"Clarence Thomas "a parole sue"" - Alleanza Cattolica

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“Clarence Thomas “a parole sue””

Di Marianna Orlandi dal Centro Studi “Rosario Livatino” del 01/06/2020

Nel momento in cui le strade di Minneapolis, e dopo di essa di numerose città degli States, da New
York ad Atlanta, da Philadelphia a Los Angeles, da Phoenix a Denver, sono devastate da scontri fra
manifestanti e forze di polizia, da danneggiamenti e incendi, originate dall’uccisione di George
Floyd da parte di poliziotti di Minneapolis, proponiamo un profilo del Giudice “di colore” della Corte
Suprema degli USA Clarence Thomas: la sua storia personale attraversa pregiudizi, povertà e
conflitti, ma anche successo e coerenza ideale. È raccontata dall’avv. Marianna Orlandi, allieva del
prof. Mauro Ronco, conoscitrice attenta del mondo del diritto americano.

1.Meno noto di Antonin Scalia, ma suo degno successore quale voce giurisprudenziale almeno
altrettanto importante per il conservatorismo statunitense, il giudice della Corte Suprema Clarence
Thomas, classe 1948, è il protagonista del recentissimo documentario Created Equal: Clarence
Thomas in His Own Words. Auspicabilmente prossimo al formato DVD, il film offre una biografia
completa e “a parole sue” di un giudice che merita di essere conosciuto, e non soltanto dagli
avvocati [1].

Dalle quasi due ore di magistrale racconto-intervista emerge la storia di un uomo come tanti, ma la
cui vita riassume le massime tappe di un secolo storto, amplificandole tutte. Nato nella
segregazione e nella povertà, Clarence Thomas passò dal seminario alla lotta per il Potere Nero,
dalle manifestazioni pacifiste e di sinistra al rappresentare oggi l’anima più repubblicana degli Stati
Uniti. È però la tappa ultima e forse più conosciuta, quella della sua nomina nel 1991 alla Corte
Suprema, a dirci quale sia la vera minaccia del tempo presente. Il “linciaggio” mediatico di cui il
giudice fu vittima, mai esauritosi del tutto, suggerisce infatti che le nostre note di sottofondo non
siano più (come accade nel film) quelle di Moon River, bensì quelle della modernissima presunzione
di colpevolezza sancita da un mondo nel quale non è dato dissentire. Al tempo stesso, il giudice
Thomas, sopravvissuto sin qui a tutto, dalla povertà allo scherno, e uscitone sempre vincente, ci
insegna, soprattutto in quell’ultimo e crudele passaggio, quanto sia importante continuare: la storia
non è mai già scritta.

2. In un susseguirsi di primi piani che si mescolano a fotografie personali e a video di repertorio,
Thomas ci introduce alla sua vita parlandoci di antenati schiavi, provenienti dall’Africa occidentale.

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A casa, in Georgia, parlavano una sorta di dialetto creolo, il Geechee: la più autorevole voce
giurisprudenziale contemporanea a favore del diritto naturale, autore di più di 600 opinioni, imparò
l’inglese solo da grandicello.

Una mamma troppo giovane per tre figli, un padre che li aveva abbandonati… Dalla povertà nobile
della campagna in cui era nato dovette anche presto passare a quella ben più squallida e
intollerabile della città, quando un incendio distrusse la casa di Pin Point e la mamma li portò a
vivere a Savannah, dove lei lavorava come governante. Oggi meta di vacanze, la città era allora
“putrida” (testuale), priva di sistema fognario e totalmente segregata. Questo fu forse lo sfondo
peggiore della vita del giovane Thomas, ma durò molto poco.

La madre, incapace di crescere i figli da sola, decise di mandare lui ed il fratello a vivere dai nonni.
Una borsa della spesa – di quelle di cartone – per contenere quel che il futuro Giudice della Corte
Suprema allora possedeva; “e nemmeno piena”, ci racconta. Fu quindi il vecchio nonno, Myers
Anderson, che faticava anche a leggere, a divenire padre e maestro del futuro giudice: con poche
parole, ma con infinita disciplina.

