Cultura ed economia dopo il COVID-19: spunti per una discussione pubblica

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Marco Causi
Cultura ed economia dopo il COVID-19: spunti per
una discussione pubblica
(doi: 10.1446/101670)

Economia della Cultura (ISSN 1122-7885)
Fascicolo 1, marzo 2021

   Ente di afferenza:
   Università di Roma Tre (uniroma3)

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CULTURA ED ECONOMIA
 CULTURA ED ECONOMIA DOPO IL COVID-19: SPUNTI PER LA DISCUSSIONE PUBBLICA

DOPO IL COVID-19: SPUNTI
PER LA DISCUSSIONE PUBBLICA

di MARCO CAUSI *

Summary

Culture and economy after COVID-19: selected topics for public
  discussion

    In this policy paper three selected topics are proposed, mainly concerned
with the Italian situation, about the economic evolution of the cultural
sector during and after pandemic. First, the impact on cultural consump-
tion. Second, the growth of digital and the need for an international regu-
lation of digital industry. Third, specific issues addressed to Italian public
policies in the cultural sector.
                                                                                                77
Keywords: COVID-19, heritage, culture, performing arts, cultural indu-
stries, public policies

JEL code: H12, Z11, Z18

1. Introduzione

    Il settore culturale è stato ed è uno dei più colpiti dalla pandemia, in-
sieme a turismo e trasporti. La dimensione della crisi è drammatica e ine-
dita. Drammatica nei numeri, soprattutto per le attività culturali dal vivo,
com’è stato messo in evidenza da una grande quantità di studi e di report
istituzionali nei diversi paesi e a livello internazionale1. Inedita nelle dina-
miche che ha innestato e nelle trasformazioni che si profilano per l’intero
settore, sia per le attività dal vivo che per le industrie culturali.
    L’Associazione per l’economia della cultura ha effettuato fin da mar-
zo 2020 un monitoraggio a scala internazionale delle informazioni e dei
dati che mano a mano emergevano circa l’impatto della pandemia sul
settore culturale. Il monitoraggio si è esteso alle misure di protezione

*
  Presidente Associazione per l’Economia della Cultura – Dipartimento di Economia, Università
degli Studi Roma Tre – via Silvio D’Amico 77 – 00145 Roma – Italia, e Institut Sciences Po
– 27 rue Saint Guillaume – 75337 Paris – France, e-mail: marco.causi@uniroma3.it

ECONOMIA DELLA CULTURA     - a. XXXI, 2021, n. 1
MARCO CAUSI

     e a quelle per la ripartenza che le politiche pubbliche e le altre iniziative
     di natura associativa e solidaristica hanno messo in campo. Il sito web
     dell’Associazione ha ospitato i materiali informativi via via disponibili,
     i quali sono stati sintetizzati e analizzati in alcuni contributi presentati
     nella rivista Economia della Cultura e in altre sedi2.
         Lungi da me riproporre in queste pagine l’intera mole delle informa-
     zioni e gli elementi della vasta discussione in corso da più di un anno
     nei tanti comparti del settore culturale in tutto il mondo. L’obiettivo è
     più circoscritto: alcuni spunti di riflessione con riferimento particolare
     alla situazione italiana3.

