Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate Titolare della Cattedra: Prof. Arch. Gaetano CATALDO

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Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate Titolare della Cattedra: Prof. Arch. Gaetano CATALDO
[Corso di METODOLOGIA della PROGETTAZIONE]
                      Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate                                                 A.A. 2015/2016
                      Titolare della Cattedra: Prof. Arch. Gaetano CATALDO

                           AUSILI DIDATTICI - COMPENDIO DELLE LEZIONI.02

    IL DISEGNO È PROGETTO
    Si riporta qui di seguito la sintesi di un e-book sul disegno e la rappresentazione scritto da Claudio
Umberto Comi, docente al Politecnico di Milano nonché titolare dei diritti d’autore della pubblicazione.

    Premessa
Nel novero delle discipline socio tecniche, l’edilizia è intesa per la sua componente effettuale di realizzazione di
un manufatto fruibile e, il disegno industriale è inteso come progettazione esecutiva di un prodotto;
presuppongono da parte dei molteplici attori del processo progettuale un dominio cosciente di un linguaggio
comune. Un linguaggio che per consuetudine, è di tipo iconografico. Tale considerazione deve offrire un primo
spunto di riflessione a chiunque intenda affrontare in un’ottica professionale un percorso formativo finalizzato
all'esplicazione di tali attività: difficilmente potrà trovare forma compiuta un’idea non adeguatamente
documentata ed esplicitata per mezzo di immagini congruenti e agevolmente leggibile ai soggetti terzi che ne
cureranno la realizzazione. In altre parole: qualsiasi progetto, dal momento dell’ideazione alla realizzazione,
deve sottostare ad un processo di oggettivazione e verifica che nel caso degli ambiti disciplinari qui trattati non
può prescindere dalla congruenza della sua rappresentazione grafica.
In conseguenza di ciò appare evidente che una parte preponderante del bagaglio di conoscenze indispensabili ad                              1
una efficace attività del progettista sia, e si intersechi, con una oggettiva capacità di rappresentare attraverso i
differenti modi del linguaggio grafico. In tale ottica nasce l‘idea di questo testo che è giusto precisarlo è
prevalentemente concepito quale stimolo alla formazione degli studenti, per evitare che venga negato allo
studente la comprensione di un “sapere” che, come ho più volte ripetuto, è in primo luogo dimostrato dal "saper
fare".

    IL DISEGNO E ARCHITETTURA
"Disegno" e "Architettura" sono due parole che immediatamente ci portano a pensare a qualcosa di pratico, o più
efficacemente a: attività che danno luogo a un “risultato visibile”. Nel caso del disegno l'immagine,
descrivendole o evocandole, intende rappresentare entità reali o immaginate; nel caso dell'edilizia il manufatto,
conseguendo precisi requisiti tecnico – funzionali, dovrebbe quanto meno assolvere lo scopo per il quale è stato
realizzato.
Elemento comune ad entrambi è il metodo1 o più precisamente i metodi che nel primo caso regolano i modi con
cui si realizza un immagine (metodi di rappresentazione) e nel secondo i modi con i quali si raggiunge il risultato
(metodi costruttivi).

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 Il concetto di "metodo", assume in questo testo il significato di procedura per effetto della quale si consegue un risultato, mentre per
“modo” si intende la singola componente operativa dei vari passaggi necessari al conseguimento dell'organicità della procedura.
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Secondo termine comune ad entrambi è il dominio della tecnica2, che nel caso del disegno viene prevalentemente
intesa come "saper fare", mentre per l'edilizia, almeno in questo contesto, maggior importanza assume valore di
"sapere come è fatto", o meglio di "sapere come si fa".
Da questa breve premessa emergono quattro parole chiave che ci condurranno in tutto il lavoro. Esse sono:
                    Disegno                        ed                   Edilizia
                    Metodo                         e                    Tecnica
queste ultime due, anche se con valenze leggermente diverse, interessano entrambe le discipline.
Non è nemmeno pensabile condensare in poche pagine tutto quanto si dovrebbe, o meglio, si potrebbe dire sul
disegno, e questa considerazione varrà in seguito in eguale misura per l'edilizia. Non è altresì possibile affrontare
un tema come questo, senza alcune precisazioni fondamentali su cosa sia il disegno.
Il primo passaggio che ci permette di comprendere il taglio di questo testo e di sperimentare personalmente il
metodo maieutico ad esso sottinteso ci porta a formulare una domanda che forse solo alla fine troverà risposta:
- Cosa è un disegno?
Partendo da una delle risposte più comuni, personalmente sono portato a definire un disegno come "la
rappresentazione di una entità reale o immaginata". Già in questa definizione, si ingenera una seconda
domanda che introduce la necessità di approssimare un significato del termine "rappresentazione".
Per esperienza condivisa la rappresentazione è per propria natura strettamente interrelata al fatto di una
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percezione di natura visiva. In altre parole una rappresentazione difficilmente sarà udita, toccata od annusata,
dato che solitamente la rappresentazione “si vede”.
Ora che abbiamo determinato la priorità della componente visiva nella rappresentazione, può tornare utile
identificare le diverse forme di rappresentazione a cui abitualmente l'uomo ricorre. In base a ciò avremmo una
predominanza di rappresentazioni di natura grafica o iconografica, quindi rappresentazioni prevalentemente
percepibili attraverso la visione, cosa che solitamente avviene anche per rappresentazioni del tipo teatrale od in
base ai più aggiornati mezzi di comunicazione, audio - visive o multimediali.
A questo punto, un disegno risulta quindi rappresentazione grafica di una realtà, ferma restando la priorità
percettiva, resta da determinare la congruenza della rappresentazione alla realtà rappresentata.
Dato il tema che riguarda la rappresentazione del manufatto edilizio, quale che ne sia la qualità 3 , un disegno
viene realizzato al fine di documentare ed esporre le componenti morfologiche di entità reali o potenzialmente
tali, che nel nostro caso è opportuno ricordarlo sono manufatti edilizi o parti di essi.
Dato che, in linea di principio, possiamo ricondurre il disegno a due grandi ambiti: Il disegno artistico, come
genere di rappresentazione che attraverso l'emulazione della realtà così come viene percepita, mira alla sua

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  Tecnica in italiano significa: l'insieme delle regole pratiche da applicare nell'esercizio di una attività intellettuale o manuale, ed è questo
il senso in cui viene intesa e non , trattandosi di un testo di disegno, nell'accezione che è propria a tale disciplina che identifica con
"tecnica" i differenti modi di utilizzare materiali e strumenti.
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  In questo caso il termine qualità viene inteso come rispondenza ai canoni pragmatici o normativi e sottintende l’effettiva rispondenza
della rappresentazione a quanto si intende rappresentare.
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restituzione, ed il disegno tecnico, come metodo di rappresentazione che fondandosi su astrazioni di natura
geometrica consente la rappresentazione conforme e parametrabile dell'oggetto rappresentato.
Pare evidente che per quanto ci contempla soltanto il secondo metodo ha stretta attinenza con l'edilizia, non fosse
altro che per la sua specificazione terminologica e di metodo (disegno "tecnico") meglio si adatta alla
rappresentazione di un attività che come abbiamo già visto è preminentemente di natura tecnica.

