Diocesi di Anagni/Alatri. Mons. Lorenzo Loppa compie 75 anni

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Diocesi di Anagni/Alatri. Mons. Lorenzo Loppa compie 75 anni
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          Diocesi di Anagni/Alatri. Mons. Lorenzo
          Loppa compie 75 anni
          intervista a tutto campo allo stimatissimo prelato che ha già spedito, in
          anticipo, la lettera di dimissioni da vescovo della diocesi di Anagni-Alatri a
          Papa Francesco: "resto comunque a disposizione della diocesi �no a
          quando mi sarà chiesto di farlo"; venti anni a servizio della comunità
          cattolica ripercorsi in questa intervista curata dal Cav. Sante De Angelis

          12 Luglio 2022

                                                                                                               Mons. Lorenzo Loppa

          Il Vescovo di Anagni-Alatri Monsignor Lorenzo Loppa, fra qualche
          giorno, compirà 75 anni, essendo nato, appunto, nella vicina Segni il 14
          luglio 1947. Il diritto canonico prevede che i vescovi presentino le
          dimissioni al Papa per raggiunti limiti di età.

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          Monsignor Loppa ci ha rivelato, in questa intervista esclusiva che ci ha
          concesso, che ha già spedito in anticipo la lettera di dimissioni a
          Papa Francesco e al Nunzio Apostolico in Italia Monsignor Emil
          Paul Tscherrig.

          “Così ho voluto dare più tempo perché venga scelto con assoluta
          tranquillità il successore quanto prima”, spiega con un sorriso. Papa
          Francesco potrebbe anche chiedergli di rimanere, però il desiderio di
          Loppa è quello di togliersi il peso delle responsabilità che, per
          quanto riguarda la diocesi di Anagni-Alatri, porta da vent’anni, dato
          che il suo servizio pastorale è iniziato nel 2002.

          “Certo con serenità e riconoscenza, ma anche con un po’ di dispiacere
          ho fatto la lettera al Santo Padre, perché venti anni di servizio qui ad
          Anagni sono stati tanti, non ho fatto venti settimane o venti
          mesi, bensì venti lunghi anni. Mi viene in mente l’esempio di
          Simeone, che ha esclamato: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
          vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno
          visto la tua salvezza“, queste parole non sono per noi Vescovi, ma per
          qualunque persona che lascia il suo servizio. Il congedo dal servizio deve
          essere sereno, proprio perché servizio che inizia e finisce, non è un
          regime assoluto”.

          Eccellenza, sono passati 20 anni da quel 28 giugno
          2002, quando Giovanni Paolo II la nominò Vescovo di
          Anagni-Alatri; cosa provò, quale fu il suo primo
          sentimento?
          “Il mio primo sentimento fu di sorpresa, perché le voci sono una
          cosa, però poi la decisione del Santo Padre è un’altra. Mi stupii,
          ma nello stesso tempo ringraziai subito il Signore perché significava che
          avevo una chiamata diversa, una chiamata a servire una Chiesa a cui
          ero già affezionato. La conoscevo bene la Chiesa di Anagni-Alatri,
          poi, Anagni specialmente! Noi preti, siamo diventati tutti grandi
          al Leoniano… maturi in tutti i sensi! Quindi, provai sorpresa,
          riconoscenza ed entusiasmo perché le strade di Dio sono davvero infinite
          e misteriose. Le voci sulla mia nomina correvano sicuramente, ma

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          ciò che ha dato una svolta a tutto quanto il discorso è stato
          quando è arrivata la disposizione di Papa Giovanni Paolo II, poi
          Santo. Devo dire, che accettai volentieri di guidare questa Comunità
          cristiana”.

          La carriera ecclesiastica

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          Monsignor Loppa, lo ricordiamo, viene ordinato sacerdote il 17 luglio
          1971 per la diocesi di Segni dal vescovo Luigi Maria Carli. Nel 1972
          viene nominato vicerettore del seminario minore di Segni e vicario
          coadiutore della parrocchia di Santa Maria degli Angeli, della quale
          diventa parroco nel 1987. Perfeziona gli studi teologici presso la
          Pontificia Università Lateranense, conseguendo il dottorato con
          una tesi dal titolo “In persona Christi – Nomine Ecclesiae: linee
          per una teologia del ministero nel Vaticano II e nel Magistero
          Post conciliare”.

