CITTÀ VIVA 2019 PREMIO NAZIONALE DI LETTERE ED ARTI - ASSOCIAZIONE CULTURALE CITTÀ VIVA - OSTUNI
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Ostuni - Particolare del Borgo Antico e della facciata della Chiesa del Carmine
PREMIO NAZIONALE DI LETTERE ED ARTI CITTÀ VIVA 2019 ASSOCIAZIONE CULTURALE CITTÀ VIVA - OSTUNI
Copertina: Roberto Sibilano - Modugno (BA) Titolo: Senza Titolo Fotografia su forex, cm. 50x70 - 21 ottobre 2019 Omaggio al premio “Città Viva” © Copyright 2019 - Associazione Culturale “Città Viva” Via L. Pepe, 6 - Ostuni (BR) www.cittavivaostuni.it e-mail:cittavivaostuni@cittavivaostuni.it Il presente opuscolo è stato curato da Maria Sibilio, attuale Presidente protempore, in nome e per conto dell’Associazione Culturale “Città Viva”, da Michele Sgura, da Michele Suma e dal Promotore del Premio e Addetto alle Pubbliche Relazioni, Domenico Palmieri. Tutti i diritti sono riservati. 2019 Locorotondo editore MEDAGLIA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA conferita all’edizione del
Un motivo in più per crederci M entre scrivevo la prefazione a questo volume mi sono chiesto più volte quale fosse la sostenibilità culturale e la funzionalità sociale di una forma d’arte prestigiosa, delicata, raffinata, antica ma intramontabile come la poesia. Mi sono domandato se scrivere (e leggere) poesie sia un’attività in linea con la rivoluzione, anche antropologica, determinata dal digitale. Mi sono posto, cioè, il problema di verificare se l’abbandono dell’analogico a vantaggio di una traiettoria del pensiero in cui è tutto semplificato e polarizzato tra un like e un dislike rappresenti il congedo definitivo da uno strumento narrativo, evocativo, rappresentativo contestualizzante, unico e irripetibile come lo è appunto la poesia. La parola “cultura”, qui da intendersi come pratica di attivazione del significato della realtà e sulla realtà, almeno nella sua accezione più ampia corrisponde all’espressione “universo di conoscenze conoscibili”. Tutto ciò che può generare conoscenza e tutto ciò che agevola la diffusione di senso tra le persone può, a ragione, essere collocato all’interno della macro categoria “cultura”. In questa attività finalizzata alla individuazione delle bussole in grado di orientarci nei meandri della collettività, di fornirci la luce nel buio della cronaca, rileva anzitutto ciò che ci consente una connessione immediata e stabile tra significanti e significati saussurianamente intesi, ciò che può denotare e al tempo stesso connotare la realtà di cui facciamo esperienza continua. Tutta la sfida della comunicazione, specie se recuperiamo il valore aggiunto dell’approccio delle scienze sociali e nello specifico della sociologia, ruota intorno alla necessità di individuare e cavalcare forme di equilibrio dinamico tra l’ambiente reale che è ciò di cui facciamo esperienza diretta e personale, e l’ambiente simbolico che è ciò che entra a far parte della nostra esistenza attraverso costruzioni e ricostruzioni fatte da altri utilizzando simboli condivisi. Qualunque forma di linguaggio venga adoperato, verbale o non verbale che sia, il problema 7
da affrontare resta quello della segnalazione della sovrapponibilità dell’ambiente simbolico rispetto all’ambiente reale. Il termine “poesia” deriva dal greco poiesis che significa “creazione”. È importante la tecnica con la quale vengono attuate le leggi della metrica in contrapposizione a quelle della prosa, è fondamentale il modo in cui viene garantita la musicalità della sequenza dei versi, ma quello che alla fine fa la differenza è la postura, individuale o collettiva che sia. La postura assunta di fronte ai contesti che abbiamo l’opportunità di vivere ogni giorno, nella ricerca incessante di due obiettivi molto ambiziosi come verità e libertà. È questo ciò che unisce Pablo Neruda e Alda Merini da un lato e un “poeta” adolescente di una delle splendide cittadine della nostra splendida regione, la Puglia. Tutto si compone, scompone e ricompone all’interno del potere rappresentativo dell’arte che vale sempre e comunque. Che vale indipendentemente dalle sue diverse e variegate espressioni attuative. Come sosteneva Goethe, tutti dovrebbero ogni giorno ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro e, se possibile, pronunciare qualcosa di ragionevole. Conoscere e riconoscere. Vivere, ma non sopravvivere. Fondere e confondere. Specie in quest’epoca in cui si mescolano sapientemente dinamiche verticali e spinte orizzontali, la poesia ci insegna che conta sì parlare, ma ancor di più che è utile saper generare “ascolto memorabile”. Vale la pena di evidenziare che l’ascolto può essere attento se si rivolge al “cosa” e attivo se, invece, valorizza il “come” ovvero il contesto in cui il contenuto si sviluppa. La poesia è entrambe le cose. È pensiero che si fa azione, agitando le coscienze. È sentimento che si manifesta, ancorandosi al significato più profondo. È visione e condivisione. È un dentro ed un fuori. È ispirazione e persuasione. È suggestione e immaginazione. È armonia e sintesi. Disordine 8