IL DISEGNO TECNICO
Quello che oggi viene correntemente definito disegno tecnico per quanto possa apparire strano non ha una lunga
storia, non fosse altro che per il fatto che il suo assunto fondamentale (la rappresentazione degli oggetti
attraverso le loro proiezione su piani tra loro ortogonali o di Monge) risale nella sua forma compiuta ai primi
anni dell'8004.
Ed almeno sino al 1926 (anno di fondazione dell'Istituto Superiore di Architettura) a livello internazionale non si
avvertirà l'esigenza di unificare e regolamentare i modi della rappresentazione di natura tecnica. Oltretutto, si
deve considerare che la necessità di standardizzazione interessa in un primo tempo esclusivamente il settore della
meccanica e quindi tutte le prime norme (in Italia con l'A.M.I.M.A.,) riguardavano prevalentemente tale
comparto produttivo.
Di contro l'edilizia come attività tecnica fonda le proprie regole e la propria storia con la storia dell'umanità,
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sorge quindi legittimo un dubbio, come veniva rappresentato il manufatto edilizio prima dell'800?
Non è certo questa la sede per un attenta disanima dei modi del rappresentare l'architettura nella storia,
certamente anche prima di tale data la costruzione veniva concepita come organizzazione planimetrica degli
spazi, (rappresentazione in pianta) ed attraverso la sua conformazione morfologica (privilegiando in genere il
fronte più significativo); lasciando poi spazio alla sua restituzione percettiva (rappresentazioni prospettiche) ed a
numerosi schizzi o disegni di approfondimento sia in merito alla componente estetica (gli ornamenti, da cui
deriva la cultura del "disegno di ornato" disciplina strettamente connessa alla nascita delle scuole di
architettura), che tecnico-costruttivo (schizzi e disegni destinati all'approfondimento di particolari e della loro
realizzazione ).
Come abbiamo visto, in sostanza il disegno di edilizia sin dall’antichità si prefigge di definire in sede
previsionale (progetto) o a scopo di documentazione (rilievo) le componenti essenziali del manufatto edile, la
loro conformazione ed i rapporti logico-dimensionali che le legano.
Tornando quindi al disegno tecnico, il disegno edile altro non è che una specificazione del disegno tecnico,
occorre comunque precisare che proprio per una forte predominanza della cultura di matrice ingegneristica
almeno sino alla metà del secolo, ben poche norme tecniche interessavano il mondo dell'edilizia. Un mondo

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 Gaspar Monge matematico francese nato a Beaunne nel 1746 e morto a Parigi nel 1818 già professore alla scuola Militare di Mezières e
poi alla Scuola Normale nonché alla Scuola Politecnica di Parigi viene universalmente riconosciuto quale padre della geometria
descrittiva, ovvero di quel metodo da cui discendo le cosiddette proiezioni ortogonali.
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che perpetrando un radicato bagaglio di competenze tecnico-pratiche, anche nella sua componente documentale
(disegno di progetto o di rilievo), si fondava su metodi pratici e tecniche ricorrenti (prassi).
Prima di passare oltre devo spendere almeno ancora due parole sulla “prassi nel disegno”.
Il disegno in fondo è qualcosa di molto simile alla scrittura, impone la conoscenza di un adeguato patrimonio di
segni (nel caso della scrittura l'alfabeto); delle regole per effetto delle quali la combinazioni di tali segni assume
senso compiuto (ovvero l'organizzazione da cui derivano le parole); ed un ulteriore sistema di regole (la
grammatica) per cui le parole abbiano tra loro una relazione compiuta .
Specialmente nel caso del disegno tecnico i segni hanno un preciso significato (codice semantico), la loro
combinazione definisce un sistema semantico (linguaggio), la comunicazione avviene a condizione che tutti i
segni nel rispetto del sistema semantico (all'atto pratico l'intero disegno) rispondano a ben definite regole; ciò
verifica la supposta similitudine con la scrittura.
Un secondo aspetto interessa la componente tecnica del disegno. Il disegno mutua la propria esistenza da due
soli elementi: il “supporto" (in genere bidimensionale e piano) ed uno o al più, alcuni “strumenti”, atti a
tracciare segni grafici.
A differenza dell'edilizia che sin dalla sua origine nella sua specificità "materiale" impone l'utilizzo e quindi la
perizia nell'uso di molteplici e diversificati strumenti, come ho detto, il disegno usa nella generalità dei casi, in
prevalenza un solo strumento (tracciante) che, relazionandosi al supporto, determina l'insieme di segni che
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costituiscono il disegno vero e proprio.
In questa apparente semplicità, si insinua l'intrinseca complessità del disegnare che trascendendo l'abilità tecnica
trova naturale compimento e sublimazione nella perfetta rispondenza tra conoscenza teorica delle regole (in
genere riferibili alla prassi o alle teorie geometriche), abilità tecnica nell'uso degli strumenti e metodo, inteso
come struttura logica della procedura da cui l’elaborato grafico si origina.