     2. Consumi culturali dal vivo

         Tutti i consumi culturali dal vivo si sono (ovviamente) ridotti in
     modo drastico. Per le organizzazioni finanziate dal settore pubblico la
     continuità del flusso dei contributi è stata un elemento essenziale di
     sopravvivenza durante i periodi di blocco delle attività. Le questioni su
     cui operatori, imprese e analisti si interrogano sono: se e quando la
     domanda di consumo tornerà ai livelli precedenti la pandemia; con
     quali eventuali modifiche.
         Nel momento in cui queste righe vengono scritte (luglio 2021) non
78   ci sono per queste domande risposte che possano, basandosi sui metodi
     della ricerca scientifica, raggiungere un grado sufficiente di affidabilità.
     Si procede a tentoni, si osservano i singoli casi, si cerca di disegnare
     scenari plausibili per il futuro.
         Per le attività culturali dal vivo le prescrizioni di sicurezza sanitaria
     determinano il razionamento dell’offerta e l’aumento dei costi di fun-
     zionamento. Nello spettacolo una possibile risposta è di aumentare il
     numero di rappresentazioni e/o di scegliere luoghi più capienti. Un
     esempio di questa seconda strategia è offerto dal Festival di Spoleto,
     dove la location più grande – la piazza del Duomo, duemila poltrone
     prima del COVID e oggi mille – che fino al 2020 ospitava una sola
     rappresentazione nel 2021 è stata sede di otto spettacoli.
         Non tutti i soggetti che producono spettacoli dal vivo possono per-
     seguire una strategia di questo tipo, che dipende dalla disponibilità e
     dalla flessibilità delle potenziali sedi utilizzabili per le rappresentazioni
     nei territori e nelle città in cui sono localizzati. Resta la prima strategia,
     ma a ben pensarci sia la prima che la seconda strategia comportano
     comunque aumenti dei costi. Ne seguono la necessità di un’adeguata
     riorganizzazione dei modelli di produzione e la possibilità che gli au-
     menti di costo si trasmettano sui prezzi.
         Si consideri che già prima della pandemia il biglietto medio di in-
     gresso alle rappresentazioni di spettacolo dal vivo in Italia ha avuto una
     dinamica superiore al tasso d’inflazione: fra 2014 e 2019 mentre l’in-
     dice medio dei prezzi cresceva dello 0,6 per cento all’anno i biglietti per
CULTURA ED ECONOMIA DOPO IL COVID-19: SPUNTI PER LA DISCUSSIONE PUBBLICA

gli spettacoli teatrali aumentavano ogni anno del 2,2 per cento, quelli per
i concerti di musica classica del 2,5, ancora di più i biglietti per i concerti
di musica leggera (3,2). Ha fatto eccezione soltanto il settore più costoso
ed esclusivo, la lirica, in cui i prezzi di ingresso sono diminuiti e la quan-
tità di ingressi a pagamento è aumentata molto più che nel teatro e nella
musica classica (Tab. 1). L’esempio della lirica nella seconda metà degli
anni Dieci mostra che nelle performing arts è possibile un adattamento dei
modelli di produzione che riduca la pressione su costi e prezzi per il
pubblico e ottenga buoni risultati di affluenza. Per il dopo COVID sem-
bra cruciale la diffusione di queste best practices.

TAB. 1 – Tassi medi di variazione annua degli ingressi a pagamento e dei biglietti medi in alcune
attività culturali in Italia fra 2014 e 2019
                Teatro            Lirica       Concerti          Concerti          Musei statali
                                              musica classica   musica leggera
Ingressi a
pagamento      1,4%               4,3%          1,0%                 7,3%              5,1%
Biglietti medi 2,2%              -0,5%          2,5%                 3,2%              6,5%
Fonte: Ns elaborazioni su dati SIAE, ISTAT

    Nei musei e negli altri luoghi del patrimonio culturale la ripartenza
dell’affluenza dopo il drammatico crollo nell’anno della pandemia è                                 79
condizionata dalla contrazione del turismo internazionale, che rischia di
non recuperare nel breve periodo i volumi raggiunti prima del 2020.
    L’impatto della pandemia sui flussi turistici è un colpo grave per
l’Italia. Durante gli anni Dieci i mercati turistici dell’Europa mediter-
ranea (Italia, Francia, Spagna) avevano conquistato una leadership glo-
bale e un effetto di questa leadership era stato uno spostamento strut-
turale delle motivazioni turistiche e dei connessi consumi a vantaggio
del turismo culturale4.
    Questa spinta ha talvolta creato – quando la logistica dell’accoglien-
za non era stata adeguata e bene organizzata nei grandi attrattori del tu-
rismo culturale e nelle città/territori in cui sono localizzati – problemi
di congestione, di qualità dell’esperienza turistica, di conflitto fra turisti
e residenti. Tuttavia soltanto un punto di vista miope potrebbe prefe-
rire che musei e centri storici rimangano vuoti.
    La contrazione del turismo culturale internazionale è quindi un fat-
tore di impatto rilevante. La crisi spinge a ridisegnare i modelli di
questi segmenti turistici in direzione della sostenibilità e della qualità,
e su questa strada si può fare molto lavoro5. È però indispensabile tro-
vare altri bacini di domanda rivolgendosi alla domanda locale, al turi-
smo interno a corto raggio, a quello europeo a medio raggio.
    In Italia i tassi di partecipazione culturale sono bassi al confronto
con le medie europee. Colmare questo gap, per esempio portare i tassi
di partecipazione italiani verso i livelli europei, aprirebbe la strada a
MARCO CAUSI