          Dal 1983 al 1992 è assistente ordinario alla Cattedra di Teologia
          Sacramentaria con il Prof. Francesco Marinelli, insegnando teologia
          sacramentaria e liturgia in molti istituti e seminari, tra cui l’Ecclesia
          Mater, il Caymari, il Camillianum di Roma, oltre che a Latina, Formia,
          Velletri, Colleferro, e al Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. Nel 1989
          diventa vicario episcopale per la pastorale della sede suburbicaria di
          Velletri-Segni.

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          Eletto vescovo di Anagni-Alatri il 28 giugno 2002, riceve l’ordinazione
          episcopale il 22 settembre dello stesso anno dal cardinale Camillo Ruini,
          coconsacranti l’arcivescovo Paolo Romeo, il vescovo Francesco Lambiasi
          (predecessore alla guida della diocesi), ed il vescovo Andrea Maria
          Erba. Sin dall’inizio del suo servizio episcopale in diocesi prende
          atto che “dopo l’unione delle due ex diocesi di Alatri e di
          Anagni” manca “uno spazio per accogliere – secondo la stessa
          normativa della CEI – i molteplici uffici e servizi diocesani che
          nel frattempo erano stati creati” e “un riferimento oggettivo e
          funzionale in grado di fungere da collante e da animazione della
          vita pastorale diocesana”. Promuove così la costruzione di una nuova
          curia diocesana a Fiuggi, facendo della cittadina termale “accogliente e
          conosciuta, una sorta di passaggio intermedio tra [le] due precedenti
          realtà ecclesiali”. Da ricordare, sotto il suo episcopato, la storica visita
          pastorale di Benedetto XVI a Carpineto Romano il 5 settembre 2010 in
          occasione del bicentenario della nascita di Papa Gioacchino Pecci.

          Lei, attualmente, oltre a Vescovo della diocesi
          anagnina è Presidente della Commissione Regionale
          della Conferenza Episcopale Laziale per l’Educazione
          Cattolica, la Scuola e l’Università. Cosa si sente di dire
          agli studenti e agli operatori scolastici?
          «La scuola è uno scrigno di umanità e di vita, custodisce le relazioni e la
          possibilità di far crescere le persone a tutti i livelli». Poi, rivolgendosi agli
          studenti, riconosce: «so che voi frequentate la scuola con la
          speranza di trovare un lavoro e un posto nella società, di
          costruirvi una famiglia e percorrere una strada che per i credenti
          coincide con il progetto di Dio su ognuno».

          E invita i ragazzi a «far crescere insieme, come afferma Papa Francesco,
          il linguaggio della mente, per pensare in grande; il linguaggio del cuore,
          per amare di più; il linguaggio delle mani, per operare il bene»,
          esortandoli ad «amare la scuola: la pandemia, oltre alla frattura
          economica e umana, ha provocato una profonda frattura educativa: tanti
          cammini si sono interrotti e ringrazio il Signore perché ora la scuola
          ricomincia in tutta Italia».

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          L’auspicio è poi alla «responsabilità di coloro che guidano il
          cammino di bambini, ragazzi, adolescenti e giovani: possano
          riconoscere adulti significativi, che offrano loro uno sguardo
          positivo sulla vita e siano felici di affiancarli nella crescita».

          Un cinquantennio di sacerdozio ed un ventennio di episcopato,
          rappresenta di certo una ricorrenza molto particolare, perché riguarda il
          bilancio di una scelta che è di per sé così diversa dalle altre: dedicare
          la vita a Dio in un rapporto diretto e individuale, senza dare
          origine a un nucleo famigliare e dovendo anche sfidare la
          solitudine che si sostanzia in ogni scelta, pur all’interno delle
          comunità, delle parrocchie. Noi abbiamo proposto a monsignor
          Lorenzo Loppa di tracciare un breve bilancio, ponendogli anche domande
          un po’ delicate, alle quale non si è certamente negato, anzi ha risposto
          con slancio.