IL DISEGNO ARCHITETTONICO
Dovendo affrontare un tema quale quello del disegno architettonico, forse può aiutare una definizione:
"rappresentazione destinata alla definizione morfologica e dimensionale di un manufatto o parte costitutiva
dello stesso".
Nei fatti il disegno edile è uno specifico settore del disegno tecnico e tre aspetti fondamentali lo caratterizzano:
- il genere di rappresentazione;
- la scala metrica di rappresentazione;
- l’utilizzo di codici semantici noti (normalizzati o di prassi).
Un quarto aspetto interessa il “fare edilizia”, ovvero le opportunità tecniche e le soluzioni tecnologiche che
consentono la realizzazione del manufatto del quale con il disegno si intende dare rappresentazione; quindi prima
d’ogni altra cosa introdurrò questo argomento.
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  Questa illustrazione, di Sergio Toppi, mette in evidenza le potenzialità espressive del segno grafico nel disegno artistico.   5

Nella seconda immagine tratta da un manuale di disegno tecnico, si evidenzia un differente uso del segno a cui corrisponde
un codice con precisi significati.
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Il fare edilizia, che nella sua forma più elementare e concreta altro non è che edificare, (in altre parole “costruire
un manufatto atto al ricovero di cose e/o persone”) impone al progettista un processo euristico di concezione e
verifica dell’idea di spazio in rapporto ai caratteri ed alla materialità del manufatto.
Questo processo che nel suo insieme si è soliti definire "progetto", trova generalmente manifestazione sotto
forma di elaborati grafici, ed altro non potrebbe essere, perché documentare con parole o in forma scritta una
sequenza di elementi con precise caratteristiche, conformazioni, dimensionamenti e relazioni, oltre che molto
difficile e obiettivamente poco proficuo.
Dovendo quindi considerare la rappresentazione grafica come un efficace metodo di comunicazione, pare
evidente che, difficilmente una rappresentazione seppure suggestiva di realtà sconosciute o immaginarie dia
luogo ad una comunicazione oggettivamente efficace.
Ora, pur concedendo che un’architettura possa essere ricca di “suggestione”, sicuramente il percorso da cui si
origina: solitamente fatto di “polvere e sudore” ben poco concede alla suggestione, in quanto come ogni attività
umana è fatto eminentemente di natura tecnica.
Ancor di più viene da dire che la suggestione che un architettura può offrire, nasce in via prioritaria se non
esclusiva dalla capacità del progettista di prevedere in fase di progetto, e controllare in fase esecutiva, tutti gli
elementi ed i fattori che interagendo tra loro e con lo spazio costituiscono l’insieme edilizio.
Anticipando il tema della conoscenza l’ho strettamente interrelato alla rappresentazione e quindi giunto il
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momento di precisare i termini fondativi di tale relazione in specie biunivoca:
                                            conoscere per rappresentare
e di riflesso:
                                            rappresentare per conoscere
Il concetto di conoscenza in edilizia si deve necessariamente estendere al dominio cognitivo più accurato ed
approfondito possibile di tutto quanto entra in gioco nella realizzazione del manufatto.
Dovendo il progettista determinare la forma, ed investendo quindi tempo, competenze ed impegno in tale
“progettualità”, per così dire di natura “estetica”, difficilmente il risultato sarà conseguente quando, in difetto
della conoscenza delle effettive possibilità tecnico-logiche di realizzazione, la forma risulterà inevitabilmente
compromessa dalla materiale impossibilità ad essere realizzata così come era stata concepita.
Uno dei momenti peggiori per un progettista consiste proprio nel pensare, disegnare, convincere il committente
dell’importanza di alcune scelte, che poi lui per primo dovrà sconfessare perché nella realtà dei fatti si
dimostrano impossibili da realizzare.
Ed è quindi giusto precisare che prima di assumere il ruolo di opera d’arte, un architettura deve quantomeno
assurgere alla meno nobile, ma sicuramente più utile, soglia di fruibilità pratica.
Si diceva della conoscenza e la divagazione riporta proprio alla conoscenza da cui discende la rappresentabilità.
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Per “fare edilizia” la massa di informazioni non è poi nemmeno eccessiva, è ciò e in parte dimostrato dal fatto
che ancor oggi si costruisca molto senza ricorrere a tecnici laureati.
In quasi tutti i casi un geoemtra basta ed avanza per le autorizzazioni, poi il capomastro, formato alla scuola
dell’esperienza, fa il resto.
Il problema e, proprio di problema si deve parlare, sta nel fatto che l’architetto conoscendo quanto meno questa
massa di nozioni elementari del costruire, dovrebbe saperle armonizzare e trasfondere con la propria cultura
affinché il manufatto edilizio diventi un’architettura.
Di contro, sempre più spesso, si assiste al caso in cui l’architetto, non conoscendo proprio le basi della più
elementare edificabilità, esprima e manifesti la propria cultura in forme solitamente gradevoli, magari
suggestive, forme che però all’atto pratico si dimostrano improbabili se non come spesso accade, irrealizzabili.
A questo punto spero di aver inquadrato cosa intendo per conoscenza e non essendo questa la sede per
approfondire nel dettaglio tutti gli aspetti tecnico costruttivi inerenti l’edilizia, che maturerete nel corso degli
studi in altre discipline e dovendo necessariamente rapportare la rappresentazione grafica (il disegno) a problemi
reali alcuni aspetti anche della costruzione verranno in seguito affrontati sicuramente in modo sommario, ma
comunque affrontati.
Da queste riflessioni spero emerga con sufficiente chiarezza il senso del primo binomio:
                                           Conoscere per rappresentare
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il quale può in sintesi essere emblematicamente espresso da questo esempio:
Di norma ogni edificio ha un tetto. Più propriamente il tetto si identifica quale sistema o “pacchetto”di copertura,
in quanto in un “tetto” coesistono e si integrano più elementi: le orditure primaria e secondaria, l’orditura di
appoggio del manto, il manto stesso e a seconda dei casi differenti strati isolanti ed altri vari elementi a corredo.
Già nei termini vi è una differenza, se il tetto può essere confuso con il “tappo” della casa, un sistema di
copertura già nel nome fa pensare a qualcosa di più complesso; quindi passando al disegno, se un “tetto”
potrebbe (ma non può!) essere idealmente rappresentato da una o due linee; pensando al sistema di copertura e a
tutto quanto lo compone chiaramente due linee non bastano più anche perché tra orditure, manti e strati vari un
sistema di copertura nel migliore dei casi presenta uno spessore di circa 35/40 cm che in scala 1: 100 sono quasi
mezzo centimetro, mentre già “al 50” diventano un centimetro in cui se non indico almeno in modo schematico
gli elementi che lo compongono avrò uno spazio inesorabilmente vuoto che oltre a non dire niente è pure brutto.
Chiaramente non conoscendo come è fatto un sistema di copertura e cosa lo costituisce difficilmente saprò
quanto possa misurare e quindi diventeranno due tre linee tirate a casaccio.
Per passare quindi al secondo binomio:
                                           Rappresentare per conoscere
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Il concetto di rappresentare per conoscere, inquadra, proprio il senso profondo della progettualità, che al
contrario di quanto si potrebbe credere non è mera enunciazione di principio, ma costante ricerca delle
opportunità di conseguire un determinato risultato.
Ogni progettista che voglia considerarsi tale è tenuto in primo luogo a sviluppare un processo critico delle
proprie intuizioni, un processo che solitamente attraverso il disegno si struttura nel rispetto del metodo
scientifico tra enunciazione di un ipotesi (tesi) e verifica (in questo caso grafica) dell'effettiva possibilità di
realizzare quanto ipotizzato (sintesi).
Un esempio classico di questo modo di concepire la rappresentazione grafica sono proprio gli schizzi di progetto,
dove ogni architetto ricerca, confrontando le forme e le idee sulla carta, un giusto equilibrio tra idea di
architettura e sua effettiva conformazione.
Dallo schizzo, in cui ciascuno esprime più che in ogni altra manifestazione grafica la propria natura più profonda
ed in certo senso il proprio grado di dominio del fare architettura, emerge l’idea e già, almeno chi lo elabora
“vede” come sarà, l’articolazione degli spazi, le relazioni formali e cosa fondamentale anche se spesso
impercettibile la possibilità di realizzare in base al personale bagaglio di conoscenze il manufatto stesso così
come concepito.
Per quanto possa essere liberamente redatto uno schizzo altro non è che il canovaccio su cui i progettista intende
sviluppare il proprio progetto e non è un caso che in molti schizzi di progetto ad una rappresentazione magari di
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straordinaria sinteticità e schematizzazione dell’architettura si affianchino uno o più disegni dei particolari
formali o costruttivi che andranno a caratterizzare quel determinato edificio o manufatto.