     grandi bacini di domanda potenziale: da un punto di debolezza potrebbe
     nascere un’opportunità, sia per i musei che per lo spettacolo dal vivo6.
         Un fatto importante è che già prima del 2020 l’aumento del pubbli-
     co pagante nei musei italiani non era sempre determinato dalla doman-
     da turistica. Se si confrontano le variazioni degli ingressi a pagamento
     nei musei autonomi dello Stato fra 2017 e 2019 con le corrispondenti
     variazioni delle presenze turistiche totali e degli arrivi turistici stranieri
     nelle province di localizzazione dei musei si vede che accanto a istituti
     museali dove la crescita degli ingressi è trainata in prevalenza dal turi-
     smo (fra questi Pompei, Paestum, Colosseo) ne emergono diversi dove
     l’aumento del pubblico pagante è spiegato più dalla domanda locale che
     da quella turistica (per esempio Gallerie Estensi, Musei Reali di Torino,
     Palazzo Reale di Genova, Museo Archeologico di Napoli e, fra i grandi
     attrattori, gli Uffizi)7. Il modello di produzione culturale richiesto dal
     lavoro sulla domanda locale è diverso da quello prevalente nei grandi
     attrattori che possono (potevano?) sfruttare un elevato potere di merca-
     to sui bacini della domanda turistica internazionale, generando inoltre
     pressioni sull’aumento delle tariffe d’ingresso (Tab. 1). Anche qui, come
     nel caso della lirica, non mancano le best practices e i casi di successo di
     modelli alternativi.
         Altri segmenti di domanda potenziale potrebbero nascere dall’evolu-
     zione delle relazioni – salvo che nella provincia di Bolzano, da noi mai
80   pienamente riconosciute e innovate, diversamente da tante esperienze
     diffuse più nel nord che nel sud d’Europa – fra il sistema dell’offerta
     culturale e altri sistemi di welfare, a partire da istruzione e sanità. Al-
     cuni anni fa Alessandro Baricco avanzò la proposta di assegnare i sussidi
     del FUS, il Fondo Unico per lo Spettacolo che contiene le risorse de-
     stinate dallo Stato allo spettacolo dal vivo, alle scuole e alla televisione
     per sostenere progetti in cui l’offerta culturale superi il rischio di auto-
     referenzialità e colleghi le sue attività alle priorità dell’education e della
     diffusione della conoscenza8. Fu considerata, e in effetti era, una pro-
     posta provocatoria con il fine di suscitare una discussione culturale e
     politica. A ben riflettere però quelle che nascono dai sistemi dell’istru-
     zione e della sanità sono domande sociali e individuali che una parte
     dell’offerta culturale italiana non ha mai esplorato fino in fondo.

     3. Consumi di contenuti culturali riproducibili

        Al contrario di quanto accaduto ai consumi dal vivo i consumi dei
     prodotti dell’industria culturale, dei contenuti culturali riproducibili,
     sono aumentati durante la pandemia. Allo stesso tempo si sono mani-
     festati importanti cambiamenti nelle modalità di funzionamento dei
     mercati con il rafforzamento delle tendenze già esistenti verso la crescita
     del digitale. Provo a riassumere in tre punti.
CULTURA ED ECONOMIA DOPO IL COVID-19: SPUNTI PER LA DISCUSSIONE PUBBLICA

    Primo, sono aumentati i consumi sui canali digitali di tutti i con-
tenuti culturali. Gli esempi sono tanti: nel settore cinematografico e
audiovisivo i consumi digitali sono aumentati nel 2020 su scala globale
del 31 per cento mentre quelli tradizionali si sono ridotti del 63 per
cento (tab. 2)9; nella musica registrata la spesa per streaming è cresciuta
del 18,6 per cento mentre i consumi su tutti gli altri canali si sono con-
tratti dell’8 per cento10; il numero di abbonamenti alle TV a pagamento,
via cavo e via satellite, nel 2020 si è leggermente ridotto fino a circa 735
milioni su scala globale mentre il numero di abbonati ai servizi di video
online ha raggiunto quasi 1,2 miliardi, più 26 per cento sul 201911.