e ordine o se si preferisce ordine e disordine. È perimetro semantico, ma al tempo stesso assenza di vincoli spazio-temporali. Come avviene del resto anche con le altre arti. È contemporaneamente atto linguistico locutivo, illocutivo e perlocutivo perché induce all’azione. Quasi sempre. Come sosteneva Aristotele, la poesia è organizzazione logica e gnoseologica. È ricerca di punti di contatto non precari tra il vero e il verosimile. È dubbio ed interrogativo costante. È spontaneità e introspezione per chi la genera e per chi la riceve in dono. Non importa chi produca poesia. Importa che si produca poesia. A maggior ragione nell’era della platform society. A maggior ragione nella stagione dei legami sociali deboli, del turbo pensiero, della liquidità delle relazioni interpersonali e dei processi di costruzione identitaria. Auguri a questi giovani giocolieri di parole che si cimentano in queste pagine con il furto delle nostre emozioni. La rivincita dell’anima dopo il primato del corpo. Non è poca cosa. Specie di questi tempi incontinenti, senza troppe remore anche se con molte regole. Francesco Giorgino Presidente Onorario del Premio 9
Custodiamo le bellezze della natura P oeti, scrittori, pittori del tempo passato e presente nei loro testi e dipinti si sono, quasi sempre, ispirati alle bellezze della natura, immagini stupende ricche di colori, profumi e suoni, creati da un grande artista qual è Dio per affidarle all’uomo e alla donna perché le custodiscano. Quanto desiderato da Dio non si sta verificando. C’è un degrado del nostro pianeta che trova conferma nei cambiamenti climatici. Tutto sembra andare in rovina: i ghiacciai si stanno liquefacendo; il mare, i laghi sono inquinati dalla troppa plastica e da materiali nocivi sversati nelle acque dall’uomo, indifferente al rispetto della natura; le città, bombardate a causa delle guerre, perdono le bellezze del creato e il patrimonio artistico lasciato in eredità dai nostri padri; gli incendi, spesso causati dalla negligenza dell’uomo, stanno bruciando intere foreste; i fumi delle fabbriche e delle macchine rendono l’aria irrespirabile. Papa Francesco nelle sue omelie e precisamente nell’enciclica Laudato sì, che si ispira al testo poetico composto da San Francesco (Cantico delle creature), invita tutti gli abitanti del pianeta di ogni religione e cultura a custodire la “casa comune”. L’enciclica del Papa parla anche di una “ecologia integrale”, ambientale, sociale, culturale della vita quotidiana, che protegge il bene comune e sa guardare al futuro. Il degrado del pianeta, ultimamente tema scottante, viene trattato nei convegni dai capi di stato, politici, gente comune e perfino dai giovanissimi che con le loro fiaccolate e slogan invitano tutti a proteggere la nostra cara Terra; ma cosa si sta realizzando per aiutare il pianeta? I programmi sono molti, le attenzioni poche. Gli Stati Uniti, non accettando gli accordi sul clima di Parigi del 2015, hanno ripreso a usare il carbone. Nessun anziano, adulto, giovane vuole rinunciare 11
alle moderne comodità, alla macchina, alla TV, al termosifone che ci riscalda, al cellulare, ad Internet. Oggi vivendo in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale sta modificando la relazione tra quello che è umano e quel che non lo è, diventa abbastanza difficile custodire la nostra bella “casa” diventata inospitale. La tecnologia ha cambiato le usanze del vivere donando benessere all’uomo, ma se usata male può portare alla distruzione non solo del pianeta, ma anche della salute umana, della moralità, di quella gioia e pace che vorremmo regnassero sempre nel mondo e nelle famiglie. Sarebbe bene, quindi, impegnarci noi per primi ad accettare un nuovo stile di vita nel nostro quotidiano, perché attraverso piccoli gesti di educazione civica iniziamo a mettere in atto il rispetto e la custodia del nostro pianeta, valorizzando non solo le bellezze del creato, ma nello stesso tempo la poesia, l’arte e la cultura. Domenico Palmieri Promotore del Premio 12
Città Viva, una presenza costante L a società contemporanea è molto mutata e continua a modificarsi per la moltiplicazione delle fonti di informazioni; è cambiato il modo di vivere, di pensare, di comunicare; è aumentata la popolazione, nella quale l’invecchiamento è più presente; sono raddoppiati i consumi di ogni genere. Il tutto ha portato, in pochi decenni, innumerevoli danni all’ambiente e una rottura degli equilibri naturali. Sono cambiate le relazioni sociali, i rapporti intercorrenti tra due o più persone, i sentimenti (amore, amicizia…), gli impegni sociali e le relazioni che possono essere profonde e stabili, ma anche transitorie e superficiali, orientate verso il raggiungimento di uno scopo comune. A condividere tutto questo cambiamento c’è l’associazione culturale “Città Viva” che, pur restando sempre giovane, compie 30 anni di attività; era infatti il 1990, quando si costituì l’associazione e si tenne la prima edizione del premio. Obiettivo principale era ed è la promozione culturale e sociale. Da allora fino ad oggi il Premio è cresciuto con le tante poesie e narrative pubblicate e i tanti poeti premiati. È stata la passione per la letteratura nelle sue diverse forme, che ha spinto e spinge ancora i soci ad impegnare il proprio tempo in favore di un’encomiabile attività sociale. Questo entusiasmo ha coinvolto anche me: sono orgogliosa di far parte di questo gruppo, che gravita intorno all’associazione Città Viva; è piacevole ritrovarsi ad eventi organizzati riguardanti varie iniziative formative, ed è appassionante leggere ogni anno le poesie e i racconti dei premiati. Ogni componimento lascia un’emozione suggestiva e sensazioni molteplici. Gli anni, comunque, trascorrono rapidamente ed eccoci oggi qui a celebrare il 30° anno di vita dell’associazione e del Premio. Auguri Città Viva! Carmen Anglani Segretario del Premio 13