IL DISEGNO COME METODO
Il manufatto architettonico, quale che siano i paradigmi progettuali da cui trae origine e le tecnologie con cui si
intende dare corso alla parte effettuale (costruzione) impone una adeguata congruenza tra forma (morphos) e
fattibilità tecnica (teknè).
In tale rapporto, necessariamente di natura dialogica, ad un idea della forma deve corrispondere un processo
(tecnologia) di trasformazione dei materiali per effetto del quale l’idea prendendo forma, si materializzi.
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, ogni elemento (prefabbricato o realizzato in opera) che concorre alla
realizzazione del manufatto in modo manifesto o indotto, interagisce con la configurazione formale dell’insieme
e tale aspetto impone una profonda e cosciente cognizione atta al governo di tali interazioni.
In un certo senso sarei portato a dire che per quanto si possa credere come nel caso di alcuni sistemi di
prefabbricazione, il risultato sia diretta conseguenza della forma del componente , anche in questo caso solo la
corretta comprensione e gestione dello stesso in relazione al sistema edilizio da luogo a quel plus che differenzia
l’edilizia dall’architettura.
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     Schizzi di O. M. Ungers per il progetto del grattacielo della Fiera di Francoforte (da Casabella 591 – marzo 1985)

In seguito si affronterà il tema della interdipendenza insita nel processo progettuale; un processo in cui problema,
progetto e prodotto nella loro comune accezione di anteriorità ad una corretta lettura epistemologica negano la
consuetudine di porli in termini consequenziali.
Ora, sia che si condivida la coincidenza di tali fasi generative di un manufatto o che si propenda per una loro
consequenzialità, resta il fatto che etimologicamente e fattualmente il progetto anticipa il manufatto (prodotto) o
così almeno pare.
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[Corso di METODOLOGIA della PROGETTAZIONE]
                    Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate                                    A.A. 2015/2016
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Senza addentrarmi in complesse e quanto mai astratte speculazioni su di una generalizzata necessità di
coincidenza tra progetto e prodotto, credo si possa conseguire un ragionevole consenso sul dato di fatto che il
progetto è strettamente funzionale alla realizzazione del prodotto.
Una condizione questa che non può essere assolutamente elusa, nel caso di manufatti, come quelli edili, per i
quali tra ideazione e realizzazione si debba ingenerare un rapporto dialogico e quanto più possibile univoco tra
progettista e maestranze, ovvero chi materialmente realizza l’opera.
Nella mente del progettista, esiste un idea di edificio che esprime ed appaga la sua identità umana e culturale la
quale, per quanto possa essere condizionata dalla volontà e dalle esigenze espresse dal committente, lotta
costantemente con la componente effettuale della costruzione, un atto, la costruzione, nella maggior parte dei
casi unico ed irrevocabile.
Per essere più chiari su questo punto: mentre un progetto può essere costantemente riconsiderato, modificato,
rivisto o addirittura “rifatto”, quando da questo si passa alla realizzazione, sia per ragioni pratiche che
economiche, il progetto si cristallizza per dare vita alla sua realizzazione materiale: la costruzione.
Sempre più spesso, si parla e cosa ancor più drammatica si vive una crisi dell’architettura, come se tale disciplina
in quest’ultimo scorcio di secolo abbia smarrito la consapevolezza del proprio ruolo nello scenario culturale e
sociale, probabilmente questa crisi comune a molte altre discipline di matrice umanistica, si origina in un preciso
momento storico in cui si rompe il sottilissimo filo tra progetto e prodotto.
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A mio parere, l’unico requisito irrinunciabile per un architetto è una “curiosità intelligente”, ovvero quella
costante capacità di guardare e leggere dentro le cose e di trarre da tale lettura un numero di informazioni
adeguato a comprendere ed organizzare tale massa di conoscenze.
Una curiosità intelligente che ancor prima che nelle parole, trova riscontro proprio nei grafi che diventano il
linguaggio privilegiato di tale esercizio di lettura ed interpretazione.