TAB. 2 – Consumi globali di cinema e di altri prodotti audiovisivi nelle sale cinematografiche e su
qualsiasi dispositivo tecnologico sia fisso che mobile (miliardi di dollari USA)
                                         2016         2017         2018       2019          2020
Sale cinematografiche                    39,3         40,9         41,8       42,3          12,0
Supporti fisici (DVD, Blue-ray)          14,9         12,7         10,8        8,8           7,0
Canali digitali (VOD, subscription
VOD, SVOD)                               23,6         30,1         39,4       47,2          61,8
Totale                                   77,8         83,7         92,0       98,3          80,8
Fonte: MPAA

    Secondo, sono aumentate le quote di mercato dei canali di distribu-                               81
zione dei prodotti culturali gestiti da piattaforme digitali. Un esempio
in Italia è quello del libro, dove i libri di varia e gli e-books hanno
avuto un incremento di vendite nel 2020 del 2,4 per cento, uno dei
migliori risultati in Europa per l’industria dell’editoria libraria. Intanto
le vendite online salivano dal 27 al 43 per cento del totale e specular-
mente le librerie scendevano dal 73 al 57 per cento12.
    Terzo, i consumi sono aumentati in quantità ma la spesa monetaria
per il loro acquisto si è ridotta, così di conseguenza si sono ridotti i fat-
turati delle industrie culturali. La causa di questo andamento sta nel fatto
che il valore dei guadagni sui consumi digitali non compensa il valore
delle perdite sui consumi tradizionali. Si tratta di una questione ben nota
all’editoria quotidiana e periodica e all’industria musicale, che la speri-
mentano da molti anni. Nel 2020 si è estesa anche al settore cinemato-
grafico e audiovisivo: si vede bene nella Tab. 2 che l’incremento della
spesa di consumo sui canali digitali (14,6 miliardi di dollari USA) non
compensa le perdite delle sale cinematografiche (30,3 miliardi).
    Il segnale dominante è una progressiva dislocazione delle catene del
valore a vantaggio delle industrie digitali. Anch’esse hanno subito il
contraccolpo della crisi per effetto della riduzione degli introiti pubbli-
citari. La domanda di pubblicità si è (ovviamente) contratta durante il
2020, in Italia -14 per cento13, con impatto non solo sulle industrie
culturali ma anche su quelle digitali, insomma su tutti i modelli di
MARCO CAUSI

     business del tipo two sided, finanziati in parte dagli acquisti dei consu-
     matori e in parte dai proventi pubblicitari. Internet ha tuttavia mante-
     nuto la posizione dominante raggiunta negli anni precedenti sulla rac-
     colta pubblicitaria: in Francia aveva superato la televisione fin dal 2016,
     in Italia il sorpasso è avvenuto nel 201914.

