DIAGNOSI E MANAGEMENT DELLE REAZIONI DA IPERSENSIBILITÀ A FARMACI NELLA MALATTIA DA COVID-19
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DIAGNOSI E MANAGEMENT DELLE REAZIONI DA IPERSENSIBILITÀ A FARMACI NELLA MALATTIA DA COVID-19 Gelincik A et al. Diagnosis and Management of the Drug Hypersensitivity Reactions in Coronavirus Disease 19. Allergy 2020; Jun 8.doi: 10.1111/all.14439 Recensione a cura di: Francesca Losa- Allergologia e Immunologia clinica ASST Mantova Lo scopo di questa review è di riassumere in modo pratico la gestione ottimale delle reazioni da ipersensibilità a farmaci, che rappresentano un’ulteriore complicazione nella difficile gestione terapeutica del COVID-19. Ad oggi, non è disponibile nessun trial clinico randomizzato che dimostri l’efficacia di uno specifico farmaco nella gestione del COVID-19, ma la pratica clinica è focalizzata principalmente nel trattare i sintomi clinici, a seconda della diversa fase di malattia. Pertanto, i farmaci sono stati divisi in quattro gruppi, sulla base del loro meccanismo d’azione, come anti-virali, immunomodulanti, antiinfiammatori e antiaggreganti e anticoagulanti [fig.1]. Figura 1
Dall’inizio della pandemia, sono diventate sempre più numerose le segnalazioni di manifestazioni cutanee, che gli autori della review hanno classificato sulla base dell’ipotetico meccanismo patogenetico in: 1. Manifestazioni cutanee simili a quelle di altre infezioni virali 2. Manifestazioni cutanee associate ad eventi trombo-vascolari e simil- vasculitiche Figura 2 Inizialmente, i dati provenienti dalla Cina, riportavano manifestazioni cutanee solo in 2 pazienti su 1099 infettati, lo 0.2%. Al contrario, in uno studio italiano i rash cutanei sono stati descritti in 18 pazienti su 88 casi (20.4%), in particolare eritemi cutanei diffusi (n=14), orticaria (n=3) [fig. 2A], rash vescicolari morbilliformi (n=1) [fig. 2B]. In Spagna, tra 375 pazienti con sospetto COVID-19 o diagnosi confermata, nel 47% dei pazienti è stato descritto un rash maculopapulare (simile alla pityriasis rosea), nel 19% orticaria, nel 9% eruzioni vescicolari del tronco. Gli esantemi vescicolo-papulari tendono ad apparire precocemente nel corso della patologia [fig. 2C]. Inoltre, è stata descritta anche una forma di malattia simil-Kawasaki associata ad un rash polimorfo nel 30-50% dei bambini colpiti. In altre case series, sono stati descritti due pazienti con un esantema bilaterale a carico delle pieghe che richiamava l’eritema pieghe sottoposte a flessione (SDRIFE) e uno con lesioni purpuriche ascellari con trombocitopenia [fig. 2D].
Figura 3 D’altro lato, sono stati descritti anche esantemi con petecchie e bassa conta piastrinica, simili alla dengue. È stato ipotizzato che microtrombi potessero essere la causa di lesioni monolaterali simili alla livedo reticularis o all’eritema ab igne [fig. 3A]. Tra le lesioni cutanee di origine vascolare spesso associate all’infezione da COVID- 19 sono da ricordare i geloni [fig. 3B], ma anche acro-ischemie cutanee con cianosi delle dita dei piedi e delle mani, fino a quadri di gangrena nei pazienti con stati di ipercoagulabilità [fig. 3C]. Questo excursus sulle manifestazioni cutanee in corso di COVID-19 è importante nell’ambito della diagnosi differenziale con le reazioni da ipersensibilità verso i farmaci che vengono attualmente utilizzati nel COVID-19. La maggior parte di questi farmaci infatti dà luogo a reazioni ritardate cutanee, che devono essere distinte dalle lesioni che possono insorgere in corso di COVID-19. Farmaci Antivirali La maggior parte dei farmaci antivirali usati nel COVID-19 agiscono attraverso l’inibizione della RNA-polimerasi [remdesivir, (GS-3457)] o proteasi [lopinavir/ritonavir, (LPV/r), favipiravir (FPV), ribavirin e darunavir]. Altri farmaci disponibili sono l’umifenovir, che blocca l’ingresso del virus nella cellula attraverso l’inibizione della fusione delle membrane mediata dalle emoagglutinine, e l’oseltamivir che è un inibitore della neuraminidasi che blocca il rilascio di particelle virali dalla cellula ospite in corso di influenza. Il remdesivir e il FPV sono i farmaci più efficaci, soprattutto se usati in combinazione con l’idrossiclorochina. L’oseltamivir è raccomandato in caso di concomitante infezione da virus
