti da un medico specialista in ragione della tutela della salute delle pazienti68. Condannati in patria
dalla giurisdizione civile, i farmacisti si sono rivolti alla Corte di Strasburgo: anche se non espressamente
disciplinato da una legge statale, il rifiuto di vendere contraccettivi è per i ricorrenti tutelato dal diritto di
libertà di coscienza e di religione di cui all’art. 9 CEDU. La Corte dichiara il ricorso inammissibile,
precisando che la protezione accordata dall’art. 9 non sempre può garantire il diritto di agire in pubblico
secondo i convincimenti individuali, anche quando dettati dalla personale adesione a una religione.
Certamente non lo può fare nel caso in cui l’erogazione di ritrovati farmacologici, come i richiamati
contraccettivi, è legale e avviene, dietro prescrizione medica, solo nelle farmacie accreditate. A sostegno
dell’impianto decisorio si aggiunge che i ricorrenti erano e sono liberi di intraprendere altri lavori, con
mansioni non suscettibili di interferire con le loro convinzioni. Queste possono peraltro essere

64 Su questo dovere supra. Quanto ai Paesi dell’est Europa si veda G. CIMBALO, Confessioni e comunità religiose nell’Europa
dell’Est, pluralismo religioso e politiche legislative degli Stati, in Rivista telematica (www.statoechiese.it), 8/2019; F. BOTTI, La
transizione dell’Est Europa verso la libertà religiosa, in Rivista telematica (www.statoechiese.it), 31/2013.
65 Mockutė v. Lithuania, 27 maggio 2018, cit., par. 125.
66 Da notare che sul punto la decisione del 2018 solca un precedente del 2007 riguardante ancora una volta i Testimoni

di Geova, vittime di atti violenti in Georgia; Corte EDU, Members of the Gldani Congregation of Jehovah’s Witnesses and Others
v. Georgia, 3 maggio 2007 (ric. n. 71156/01).
67 M. MORI – G. FORNERO, Laica e cattolici in bioetica: storia e teoria di un dibattito, Firenze, 2012; L. LO SAPIO, Bioetica

cattolica e bioetica laica nell’era di Papa Francesco. Che cosa è cambiato?, Con un saggio di G. FORNERO, Milano, 2017.
68 Corte EDU, Pichon and Sajour v. France, 2 ottobre 2001 (ric. n. 49853/99).

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manifestate al di fuori della sfera lavorativa, che i ricorrenti hanno liberamente intrapreso accettando le
necessarie limitazioni: quelle in particolare decretate dal carattere pubblicistico del diritto alla salute e,
conseguentemente, del profilo pubblico della professione di farmacista.
In circostanze del genere il diritto alla salute deve insomma prevalere sull’obiezione di coscienza – tutelata
ma solo se prevista per legge – e sulle forme di accomodamento dettate in virtù dall’appartenenza a una
religione. Il che è ancora più evidente alla luce della disciplina dell’aborto, rispetto alla quale è la
legislazione irlandese ad attirare l’attenzione dei giudici europei.
Nella decisione del 16 dicembre 201069, ad esempio, la Corte di Strasburgo stabilisce che le restrizioni
vigenti in Irlanda in materia di interruzione di gravidanza rientrano tra le legittime interferenze al diritto
alla vita privata e familiare previsti dal secondo paragrafo dell’art. 8 CEDU70. Nel bilanciamento degli
interessi e dei diritti (quelli dello Stato-comunità a difendere legalmente una data impostazione cultural-
religiosa del concetto di vita umana e quelli della donna all’interruzione di gravidanza invocata in nome del
suo diritto alla vita privata) le autorità irlandesi non hanno in generale superato il margine di
apprezzamento. A Strasburgo, tuttavia, la Corte sentenzia sui casi concreti e non in funzione
nomofilattica71. E, nella controversia in commento, il fatto concreto prende in considerazione una donna
affetta da una grave forma di tumore, perciò impossibilitata a portare a termine la gravidanza
(indesiderata), se non a rischio della morte. Alla luce di questo fatto, la Corte europea non può quindi
non costatare la violazione degli obblighi positivi previsti dall’art. 8 CEDU72. Il che, a sua volta, evidenzia
l’assenza nell’ordinamento irlandese di regole e procedure volte a determinare, in maniera certa e
tempestiva, il diritto di una gestante a ricorrere all’interruzione della gravidanza in circostanze come quelle
or ora richiamate73.