     4. Digitale

         Non è difficile prevedere che la digitalizzazione delle economie e
     delle società sia destinata a fare un nuovo passo avanti. La crisi pande-
     mica ha dimostrato l’indispensabilità delle tecnologie digitali e lo sce-
     nario dell’immediato futuro è caratterizzato, in Italia come nel resto
     d’Europa e del mondo, da un aumento: (i) degli investimenti pubblici
     e privati per migliorare l’infrastruttura, aumentare la connettività, ridur-
     re il digital divide; (ii) della migrazione sulla rete di una serie di servizi
     e attività, a partire nel caso italiano dai sistemi che hanno manifestato
     le maggiori debolezze in occasione della crisi, per esempio il sistema
     dell’istruzione, quello delle piccole e medie imprese, la pubblica ammi-
     nistrazione. Non è un caso che la missione legata alla digitalizzazione
     sia quella a cui è destinata la maggior parte delle risorse nel PNRR
     “allargato”: 42 miliardi di euro, il 18 per cento del totale15.
82       In questo scenario – che aprirà ulteriori mercati e opportunità all’in-
     dustria digitale – le criticità legate alle modalità di funzionamento di
     questa industria assumono un rilievo nuovo sul piano politico-econo-
     mico. In qualche caso si tratta di criticità che sono emerse proprio nei
     rapporti fra industria digitale e settore culturale, in altri di questioni
     con valenza del tutto generale. In ogni caso non si tratta di problemi
     che possono trovare risposte adeguate all’interno dei tradizionali sistemi
     nazionali di regolazione, hanno bisogno di contesti sovranazionali,
     auspicabilmente globali e multilaterali.
         Mi limito a un elenco16: (i) soglie anti-trust per la definizione (e
     l’eventuale sanzione) di un eccessivo potere di mercato: su diversi mer-
     cati la combinazione inedita fra caratteristiche della tecnologia e inno-
     vazioni di prodotto ha generato livelli estremamente elevati di concen-
     trazione su scala globale; (ii) tutela della qualità dell’informazione come
     bene pubblico; (iii) tutela dei diritti di proprietà intellettuale; (iv) disci-
     plina sui dati nell’economia digitale, con criteri definiti sulla base di
     obiettivi di sicurezza degli utenti, trasparenza pubblica per alcuni insie-
     mi di informazioni, efficienza del mercato; (v) responsabilità sui conte-
     nuti delle piattaforme, con una disciplina che consenta alle autorità di
     regolamentazione di intervenire – come fanno con gli altri media –
     senza aspettare che siano le stesse piattaforme, depositarie dell’informa-
     zione, ad agire; (vi) localizzazione geografica delle piattaforme e loro
     accountability, sia sul piano regolamentare sia sotto il profilo della con-
     tribuzione fiscale.
CULTURA ED ECONOMIA DOPO IL COVID-19: SPUNTI PER LA DISCUSSIONE PUBBLICA

5. Politiche

    La rassegna di Celestino Spada e Pietro Antonio Valentino contenu-
ta nel fascicolo 3-4/2020 di Economia della Cultura sulle politiche di
sostegno al settore culturale effettuate in Europa e negli Stati Uniti ha
mostrato con dovizia di informazioni che alle azioni di carattere difen-
sivo finalizzate alla resilienza si sono ovunque affiancate azioni mirate
a una ripartenza che tenga conto dei nuovi scenari e della necessità di
innovazione. Fra i numerosi elementi che risaltano nella situazione ita-
liana, con riferimento in particolare ai settori dove l’esperienza di con-
sumo culturale è diretta, penso sia utile metterne in evidenza quattro.
    Il primo è il rapporto fra consumi dal vivo e consumi digitali nei
settori del patrimonio culturale e delle performing arts. La crisi pande-
mica ha portato gli operatori di questi settori a usare molto più assidua-
mente i canali digitali per distribuire una serie di contenuti legati alle
loro attività. In alcuni casi – come in Italia – ne è derivata una spinta
a recuperare ritardi nella conoscenza, nella disponibilità e nella capacità
di applicazione delle nuove tecnologie, con effetti che le esistenti inda-
gini empiriche mostrano avere un rilievo abbastanza importante sugli
assetti organizzativi e sulla produzione di servizi e contenuti digitali17.
Il recupero del gap tecnologico è importante (ex malo bonus, si potreb-
be chiosare) ma è altrettanto importante che la progettazione di queste
attività tenga conto di quanto già prima del COVID era noto circa il           83
fatto che in questi settori il consumo digitale è complementare e non
sostitutivo del consumo tradizionale18.
    Una seconda questione nasce da quello che potremmo chiamare il
paradosso del Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo (Fpls)
presso l’INPS, che negli anni precedenti alla pandemia ha prodotto
avanzi di esercizio – differenze fra contributi incassati e prestazioni
pagate – di più o meno 300 milioni ogni anno fino a raggiungere nel
2019 un avanzo patrimoniale complessivo di 5,4 miliardi19. Dato che
le risorse che lo Stato assegna allo spettacolo tramite i contributi erogati
dal FUS sono di 400 milioni l’anno, è come se il settore restituisse il
75 per cento di quella somma.
    Il settore dello spettacolo durante la crisi della pandemia ha benefi-
ciato di una serie di aiuti pubblici, ma l’idea che si tratti di un settore
che dipende dalla solidarietà generale viene corretta dal fatto che gli
avanzi del Fpls finanziano da molti anni il complesso delle prestazioni
dell’INPS. Il divario fra contributi incassati e prestazioni pagate nel
Fpls è di tipo strutturale: dipende dal fatto che molti lavoratori e lavo-
ratrici dello spettacolo, a causa dell’intermittenza delle prestazioni, non
maturano i requisiti necessari per ottenere la pensione. È una distorsio-
ne che andrebbe sanata, disegnando prestazioni e accessibilità – sul ver-
sante pensionistico così come sugli altri rischi che prevedono sistemi di
copertura sociale come quello di disoccupazione – con criteri che ten-
gano conto della peculiarità delle vite lavorative in questo comparto. Si
MARCO CAUSI