La speranza è nei bambini V ivo immersa in un oceano di bambini. Tre figlie, tutte femmine, per volontà di un folletto dispettoso, anche questo di sesso femminile a mio avviso, che si è divertito nel contraddire mio marito nella sua puerile e testarda volontà di generare un figlio maschio. Ventiquattro alunni, di età compresa tra i cinque ed i sei anni, con cui, ogni giorno, insieme a due fantastiche colleghe, provo a fare esperienza di vita, di scuola, di comunità, divertendomi, dopo tanto tempo, ancora moltissimo. Quattro nipoti e svariati figliocci, anche loro indispensabili tessere di questo puzzle variopinto. E poi ultimi in ordine cronologico ma non in termini di collocazione affettiva, i bimbi che, da qualche settimana, incontro in parrocchia. Un totale di più di cinquanta bambini, con cui quotidianamente o settimanalmente provo ad interagire. Immagino che qualche adulto proverà a consigliarmi una camera di decompressione o una seduta dallo psicologo. Forse anche più di una. Ed alle volte mi convinco anche io di averne bisogno, quando rimango incantata davanti allo schermo della tv mentre Masha ed Orso ne combinano una di troppo o mentre sistemo le Barbie delle mie figlie, pensando nostalgica al momento in cui riuscirò a giocarci di nuovo (con loro ovviamente). Mi divertono i loro occhietti furbi, quando a scuola, provano a mettere le carote che a loro non piacciano nel piatto del compagno pensando di non essere visti. Mi piacciano quei guizzi delle loro testoline intelligenti, quando cerchi le parole per spiegare un concetto complicato e loro lo afferrano così’ velocemente che ti viene voglia di abbracciarli. Mi stupiscono i loro sguardi che non celano mai niente, porte aperte sulle loro anime e quella modalità di comunicare, con gli adulti e tra loro che non lascia spazio a malintesi. Mi piace il loro modo di essere coerenti, perché se ad un bambino insegni il valore della comunità e della “sorellanza”, come mi capita di dire alle mie figlie, lo impara senza se e senza ma. E non ci sono gradazioni o sfumature: una regola è una regola, un torto un torto, una promessa una promessa. Mi piace pensarli felici, abbracciati di 14
notte ai loro pupazzi del cuore o con la guancia appoggiata al cuscino rigata da una tenerissima lacrima sgorgata dopo un banale litigio con l’amica del cuore che domani sarà già evaporato, insieme alla lacrima. A loro, a tutti i “miei” bambini, dedico questa trentesima edizione del “Premio Culturale Città Viva”, a loro che sono poesia incarnata, che sanno essere rima, assonanza, sonetto, in maniera così naturale da chiedersi, a volte, se lo facciano apposta. A loro che sanno meravigliarsi, cimentarsi, stupirsi senza ne affanni ne fatica, che cadono e si rialzano perché la loro è sempre una partita aperta, dedico questo volumetto e tutti i suoi tesori. E dedico questo premio a tutti i bimbi che in questo momento in qualche parte del mondo, sono affamati, impauriti, smarriti. A quelli che non hanno più la sicurezza delle loro case, delle loro scuole, dei loro affetti, dei loro giochi. A quelli che nella fretta della fuga hanno lasciato il pupazzo della notte o la copertina della nanna ed ora sentono la tristezza depositarsi nel cuore. Ai “miei” bambini, quelli che mi fanno ridere ed anche arrabbiare (un po’) ogni giorno ed ai “nostri” bambini, quelli che facciamo finta di non conoscere, quelli che catturano fugacemente la nostra attenzione la mattina mentre vediamo le news sul web ma che al primo sorso di caffè abbiamo già dimenticato, a loro che ci scrutano con gli occhi affamati di pace e giustizia dalle pagine dei giornali o dagli schermi televisivi, a tutti loro, dedico questa trentesima edizione del premio. Con la fiducia e la speranza che in un futuro non molto lontano la vita di tutti i bambini, in ogni parte del mondo, possa ritornare ad essere spensierata e soave, come la meravigliosa musica di un trombettista dal cappello azzurrino, che suona, guardando incantato un incandescente sole al tramonto. Maria Sibilio Presidente Associazione Culturale “Città Viva” 15
30° PREMIO NAZIONALE DI LETTERE ED ARTI “CITTÀ VIVA” 2019 COMITATO ORGANIZZATORE Associazione Culturale “CITTÀ VIVA” - Ostuni PRESIDENTE ONORARIO DEL PREMIO FRANCESCO GIORGINO COMMISSIONE GIUDICATRICE PAOLA CIRASINO ROBERTA GRASSI SILVANO MARSEGLIA PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE MARIA SIBILIO PROMOTORE DEL PREMIO DOMENICO PALMIERI SEGRETARIO DEL PREMIO CARMEN ANGLANI 17