IL PROGETTO COME DISEGNO
Parlando di architettura, il progetto, quale che sia il suo grado di affinamento, trova nella generalità dei casi una
manifestazione di natura iconografica. Molteplici ragioni determinano tale stato di cose: Il manufatto
architettonico occupa e campisce lo spazio fisico, un entità immateriale che per abitudine e convenzione si è
soliti rappresentare attraverso entità geometriche.
La geometria nel suo istinto speculativo delle caratteristiche spaziali, sin dalle sue origini usa del disegno per
verifiche immediate e riprove ai postulati teorici, ne consegue quindi una diretta ed ormai consolidata abitudine a
coniugare spazio e segni grafici che lo identificano.
L’architettura quale disciplina finalizzata alla generazione di spazi a vario titolo conformati, usa del metodo
geometrico proprio per effetto di quella costante necessità di relazione tra idea (progetto) e “fattualità”
(manufatto).
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Da ultimo è necessario osservare che proprio il disegno nel suo senso più ampio, caratterizza e qualifica un fatto
architettonico, dato che come ho già avuto modo di dire, la sottile differenza tra edilizia ed architettura consiste
proprio nella messa a sistema di tutti gli elementi che ad essa concorrono e, trattandosi di elementi (entità
fisiche) con precise connotazioni geometrico-spaziali, si impone una preventiva verifica (solitamente grafica) dei
loro rapporti relazionali.
Per comprendere a fondo i modi con cui intendo trattare il tema, è indispensabile che ognuno di voi sappia
rinunciare almeno per un po' a quella apparente sicurezza che ci deriva dalla somma di conoscenze ed esperienze
che caratterizzano il cosiddetto: "sapere".
Ho deliberatamente scelto il termine "sapere" e non "cultura", dato che a mio parere con il primo è possibile
identificare l’insieme di conoscenze sublimate dall'esperienza, mentre la cultura intesa quale memeoria di
molteplici "saperi" in cui non sempre la componente sperimentale assume valenza preponderante, diviene a mio
parere sinonimo di meccanica acquisizione della nozione, In relazione a questa premessa può risultare oltremodo
significativo un breve passo tratto da " Del sentire" di Mario Perniola5:
      Ai nostri nonni gli oggetti, le persone, gli avvenimenti si presentavano ancora come qualcosa da sentire, di
      cui avevano un esperienza interiore, di cui si rallegravano o si dolevano, a cui partecipavano
      sensorialmente, emotivamente, spiritualmente, oppure al contrario che nemmeno avvertivano o che si
      rifiutavano di avvertire.
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      A noi invece gli oggetti, le persone e gli avvenimenti si presentano come qualcosa di già sentito, che viene ad
      occuparci con una tonalità sensoriale emotiva, spirituale già determinata. Il discrimine non sta affatto tra la
      partecipazione emotiva e l'indifferenza , bensì tra ciò che è da sentire e ciò che ho già sentito.
In tale lavoro, l'autore riprende in parte il tema del "simulacro", un tema, già affrontato in precedenti scritti ove
la manifestazione percettibile di un entità od un fenomeno manifestandosi svuotato della sua vera essenza,
diviene feticcio della realtà, ovvero archetipo.
Il fulcro del lavoro di Mario Perniola consiste proprio nell'approfondimento delle dicotomie estetiche della
cultura contemporanea e ciò mi consente di approssimare il tema specifico di queste mie riflessioni, che è
opportuno ricordarlo interessano la rappresentazione grafica nella sua accezione più elementare: il disegno.

I MEZZI PER IL DISEGNO
Il disegno, quale attività umana finalizzata a seconda dei casi alla rappresentazione documentale od evocativa,
risente nelle differenti epoche storiche di un dualismo dialogico tra "artefice" (l'autore) ed il contesto sociale in
cui trova manifestazione.
In relazione a tale rapporto potrebbe essere interessante ripercorre in chiave critica la storia del disegno per
accorgersi, magari, che gli apparenti casi di omologazione ai cosiddetti “canoni”, più che conseguenza di una

5
    MARIO PERNIOLA, Del sentire, Einaudi Torino 1991, p. 4.
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deliberata scelta espressiva dell'artefice è conseguenza dei "saperi" (tecniche e strumenti) sino ad allora
sperimentati e quindi noti agli artefici e, tale atteggiamento esegetico, proprio della cultura materiale, diviene
nella contemporaneità un valido strumento di interpretazione delle radicali trasformazioni intercorse in ambito
iconografico nel recente passato e con l’avvento delle tecnologie informatiche di generazione dell’immagine nel
presente.
A dimostrazione di ciò nell'illustrazione qui sotto vediamo il parco di strumenti per il disegno in uso sino ai
primi del '700. Da ciò appare evidente che il disegnatore per larga parte della storia si sia avvalso di pochissimi
strumenti e con essi in alcuni casi sia giunto a risultati di ottima fattura ed alta intelligibilità.
Solo con la rivoluzione industriale si è determinato un nuovo approccio allo strumento, generando una
partenogenesi di oggetti che altro non sono nella maggior parte dei casi, simulacri dei "traccianti" originari e
tutto ciò probabilmente sino all'era del CAD, ha caratterizzato il disegno del '900; un epoca in cui, per effetto di
un modo di "fare scuola", l'artefice apprendeva in primo luogo "un metodo" grazie al quale, avvalendosi di
pochissimi strumenti, poteva giungere all'apice espressivo.
Come dirò in seguito, tale sapere, proprio perché progressivamente cristallizzato in un modello culturale in cui
pare che la componente riproduttiva obnubili la componente produttiva, rischia alle soglie del nuovo millennio
se non di dissolversi, quantomeno di subire una mutazione irreversibile, sempre che ciò non sia già avvenuto.
Prima di addentrarmi nelle categorie ordinatrici dell'attività grafica intesa quale "disegno" s'impone un ultima
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precisazione.

                                                                Jean-Jacques Lequeu, Gli strumenti del disegnare

La cultura contemporanea, al pari di molte manifestazioni espressive, ha in un certo qual senso scisso il disegno
in due parti: da un lato la pratica, quale fatto esclusivamente tecnico e quindi azione di natura meccanica fondata
su di un modello, dall'altro il concetto o contenuto che per effetto della sua apparente predominanza si
cristallizza, nella generalità dei casi, in asettiche enunciazioni puramente teoriche.
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In relazione a ciò deve essere detto che tale distinguo ai fini della riproduzione di un sapere può risultare
legittimo solo a condizione che chi vi si accinga e lo opera disponga e domini l'insieme del "saper fare" che
costituiscono il disegno: tecnica e teorie ad esso sottintese, in caso contrario la predominanza di una componente
sull'altra svuoterà la disciplina della sua identità essenziale: il dualismo tra ars e tecknè.