La mattina la scuola, cattolica, al pomeriggio il lavoro, ovunque servisse. Nessuno sconto. Se si
fossero ammalati, il nonno li avrebbe mandati a lezione lo stesso. Nel caso in cui fossero morti — ci
racconta sorridendo il Giudice — ne avrebbe portato i corpi a lezione per tre giorni, per essere
sicuro che lo fossero davvero. L’educazione non era un vezzo: era il prezzo della libertà. Il nonno
Myers non era però animato da quella volontà di rivalsa o di vendetta che più tardi avrebbe travolto
il nipote. Egli leggeva biblicamente le apparenti condanne della vita: non era la segregazione di per
sé a causare le fatiche umane, ma il peccato originale, con la sua eterna condanna al lavoro.
Ciononostante, la conoscenza rendeva liberi e i nipoti lo dovevano essere.

3. Oltre che degli studi, in quella scuola di suore irlandesi Thomas si innamorò del messaggio
evangelico e decise di entrare in seminario. La scuola costava parecchio e il nonno acconsentì ad
aiutarlo, ma ammonendolo: sarebbe stata una scelta irrevocabile. Nero in mezzo ai bianchi, meno
preparato degli altri, Thomas dovette anche imparare quell’inglese “standard”, che ancora non
parlava, e con ciò abbandonare un pezzo della sua storia. Ma non chiese sconti, non gli era stato

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insegnato. Eccelse.

Amava le lodi, il gregoriano, i vespri. Quelli erano però anche gli anni delle lotte per l’uguaglianza,
ed egli cominciava a non comprendere e non amare una chiesa colpevolmente silente. Quando un
collega seminarista esplose di gioia per l’attentato a King e disse che sperava nella morte di “quel
figlio di puttana”, Thomas decise che quello non era più il suo posto.

Come da ammonimento, però, a casa del nonno non fu riaccolto. Nel momento di svolta e tra i più
difficili della sua vita, dovette così tornare, senza niente, dalla madre e ricominciare. Fu poi
ammesso all’Holy Cross College, in Massachusetts. Nonostante i suoi eccellenti risultati negli studi,
a contraddistinguere questo periodo della sua vita, racconta il giudice, fu la rabbia. Dopo
l’assassinio di Kennedy e di King, Thomas fece della razza e del razzismo la sua vera e unica
religione. Era arrabbiato, era perennemente in lotta. Divenne un attivista, e un “marxista radicale”,
così definisce il suo giovane sé. Il fratello, rientrato dal Vietnam, gli disse che non meritava di vivere
in America.

4. Tra una ribellione e l’altra si sposò ed ebbe un figlio. Entrò nella esclusiva Yale, dove studiò legge
e cominciò a trasformarsi, abbracciando idee sempre più libertarie. Thomas descrive
retrospettivamente la Yale degli anni 1970 più o meno come parleremmo di un golf club: chi
arrivava senza il giusto cognome, o il giusto amico, era inevitabilmente fuori luogo. Lui, per di più,
era nero. Perseverò, e ancora una volta eccelse. Al termine degli studi solamente una cosa gli fu
struggente: alla sua cerimonia di laurea non partecipò nessuno della famiglia. Aveva risalito la scala
sociale, ma era rimasto solo.

Poiché era comunque un afroamericano e un figlio di nessuno, i suoi voti e la sua preparazione non
bastarono a fargli avere il lavoro che desiderava. Per chi un po’ conosca la giurisprudenza del
Giudice Thomas, non è difficile comprendere che stia anche qui l’origine della sua sfiducia nelle
affirmative actions delle università americane: a suo avviso,le politiche assistenziali rischiano di
stigmatizzare doppiamente chi non potrà mai essere certo d’avercela fatta per merito proprio[2].
Infatti, poiché un nero che si laureava a Yale non valeva quanto un bianco, Thomas dovette
addirittura accettare di lavorare per un Procuratore Generale repubblicano, idea che gli suonava

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“repellente, nel migliore dei casi”. Da lì a una fama non del tutto desiderata il passo fu breve.

