Contro il "folle" slogan dei capelli "no gender" - Orizzonte Altro - Con Pasolini. Per Pasolini.
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Contro il “folle” slogan dei capelli “no gender” Con Pasolini. Per Pasolini. Evocazione e testimonianza dello scandalo. Orizzonte Altro
Contro il “folle” slogan dei capelli “no gender” Con Pasolini. Per Pasolini. Evocazione e testimonianza dello scandalo. 27 Novembre 2020 Per Martin Heidegger, pensare autenticamente l’ente significa indulgere in quella ri-evocazione che consente al pensiero-rammemorante (An-denken) di non obliarne la costitutiva o fondamentale Differenza con l’Essere, invece di immediatamente oggettivarlo quale semplice presenza disponibile al pensiero che calcola e tutto manipola. Nondimeno, nella celebre vox media del genitivo latino, il Pensiero è dell’essere, ovvero, a un medesimo tempo, pensa l’essere (oggettivo) e all’essere appartiene (soggettivo). Pertanto, indulgere nel pensiero che rammemora la Dia- vergenza ontologica significa, simultanemante, trattenersi col pensiero presso l’attesa del dis-chiudimento di quella configurazione dell’Essere che consente il pensare che precisamente lo rammemora come Altro-dall’ente, epperò in detta medesima configurazione. Ecco che il pensare co-implica già l’atto di gratitudine e attesa protesa verso il dis-velamento a venire dell’Essere quale Non-ente. Denken ist danken: pensare è ringraziare, e rammemorare è già guardare al futuro, all’avvento. Nel 1978, poco dopo la morte del presidente DC, Leonardo Sciascia pubblica L’affaire Moro. Il pamphlet prende principio con un dialogo ideale tra l’autore e l’eidolon dell’amico Pasolini, evocato dall’epifania di una lucciola “antica”, già compianta per la propria sineddotica scomparsa dal sodale poeta che non è più. Il prologo, che rammemora insieme l’amico “fraterno e lontano” e la sua ramme- morazione elegiaca dell’Italia che fu, contiene queste parole, di affetto a un tempo e di battaglia: “Con Pasolini. Per Pasolini”. Bene, protetti, esortati e condotti da queste apparizioni tutelari, tentiamo teurgica- mente la rammemorazione dell’ormai antica ipercalisse pasoliniana contenuta negli articoli, apparsi originariamente sul Corriere della Sera e poi confluiti nella silloge “polemistica” Scritti Corsari (Garzanti, novembre 1975), “Contro i capelli lungi” (7 gennaio 1973) e “Il «folle» slogan dei jeans Jesus” (17 maggio 1973); dell’antico suo dimostramento analitico-concettuale, certo, ma anzitutto del proprio pathos, indi- gnato, scandalizzato, contestatore. Il primo articolo “racconta” dunque, semiologicamente, la parabola – icastica – dei capelli lunghi, il loro trasmutare ossia da simbolo contro-culturale, di protesta contro la società borghese e il suo conformismo, a emblema dell’appartenenza all’avan- guardia stessa del nuovo Potere, a icona epperò di perfetta e perfettamente coerente conformazione al nuovo paradigma assiologico; racconta quindi – allegoricamente, attraverso “il segno dei corpi”, per tramite dell’epifenomeno “estetico” – la vicenda più astratta della trasmutazione della società nel suo complesso o, più “essenzial-
mente”, della trasmutazione della Borghesia, cioè del Potere, e a punto del proprio orizzonte valoriale di riferimento. Cosa dicevano, col linguaggio inarticolato consistente nel segno monolitico dei capelli, i capelloni nel ’66-67? Dicevano questo: «La civiltà consumistica ci ha nauseati. Noi protestiamo in modo radicale. Creiamo un anticorpo a tale civiltà, attraverso il rifiuto [...]. Creiamo nuovi valori religiosi nell’entropia borghese, proprio nel momento in cui stava diventando perfettamente laica ed edonistica. Lo facciamo con un clamore e una violenza rivoluzionaria (violenza di non- violenti!) perché la nostra critica verso la nostra società è totale e intransigente» […]. Venne il 1968. I capelloni furono assorbiti dal Movimento Studentesco […] Cosa dicevano, essi, ora? Dicevano: «Sì, è vero, diciamo cose di Sinistra; il nostro senso — benché puramente fiancheggiatore del senso dei messaggi verbali — è un senso di Sinistra… Ma… Ma […] : 1) «La nostra ineffabilità si rivela sempre più di tipo irrazionalistico e pragmatico: la preminenza che noi silenziosamente attribuiamo all’azione è di carattere sottoculturale, e quindi sostanzialmente di destra». 