          Se dovesse esprimere un giudizio su questi
          cinquant’anni di prete e venti di vescovo, quale
          sentimento sentirebbe prioritario?
          «Un sentimento di gratitudine. Erano ancora gli anni tumultuosi del ’68
          e, nell’anno in cui sono stato ordinato, il 1971, il movimento di
          “contestazione” era molto attivo e il fermento sociale notevole. I miei
          padri spirituali e superiori del tempo, mi hanno fatto
          sperimentare la presenza del Signore come l’irruzione nella
          nostra vita della trascendenza, di qualcosa di più grande: l’amore
          di Dio che diventa concreto in Gesù Cristo, nella sua presenza e
          la centralità del Mistero nella nostra vita, nella mia vita. Poi il
          Seminario mi ha dato il “metodo” della fede. Devo dire che al Leoniano
          avevo avuto dei grandi maestri, che stimavo molto, persone di primo
          piano nella teologia, dei grandi professori che offrivano una
          presentazione più attualizzata del Concilio Vaticano II, dell’influenza
          della fede nella società, con l’apertura al dialogo ecumenico, il ruolo
          della Chiesa nella società, l’apertura ai poveri, alla realtà del mondo,
          indicandoci il “metodo” cioè: il modo in cui la grandezza del
          cristianesimo poteva essere vissuta, vale a dire in un rapporto
          personale compiuto nell’esperienza della comunità. Con una
          caratteristica precisa: la fede si gioca nella realtà, nulla è estraneo

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          all’esperienza di fede, tutto avviene in relazione del rapporto con Cristo,
          da qui la sua bellezza. Tutto per me si è giocato nell’esperienza
          della fede, fin da quando ero studente di teologia e desideravo
          realmente qualcosa di grande al di là degli schemi e delle
          strutture. Ed è venuta l’irruzione del rapporto col Signore, una cosa
          sconvolgente».

          Il Suo ministero Le ha posto davanti una serie di
          scelte. Come le ha vissute?
          «Sempre con lo stesso senso di gratitudine, a cominciare dalla chiamata
          a vivere l’insegnamento nella scuola. Per me è stato importantissimo
          insegnare in modo particolare nelle scuole superiori, il contatto
          coi giovani, la possibilità di dare loro una speranza. Ho vissuto una
          grande esperienza sacerdotale molto intensa e bella nella parrocchia di
          Santa Maria degli Angeli a Segni. E poi la provocazione costante della
          realtà, la sfida dei grandi problemi sociali, che non sono mai mancati…
          Quindi, è venuta la nomina e l’ordinazione episcopale…. Venti anni, tanti
          volti, tanti confratelli, laici, giovani e anziani, uomini, donne….
          Continuiamo con questa disposizione d’animo nelle possibilità che
          abbiamo, nelle difficoltà che dobbiamo superare, nel sostenere la prova
          della pandemia ancora in atto e per lottare per una soluzione pacifica del
          conflitto in Ucraina, non moltiplicando gli armamenti, che è un disastro
          che ci porta a paventare la guerra nucleare. Lo dice Papa Francesco:
          la questione non si risolve aumentando gli armamenti ma si
          risolve aumentando il dialogo, chiedendo allo Spirito che cambi i
          cuori. Quindi: un momento positivo in cui la festa del patrono
          San Magno, il prossimo 19 agosto, è la possibilità di un rilancio di
          tutta l’esperienza ecclesiale, di tutta la vita di tutta la nostra
          diocesi e di tutta la nostra società».

          Secondo Lei, cosa succederà alla nostra diocesi, dopo
          che il Santo Padre avrà accettato le sue dimissioni? Si
          parla insistentemente di fusioni con altre Chiese
          vicine. Che ne pensa?