dell’influenza. Anche il darunavir o il LPV/r possono essere co-somministrati con la clorochina o l’idrossiclorochina. La ribavirina è usata in associazione con l’interferon α2a peghilato (peg-IFN- α2a) nel trattamento dell’epatite C, e sono state descritte numerose reazioni cutanee da ipersensibilità. La ribavirina può determinare dermatite, alopecia e fotodermatosi; una recente meta-analisi ha descritto reazioni cutanee da lievi a moderate nel 13.3% dei pazienti trattati, reazioni cutanee localizzate nel 2.6%, xerosi cutanea e lesioni eczematose nel 10.3%, alopecia nel 4.1% e esacerbazione di lichen planus in meno dell’1% dei casi. Il rischio di reazioni da ipersensibilità aumenta in caso di combinazioni terapeutiche, rendendo più difficile la diagnosi eziologica; in letteratura sono descritti test di provocazione orale e l’utilizzo test in vitro [test di trasformazione linfocitaria (LTT)] per raggiungere la diagnosi. Sono stati effettuati anche protocolli di desensibilizzazione. Le reazioni da ipersensibilità in corso di terapia con LPV/r sono rare: le eruzioni maculo-papulari sono descritte nel 2- 4% nei pazienti con infezione da HIV; sono riportati solo due casi di pustolosi esantematica acuta generalizzata (AGEP). Uno studio cinese su 217 pazienti affetti da COVID-19 ha descritto che le reazioni da ipersensibilità sono più frequenti in caso di terapia di associazione tra LPV/r e umifenovir e pregressa storia di allergia a farmaci, rispetto ai pazienti con anamnesi negativa. Nei pazienti affetti da HIV, il darunavir è associato ad un’ampia varietà di reazioni cutanee ritardate, da lievi eruzioni maculo- papulari fino a forme bollose. È importante ricordare che il darunavir contiene una sulfonamide e dovrebbe essere usata con cautela nei pazienti con nota allergia alle sulfonamidi. Sono descritti protocolli di desensibilizzazione al darunavir in pazienti con reazioni ritardate. L’oseltamivir è un farmaco usato nell’influenza. Può causare raramente reazioni da ipersensibilità, nonostante sia comunque raccomandato uno stretto monitoraggio dei pazienti, per la descrizione in letteratura di due casi di sindrome di Steven Johnson/necrolisi epidermica tossica (SJS/TEN). È descritto inoltre un caso di anafilassi da oseltamivir, confermato dai test cutanei. Per quanto riguarda il remdesivir, un recente studio multicentrico ha mostrato che solo uno (1.6%) su 61 pazienti con il COVID-19 ha sviluppato un eritema maculo-papulare durante il trattamento che pertanto è stato sospeso. Al momento attuale non ci sono segnalazioni per quanto riguarda il favipiravir e l’umifenovir.
Farmaci immunomodulanti usati nelle polmoniti virali L’azitromicina è utilizzata nell’infezione da virus dell’influenza per la sua capacità di interferire con l’internalizzazione del virus e ha mostrato una certa efficacia clinica anche nei pazienti affetti da COVID-19, sebbene il meccanismo d’azione non sia ancora chiaro. Per quanto riguarda le reazioni di ipersensibilità immediate, l’orticaria è la manifestazione clinica più frequente; sono stati anche descritti casi di l’anafilassi. Per quanto riguarda le reazioni ritardate, sono annoverate eruzioni maculo-papulari, dermatiti da contatto, eritema fisso, AGEP, reazioni da farmaci con eosinofilia e sintomi sistemici (DRESS) e vasculiti leucocitoclastiche. La diagnosi è complessa in quanto i test cutanei non sono validati, per le discrepanze sulla concentrazione non irritante dei prick test e delle intradermoreazioni. Per le reazioni ritardate, sono stati descritti risultati positivi con i patch test; al