     otterrebbe così una «gamba» permanente a sostegno delle azioni di
     carattere difensivo, mentre le altre risorse pubbliche destinate al settore
     potrebbero essere dedicate integralmente alle azioni di ripartenza e di
     innovazione. Proposte in questa direzione sono contenute nei documen-
     ti conclusivi di una recente indagine parlamentare20.
         Un terzo elemento di riflessione riguarda l’assetto industriale deside-
     rato per il settore culturale. Tutte le analisi, in Italia e in Europa, sot-
     tolineano che la sua fragilità strutturale dipende dall’elevata frammen-
     tazione, dalla prevalenza di imprese piccole e piccolissime e di ampie
     componenti di lavoro autonomo, anche sommerso. Ne dovrebbe di-
     scendere un interesse, da un punto di vista di politica industriale, nei
     confronti delle imprese di dimensione media o medio-grande esistenti,
     intorno alle quali si dovrebbero pensare strategie volte alla riduzione
     della frammentazione. Le politiche pubbliche italiane hanno manifestato
     su questo versante una contraddizione, tanto che nei provvedimenti di
     aiuto e di ristoro le imprese medie e medio-grandi sono state spesso
     escluse dai benefici.
         Il punto è ancora più generale: le azioni di sostegno al settore cul-
     turale non riescono ad acquisire una vera prospettiva in termini di
     politica industriale. Anche nel PNRR gli interventi programmati per il
     settore hanno una componente prevalente di investimento piuttosto che
     di sostegno alle imprese. Il ruolo economico del settore culturale viene
84   riconosciuto solo dal lato della domanda, per esempio la capacità attrat-
     tiva del sistema dei musei e dei luoghi di cultura sul turismo, ma ne
     vengono di fatto ignorati o sottovalutati gli aspetti dal lato dell’offerta
     e della produzione. Aspetti che hanno rilevanza non solo per i servizi
     culturali core ma anche per le importanti filiere produttive manifattu-
     riere e di servizio che vi sono collegate. L’esempio più calzante è quello
     dei musei e degli altri luoghi di cultura, dove il numero di ingressi è il
     più alto d’Europa (130 milioni prima della pandemia contro 112 in
     Germania e meno di 100 in Francia e Regno Unito). Il front line di
     questa attività è nei musei, nei monumenti, nei parchi archeologici, ma
     è chiaro che per gestire flussi con tali dimensioni le attività di front line
     sono integrate con un vasto insieme di industrie che a monte e a valle
     provvedono tecnologie, logistica, materiali di consumo, manutenzione,
     attività complementari, servizi creativi e servizi tradizionali meno cre-
     ativi, ecc. Si tratta purtroppo di un universo produttivo poco conosciu-
     to e, in verità, misconosciuto dalle politiche pubbliche per il settore.
     Ciò non implica che gli investimenti non siano necessari, essi tuttavia
     vanno collegati a effettivi fabbisogni prioritari, e soprattutto ai persi-
     stenti divari territoriali di dotazione di infrastrutture culturali.
         Anche l’ultimo spunto di riflessione ha natura industriale e si riferi-
     sce al settore dei servizi museali dove quaranta anni fa, con la legge
     cosiddetta Ronchey, lo Stato scelse di aprire al settore privato uno spa-
     zio oggi popolato da numerose imprese profit e non profit. Non è
     questa la sede per una valutazione specifica, ma a larghe spanne sembra
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che questa scelta sia stata coronata da successo: fra 2000 e 2019 gli
ingressi nei musei statali sono quasi raddoppiati, i ricavi da biglietteria
più che triplicati, la dotazione di servizi per l’accoglienza del pubblico
fortemente migliorata, anche grazie alla riforma del 201421. Intanto
l’agenzia pubblica ministeriale per la gestione dei servizi museali in
Francia, che quaranta anni fa rappresentava il possibile modello alter-
nativo, è andata in crisi.
   Il successo ottenuto dalla scelta contenuta nella legge Ronchey non
significa naturalmente assenza di problemi. I problemi ci sono, e sono
tanti, per esempio la struttura e la flessibilità delle concessioni oppure
la capacità effettiva delle imprese di fare investimenti adeguati anche
assumendo il rischio necessario. Di fronte a questi problemi lo Stato
non sempre lancia segnali coerenti, talvolta sembra titubante e dimostra
di non essere all’altezza dei compiti necessari per la gestione di questo
tipo di strumenti complessi di regolazione, a partire dall’impasse sulle
gare per l’affidamento delle concessioni. Sarebbe sensato superare queste
incertezze: le imprese che operano all’interno dei musei per i servizi al
pubblico sono in grande difficoltà per il crollo degli ingressi e l’incer-
tezza sulla loro risalita, andrebbero coinvolte in azioni di sistema per la
resilienza e spinte così a mantenere gli impegni di investimento nono-
stante le inevitabili perdite da sopportare negli anni della crisi. Si tratta
di politica industriale: una regia dello Stato è indispensabile e in questo
caso tocca al Ministero della cultura esercitarla.                                                 85