Dall’interno del sistema della giustizia penale, l’uomo cresciuto sudando e senza sconti, si accorse
che non tutti i neri che finivano in galera erano vittime di discriminazione razziale, come fino ad
allora aveva creduto. Alcuni neri erano dei veri criminali, come i bianchi. Fece personale esperienza,
o così almeno ci racconta, dei fallimenti delle misure assistenziali rivolte agli afroamericani, che in
quegli anni erano il mantra di qualunque progressista. Cominciava a vederle come esperimenti di
ingegneria sociale, fatti sulle spalle dei neri, che non insegnavano a nessuno quel che a lui aveva
insegnato un nonno forse molto duro… o molto saggio. Ebbe il coraggio di dire alcune di queste
cose a una conferenza. Quando finirono sui giornali, Clarence Thomas divenne un nero che non
aveva più diritto di essere tale. “There was no going back”. Fu rinnegato dai suoi, un traditore che
si era permesso di contestare l’opinione dominante, l’unica giusta.

5. Nel 1979, ormai segnato a vita, si trasferì a Washington DC, lavorando per quello stesso
Procuratore Generale che ora era diventato Senatore. E anche Thomas diventò Repubblicano; e
votò per Ronald Reagan. Entrò nella sua amministrazione e divenne Capo della Commissione
federale per le pari opportunità nell’impiego (EEOC). Furono anni non facili dal punto di vista
personale: il matrimonio fallito e il divorzio dalla prima moglie, poi la morte del nonno. A questi
eventi però si accompagnò la decisione di vivere per qualcosa di più grande, qualcosa di vero.
Trovò questo valore nel suo stesso paese, nei principi su cui si fondano gli Stati Uniti d’America.
Così, in quegli anni approfondì lo studio dei padri fondatori, e con essi quello del diritto naturale.
“All men are created equal” non è un titolo casuale. Nemmeno la scelta di quella frase da parte di
Thomas Jefferson lo era stata: a permettere la schiavitù—dice Thomas—non era stata l’America, ma
il tradimento degli ideali su cui era stata fondata. A guarire le ferite non sarebbero stati gli aiuti
dall’alto, ma la fedeltà di ciascuno a quei principi.

In quegli anni conobbe anche la donna che definisce un “dono di Dio”, e che da allora è sua moglie,
Virginia Lamp. La sua ascesa professionale giunse quindi al vertice; prima giudice federale, nel
1989, e poi la proposta di George H. W. Bush: la nomina alla Corte Suprema. E con essa il momento
in cui il futuro di Thomas dipese totalmente dalle lezioni apprese nella povertà e nella fatica, da un
nonno giusto e severo. Quella nomina, infatti, fu un vero e proprio calvario. Alcuni forse ne
ricorderanno le circostanze, ma è il caso di menzionarle: a me, nata nel 1985, e non aliena alla sua

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giurisprudenza, erano ignote.

6. Più o meno come di recente accaduto a Brett Kavanaugh, quando la sua nomina stava per essere
approvata dal Senato americano, Thomas fu accusato da una sua ex collega, la professoressa Anita
Hill, di molestie sessuali. Cominciò così un periodo che lui stesso definisce kafkiano. Prima l’FBI e
poi, ovviamente, la criminale fuga di notizie. Le accuse della Hill finirono su tutti i giornali e la
Commissione del Senato si trasformò in un processo mediatico. Da un momento all’altro il suo
onore fu ridotto al minimo, la sua privacy annientata. Si parlò, sulle tv nazionali, di una sua
passione pornografica e di sue frasi su peli pubici su lattine di coca cola. Una vita a brandelli: o
almeno ci provarono.