2) «Noi siamo stati adottati anche dai provocatori fascisti, che si mescolano ai rivoluzionari verbali (il verbalismo può portare però anche all’azione, soprattutto quando la mitizza): e costituiamo una maschera perfetta, non solo dal punto di vista fisico — il nostro disordinato fluire e ondeggiare tende a omologare tutte le facce — ma anche dal punto di vista culturale: infatti una sottocultura di Destra può benissimo essere confusa con una sottocultura di Sinistra». Insomma capii che il linguaggio dei capelli lunghi non esprimeva più «cose» di Sinistra, ma esprimeva qualcosa di equivoco, Destra-Sinistra, che rendeva possibile la presenza dei provocatori […]. Ora […] nessuno mai al mondo potrebbe distinguere dalla presenza fisica un rivoluzionario da un provocatore. Destra e Sinistra si sono fisicamente fuse […]. Siamo arrivati al 1972 […]. Ero, questo settembre, nella cittadina di Isfahan, nel cuore della Persia […]. Ed ecco che una sera, camminando per la strada principale, vidi, tra tutti quei ragazzi antichi, bellissimi e pieni dell’antica dignità umana, due esseri mostruosi: non erano proprio dei capelloni, ma i loro capelli erano tagliati all’europea, lunghi di dietro, corti sulla fronte, resi stopposi dal tiraggio, appiccicati artificialmente intorno al viso con due laidi ciuffetti sopra le orecchie. Che cosa dicevano questi loro capelli? Dicevano: «Noi non apparteniamo al numero di questi morti di fame, di questi poveracci sottosviluppati, rimasti indietro alle età barbariche! Noi siamo impiegati di banca, studenti, figli di gente arricchita che lavora nelle società petrolifere; conosciamo l’Europa, abbiamo letto. Noi siamo dei borghesi: ed ecco qui i nostri capelli lunghi che testimoniano la nostra modernità internazionale di privilegiati!» Quei capelli lunghi alludevano dunque a «cose» di Destra. Il ciclo si è compiuto. La sottocultura al potere ha assorbito la sottocultura all’opposizione e l’ha fatta propria: con diabolica abilità ne ha fatto pazientemente una moda, che, se non si può proprio dire fascista nel senso classico della parola, è però di una «estrema destra» reale […]. Ora così i capelli lunghi dicono, nel loro inarticolato e ossesso linguaggio di segni non verbali, nella loro teppistica iconicità, le «cose» della televisione o delle réclames dei
prodotti, dove è ormai assolutamente inconcepibile prevedere un giovane che non abbia i capelli lunghi: fatto che, oggi, sarebbe scandaloso per il potere. Il secondo articolo, invece, dalla celebre semiologia corporea pasoliniana, si sposta all’analisi di un particolare linguaggio verbale, si colloca ossia presso il luogo del dire (Er-ort-erung) del claim pubblicitario, discrasicamente e tecnico-pragmatico (denotativamente comunicativo) ed estetico-artistico (connotativamente espressi- vo). Anche in questa seconda discussione pubblica, Pasolini ci racconta la parabola della scomparsa di qualcosa per omologazione a qualcos’altro. La finta espressività dello slogan è così la punta massima della nuova lingua tecnica che sostituisce la lingua umanistica. Essa è il simbolo della vita linguistica del futuro, cioè di un mondo inespressivo, senza particolarismi e diversità di culture, perfettamente omologato e acculturato. Di un mondo che a noi, ultimi depositari di una visione molteplice, magmatica, religiosa e razionale della vita, appare come un mondo di morte. In questa seconda occorrenza, la trasmutazione investe il ruolo ricoperto dal Sacro – e del suo darsi istituzionale nel “Secolo” – all’interno della società moderna e del medesimo intorno valoriale borghese, sempre più ponente se stesso come omni- afferrante e incontraddittorio, nuova religione a carattere ecumenico e assoluto, nuova rivelazione ancor più pericolosa, per Pasolini, di ogni deriva autoritario- teocratica proprio perché mostrantesi col volto compassionevole e misericordioso del relativo, dell’inclusivo, dell’irenico, dell’eudaimonico, dell’eleuterico, del- l’emancipativo. La Chiesa ha insomma fatto un patto col diavolo, cioè con lo Stato borghese. Non c’è contraddizione più scandalosa infatti che quella tra religione e borghesia, essendo quest’ultima il contrario della religione. Il potere monarchico o feudale lo era