contrario non esistono test in vitro validati. I test di provocazione orale rimangono pertanto il gold standard diagnostico. L’idrossiclorochina e la clorochina sono state usate nei pazienti affetti da COVID-19 per la loro capacità di inibire la fusione virus/cellula ospite in vitro, e per gli effetti immunomodulatori sulla produzione di citochine. Fare diagnosi differenziale tra i noti effetti collaterali dermatologici e una reazione allergica può essere difficile. Le manifestazioni cutanee più comuni sono lievi eruzioni maculo-papulari pruriginose entro le prime 4 settimane di trattamento, mas ono descritti anche casi più severi, come AGEP, DRESS, eritema bolloso fino alle forme di SJS/TEN. I patch test si sono rivelati utili per la diagnosi delle reazioni ritardate, confermando un meccanismo T- mediato. Il test di provocazione orale è utile in caso di reazione cutanea non severa per differenziare una reazione allergica dagli effetti avversi di tipo dermatologico: solo il 30% dei pazienti ha presentato poi un test di provocazione orale positivo. Sono descritti protocolli di desensibilizzazione sia in caso di reazioni immediate sia di reazioni ritardate. Gli Interferoni di tipo I (IFN-α and IFN-β) possono inibire la replicazione sia del SARS-CoV sia del MERS-CoV e sono raccomandati nelle terapie di combinazione con altri agenti virali. Le eruzioni cutanee indotte dagli IFNs sono comuni, con una incidenza del 13-23%. Sono descritte sia reazioni nel sito di iniezione sia orticaria o eczema generalizzato. I patch test hanno un basso valore
predittivo, mentre sono più utili le intradermoreazioni con lettura ritardata. In letteratura sono descritti protocolli di desensibilizzazione sia in caso di reazioni ritardate sia per reazioni immediate. Farmaci anti-infiammatori usati per l’ARDS o la tempesta citochinica Il tocilizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato contro il recettore dell’IL-6 che ha mostrato buoni risultati nella gestione della tempesta citochinica che si verifica nei casi gravi di COVID-19. La frequenza delle reazioni avverse al tocilizumab è intorno all’8%, tra queste solo lo 0.1-0.7% sono da ipersensibilità. Sono state descritte sia reazioni immediate sia reazioni tardive, come orticaria, DRESS, AGEP e SJS. I principali fattori di rischio sono: la giovane età, il basso peso e la bassa statura e l’aumentata attività di malattia nel periodo precoce di somministrazione del farmaco. Sebbene non standardizzati, per la diagnosi sono stati utilizzati prick test, intradermoreazioni e test di provocazione orale. Esistono inoltre alcuni protocolli di desensibilizzazione. L’anakinra è un antagonista recettoriale dell’IL-1, ed è anch’esso in studio per il trattamento della tempesta citochinica in corso di COVID-19. Questo farmaco causa reazioni avverse nel 75% dei pazienti. La maggior parte di queste sono nel sito di iniezione e si verificano entro la prima settimana di terapia. Per valutare le reazioni immediate, sono stati utilizzati i prick test e le intradermoreazioni con il farmaco indiluito. In casi in cui il farmaco non era sostituibile, sono stati attuati dei protocolli di desensibilizzazione. Il sarilumab è un altro antagonista recettoriale dell’IL-6. È generalmente ben tollerato, sebbene anch’esso possa causare reazioni locali nel sito di iniezione. Il canakinumab è un anticorpo monoclonale umanizzato antagonista dell’IL-1, è generalmente ben tollerato ed è usato come farmaco alternativo in caso di reazione anafilattica all’anakinra. Altri farmaci attualmente in studio per il loro potenziale uso nei pazienti affetti da COVID-19 sono gli inibitori delle JAK chinasi (Baricitinib, Ruxolitinib, Tofacitinib), la ciclosporina, la colchicina, e l’eculizumab, un antagonista monoclonale anti-C5. I dati in letteratura sulle reazioni da ipersensibilità e sui protocolli utilizzati per la diagnosi e l’eventuale desensibilizzazione sono scarsi.