69  Corte EDU, A, B and C v. Ireland, 16 dicembre 2010 (ric. n. 25579/05).
70  Corte EDU, Open Door and Dublin Well Woman c. Ireland, 29 ottobre 1992 (ric. nn.14234/88 e 14235/88).
71 Come si è precisato nella sentenza Kokkinakis v. Greece, 25 maggio 1993 (ric. n. 14307/88), riguardante la libertà

religiosa.
72 Sugli obblighi positivi in materia di salute Corte EDU: Vasileva c. Bulgaria, 17 marzo 2016 (ric. n. 23796/10), spec. par.

63-69; İbrahim Keskin c. Turquie, 27 marzo 2018 (ric. n. 10491/12).
73 Due anni dopo è l’Italia a essere condannata per violazione dell’art. 8 CEDU, in relazione ad una controversia (Corte

EDU, Costa e Pavan c. Italia, 28 agosto 2012, ric. n. 54270/10) in cui la tutela della salute, nuove tecniche diagnostiche, la
volontà di avere bambini si scontra con l’impostazione cultural-confessionista della disciplina di cui alla legge 19 febbraio
2004 (n. 40) nonché ai decreti 21 luglio 2004 (n. 15165) e 11 aprile 2008 (n. 31639) del Ministro della Salute sulla
procreazione medicalmente assistita. La decisione riguarda una coppia portatrice sana di mucoviscidosi che, ai sensi della
legislazione italiana, non può accedere alla diagnosi genetica preimpianto, anche quando scaturita dal bisogno di
selezionare un embrione non affetto dalla patologia. È possibile nondimeno procedere all’interruzione di gravidanza per
via medica ogniqualvolta la diagnosi dopo l’impianto dovesse rivelare la presenza di un feto malato. Sul punto si veda
anche Corte EDU, Parrillo c. Italy, 27 agosto 2015 (ric. n. 46470/11), in cui con un obiter dictum la Corte non solo conferma
quanto espresso in Costa e Pavan, ma effettua anche un passo ulteriore: esiste una gradazione nel processo di procreazione
che consente non solo di distinguere l’embrione, prima dell’impianto, dal feto, ma anche tra embrioni nei differenti stati
di sviluppo. In questo stesso ambito è poi intervenuta la Corte costituzionale italiana che, dopo aver “dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui vietava la produzione di

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Ciò tuttavia non toglie che per gli stessi giudici europei anche gli interventi di sterilizzazione possano
incidere su molteplici aspetti dell’integrità personale, a cominciare dal benessere fisico e mentale delle
dirette interessate: la loro vita emotiva, spirituale e familiare74. Ai sensi dell’art. 8 CEDU, la Corte europea
ha così stabilito che gli Stati hanno l’obbligo positivo di assicurare garanzie giuridiche effettive finalizzate
a proteggere gli individui da interventi di siffatta natura. Lo ha fatto con riguardo alla tutela della salute
riproduttiva delle donne appartenenti alla comunità Rom che, secondo i giudici di Strasburgo, devono
essere protette da prassi di sterilizzazione forzata, per giunta attuate nei confronti di una minoranza etnica
e culturale particolarmente debole e vulnerabile75.
È la dimostrazione di un’attitudine che, nonostante i limiti e le ritrosie dello spazio giuridico europeo,
vede le libertà fondamentali spingere il costituzionalismo destatalizzato verso un’etica laica e pluralista.
La sua affermazione è tale da superare i confini degli ordini nazionali, incidendo se del caso sulle
impostazioni collettivo-comunitarie e cultural-confessionali storicamente e socialmente radicate nei
singoli contesti statali76.
La conseguenza più evidente sul piano legale è che l’ampio potere discrezionale tradizionalmente
riconosciuto agli Stati membri nelle materie dotate di maggiori profili etico-morali va via via
restringendosi. Ciò è determinato dal fatto che sulla valutazione della proporzionalità dell’ingerenza e