in fondo di meno. Il fascismo, perciò, in quanto momento regressivo del capitalismo, era meno diabolico, oggettivamente, dal punto di vista della Chiesa, che il regime democratico: il fascismo era una bestemmia, ma non minava all’interno la Chiesa, perché esso era una falsa nuova ideologia. Il Concordato non è stato un sacrilegio negli anni trenta, ma lo è oggi, se il fascismo non ha nemmeno scalfito la Chiesa, mentre oggi il Neocapitalismo la distrugge. L’accettazione del fascismo è stato un atroce episodio: ma l’accettazione della civiltà borghese capitalistica è un fatto definitivo, il cui cinismo non è solo una macchia, l’ennesima macchia nella storia della Chiesa, ma un errore storico che la Chiesa pagherà probabilmente con il suo declino. Essa non ha infatti intuito — nella sua cieca ansia di stabilizzazione e di fissazione eterna della propria funzione istituzionale — che la Borghesia rappresentava un nuovo spirito che non è certo quello fascista: un nuovo spirito che si sarebbe mostrato dapprima competitivo con quello religioso (salvandone solo il clericalismo), e avrebbe finito poi col prendere il suo posto nel fornire agli uomini una visione totale e unica della vita (e col non avere più bisogno quindi del clericalismo come strumento di potere). Il futuro
appartiene alla giovane borghesia che non ha più bisogno di detenere il potere con gli strumenti classici; che non sa più cosa farsene della Chiesa, la quale, ormai, ha finito genericamente con l’appartenere a quel mondo umanistico del passato che costituisce un impedimento alla nuova rivoluzione industriale; il nuovo potere borghese infatti necessita nei consumatori di uno spirito totalmente pragmatico ed edonistico: un universo tecnicistico e puramente terreno è quello in cui può svolgersi secondo la propria natura il ciclo della produzione e del consumo. Per la religione e soprattutto per la Chiesa non c’è più spazio. Orbene, dalle profezie eretiche e luterane pasoliane distiamo ormai mezzo secolo: possiamo noi, pertanto, ora, alle soglie del 2021, indulgere oziosamente nella sterile rammemorazione di uno “scandalo” che fu il suo, di uno thauma che non è più il nostro e che non più il nostro può essere? Nessuno di noi contemporanei, infatti, ad eccezione forse di taluni “meta-storici” “laudatori del tempo che fu aureo”, potrebbe mai meravigliarsi di uno slogan pubblicitario che echeggiasse, irridesse e anzitutto sfruttasse commercialmente il Sacro, né, parimenti, della capacità del consumismo capitalistico di assorbire nella propria costitutiva antiticipità politropa ogni opposizione a sé, trasmutandola in fonte di lucro, quindi immediatamente cooptandola entro l’orizzonte del sé e della sua coerenza distintiva (sia elevato, solo per la propria icasticità, l’esempio delle T- shirt con l’effige di Che Guevara). E, tuttavia, contrappassisticamente trasmutando l’inautenticità dello scandalo su cui si basa l’arte borghese e la pubblicità della società edonistico-consumistica, nell’autenticità dello scandalo che il Sacro stesso incarna rispetto a ciò che immediatamente si dà nell’al-di-qua dell’esplosione improvvisa Sua che tutto- abbaglia (pro-fano), dobbiamo noi perseverare nella conservazione della dispo- sizione alla pensante rammemorazione dell’Alterità assoluta, proprio poiché è essa stessa principiale, causativa e fondamentale Differenza ad attraversare – oggi – il tempo dell’agonia del sé, la stazione cruciale ovvero pressoché conclusiva e viepiù compiuta dell’estrinseca contrarietà al sé (Sichheit, Geschichte, Sein) dell’in-sé (Ansichheit, Geschick, Sollen) Contrarietà, Estremità, Steresi, Avvento, l’ultima epperò o la golgotea entificazione o deposizione configurazionale dell’altro lungo il Sentiero del Giorno, del differente, del contraddittorio, del corrusco, dell’essere, dell’atto, del presente. Con Pasolini dunque, e per Pasolini analizziamo lo slogan e il messaggio della campagna in questi giorni diffusa da una celebre corporation del chimico persona: “Perchè non importa chi sei, che capelli hai o che capelli desideri. Pantene ti sostiene.” “L’obiettivo è di celebrare la diversità di ogni persona e il potere che hanno i capelli nel trasformare la nostra sfera emotiva e sociale e il modo in cui affrontiamo le sfide quotidiane. La missione della campagna è abbattere pregiudizi e barriere, diffondere il più possibile nella società una cultura di inclusione e creare spazi sicuri per le persone LGBTQI+ che sono ancora oggi, purtroppo, vittime di abusi e discriminazioni.” [ https://pantene.it ]