MODELLI DI RIPRODUZIONE "DEL SAPERE"
Allo stato attuale il meccanismo di riproduzione dei "saperi", così come le culture da cui traggono origine,
sembra risentire di una eccessiva frammentazione. Dato che tale frammentazione troppo spesso viene proposta
come approfondimento specialistico della disciplina da cui si origina, si assiste alla scomposizione quell'insieme
di caratteristiche costitutive del sapere originario che ne configurano l'insieme e che lo rendono effettivamente
fruibile.
D'altro canto un approccio frammentario al sapere pervade e conforma anche i meccanismi di comunicazione ad
esso sottintesi e ciò disarticola un pensiero in origine organico intaccandone inoltre anche la congruenza a livello
di linguaggio.
Non a caso, proprio nella cultura dell'immagine che molto ha da condividere con la rappresentazione grafica, si
assiste ad un una specie di babele dei linguaggi, in cui linguaggio fotografico o multimediale, logiche più o meno
corrette delle geometrie descrittive e della pura e semplice attività grafica si fondo e si confondono sino al punto
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di originare una specie di invisibile barriera che genera l'incomunicabilità.
Purtroppo si deve inoltre constatare come anche il disegno, la manifestazione compiuta della rappresentazione
grafica, stia vivendo una fase di profonda crisi nella quale si assiste alla scissione delle sue due componenti
fondamentali l'apparato teorico (in genere enunciato e non esplicitato) e la pratica che solo apparentemente pare
essere manifesta e possibilmente emulabile.
Per effetto di ciò ogni persona senziente dovrebbe chiedersi per quale ragione un sapere quale è il disegno, che
fonda la propria ragione d'essere sulla applicazione pratica di assunti teorici, nella maggior parte delle proposte
formative si trovi ad anteporre l'enunciazione della teoria alla sperimentazione pratica.
Un secondo aspetto mette in luce una ulteriore dicotomia: se da un lato la disciplina della rappresentazione
grafica e frutto di prassi a cui consegue la comprensione delle regole, possono oggi nel processo di riproduzione
(formazione) le regole anteporsi la prassi?
Personalmente sono portato a pensare che ciò non sia possibile e proprio per tale ragione ritengo che lo strappo
al filo di cui dicevo in precedenza sia da ricercare nel momento in cui il disegno rinunciando al suo ruolo di
terreno d'incontro cominciò a costituirsi un proprio spazio delimitato da confini.
                                      il disegno quale capacità di “saper fare”
Per giungere ad una delimitazione del campo di approfondimento di queste pagine, che si propongono
esclusivamente come traccia per una più approfondita riflessione critica sul tema affrontato: la rappresentazione
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grafica. Anche in forza del contesto in cui queste parole hanno origine e vengono spese (una Facoltà di
Architettura) e dell'ultima considerazione in relazione alla priorità metodologica che tale attività presenta, pare
opportuno scomporre i termini della questione ed in ragione di ciò avremmo la seguente trilogia:
                 DISEGNO                  come cultura
                                          come metodo
                                          come tecnica.
Disegno come "patrimonio culturale"
in questo ambito d'analisi il termine cultura associa i concetti di:
"genere e grado del sapere"
        Genere             inteso come:            classificazione e catalogazione dei differenti saperi
mentre per quanto concerne il
        Grado avremo: la quantità e la qualità di informazioni inerenti ogni determinato sapere

Disegno come "metodo"
Assumendo il disegno quale processo “mediativo” che sovrintende alla trasformazione della conoscenza in
documento ne consegue un'intrinseca componente metodologica e poco incide in quale misura tale metodo risulti
indotto o autoctono.
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In relazione al metodo, che come già detto può essere considerato l'asse portante del "rappresentare", è
opportuno precisare che chi scrive rifugge l'idea di considerare il metodo come "regola".
Al più, come unanimemente riconosciuto nella comunità scientifica, il metodo anche in questo ambito assume il
ruolo di ordinatore della processualità sperimentale, a condizione che il processo in questione sia configurato in
modo tale che si possa procedere alla ripetizione del percorso sperimentale.

Disegno come "tecnica"
Senza voler ricondurre il disegno ad un processo di stretta natura meccanicistica atto alla genesi di immagini,
pare innegabile assumere quale fondamento di tale disciplina quella componente tecnica, e non teorica come si
potrebbe essere portati a pensare, che la contraddistingue.
Ciò anche in ragione del fatto che la sussistenza di un semplice enunciato metodologico, se in chiave di rilettura
critica potrebbe essere assunto a valore di rappresentazione, difettando della componente fattiva vanifica il ruolo
preminente della rappresentazione stessa che è opportuno ricordare non si materializza nella sfera metafisica
della teoria, trovando ragione e legittimazione esclusivamente nell'intelligibilità diffusa del documento.
Premessa l'enunciazione dei concetti identificati con queste tre categorie, si impone la precisazione dei termini
fondativi dell'attività didattica.
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"L'insegnare", inteso quale modello riproduttivo di un sapere, che in questo specifico caso presenta una forte
connotazione di "saper fare", risente in misura sensibile di contaminazioni di natura culturale.
Avremmo quindi, date le precedenti specificazioni, nel caso dell'insegnare a disegnare la necessità di una
trasmissione contestuale di un sapere mediato da un metodo che diviene tecnica.

DEFINIZIONE DEL TERMINE DISEGNO
Il termine "Disegno", nell’accezione corrente del termine, definisce il contenuto concettuale delle molteplici
attività riconducibili alla rappresentazione di natura grafica ed al tempo stesso la realtà oggettuale dei prodotti
conseguenti a tali attività.
Quale sinonimo di un significato del termine "disegno" la lingua italiana ammette "elaborato grafico", ed in
questa specifica definizione traspare la concezione che vede il disegno frutto materiale di una elaborazione a cui
sovrintende un attività di natura mentale.
Tale generalizzazione, propria della lingua italiana, impone un maggior grado di approfondimento in relazione
alla corretta interpretazione di tale termine che costituisce lo specifico tema trattato in questo lavoro.
Nella sua ambivalenza il termine “disegno” identifica quindi quell’insieme di strumenti, metodi e tecniche che
congiuntamente ad una perizia conseguente all’esperienza, danno luogo ad un documento, in genere
bidimensionale e piano, in cui con differenti mezzi viene rappresentato un fenomeno immaginato o esperito.
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Pertanto, in questo breve paragrafo che intende esclusivamente proporsi come spunto di riflessione ed
introduzione al lavoro conseguente, prendendo le mosse da tale enunciato si cercherà di esplorare come nella
cultura italiana il disegno abbia, vivendo di alterne fortune, rivestito un ruolo ambivalente che lo colloca sia tra
le cosiddette “arti maggiori” ed al contempo lo relega a mero mezzo strumentale di altre attività a torto o ragione
ritenute di maggior peso ed importanza.
Pur affermando una valenza centrale dell’attività grafica nel processo di riproduzione culturale e non solo in
esso, dato che il disegno prima che applicazione di metodi, come si tenterà di dimostrare con alcuni esempi è
esso stesso metodo, deve essere precisato che l'attività del disegnare, non contempla una concezione
esclusivamente artistica, il disegno nel corso della storia, ha assunto a seconda dei tempi e delle concezioni
filosofiche e sociali, scopi diversi: dalla attività proiettiva, anche in senso psicologico dei Graffiti di Altamira,
alla evocazione simbolico figurativa di alcune immagini realizzate a fini pubblicitari.