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          «Sarà il Papa, come sempre, a decidere se e quando sostituire i
          Vescovi che hanno raggiunto i limiti di età prescritti dalle norme
          canoniche, non è escluso per alcuni possa provvedere a una
          proroga. Per le successioni, infine, possibile anche che si
          possa procedere all’unione delle diocesi in persona episcopi per
          completare il processo di riduzione del numero delle diocesi italiane.

          Papa Francesco, fin dal suo arrivo, ha subito pensato di accorpare le
          diocesi in Italia, perché sono tante. C’è il progetto di accorpamento,
          però non va bene sempre e dappertutto. Io ho detto a chi di
          dovere, che la diocesi nostra – premesso che non mi interessa,
          perché tra due, tre o quattro mesi o quando sarà andrò via –
          accetterà le decisioni del Santo Padre, però ho fatto notare come
          la diocesi di Anagni-Alatri sia particolare. In che senso? Per tre
          motivi fondamentali. Anzitutto viene già da un accorpamento, nel 1986
          Anagni e Alatri, il 30 settembre di quell’anno diventano un’unica diocesi,
          già unita in persona episcopi con Mons. Umberto Florenzani. Poi questa
          integrazione è stata vissuta in modo pieno con Mons. Luigi Belloli e con
          Mons. Francesco Lambiasi ed è continuata con me prendendo piede,
          molto piede, non ci sono state battute di arresto. Siamo riusciti
          addirittura a far lavorare sacerdoti di Anagni ad Alatri e viceversa,
          nonostante siano due realtà molto diverse e complesse. Il centro
          pastorale diocesano di Fiuggi, inaugurato nel 2008, è stato
          fondamentale per questa integrazione e costruito per il 75% con
          i soldi dell’8 per mille, situato a metà precisa tra le due sedi.
          Secondo motivo, il Santuario della Trinità a Vallepietra, polmone che
          allarga la nostra diocesi, che in sei mesi annui di apertura – covid
          permettendo – ha oltre 400 mila pellegrini e visitatori. L’altro polmone
          che estende la diocesi è, indubbiamente, il Pontificio Collegio Leoniano di
          Anagni, il Seminario Regionale di ben 12 su 17 diocesi del Lazio. Quindi
          il vescovo che sta ad Anagni, deve lavorare anche per il Leoniano,
          qualsiasi cosa succede il sottoscritto chiamano. Poi ci sono tanti problemi
          a partire dai sacerdoti che diminuiscono sempre più e accorpando le
          diocesi non è che aumentano, anzi!»

          Ha già deciso dove andrà quando sarà nominato il suo
          successore? Resterà in diocesi o tornerà nella sua
          Segni?

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          «Vorrei ritirarmi a casa mia a Segni, non rimango in diocesi, andrò ad
          abitare dove vivevano i miei genitori e mia sorella, che ora non ci
          sono più e magari farò il vice parroco in una parrocchia di Segni
          dove sono nato e dove ho svolto gran parte del mio ministero
          sacerdotale, restando a disposizione del parroco per quanto serve,
          condividendo la fraternità presbiterale con i sacerdoti, incontrando
          persone, studiando. Esiste un rapporto sponsale tra un vescovo e
          la sua diocesi, anche dopo le dimissioni, per questo non farò
          come fece monsignor Luigi Belloli, che decise di non tornare più
          nel nostro territorio, se non oltre dopo sette anni dal suo termine
          di servizio ed una sola volta. Io sarò a servizio della Chiesa di
          Anagni-Alatri, sempre, anche quando il mio successore avrà preso
          possesso della diocesi, ci tornerò con piacere».

          Un suo prete diocesano, monsignor Domenico
          Pompili, già Vescovo di Rieti, è stato eletto pochi
          giorni fa Vescovo di Verona. Quali sono stati i suoi
          sentimenti e cosa ha augurato al nostro don
          Domenico?
          «Ho provato da una parte gioia, da una parte dispiacere. Perché si è
          allontanato molto da noi. Però Verona è una diocesi di quasi un
          milione di abitanti, questo significa che il papa ha puntato su
          Domenico perché ha grande fiducia e stima in lui».