I Premiati 2019
Sezione A Poesia singola, in lingua italiana, a tema libero
Sezione A / Poesia singola, in lingua italiana, a tema libero Primo Premio Bilanci Fiero ho navigato, come vela gonfiata dal vento, le acque calme del mio tempo innocente. Sfidavo l'ansia d'ignoto e mi cullava il calore del sole e il tepore di certe notti stellate. Non scorgevo gli abissi disperati tra le verdi trasparenze del mare né lampi squarciavano il mio cielo ubriacato di stelle. C'era il fresco odore di acque chiare, lunghe giornate di luce e notti incantate di luna piena. Poi, all'improvviso, paludi malsane e il sole pigro, avaro di baci. Solo ritagli di cielo, intermittenti, consolano la mia terra e attraverso rapido la notte buia fidando nell'alba. Sento di aver vissuto il tempo di una stagione, lo spazio di un'illusione. E mentre la mia vita come titoli di coda veloce scorre tra le dita percorro strade silenziose di pagine immacolate ove docile m'arrendo ai dettati dell'anima. Francesco Palermo - Torchiarolo (BR) Motivazione della Giuria: La delicata narrazione in versi di una stagione matura e consapevole della vita, con tutte le sue zone d’ombra e il velo di amarezza che non sconfina tuttavia nel rimpianto. Tanto equilibrio nel linguaggio: ogni parola scelta sembra adatta ad esprimere la precisa sensazione del protagonista. Il messaggio è di speranza, di accettazione dell’inesorabile corso del tempo. Versi eleganti e leggeri che inducono alla riflessione. Nella lirica l’autore fotografa le fasi del suo cammino esistenziale affidandole ad efficaci immagini poetiche. 23
Sezione A / Poesia singola, in lingua italiana, a tema libero Secondo Premio Al figlio che verrà Ti parlerò di questo cielo blu, del vento che sfiora i tuoi capelli, ti porterò al mare, ti insegnerò a nuotare, ti parlerò del sole che riscalda i nostri visi, ti parlerò della soffitta che nasconde i miei segreti e ti aprirò la porta dei miei sogni. Cammineremo a piedi nudi sulla sabbia, le onde accarezzeranno la nostra pelle, stringerò forte la tua piccola mano e ti lascerò andare quando sarai pronto a volare. Ti racconterò di me, ti narrerò la nostra storia, ti parlerò del nostro amore e dell'amore che provo per te. Ti insegnerò cos'è l'amicizia, la sincerità. Tu imparerai a sorridere ed amare, ti parlerò del dolore, come ignorarlo, imparerai a vivere... giocando. Ti insegnerò dove sono gli sbagli. Ti parlerò dei miei soliti dubbi. Tu crescerai e imparerai le cose buone, ma anche quelle meno buone. Saprai dire grazie, al momento giusto, ti parlerò della primavera e nell'autunno dei miei giorni, stringerai forte le mie mani, ed allora, capirai, quanto ti ho insegnato. Maria Vetrugno - Ostuni (BR) Motivazione della Giuria: Intensa poesia di forte impatto emotivo che rievoca con efficacia il sentire di una madre, mettendo in luce il valore di sentimenti e la necessità di tramandarli. La poesia coinvolge il lettore e fa comprendere quanto amore e speranza abbia l’autrice. 24
Sezione A / Poesia singola, in lingua italiana, a tema libero Terzo Premio Paesaggio bucolico Tripudio d'intorno di caldi colori m'abbagliano un giorno. Trafitta da un raggio autunnale mi adagio mollemente per farmi cullare da quest'atmosfera silente. E intanto ritorna la mente al luogo natio: casetta di pietra, bovini pascenti, farfalle volanti, profumo di bosco e di viole nascenti. La mano laboriosa di chi all'opre si appresta e ripete quei gesti di rito che fan dell'agreste paesaggio una festa. Sul viso, le rughe profonde son simili a solchi di zolle incise dal sonno perduto e dalla costante fatica. Ma è quella la vita di chi la bucolica piana ricolma di doni preziosi. Rosangela Abbrandini - Monopoli (BA) Motivazione della Giuria: Poesia compatta. Attraverso i versi arriva l’eco della vita bucolica. L’autrice richiama con efficaci immagini liriche il luogo natio dal “profumo di bosco e di viole nascenti”, che quel luogo rende fertile e ricco di doni. Il linguaggio è consono alle immagini che evoca. 25
Sezione A / Poesia singola, in lingua italiana, a tema libero Segnalazione della giuria Ale e Simo (Cugini Oltre La Vita) Due pianeti che ruotano nella stessa orbita, nella stessa atmosfera. Due palloncini arancioni improvvisamente librati nell'aria, le mani unite verso un'amicizia immortale. Addio anime, grazie per avercene lasciato l'aroma. Manuel Micheli - Viareggio (LU) Motivazione della Giuria: Brevissima ma intensa poesia. Il tema dell’amicizia viene sviluppato poeticamente con immagini efficaci e delicate. 26
Sezione A / Poesia singola, in lingua italiana, a tema libero Segnalazione della giuria Legami di sangue Voglio credere che il mattino abbia ancora i tuoi occhi di quando eri bambina, che la sera sarà fatta di abbracci stretti prima dell'ora di sonno. Che il destino non sia stato ancora scritto perché ci saranno angeli che ti salveranno acchiappandoti in volo. Crederò ancora ai lacci che legano strette le vite, al sangue che scorre caldo e veloce che unisce e divide. Allo stupore dell'uno che si spezza e diventa miracolo, ma che conserva intatta la remota memoria di un cuore che batte per due. Ai baci che profumano di miele ai pizzichi sulle gote rosse di gioia. Credo ora al sorriso dipinto sulla mia faccia scavata dal pianto di quando chiuderò gli occhi per sempre 27