I GENERI DEL DISEGNO
Per raffigurare graficamente é necessario un supporto e uno o più strumenti. Tali fattori incidono sul disegno
stesso e vengono determinati in funzione della destinazione (scopo) del disegno.
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                                                        Tavola tratta da: Cenni storico-artistici di
                                                        architettura antica e moderna di Gallileo
                                                        Barocci , Edizioni G.B. Paravia & C., Torino
                                                        1943

Le destinazioni di un elaborato grafico, per quanto molteplici possono essere ricondotte a tre grandi categorie:
                                                                                                                         16
        - 1) Studi preparatori o di progetto.
        - 2) Disegni esecutivi o di supporto all’esecuzione.
        - 3) Disegni integrati nell'opera stessa.
in ogni caso è indispensabile comprendere come il significato intrinseco delle diverse attività considerate quale
disegno riconducono tutte al dualismo:
        disegno = metodo per la rappresentazione.
In merito a ciò vale la pena di sottolineare come la lingua inglese attui una distinzione in merito al disegno,
utilizzando il termine "drawing" per identificare il disegno artistico, a differenza del termine "design" che
caratterizza l'attività' grafica di tipo progettuale.
Tale distinguo proprio di un pensiero di natura pragmatica ha fatto si che tale disciplina nella cultura
anglosassone abbia storicamente ed ancor oggi presenti differenti modalità di approccio e di riproduzione
culturale, identificando quindi scuole per i diversi indirizzi di apprendimento di tale sapere.
A differenza di questo modello educativo e riproduttivo la cultura italiana, fortemente permeata del ruolo
“aulico” che il disegno ha rivestito in alcuni periodi storici, ha nei fatti svuotato l’attività grafica del proprio
valore intrinseco di metodo sperimentale per la comprensione di fatti o eventi.
Per dovere di informazione anche in Italia in linea di principio esiste un distinguo tra differenti generi di disegno:
disegno tecnico e disegno artistico e tra centri di ricerca e formazione: Accademie di Belle arti e Facoltà
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Universitarie ad indirizzo tecnico, purtroppo per l’approccio propositivo che generalmente viene applicato a
questi diversi metodi e in queste diverse scuole, tale distinguo anziché agevolare la comprensione dei rispettivi
fattori costituitivi, tende a confondere ancor più i temi specifici di ognuno di essi e le peculiarità intrinseche degli
stessi.
Per quando riguarda il primo metodo di rappresentazione, questi viene riconosciuto comunemente come disegno
tecnico o geometrico, in quanto essendo fondato su di una astrazione geometrico matematica, consente a chi
conosce le norme su cui si fonda, una interpretazione univoca, della realtà rappresentata.
Tale metodo consente inoltre con la scomposizione planare delle viste e la restituzione su base metrica
dell'oggetto rappresentato.
La possibilità di rappresentare la realtà per mezzo di sezioni, o ribaltamenti permette una scomposizione
dell'oggetto e quindi una vista completa di parti altrimenti non rappresentabili.
Il secondo metodo, comunemente considerato disegno libero, o disegno artistico, sfruttando una organizzazione
implicita dei segni che concorrono a definire gli oggetti rappresentati, restituisce una immagine a livello
percettivo più verosimile alla realtà , entro la quale è lo stesso sistema di segni che comunica la realtà origine
della rappresentazione.
La completa assenza di norme o convenzioni, diviene quindi la soggettività di redazione e lettura di tale
rappresentazione ad assicurare la comunicazione e ciò rende tale processo, uno strumento di rappresentazione
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empirico, ma non per questo meno efficace.

                                                              L’immagine tratta da dépliant tecnico
                                                              dell’Autobianchi stampato negli anni ’70,
                                                              mette in luce una commistione tra disegno
                                                              tecnico (l’intero impianto grafico è su base
                                                              assonometrica) e le suggestioni grafiche
                                                              proprie del disegno artistico.

GLI STRUMENTI DEL DISEGNO
Al pari di ogni altra tecnica, che nel suo dare luogo ad un prodotto fruibile possa essere assimilata ad un
tecnologia, anche il disegno impone un uso razionale e congruente degli strumenti di cui dispone.
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Il termine “strumento” in questa sede viene utilizzato per identificare esclusivamente quell’insieme, quanto mai
vasto e variegato di oggetti che per la loro natura si rendano idonei a tracciare un segno in seguito percepibile su
di un supporto.
Di contro, il termine “mezzo” andrà in seguito ad identificare la risultante di un azione sinergica tra strumento,
supporto e tecnica, che quindi viene sino da ora identificata quale metodo per effetto del quale conseguo un
risultato.
Tale premessa terminologica può probabilmente apparire ad alcuni superflua, ciò non è a mio parere
assolutamente vero, dato che nella disciplina della rappresentazione grafica l’apparente identità tra tecnica e
mezzo, quando non si assiste ad un identità tra tecnica e strumento offre spazio a possibili aree indistinte,
scarsamente funzionali in un testo con finalità educative ad una efficace comprensione dei concetti proposti.
Quindi stabilito che per strumento si intende esclusivamente quanto sia atto a tracciare un segno di natura grafica
su di un supporto (di norma bidimensionale e piano) procediamo ad una classificazione degli stessi.
In merito agli strumenti atti a tracciare segni grafici è possibile operare in primo luogo una suddivisione in due
gruppi:
                  strumenti a tratto costante,
                  strumenti a tratto incostante.
Nel primo gruppo rientrano esclusivamente quegli strumenti che basando il proprio funzionamento su di un
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principio fisico di trasmissione di un fluido (l’inchiostro) consentano, salvo un uso improprio ho un irregolare
flusso del fluido, la realizzazione di una traccia (il segno) con un corpo (spessore ) costante.
Tra questi si è soliti annoverare le cosiddette penne a china (solitamente denominate Rapidograph), il Graphos,
altro tipo di penna a china che permette la sostituzione su di una cannuccia porta inchiostro della punta tracciante
(pennino) ed i tiralinee, ovvero strumenti di un essenzialità logico funzionale straordinarie, i quali per
effetto di una predeterminata regolazione del passo micrometrico da cui si origina il deposito, permettono la
realizzazione di linee con corpo costante.
Il tiralinee proprio per la sua concezione di funzionamento consente inoltre di ottenere con un unico strumento
un vastissimo numero di segni con corpi tra loro differenti.
Nella prassi si assiste ad una predominanza nell’uso dei Rapidograph, mentre Graphos e tiralinee fanno oramai
parte di un recente passato.
Le ragioni di ciò sono in primo luogo nella apparente difficoltà d’uso di questi strumenti che a differenza dei
primi impongono una discreta abilità manuale.
Le moderne tecnologie di produzione hanno consentito recentemente la realizzazione di un quarto tipo di
strumento i cosiddetti Fine-Liner, ovvero pennarelli che per una particolare conformazione della punta
solitamente realizzata in materiale ceramico, dovrebbero assicurare una costanza di tratto.
[Corso di METODOLOGIA della PROGETTAZIONE]
                     Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate                                      A.A. 2015/2016
                    Titolare della Cattedra: Prof. Arch. Gaetano CATALDO