          In che modo i nuovi mezzi di comunicazione potranno
          diventare funzionali ad una pastorale post-
          pandemia?
          «Sono importati e lo abbiamo sperimentato. Certo non sostituiranno
          mai il rapporto interpersonale. Anche la chiesa è fatta di uomini
          e donne reali, di corpi. Nulla sostituisce la realtà, ma i mezzi virtuali ci
          daranno una grossa mano nella linea che ho già detto. Sono stati una
          fortuna, quindi continuiamo ad utilizzarli».

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Diocesi di Anagni/Alatri. Mons. Lorenzo Loppa compie 75 anni
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           Lo scorso giugno ha divulgato una lettera per
           l’adeguamento liturgico della Cattedrale di Santa
           Maria Annunziata, in risposta all’ammissione della
           nostra Diocesi al Bando Nazionale promosso
           dall’Ufficio competente della CEI nel 2019. Ci può fare
           un sunto sul suo punto di vista?
           «La Cattedrale ha accompagnato la Città di Anagni nelle alterne vicende
           della sua storia, possiamo dire che sia l’anima, la memoria, la sentinella
           de “La Città dei Papi”. La presenza della Curia papale ad Anagni tra il XII
           e il XIII secolo contribuì a renderla testimone di fatti storici
           importantissimi. È uno scrigno che conserva dei tesori d’arte
           straordinari come, tra gli altri, la Cripta di San Magno, al di sotto
           del Presbiterio, conosciuta come la “Cappella Sistina del
           Medioevo”, con un ciclo di 340 mq di affreschi; l’Oratorio di San
           Thomas Becket; il prezioso pavimento cosmatesco, posato tra il
           1224 e il 1227. La Cattedrale è la Chiesa principale della Diocesi, dove
           il vescovo ha la sua sede o “cattedra”. È il punto di riferimento in ordine
           ad un cammino di fede, di vita e di comunione per tutti i cristiani che
           fanno parte della Diocesi, che non è la Chiesa intera, ma una Chiesa
           completa intorno al vescovo, successore degli Apostoli. La Cattedrale di
           Anagni, nei suoi nove secoli abbondanti di storia, ha subito una continua
           “evoluzione” per via di interventi che, nel tempo, ne hanno modificato
           parzialmente la struttura, ne hanno permesso la conservazione e hanno
           cercato di riportarla al primitivo splendore. L’ultimo, importante
           intervento di restauro è terminato il 1 ottobre 2006. Al momento
           attuale, abbiamo una occasione unica per porre mano
           all’adeguamento liturgico della Chiesa Madre della Diocesi per
           l’ammissione al Bando Nazionale CEI del 2019. Il Concilio
           ecumenico Vaticano II ci ha voluto comunicare un sogno di
           Chiesa che è il popolo di Dio, un popolo sacerdotale, chiamato
           dalla tenebre alla luce del Vangelo e ad annunciare, celebrare e
           vivere la Pasqua sulle strade della vita. L’adeguamento liturgico
           cui stiamo ponendo cuore e attenzione è quello che ci suggerisce
           il Concilio. E allora dobbiamo far risuonare una domanda dentro di noi:
           chi entrerà nella nostra Cattedrale tra 100/200 anni per celebrare i