embrioni in numero superiore a tre e ne imponeva, comunque, la destinazione ad un unico e contemporaneo impianto”
(sent. 8 maggio 2009, n. 151), ha affermato che “la dignità dell’embrione, quale entità che ha in sé il principio della vita
(ancorché in uno stadio di sviluppo non predefinito dal legislatore e tuttora non univocamente individuato dalla scienza),
costituisce, comunque, un valore di rilievo costituzionale riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.” (sent. 13
aprile 2016, n. 84). Di qui l’esigenza di bilanciamento con altre situazioni giuridiche meritevoli di tutela, a cominciare da
quelle riferibili al diritto della salute della donna.
74 Corte EDU, V.C. c. Slovacchia, 8 novembre 2011 (ric. n. 18968/07), spec. par. 106.
75 Ibidem, para. 154-155. Si veda anche Corte EDU, I.G. e altri c. Slovacchia, 13 novembre 2012 (ric. n. 15966/04), par.

143-146. Si tratta di un orientamento che si estende anche ai casi di sterilizzazione accidentale dovute all’imperizia del
medico che non esegue adeguati controlli o che, nel corso di procedura d’interruzione della gravidanza, non informa né
chiede il consenso della gestante; Corte EDU, Csoma c. Romania, 15 gennaio 2013 (ric. n. 8759/05), par. 65-68.
76 Da notare che in seno al Consiglio d’Europa gli Stati membri rivedono nel frattempo i contenuti della Carta sociale

europea, prevedendo disposizioni più dettagliate e specifiche sulla protezione della salute. Si tratta di una tendenza
solcata dal Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS), organo previsto dall’art. 25 della Carta sociale, che l’11 aprile
2016 condanna l’Italia per violazione dell’art. 11 (dedicato proprio al diritto alla salute), letto insieme all’art. E (che
stabilisce il divieto di discriminazione), nonché dell’art. 1 (par. 2, primo profilo, che tutela le condizioni di lavoro) in
combinato con l’art. 26.2 (che protegge la dignità sul luogo di lavoro). Alla luce di questo materiale normativo, il CEDS
dichiara che, in applicazione della disciplina sull’aborto, in Italia si è affermata una situazione rischiosa per il benessere
psicofisico delle donne. Le strutture sanitarie continuano a non adottare misure necessarie al fine di compensare le
carenze di fornitura del servizio, causate dal personale sanitario che decide di invocare il diritto a sollevare obiezione di
coscienza. A fronte di questa situazione, le competenti autorità di vigilanza non garantiscono un’attuazione soddisfacente
della Carta sociale. Ciò è evidente alla luce di una condizione di persistente difficoltà nell’applicazione della legge 22
maggio 1978 (n. 194) in alcune Regioni e zone del Paese; il che costringe molte donne a spostarsi in altre strutture
sanitarie regionali o addirittura in cliniche estere. Per non parlare dei casi in cui l’interruzione della gravidanza avviene
in clandestinità, senza il supporto e il controllo di strutture pubblicamente accreditate e di soggetti abilitati alla
professione medica. Proprio quello che la legge n. 194/1978 voleva e vuole scongiurare. CEDS, Confederazione Generale
Italiana del Lavoro (CGIL) c. Italia, 11 aprile 2016 (ric. n. 91/2013). Per un commento si veda F. BUFFA, Aborto, brevi note
sulla decisione del Comitato europeo dei diritti sociali in causa CGIL c. Italia, in Questione giustizia, 12 aprile 2016.

14                                               federalismi.it - ISSN 1826-3534                                |n. 3/2020
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