Prima di procedere con l’analisi, e prima ancora di concederci alla presa voluttuosa dell’ostensione che dà testimonianza allo “scandalo”… Bisogna esporsi (questo insegna il povero Cristo inchiodato?), la chiarezza del cuore è degna di ogni scherno, di ogni peccato di ogni più nuda passione… (questo vuol dire il Crocifisso? sacrificare ogni giorno il dono rinunciare ogni giorno al perdono sporgersi ingenui sull’abisso). Noi staremo offerti sulla croce, alla gogna, tra le pupille limpide di gioia feroce, scoprendo all’ironia le stille del sangue dal petto ai ginocchi, miti, ridicoli, tremando d’intelletto e passione nel gioco del cuore arso dal suo fuoco, per testimoniare lo scandalo. [ Pier Paolo Pasolini, da L’usignolo della Chiesa Cattolica, 1948-1949] … lasciamo che la ripresa della stampa cosiddetta main stream ci aiuti nel comprendere l’importanza universale (sive globale o multinazionale) di questa campagna, tanto umanitaria quanto filantropicamente disinteressata: L'importanza di sentirsi bene con se stessi passa dai capelli, un importante veicolo di emancipazione […]. Ed è proprio nella sfera “comunicativa” ed emancipativa dei capelli che si inserisce Pantene con il nuovo capitolo Hair Has No Gender, la campagna lanciata a livello europeo che punta a celebrare la diversità di ogni persona e il potere che ha la nostra chioma nel trasformare la sfera emotiva e sociale di ognuno, in particolar modo dei membri della comunità LGBQTI+. […] Pensaci: quante volte nei saloni hai visto la distinzione tagli da donna, tagli da uomo? Saloni per donne, saloni per uomo? Se i capelli sono mezzo di espressione del nostro essere, chi non si colloca nelle canoniche etichette a chi dovrebbe rivolgersi per avere un semplice cambio look? "C'è necessità di creare spazi neutri", spiega l'hairstylist Kristin Rankin, in cui ognuno è libero di sentirsi a proprio agio e non etichettato […]. "Grazie a Pantene gli appartenenti alla comunità LGBTQI+ hanno fatto dei loro capelli un simbolo di indipendenza, di libertà, un'opportunità per affermare la loro diversità e unicità" continua Trapanotto (Samantha Trapanotto, vicepresidente dell'Associazione Libellula) […]. È bene ricordare che la vita è una e breve e meritate di provare a raggiungere la felicità come tutti.
[Come Pantene con la campagna Hair Has No Gender 2020 sostiene la comunità LGBQTI+, Francesca Scrimizzi, Cosmopolitan, 25/11/2020. Corsivi nel testo nostri.] Conosciamo ormai da diversi decenni la retorica del discorso del “Potere del nostro Tempo”, retorica fintamente buonista e ipocritamente inclusivista (per il Capitale, gli appartenenti alla cosiddetta comunità LGBTQI+, come individui, ossia al netto dell’essenza morfoclasta che ipostatizzano come “insieme” – essenza coerente allo stesso nostro attuale Zeitgeist, fluido e antitipico, caotico e aoristo, ulicamente riottoso ossia a qualsivoglia cosmizzante distinzione eidetica –, sono semplicemente quote di mercato, cluster di consumatori, e proprio in quanto tali devono essere emancipati ed eguagliati agli altri consumatori eterosessuali, come ossia e in quanto consumatori con pieno e paritario diritto di accesso al godimento e all’acquisto compulsivo e costante di beni e servizi pressoché adiafori), retorica qui quasi scientemente ripresa in molte occorrenze del proprio molteplice darsi, con necessità innervato all’Uno deuteriore dell’Indistinto: • Libertà “da” qualcosa, anzitutto, libertà ossia come iconoclastia ed emancipazione (dalle etichette identitarie sclerotizzanti e rigide, dalla tradizione, dalla Comunità [Gemeinschaft Vs Gesellschaft] e dai suoi doveri, da un passato sempre percepito con insofferenza, fardello di oscurità e ignoranza da cui finalmente affrancarsi per liberi librarsi nelle fluttuazioni del futuro arcobalenico, iride celebrante in verità il diverso tanto quanto il disco di Newton i colori primari dello spettro immanentemente bianco, neutro, nullo: questo esprime, infatti, autenticamente, il tópos della differenza