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           misteri della fede o visitarla potrà riconoscere dal suo assetto interno la
           nostra fedeltà al Concilio? Potrà dire di noi che siamo stati un popolo che
           ha raccolto i suggerimenti dello Spirito Santo in occasione di quella
           Pentecoste del XX secolo che è stato il Vaticano II? Intanto, prima di
           rilevare le istanze emerse nel percorso partecipativo che si è disteso dal
           dicembre 2020 ad oggi, mi piace sottolineare come il coinvolgimento di
           persone, uffici e organismi diocesani, comunità ecclesiali, istituzioni
           pubbliche e associazioni abbia delineato un vero e proprio cammino
           sinodale. Abbiamo avuto un esempio chiaro e concreto di quello che
           Papa Francesco sta chiedendo a tutta la Chiesa in vista del Sinodo dei
           Vescovi dell’ottobre 2023, che avrà come tema “Per una Chiesa
           sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Si tratta del
           rovesciamento della piramide, cioè del paradigma con cui per tanti secoli
           si è guardato alla Chiesa: tutto iniziava dai vescovi, dal vertice di una
           piramide per arrivare “a cascata” su ogni membro della comunità
           cristiana. Oggi – secondo il dettato del Vaticano II e della visione
           della Chiesa come popolo di Dio – la prospettiva con cui
           inquadriamo la Chiesa è la complementarietà, la circolarità, la
           comunione. I vescovi non sono più all’inizio di ogni processo
           ecclesiale, ma sono il terminale di un itinerario che coinvolge
           tante persone, molti organismi e varie istituzioni. Sta facendosi
           strada la convinzione che ogni cristiano, secondo la sua specifica
           vocazione, partecipi responsabilmente e attivamente alla vita
           ecclesiale come battezzato. Il ministero pastorale, in questo caso il
           vescovo, è titolare della decisione ultima. Ma il processo, che prepara la
           decisione, è frutto di un cammino che deve favorire l’ascolto, il dialogo e
           il discernimento da parte di ognuno.

           Prima di tutto e soprattutto, a monte di ogni adeguamento a livello
           materiale, mi sembra molto importante un cambiamento sostanzioso
           della prospettiva con cui si guarda la Cattedrale in genere. Si tratta di un
           cambiamento e di una lettura di questo edificio sacro che vuol essere in
           linea con l’intento di chi ha pensato, progettato, costruito questo
           straordinario gioiello di architettura sacra. La Cattedrale è stata
           edificata per essere una casa di preghiera e di incontro di un
           popolo con Dio e la Sua proposta di salvezza. Siccome però la fede
           e il suo genio si accompagnano alla cultura, alla vita, all’arte di chi è
           cittadino di una determinata epoca, i monumenti religiosi diventano pure
           “oggetti” preziosi e luoghi da visitare e da godere dal punta di vista
           artistico. Con questo voglio dire che i cambiamenti e gli

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           adeguamenti architettonici, nei prossimi anni, devono essere
           accompagnati da un impegno pastorale che riporti la Cattedrale,
           prima che a configurarsi come un luogo appetito e visitato da
           turisti, ad essere in pieno la casa dell’incontro tra Dio e il Suo
           Popolo nella preghiera e nelle celebrazioni della Fede.

           Il luogo liturgico più importante da creare e valorizzare sarà l’ambone. Il
           popolo di Dio si nutre del pane della vita sia alla mensa della Parola che
           alla mensa dell’Eucaristia. Tra l’altare e l’ambone c’è stata una
           netta asimmetria nel corso degli ultimi secoli. Bisogna ritrovare
           simmetria ed equilibrio tra altare e ambone. In che modo?
           Attraverso due possibili soluzioni. O ricavando l’ambone, aggettandolo
           sulla balaustra, con la riduzione di quest’ultima e con l’impiego di
           materiali ottenuti da questa riduzione. O costruendo un ambone
           monumentale, solido, stabile, alla stessa altezza dell’altare, fuori
           dalla balaustra con la valorizzazione del candelabro per il cero
           pasquale del Vassalletto del XIII secolo.

           Dal percorso partecipativo è emersa pure la proposta di una espansione
           del Presbiterio in coerenza con lo sviluppo del pavimento
           cosmatesco e con la delimitazione “naturale” del gradino che
           segna trasversalmente l’intera aula. Ciò sarebbe necessario se
           l’ambone fosse eretto fuori dalla balaustra. Ma questo comporterebbe
           la perdita di circa trenta posti a sedere per l’assemblea.
           Personalmente propenderei per la riorganizzazione del Presbiterio
           attuale, sgravandolo della presenza del Coro che troverebbe
           collocazione al posto della macchina processionale dei Santi
           Magno e Pietro con lo spostamento dell’organo sulla navata di
           destra.