Sezione A / Poesia singola, in lingua italiana, a tema libero Segnalazione della giuria e sussurrerò al mondo in un soffio, contento: guardate questa è mia figlia. Maria Grazia Pispico - Guagnano (LE) Motivazione della Giuria: Un amore sconfinato per una figlia. Una celebrazione dolcissima del miracolo della vita e del rapporto unico che lega una mamma alla propria creatura, descritto in tutta la sua meraviglia. Parole semplici per una poesia che si legge d’un fiato, e non scade nella banalità. 28
Sezione B Poesia singola, in vernacolo, a tema libero
Sezione B / Poesia singola, in vernacolo, a tema libero Primo Premio Na gòccia dʼacqua Na gòccia dʼacqua ì nnu marë grànnë pë llu criàtë ca iʼna rièschʼa vvétë, cummʼa nnu fërmamèndë ca së spànnë indʼa nnʼimmensità ca na ssë crétë. Na gòccia dʼacqua càtë indʼa llu marë, së mmèšca e ssë pèrdë mmiènzʼa llʼàndë. Pëccènna po cùmmʼìtë, manghë pàrë: nu nièndë ca viàggia appièrsʼa llʼàndë! Lu màrë cu lla tèrra e ccu lla lùna, lu sòlu cu lli štèddë crëštallìnë, li ténë lʼunivèrsë a jùnë a jùnë: prëncìpië na ssë vètë e mmànghë finë. E ië, ca àgnë ccósa štò mmësùrë, e àgnë vvònda mʼagghjùštë chèssa fàccë, më pèrdë e cchjù na ssò sëcùrë: qquà mmiènzë cë štò ffàzzë, ...na llu sàccë! Rosario Santoro - Ostuni (BR) 32
Sezione B / Poesia singola, in vernacolo, a tema libero Primo Premio Traduzione: Una goccia d'acqua - Una goccia d'acqua è un mare grande / per il creato tanto piccolo che non riesco a vedere, / come un firmamento che si distende / in un'immensità difficile da immaginare. / Una goccia d'acqua cade nel mare, / si confonde e si perde in mezzo alle altre. / Piccola com'è, nemmeno si scorge: / un niente che viaggia assieme alle altre. / Il mare con la terra e con la luna, / il sole con le stelle cristalline, / li possiede l'universo ad una ad una: / principio non si vede e nemmeno fine. / Ed io, che ogni cosa sto a misurare, / e ogni volta mi aggiusto questa faccia, / mi perdo e più non sono sicuro: / qui in mezzo che ci faccio, ...non lo so. Motivazione della Giuria: Rime accurate. L’io emerge solo all’ultimo verso, segue alla descrizione del creato ed al senso profondo della vita dove tutto è nulla, a seconda della prospettiva. Da qui poi, l’introspezione ed i quesiti più profondi sulle ragioni della propria esistenza. Interrogativi destinati a rimanere irrisolti e per questo adatti ad una poesia. 33
Sezione B / Poesia singola, in vernacolo, a tema libero Secondo Premio La forze de scì nnanze Adavère assà crudèle sape ièsse cusse munne... Si na varche sènza vèle ca oramà ha fernùte m-bunne... Tu, uaggnòne resolùte, iìve sèmbe attìve attive... ma u destìne pò ha velùte ca fernìve a la derìve... Na cadùte do motòre, l'èsestènze t'ha arunàte; mò stà a ccambe ind'o delòre e te sìinde ngatenàte! Non accìtte, fìgghie mì, ca nom buète camenà... Ma sì vvive, gràzzie a Ddì! E iè iòre de lottà! Cercondàte do u-affètte, l'afflezziòne l'ha da bbatte! Chèssa vite non ze scètte! E pedènne ha da chemmàtte! Emanuele Zambetta - Bari 34
Sezione B / Poesia singola, in vernacolo, a tema libero Secondo Premio Traduzione: La forza di andare avanti - Davvero crudele / sa essere questo mondo... / Ormai sei una barca / smarritasi in fondo al mare... / Tu, ragazzo risoluto, / eri tanto attivo... / ma la sorte ha voluto / che finissi alla deriva... / Un incidente in motocicletta / ti ha rovinato la vita; / ora vivi nel dolore... / e ti senti incatenato! / Ti disperi, figlio mio, / per aver perso l'uso delle gambe... / Ma grazie a Dio sei vivo! / E non puoi mollare! / Circondato dall'affetto dei cari, / sconfiggerai l'afflizione! / La vita è comunque preziosa! / E perciò devi combattere! Motivazione della Giuria: In questa lirica molto musicale emerge chiaramente la convinzione che “nulla finisce” e dalle lacrime e dalla sventura si rinasce purchè ci sia la volontà e la forza. Molto efficace il vernacolo. 35
Sezione B / Poesia singola, in vernacolo, a tema libero Terzo Premio Tonidde di poste Mminze u paeise o mjire fure, a ogni poste Jire facële ch'acchieie, Tonidde di poste. Pe jidde, ormai soule, a strade jire veite cäse, pëttiche. Na tenaie nëmeiche. Ndruppëcaie nu picche poure a parlè u dialette ma pi poste chʼaia mette se fasciaie u patte. Ceʼ appirse i solde avaie mire o feiche seccäte pe iedde sëmpleciotte ai 'rreiscioute a sciurnäte. A saire achiudaie i cunte jinte u suttäne, tante pe mangè, tante pu vizzie du foume, saià' rrucchè ' do solde pe nu cremmäne diaule ca rumanaie all'addescioume! Certe paisäne senza scrubele i ʽgnorante u pegghienne poure a carecatoure ma Tonidde sciaime proprie na jire chiuttoste gelouse du proprie mestjire. Fintante ca na saira tarde fu pegghiäte de ponte. Acchienne a di doppe stennoute n'derre `ngudde ancure a cascette pu trapene du mëstire a strade pe Tonidde ai dèventate prucatoure. Apollonia Angiulli - Fasano (BR) 36