così intesa, l’indistinzione della notte hegeliana, l’Uno ricolmo d’essere parmenideo, ché ente a ente accostasi, il Niente inautentico a cui l’evocazione di quegli “spazi neutri” dei quali si esorta la creazione echeggia ipostasi deittica, tanto quanto l’“unicità” irripetibile predicata come cifra del soggetto, l’Unicità dell’omologazione panica e plenaria); • Eudaimonismo (che, in questo orizzonte, è già e con necessità edonismo) come fondamento giusnaturalistico che non apre ad alcuna altra modalità esistenziale che non celebri l’immanentismo dell’eterno presente sempre eguale: guardatevi dall’ascesi religiosa!, che mortifica la vita illusoria in nome della vera Vita oltre la vita sensoriale; e guardatevi dall’ascesi laica!, che silenzia le sirene delle gioie del quotidiano e si dona sacrificale alla Storia (“È bene ricordare che la vita è una e breve e meritate di provare a raggiungere la felicità come tutti”, felicità che naturalmente non può prescindere all’acquisto di quel prodotto…). Se dunque ben ormai conosciamo che cosa – in Verità – celi la retorica di questo discorso del nulla inautentico (la voce genitivale pro-clama il nulla inautentico in modo parimenti [enantio-]mediale: il discorso è del nulla inautentico, poiché, a un medesimo tempo, e dice dell’Indistinzione, e all’Indistinzione stessa appartiene: il Capitalismo non è null’altro, infatti, si è più volte fondato, che l’Ur-Gestalt della
civilizzazione manchesteriana della Kultur di Faust, del contro-movimento ovvero dell’epoca apollinea con la quale si dà principio all’Era deuteriore dell’Originario o cronotopo dell’Aoristia compatta e conciliata), perché darne dello scandalo suo ulteriormente ostensiva testimonianza con lo scandalo dell'Alterità ascetica del corpo nudo ostenso e della carne trasfossa in voluttà di martirio di pasoliniana rammemorazione? Semplicemente perché il pathos dello scandalo – inautetico o a punto “civilizzato”, cioè trans-mutato dall’ubertosità della Ge-scichte alla sterilità della Ge-stell –, almo alimenta e ai più atro esso stesso discorso (épater le bourgeois), de-sacralizzando, sive de-potenziando e viepiù “anestetizzando” o annichilendo, la possibilità medesima dell’ex-plosione dell’etero-dossia, dell’Ex-centricità-in-sé ovvero o della Differenza assoluta di cui il Sacro stesso, autenticamente compreso, è Figurazione (Gestaltung). Sbalorditi e storditi dalle molte voci e dalle mille luci della moda e dell’advertising e dal loro pathos illuministico dell’antecedenza, della novità continua, della rottura di schemi e tradizioni, e della plusvalenza di una diversità precisamente e puntual- mente sempre intesa giacché neutralità an-identitaria o nientità indistinta (“no gender”) che tutto omni-afferra e omologa nell’identitario suo sottrarsi a qualsivoglia forma distintiva che salda invece stando conquisti onticità nel di-partire l’alterità tutta dalla coalescenza del sé, non sappiamo più udire la voce del Sacro, del- l’Assolutamente Altro (Ganz Anderes), non sappiamo più ritrovare il cammino verso il linguaggio (Der Weg zur Sprache) dell’Essere come DIA-ferenza-dall’ente, dal pro- fano, viepiù dimentichi ormai, come siamo, del suo stesso oblio. Solo riconquistandoci alla disponibilità dello Thauma e della sua presa con- quistatrice, solo nella rammemorazione della Differenza originaria dall’ente, po- tremmo scacciare l’attuale nostra afasia assuefatta e lotofaga, e riafferrarci a quell’arditezza che osi proclamare: “non fu così sempre, non sarà necessariamente così per sempre: un Orizzonte Altro è stato, un Altro Orizzonte è possibile ancora”. Solo riappropriandoci ovvero dell’esclusivamente nostra capacità di non-conciliarci mai con l’Essere-in-sé e scandalizzarci per questo “mondo che a noi, ultimi depositari di una visione molteplice, magmatica, religiosa e razionale della vita, appare come un mondo di morte”, potremo continuare a di-morare presso il Destino, se ancora un De-stino ci ad-tende, potremmo ossia continuare a com-piere la Storia-dell’Essere, epperò per-sistere presso la nostra quadruplice (Geviert) essenza che ha-sempre-da-essere-ancora, che da mortale (Sterblichen) e ctonia (Erde) tende all’Olimpo (Himmel) inclito (Göttern): Kléos Ouranòn ikánei. Alberto Iannelli
Puoi anche leggere