           Trovo, inoltre, molto opportuna la proposta di trasferire la custodia
           eucaristica nella Cappella Cajetani, che diventerebbe la Cappella
           feriale e per le celebrazioni capitolari. Questa scelta renderebbe
           molto adatta la Cappella per la “Lectio Divina”, la meditazione personale,
           l’adorazione e la preghiera.

           Mi piace anche l’indicazione di valorizzare il Battistero con una
           appropriata illuminazione delle vetrate e con una più marcata
           sottolineatura architettonica dell’ingresso. Felice mi sembra pure la
           individuazione nella Cappella Lauri come luogo dedicato al sacramento

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           della Riconciliazione.

           Infine, non posso non sottolineare e fare mia la proposta di rivedere e
           progettare l’impianto luminoso dell’intera aula e della Cripta, come pure
           l’impianto acustico.

           La Cattedrale deve essere una casa accogliente e di ospitalità
           esemplare, quindi un luogo di identificazione filiale e fraterna, luogo di
           amicizia e di integrazione di persone, comunità, visioni della vita … Deve
           favorire, come diceva l’indimenticato e indimenticabile vescovo Tonino
           Bello, “la convivialità delle differenze”. Quindi via vincoli, barriere e
           sbarramenti per l’offerta di uno spazio che crea ordine,
           profondità, comunione. La Cattedrale è stata testimone della
           canonizzazione di tanti Santi – una per tutti Santa Chiara nel 1255 – e
           come Chiesa Madre può additare i Santi che ha generato, che
           accoglie e che custodisce come esempio di testimonianza e di
           vita evangelica per gli uomini e le donne di oggi.

           La Cattedrale, infine, può e deve essere il luogo della preghiera
           personale e comunitaria in un contesto di grande bellezza. La
           preghiera è il luogo in cui si alleva la speranza per un mondo più
           consono alle aspettative di Dio e degli uomini e in cui si cresce
           nella coscienza di essere figli e figlie, fratelli e sorelle».

           Eccellenza, per concludere… quali sono stati gli
           impegni e gli incontri avuti più importanti? Gli atti
           compiuti?
           «L’impressione che mi porto dentro e un caleidoscopio di colori, porto
           dentro il calore della gente, delle tante persone che ho conosciuto oltre
           nelle varie sedi canoniche della diocesi: curia, parrocchie,
           associazioni varie, come pure negli altri intrattenimenti meno
           ufficiali, cioè nelle scuole di tutti i livelli, dall’asilo alle superiori,
           negli ospedali, nelle palestre e così via. Un arcobaleno di sensazioni,
           quindi, mi fa piacere che la gente in questi venti lunghi anni ha percepito
           la vicinanza del vescovo… Ho avuto poi l’impressione di una ricchezza di
           proposte dal punto di vista religioso e molto a livello di devozioni
           popolari, dove la gente tutto sommato continua ad avere un rapporto

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           con il sacro. Ho trovato un presbiterio di persone amiche, dunque,
           tra me e i miei preti non c’è un rapporto tra vescovo e sacerdote,
           sotto l’aspetto istituzionale della carica, ma da amici…e questo è
           bello! Inoltre non posso dimenticare le ricchezze dei movimenti
           ecclesiali, di tutti nessuno escluso! Penso che il bilancio può essere
           soddisfacente…

           Vado verso questi 75 anni di età, con sentimento di riconoscenza e
           gratitudine a Dio, al Santo Padre Francesco, ma pure a Giovanni Paolo
           II e a Benedetto XVI, ai miei confratelli nell’Episcopato, ai
           presbiteri, ai diaconi che in questi anni sono stati, con voi laici,
           dei splendidi compagni di viaggio, che ho cercato di servire nella
           maniera più serena e più feconda possibile. Grazie affido tutti al
           Signore e chiedo perdono per qualche inadempienza compiuta, a
           qualche persona che magari per delle scelte ho reso più triste, sperando
           che abbia capito! Grazie a te per questa intervista!».

           intervista e foto a cura del Cav. Sante De Angelis

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