Tutta l’America—inclusa la moglie—aveva sentito Anita Hill parlare del futuro Giudice e delle sue
ipotetiche perversioni davanti alla Commissione. Thomas, esausto, avrebbe quindi potuto tacere ed
attendere l’esito del voto sulla sua nomina. Decise, invece, di replicare. Forse pregò prima di essere
sentito per l’ultima volta. Era troppo debole—dice la moglie nel film—per trovare in sé stesso la
forza racchiusa in queste frasi, rimaste nella storia (e riprodotte magistralmente nel documentario):

“Questa non è un’opportunità di parlare di questioni complesse privatamente o in un luogo
riservato. Questo è un circo. È una disgrazia nazionale.”

Rivolgendosi a un giovane Biden (sì, lo stesso Biden, oggi candidato democratico alle presidenziali)
con i toni e il volto di chi non piange solo perché la morte sarebbe per lui più decorosa, continuò:

“Dalla mia prospettiva, quale nero americano, per quel che mi riguarda questo è un linciaggio
‘high-tech’, riservato a quei neri arroganti che si siano in qualsiasi modo permessi di pensare per sé
stessi, di fare da soli, di avere idee diverse, ed è il messaggio che, a meno che tu non obbedisca a
un vecchio comando, questo è quello che ti accadrà. Sarai linciato, distrutto, oggetto di caricatura
da parte di una commissione del Senato degli Stati Uniti, anziché essere appeso ad un albero.”

Disse anche, Thomas, che non lo avevano ucciso la miseria, né il razzismo, né il KKK. Ma lo aveva
ucciso quel “processo”. Deve essere servito un nonno come il suo, Myers Anderson, per non
crollare, per non decidere di gettarsi da un ponte. Forse bisogna essere nati senza niente e non

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essere mai stati aiutati da nessuno per trovare in sé stessi la forza di continuare quando le
televisioni di tutto il mondo ti dipingono come un maiale. Un senatore al termine della sua
audizione gli chiese cosa gli avrebbe consigliato di fare suo nonno, se fosse stato vivo. “Di battermi
per ciò in cui credo”, rispose, “di non gridare aiuto” (“cry uncle” letteralmente), di “give out”
(donare), ma non “give up”(arrendersi).

7. A oggi il Giudice Clarence Thomas è un modello per molti. Le sue lucide opinioni, incluse quelle a
difesa della vita umana, non pretendono mai di sostituirsi alla legge, di violare, in nome di “più alti
principi” quella stessa Costituzione su cui si fondano (per la dicitura americana, Thomas è un
originalista). È famoso per il suo fare pochissime domande, ritenendo—così ci dice—che a parlare
debbano essere gli avvocati, non i giudici. La sua storia, tuttavia, non sarà mai liberata da
quell’ombra. Per molti altri egli è e resta colpevole, per sempre e senza processo. È però
ragionevole pensare che la battaglia che più conta l’abbia vinta lui.

La sua continua crescita conferma, ancora una volta, che il “sogno americano” non è frutto di
fantasie hollywoodiane, ma la storia di chiunque si prenda sul serio, e ovunque sia nato. Come
Davide contro Golia, il Giudice Thomas ha vinto un nemico che sembrava e ancora sembra
invincibile, dimostrandoci che non lo è. La sua storia è sembrata più volte già scritta: prima da un
padre che lo aveva abbandonato a Pin Point, poi nella miseria di Savannah, poi nell’estremismo del
college; ma ogni volta l’uomo ha prevalso, e la storia è andata diversamente.

La persona Clarence Thomas ha saputo alzarsi e proseguire con la forza di chi conosce sé stesso e i
propri limiti, ma non lascia che altri gli dica da che parte sia giusto andare. Questa è la lezione, e
per il resto rinvio al documentario.

Foto redazionale

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