Note
    1
      Mi limito a citare il rapporto dell'OECD e quello del Parlamento Europeo: OECD,
Culture shock: COVID-19 and the cultural and creative sectors, september 2020; European
Parliament - CULT Committee, Cultural and creative sectors in post-COVID-19 Europe, fe-
bruary 2021. Per i tanti altri riferimenti si vedano i materiali indicati nella nota successiva.
    2
      C. Spada e P.A. Valentino, «Il settore culturale e il COVID-19. Emergenze e futuro»,
Economia della Cultura, 2020(1): 3-14; C. Spada e P.A. Valentino, «Il governo della cultura
alla prova del COVID-19. Un confronto europeo», Economia della Cultura, 2020(3-4):
269-283; M. Causi, C. Spada e P.A. Valentino, «Impatto della pandemia e politiche pub-
bliche nel settore culturale fra breve e lungo periodo», Società Italiana degli Economisti
(SIE), Riunione Scientifica Annuale 2020, Sessione «Online access and virtual attendance of
Cultural Heritage and Live Performance», 21 ottobre 2020.
    3
      Questi spunti prendono ispirazione dalla relazione introduttiva all'incontro Cultura ed
economia dopo il COVID organizzato il 4 luglio 2021 dall'Associazione per l'economia della
cultura e dalla Fondazione Festival dei due mondi a Spoleto, nonché da alcune sollecitazioni
emerse negli interventi dei/delle partecipanti all'incontro: Innocenzo Cipolletta, Giovanna
Barni, Guido Fabiani, Pietro Antonio Valentino e Raffaella Frascarelli. Vedi: https://
m.youtube.com/watch?v=D89znGj21TI&feature=share.
    4
      A. Battaglia, «Il posizionamento strategico dell'Europa. Nuovi flussi turistici, mercati
emergenti e sfide geo-politiche», Economia della Cultura, 2018(1-2): 11-24.
    5
      United Nations World Tourism Organization, UNWTO Inclusive Recovery Guide. So-
ciocultural Impacts of COVID-19. Cultural Tourism, 2021.
    6
      Il tasso di partecipazione a siti culturali e luoghi della cultura (persone con più di 16
anni che negli ultimi 12 mesi ne hanno visitato uno almeno una volta) in Italia dista da
MARCO CAUSI