Tale ipotesi viene in un certo senso accreditata dal fatto che tali strumenti riportino una determinata dimensione
di tratto ( 0,2- 0,3, 0,5).
Purtroppo non sempre, anzi, quasi mai tali penne risultano all’atto pratico effettivamente strumenti a tratto
costante, sia perché con l’uso si assiste ad una deformazione della punta tracciante, sia perché nella maggior
parte dei casi il deposito dell’inchiostro non avviene basandosi su di un effettivo meccanismo di controllo che
assicuri la costanza del tratto.
Nel secondo gruppo: strumenti a tratto incostante devono quindi essere annoverati tutti gli altri strumenti che
abitualmente vengono utilizzati nella attività grafica.
Partendo dalle comuni matite di grafite, nere o a colori (pastelli colorati) per le quali la traccia (il segno) è
conseguenza del trasferimento sul supporto di parte del materiale tracciante (la mina di grafite appunto),
passando per gli innumerevoli tipi di pennarelli (penne con punta in fibra) sino a giungere alle penne con
pennino, che nelle loro versione moderna diventano stilografiche, abbiamo strumenti in cui l’azione sinergica di
due fattori determinati quali la pressione esercitata e la deformabilità della punta tracciante danno luogo ad una
sostanziale incostanza del segno conseguito.
In seguito approfondirò le specifiche relative alle cosiddette matite da disegno, ma prima credo opportuno
precisare che questa distinzione nasce proprio per aiutare a comprendere chi legge che la scelta dello strumento è
strettamente correlata allo scopo per cui si intende utilizzarlo.
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Pare evidente che per conseguire una adeguata elaborazione di una tavola in cui la costanza del corpo nei segni
utilizzati (una carta geografica od un progetto esecutivo ad esempio) sia requisito irrinunciabile, la scelta di
strumenti del primo gruppo sia privilegiata.
Nel caso opposto, ovvero nei casi e posso essere molti, (dallo schizzo di progetto ad una restituzione percettiva
di un determinato oggetto) in cui il segno suggerisca il ricorso ad una diversa intensità, al contrario, sarà
preferibile utilizzare strumenti del secondo gruppo.
Tra tutti questi strumenti, in merito alle matite da disegno che costituiscono lo strumento cardine dell'attività
grafica, si impone una ulteriore approfondimento.
Più di un elemento diversifica la cosiddetta matita.
Per tutti è certamente nota la forma classica della matita esagonale in legno di bosso con all’interno una mina di
grafite, esistono almeno altri due tipi di matite i cosiddetti portamina, ovvero dispositivi meccanici atti ad
accogliere e mantenere la parte propriamente tracciante della matita, la mina appunto.
Un gruppo i cosiddetti portamina tecnici o da disegno, utilizzano mine di diametro pressoché analogo a quello
delle matite in legno, i secondi utilizzano mine di diametro molto più piccolo, le cosiddette, "micromine".
Tra i tre tipi di matite per un attività di disegno a livello professionale, solo i primi due tipi sono efficaci.
Le cosiddette "micromine" anche se apparentemente offrono l’innegabile vantaggio di non dovere essere affilate,
proprio per la loro conformazione e per il fatto che alcune miscele che compongono l’impasto risultano quanto
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                   Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate                                   A.A. 2015/2016
                  Titolare della Cattedra: Prof. Arch. Gaetano CATALDO

mai variabili, solitamente non assicurano una costanza di segno tale da consentire ad elaborazione avvenuta la
lettura delle valenze semantiche associate al segno.
Quindi sia che si tratti di matite di legno e grafite o di mine nel portamine (quest’ultimo è di prassi concepito per
offrire una adeguata impugnatura che offra un accettabile grado di comfort ergonomico), per disegnare “bene” si
deve conoscere il tipo di mina utilizzato.
Le mine in commercio presentano una diversa composizione che ne determina la cosiddetta durezza; tale
caratteristica ordinata su di una scala che partendo dalle mine più tenere (6B e via a decrescere sino alla sola
lettera B -dall'inglese Black) raggiunge il punto medio proprio nelle mine contraddistinte dalla sigla HB, quindi
la resistenza (durezza) della mina comincia a crescere e passando per la serie delle mine contraddistinte dalla
lettera H (da 2H a 6H - come nel caso precedente da Hard) raggiunge il gruppo delle F .
Tale graduazione è funzionale al tipo di segno che intendo ottenere da una mina: più la stessa è per così dire dura
più il segno indipendentemente dalla pressione che esercito presenterà un corpo pressoché costante ed il tratto
sarà di un tono apparentemente più tenue, più la mina è morbida, inversamente il segno tenderà ad incrementare
il proprio corpo ed il tono apparirà più intenso, questo proprio per effetto che una mina morbida deposita una
maggiore quantità di materiale tracciante.
In quest’ultima affermazione si fondano due dei trucchi fondamentali che chi disegna deve conoscere: il primo
per quanto ovvio non sempre viene applicato, la matita per disegnare deve avere una punta, quindi quale che sia
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il tipo di matita, è opportuno affilarla spesso; il secondo consiste nell’operare una costante rotazione della matita
tra e dita quando si traccia una linea, dato che ciò consente un consumo omogeneo della punta ed assicura una
maggiore costanza del segno ottenuto.
Al pari degli strumenti che non mi stancherò di ripetere sono tali e non come alcuni sarebbero portati a credere
“tecniche” che come vedremo in seguito sono un'altra cosa, un disegno è un disegno e basta, a china o matita
resta un disegno, proprio perché indipendentemente dallo strumento che utilizzo scelto in primo luogo in ragione
dello scopo del disegno i segni che lo compongono devono per effetto di una loro razionale organizzazione e di
un coerente sistema di significazione, renderne possibile la lettura.

CLASSIFICAZIONE DEL SEGNO
Le diverse ipotesi di classificazione dei segni di seguito prospettate, sono esclusivamente funzionali alla
comprensione di come ad un segno in ragione delle proprie caratteristiche intrinseche possa essere associato un
determinato valore significante.
La definizione lessicale del termine segno riporta: “ Indizio, accenno palese da cui si possono trarre deduzioni,
conoscenze”.
Tale concezione riferibile genericamente ad ogni tipo ed uso del segno, risulta applicata con diversi significati a
seconda del campo di utilizzo.
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