Rimane molto controverso l’utilizzo dei corticosteroidi in corso di COVID-19. Infatti l’uso precoce dei corticosteroidi potrebbe giovare a quei pazienti che hanno una eccessiva risposta infiammatoria e in quelli a rischio di sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS); al contrario, i benefici nell’uso dei corticosteroidi come farmaci di salvataggio sono dubbi. Le reazioni immediate ai corticosteroidi sono rare e generalmente IgE mediate. In una review della letteratura dal 2004 al 2014, l’anafilassi era la manifestazione più comunemente riportata (in 73 pazienti su 120, il 60.8%), seguita poi da orticaria/angioedema (26.7%). Il metilprednisolone era l’agente culprit nel 41% dei casi, seguito da prednisolone (20%), triamcinolone (14%) e idrocortisone (10%). I prick test permettono di identificare il farmaco responsabile e di identificare farmaci alternativi sicuri. Esistono casi di reazioni da ipersensibilità rivolte ad altri componenti del farmaco, come l’estere succinico, usato per aumentare la solubilità nelle preparazioni parenterali, o ad eccipienti, come il lattosio, la carbossimetilcellulosa, il polietilenglicole e il glicole esilenico. Pertanto, quando si effettuano i test cutanei, è consigliabile includere sia il farmaco culprit che formulazioni alternative. I test cutanei negativi andrebbero sempre confermati con il test di provocazione orale, raccomandato anche per testare la tollerabilità del farmaco alternativo. Le reazioni ritardate sono molto più rare; la maggior parte dei report riguardano eruzioni maculo-papulari, sebbene siano state descritte anche altre forme come eritemi anulari, eritrodermia, SDRIFE, AGEP e alcuni casi di SJS. Le reazioni ritardate sottendono spesso un meccanismo T-mediato, per cui i patch test e la lettura ritardata delle intradermoreazioni sono strumenti utili nel work-up diagnostico. Il gold standard rimane comunque il test di provocazione orale. Farmaci anticoagulanti e antiaggreganti usati nel COVID-19 L’eparina non frazionata (UFH) e le eparine a basso peso molecolare (LMWHs) sono utilizzate per la profilassi delle trombosi e per la coagulopatia osservata nei pazienti affetti da COVID-19. La UFH può indurre tutti i tipi di reazioni da ipersensibilità. Le reazioni ritardate cutanee insorgono soprattutto nel sito di iniezione come placche eritematose o eczematose pruriginose, al 7-10° giorno di trattamento, o più precocemente in caso di pregressa sensibilizzazione. I fattori di rischio per la
comparsa di reazioni cutanee sono l’obesità, il sesso femminile, la gravidanza e le esposizioni ripetute. Se il trattamento viene continuato nonostante la reazione locale, si può sviluppare un eczema o un esantema generalizzato. Sono state descritte reazioni da cross-reattività tra le LMWHs; generalmente il fondaparinux è ben tollerato. La trombocitopenia immuno-mediata indotta da eparina (HIT) è indotta da anticorpi IgG. Si manifesta con una riduzione fino al 50% della conta piastrinica dopo 5-10 giorni dall’inizio della terapia e si risolve sospendendo il farmaco e sostituendolo con un anticoagulante alternativo. Le reazioni IgE mediate alle eparine, con orticaria, angioedema e anafilassi sono rare. Il work-up diagnostico prevede l’uso dei test cutanei, sia prick test sia intradermoreazioni, sebbene l’eparina di per sé possa causare un rilascio spontaneo di istamina, determinando false positività; per questo è necessario effettuare i test con diluizioni crescenti. I test di provocazione sono necessari in caso di diagnosi non chiara o quando è necessario un anticoagulante alternativo. Conclusioni Alla luce della severità del COVID-19 e della necessità di strategie terapeutiche efficaci, è importante fornire accurate e rapide linee di indirizzo in caso di reazioni da ipersensibilità verso farmaci utilizzati nel decorso della malattia. Le difficoltà diagnostiche sono numerose e in particolare sono legate all’ampio spettro di farmaci utilizzati, spesso somministrati in associazione, che si aggiungono alle terapie di supporto nei casi più gravi. Inoltre, la patologia stessa si può associare a manifestazioni cutanee che rendono la diagnosi differenziale più complicata. Spesso la diagnosi viene fatta su base clinica, senza utilizzare test in vivo, come i test cutanei, sia per il rischio di contagio sia per la bassa accuratezza diagnostica, soprattutto se il paziente viene trattato con antistaminici o cortisonici. Anche in questo setting, il gold standard rimane il test di provocazione orale con farmaci alternativi. Se non è disponibile un’alternativa e se la reazione da ipersensibilità non è stata severa, si possono applicare protocolli di desensibilizzazione. In caso di reazioni lievi e auto- limitantesi, si può considerare di proseguire la somministrazione del farmaco, ovviamente sotto stretta sorveglianza clinica.
Questa review ha riassunto tutte le informazioni fino ad ora pubblicate riguardo le reazioni da ipersensibilità in corso di COVID-19. Le nostre attuali conoscenze dipendono da esperienze cliniche pregresse e da pochi studi pubblicati o case report. Fortunatamente, la letteratura dimostra che la maggior parte di questi farmaci causano raramente reazioni da ipersensibilità. Gli autori sottolineano che il limite di questa review è il basso numero di report di reazioni avverse riportate durante la pandemia. Nel prossimo futuro, sarà necessario ottenere maggiori dati riguardo le reazioni da ipersensibilità, dai trial clinici e dai registri delle reazioni avverse. In più, con le maggiori conoscenze sulla patologia da SARS-CoV2 saremmo in grado di valutare se il virus può aggravare le reazioni mediate dalle cellule T, come già è stato visto con altri virus, e se lo stato di iper-infiammazione che caratterizza i casi più gravi di COVID-19 possa influenzare anche la gravità delle reazioni da ipersensibilità.
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