     quello medio europeo di circa 10 punti (33,2 per cento contro 43,4). Il gap corrisponde a
     un bacino potenziale di domanda di 5,2 milioni di persone. Il gap è ancora più elevato per
     lo spettacolo dal vivo (25,3 in Italia contro 42,8 nella media UE) dove raggiunge il 17,5 per
     cento della popolazione con più di 16 anni, pari a un bacino potenziale di domanda di 9
     milioni di persone.
         7
            E. Alessandrini, A. Baldini e M. Causi, «Autonomia dei musei statali e tariffe d'ingres-
     so», Società Italiana degli Economisti (SIE), Riunione Scientifica Annuale 2021, Sessione «
     The Cultural and Creative Sector in the Recovery Process», ottobre 2021.
         8
            A. Baricco, «Basta soldi al teatro, meglio puntare su scuola e tv», La Repubblica, 24
     febbraio 2009. Vedi anche C. Bodo e P. Sacco, «Cultura, salute, benessere», Economia della
     Cultura, 2017(2): 153-157.
         9
            I dati della tab. 2 provengono dal Report 2020 della Motion Picture Association of
     America (MPAA) e si riferiscono al mercato delle sale cinematografiche e dell'home-mobile,
     il quale a sua volta comprende i contenuti fruiti su qualsiasi dispositivo tecnologico sia in
     casa (per esempio TV) che mobile (smartphones, tablets, ecc.) includendo sia i metodi di
     riproduzione digitali (per esempio video on demand con acquisto singolo o con abbonamen-
     to) sia i metodi fisici (Blue-ray e DVD).
         10
              International Federation of the Phonographic Industry (IFPI), Global Music Report,
     march 2021.
         11
              MPAA, Report 2020, cit.
         12
              Associazione Italiana Editori (AIE), Lo stato del libro in Italia e in Europa nell’anno
     della pandemia, gennaio 2021.
           13
               utorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), Relazione annuale 2020.
         14
             Ministe`re de la Culture – DEPS, Chiffres cle´s. Statistiques de la culture et de la com-
     munication, 2020; AGCOM, Relazione annuale 2020, cit.
         15
              Il PNRR "allargato" è quello che comprende accanto al piano NextGenerationEU i
     fondi di ReactEU e i fondi complementari di origine nazionale.
         16
             La letteratura di riferimento è imponente. Mi limito a ricordare OECD, Action Plan on
86   Base Erosion and Profit Shifting, July 2013; J. Tirole, «Regulating the Disrupters», Livemint,
     January 2019; F. Benhamou, «New challenges of intellectual property rights protection in Eu-
     rope», Economia della Cultura, 2019(2): 173-186; AGCOM, Appendice alla Relazione annuale
     2020, cit.; J. Tirole, «Digital Dystopia», American Economic Review, 2021(6): 2007-2048.
         17
             Vedi per esempio Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana
     (IRPET), Un anno di pandemia. Impatti e strategie per la ripartenza, marzo 2021; D. Ago-
     stino, M. Arnaboldi, e E. Lorenzin, «Verso un «new normal» dei musei post-COVID19:
     quale ruolo per il digitale?», Economia della Cultura, 2020(1): 79-83.
         18
             Vedi per esempio Y. Evrard and A. Krebs, «The authenticity of the museum experien-
     ce in the digital age: the case of the Louvre», Journal of Cultural Economics, 2018(42): 353-
     363.
         19
             INPS, Lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo, Audizione del Presidente presso
     la VIII Commissione del Senato della Repubblica, 27 ottobre 2020.
         20
             Camera dei Deputati - Commissioni riunite VII e XI, Indagine conoscitiva in materia
     di lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo, Documento conclusivo del 21 aprile 2021.
         21
             Vedi per esempio E. Beretta, G. Firpo, A. Migliardi e D. Scalise, «La valorizzazione del
     patrimonio artistico e culturale in Italia: confronti internazionali, divari territoriali, problemi
     e prospettive», Questioni di Economia e Finanza, Banca d’Italia, 2019, novembre, n. 524. ht-
     tps://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2019-0524/index.html
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