Sezione B / Poesia singola, in vernacolo, a tema libero Terzo Premio Traduzione: Tonino il conciapiatti - In mezzo al paese o verso la campagna, un pò dovunque / era facile incontrarlo, Tonino il conciapiatti. / Per lui rimasto ormai solo, la strada era vita, / casa e bottega. Non aveva nemici. / Si esprimeva con qualche difficoltà anche in dialetto / ma per le "poste" che aveva da mettere patteggiava prima. / Se oltre i soldi aveva del vino o qualche fico seccato al sole / per lui umile era andata meglio la giornata. / A sera chiudeva i conti nel suo sottano, / tanto per mangiare, tanto per il vizio del fumo / doveva mettere via due soldi per un domani / a costo di restare, se necessario, digiuno. / Certi paesani privi di scrupolo e ignoranti / lo prendevano anche in giro / ma Tonino scemo non lo era davvero, / semmai geloso del proprio mestiere. / Finché una sera, era già buio, fu investito. / Lo ritrovarono la mattina dopo allungato a terra / in spalla aveva ancora la cassetta con il trapano del suo mestiere, / la strada per Tonino era diventava sepoltura. Motivazione della Giuria: L’autrice ha descritto con grande umanità, forte impatto emotivo e precisione fotografica la persona alla quale si riferisce, comprendendo e condividendone le sensazioni. Il vernacolo consente di inserire meglio il personaggio nel suo ambiente che gli esprime viva solidarietà. 37
Sezione B / Poesia singola, in vernacolo, a tema libero Segnalazione della giuria Allu Crucifissu Te uardu, o Crucifissu mpisu a casa, e nu penzieru forte me ncatìna; stai mpisu: "Lu tristu cu nnu trasa", ma, a fiate, li tristi simu nui, e simu certu pesciu te dha spina ca te punge, mutu de cchiui. Carlo Vincenzo Greco - Lecce 38
Sezione B / Poesia singola, in vernacolo, a tema libero Segnalazione della giuria Traduzione: Al Crocefisso - Ti guardo, o Crocefisso appeso in casa, / ed un pensiero forte mi incatena; / stai appeso perché la cattiveria non entri, / ma, a volte, i cattivi siamo noi, / e siamo certo peggiori di quella spina / che ti punge in fronte, molto di più. Motivazione della Giuria: La poesia, con un linguaggio preciso ed evocativo, pur nella sua brevità, comunica il proprio messaggio in maniera forte e dirompente. 39
Sezione C Narrativa, in lingua italiana, a tema libero
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Primo Premio Helena Quell'inverno era stato lungo e difficile. Eppure a Breza, un paese distante 25 Km da Sarajevo, gli abitanti sono abituati al freddo della montagna e ci convivono da sempre. Ma quell'anno aveva nevicato più del solito e per diversi giorni il paese era rimasto immobile, con le piramidi di Visoko imbiancate in lontananza, in una atmosfera ovattata e quasi fiabesca. Da piccola Helena aveva sempre fantasticato su quel paesaggio naturale così singolare e caratteristico e lo aveva amato a tal punto da chiedere a suo padre di costruirle una piccola casa di legno sull'albero di carrubo in giardino per poter ammirare la bellezza del panorama. Era stato il più bel regalo di compleanno che una bambina di otto anni potesse avere e lei ne era sempre stata orgogliosa perché suo padre, nel costruirla poco per volta dopo il duro lavoro in miniera, ci aveva messo davvero tanto amore. Non avrebbe mai pensato che pochi anni dopo quella casetta sarebbe diventata un valido nascondiglio... Col passare del tempo, Helena era cresciuta molto. La sua bellezza sfiorava appena quella dell'etnia bosniaca: i lineamenti del suo viso erano molto raffinati e gentili, tanto da farla apparire una ragazza francese e i suoi occhi azzurro cielo impreziosivano il volto ancor più del suo sorriso. Il suo corpo, magro, perfetto e sinuoso, con la pelle chiara e liscia, non aveva bisogno di indossare abiti costosi per mettere in mostra tutta la sua eleganza. Nei giorni di neve a Breza la miniera di carbone restava chiusa e molti operai del luogo, se non avevano già speso i loro soldi per ubriacarsi, vagavano per le strade del paese sfaccendati e annoiati. Helena temeva molto che arrivassero quei giorni. Aveva paura di quell'uomo alto e robusto con un enorme tatuaggio sul braccio destro che, subito dopo la morte di suo padre, si era letteralmente "insediato" in casa con il compito di proteggere lei e sua madre, affranta dal dolore. In realtà Helena conosceva Adam da sempre visto che era stato il migliore amico di suo padre e spesso da piccola aveva condiviso con lui anche le escursioni primaverili sulle montagne di Visoko quando, amorevolmente, durante il percorso, le raccontava stravaganti storie di minatori e raccoglieva per lei quei graziosi tulipani selvatici gialli che crescevano nel sottobosco. 43
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Primo Premio Ma dopo l'incidente in miniera che era costato la vita a suo padre, ormai quasi adulta, Helena aveva improvvisamente colto una strana metamorfosi: Adam la guardava in modo diverso, serio e cupo, e spesso arrossiva in viso mentre parlava con lei. Il suo comportamento era cambiato anche nei confronti della mamma: non era più cordiale e rispettoso come quando, nelle fredde sere invernali, il papà lo invitava a cena e a dormire nella cameretta-ripostiglio per alzarsi poi all' alba e recarsi al lavoro in miniera. Adam appariva scorbutico, arrogante e un po' prepotente, diventava irascibile per un nonnulla e spesso rivendicava quasi il suo ruolo di capofamiglia perché portava a casa il salario di minatore. Di certo non era questo che suo padre aveva inteso con le parole "... prenditi cura di loro..." poco prima di morire in quella maledetta miniera.... Inoltre, dopo circa un mese, di notte Helena aveva cominciato a sentire inconsueti rumori e qualche diverbio provenire dalla camera da letto, sospettando che Adam volesse approfittare di sua madre la quale, inerme nel silenzio delle ore notturne, non aveva il coraggio di ribellarsi. Ben presto quel sospetto si era rivelato più che fondato: una mattina la mamma l'aveva svegliata molto prima del solito, sconvolta, in lacrime, con un occhio gonfio, e le aveva chiesto se Adam si fosse comportato in modo strano anche con lei. Soltanto allora Helena aveva capito perché spesso nei fine settimana sua madre l'aveva incoraggiata a recarsi presso la zia, che viveva in campagna poco lontano da Breza, con lo scopo di trascorrere un po' di tempo con i cuginetti... vero obiettivo era tenerla lontana da quell'uomo per proteggerla. Il primo istinto fu quello di scappare via dalla sua casa. Avrebbe potuto farlo, magari trasferendosi definitivamente dalla zia, ma non voleva lasciare sua madre sola ad un triste destino con quell'uomo terribile. Incredula, spaventata e preoccupata, guardando sua madre subire ripetuti abusi, Helena cercava invano un modo per affrontare la situazione; più di una volta si era recata al comando di Polizia ma non aveva trovato il coraggio di entrare e denunciare quello che stava accadendo. Di pomeriggio, dopo la scuola, saliva nella casetta di legno sull'albero, si avvolgeva nella sua morbida trapunta, e restava lì per ore a studiare, a leggere racconti e a ricordare gli abbracci di suo padre quando da piccola gli manifestava la sua abilità nella lettura. 44
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Primo Premio Quanto le mancavano le sue parole e il suo sorriso... Ma, se chiudeva gli occhi e liberava la mente, riusciva a sentirlo lì, proprio accanto a lei, a tenerle la mano e a scaldarle il cuore con la sua voce affettuosa che le diceva... "completa i tuoi studi sei molto brava e avrai sicuramente una vita migliore lontano da questo paese insignificante...". Era da poco cominciato il primo inverno senza di lui ed Helena sentiva già che sarebbe stato il più freddo di tutta la sua vita... e non soltanto per il dolore causato dalla morte del padre... La presenza di Adam aveva portato gelo ovunque nella casa. A cena Helena doveva sforzarsi di apparire normale, perché evitare lo sguardo lo avrebbe imbestialito; così parlava con la mamma della scuola e di cose futili per distrarsi dal disagio che provava. Di notte, per sentirsi meno indifesa, chiudeva la porta a chiave e sperava di addormentarsi prima di dover sentire rumori e gemiti provenire dall'altra stanza. Poi il freddo inverno portò in casa l'influenza ed Helena si ammalò per prima. Senza poter andare nella sua casetta non si sentiva più al sicuro e la mamma, che la capiva perfettamente soltanto guardandola negli occhi, non la lasciava mai da sola in casa, soprattutto quando Adam poteva rientrare. Purtroppo in uno di quei giorni accadde qualcosa che avrebbe reso l'inverno un vero e proprio incubo e, piu tardi, "condannato" Helena a separarsi da sua madre. A causa della febbre alta, la mamma era uscita per acquistare una medicina più efficace, lasciandola sola in casa, non immaginando che Adam rientrasse prima ed entrasse nella stanza della ragazza, cominciando ad accarezzarla. Helena era intontita per la febbre e inizialmente trovò gradevole il freddo di quelle mani sul suo corpo caldo; poi ad un tratto, senza nessuno scrupolo, Adam si slacciò i pantaloni e lei capi le sue intenzioni perverse ed ignobili... Non ebbe neanche il tempo di reagire: la febbre alta e la paura di quello che stava accadendo le fecero perdere conoscenza. Quando si riprese, la mamma era accanto a lei con aria triste e preoccupata: le aveva cambiato il pigiama, messo un panno bagnato sulla fronte e cercava di rassicurarla con le sue premure materne. Pur essendo turbata, per non far soffrire ulteriormente sua madre, Helena mostrò di 45
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Primo Premio sentirsi meglio e cominciò a sorriderle nascondendole lo sgomento di non ricordarsi assolutamente nulla dei momenti precedenti... Fortunatamente guarì presto e dopo pochi giorni potè tornare a scuola e alla sua semplice vita con l'unica differenza che spesso di notte aveva un incubo spaventoso ricorrente: sognava Adam davanti a lei con un ghigno in volto mentre la spogliava e la legava con una catena. Helena capì che ormai non poteva più restare in quella casa e cominciò a raccogliere risparmi ed oggetti preferiti, nascondendoli poco per volta nel suo amato rifugio. Anche la mamma condivideva quella decisione, seppure con molta sofferenza, e sperava che sua figlia decidesse di trasferirsi dalla zia, così da restarle relativamente vicina. Helena invece non solo sentiva di dover ascoltare il consiglio di suo padre, ma in cuor suo sperava che allontanarsi da quei luoghi e andare a vivere in un altro paese, le avrebbe permesso di dimenticare quell'inverno terribile e ricominciare una nuova vita. Perciò appena concluso l'anno scolastico e conseguito il diploma, avrebbe preso il treno per Spalato e di lì il traghetto per l'Italia, dove lo zio materno le aveva trovato un posto di lavoro come baby sitter presso un rinomato albergo della costa adriatica ed essendo anche abbastanza vicino alla città di Modena, in inverno avrebbe potuto frequentare e proseguire i suoi studi. E così eccola in viaggio mentre le montagne di Visoko apparivano sempre più lontane dal finestrino del treno: lei che non aveva mai viaggiato su un mezzo pubblico e non si era mai allontanata più di 30 km da casa, ora, con il coraggio in mano, affrontava da sola l'inizio di una nuova esistenza. Nella valigia, la foto dei suoi genitori, pochi indumenti ed effetti personali, i libri che le aveva comprato il papà e il suo ultimo regalo di compleanno: una scatola contenente carta e penna per poter scrivere poesie e racconti. Il bagaglio più pesante era però ciò che si portava dentro: un passato felice, una famiglia spezzata, una verità che non sapeva di conoscere, uno strappo sul cuore da dover ricucire con molte difficoltà... E poi ... quell'incubo che perseguitava le sue notti. Il viaggio non le sembrò molto lungo: mentre le ore trascorrevano si sentiva sicuramente ancora triste e sola, ma in lei il seme della speranza stava crescendo sempre più vigoroso. Fu la vista del mare a darle una piccola grande gioia: era la prima volta che poteva ammirarne la bellezza, sentirne il rumore e percepirne 46
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Primo Premio l'odore, restandone veramente affascinata. E appena realizzò che la sua nuova vita sarebbe iniziata proprio in un paese sul mare, capì che da quel momento esso sarebbe stato per lei un bene prezioso. Assorta in questi pensieri, mentre guardava stupita lo spettacolo del tramonto sul mare, Helena ebbe finalmente il flashback che avrebbe cancellato per sempre le sue angosce. Improvvisamente riuscì a ricordare tutto con chiarezza: quel giorno d'inverno sua madre, arrivata giusto in tempo, aveva allontanato con destrezza Adam da lei e lo aveva supplicato di non toccare la ragazza mai più. In cambio gli aveva promesso di essere remissiva, consenziente e di dargli un figlio come già più volte da lui richiesto. Quante lacrime bagnarono il suo volto Helena lo ricorda ancora: trascorse la notte di navigazione con il pensiero fisso rivolto alla madre, che si era praticamente immolata per difenderla e darle un futuro migliore, come aveva auspicato suo padre. Arrivata in Italia, l'ultima inaspettata sorpresa: nel giardino del suo posto di lavoro, esattamente di fronte all'alloggio a lei assegnato, si ergeva un bellissimo albero di carrubo che sembrava essere posto lì come un guardiano attento e premuroso. In un attimo Helena si sentì più rasserenata e fiduciosa: l'addio alla sua terra le sembrò meno doloroso e, sorridendo, pensò che a volte l'universo e proprio strano perché, in qualche modo, ci fa finire proprio nel posto in cui vorremmo essere. Giovanna Sgherza - Molfetta (BA) Motivazione della Giuria: Attraverso un racconto realistico, ambientato in Bosnia, l’autrice ci coinvolge in una triste vicenda familiare che si conclude in maniera serena e ricca di fiducia nel futuro per la protagonista. Interessante la storia, per nulla comune: attraversando una brutta pagina della propria vita, la protagonista ritrova se stessa e la memoria, una volta fuggita dalle proprie origini, in un altro posto nel mondo. Gradevoli le descrizioni, interessante la suspence che cattura il lettore e ne attira l’attenzione fino all’ultimo rigo. 47
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Secondo Premio Il riscatto delle zie I Il biglietto da visita trovato nella tasca di mio marito pubblicizzava un B&B da sogno: WI-FI, tv satellitare, aria condizionata, e... in un'alcova tutta bianca, appena illuminata da luci soffuse, una piscina riscaldata il cui azzurro dell'acqua sembrava promettere momenti di assoluto relax. "Via dei Cordari due"? Un indirizzo che conoscevo. C'era solo una Via dei Cordari nel mio paese e il numero due corrispondeva a quella che un tempo era stata la casa delle zie di mamma. Quel biglietto aveva scatenato in me una serie di ricordi e al contempo acceso la mia curiosità; cosa ci faceva nella tasca di mio marito? Qualcuno gli aveva chiesto di pubblicizzare il B&B presso chiunque cercasse un posto esclusivo o una location particolarmente elegante? Se fosse stato in casa gliene avrei chiesto il motivo; ma mio marito era a una riunione di lavoro, a suo dire una di quelle noiosissime riunioni programmate che generalmente si concludono con una cena tra colleghi e grande capo. II Mia nonna era costretta a recarvisi a malincuore tutte le domeniche, io invece ero felice di accompagnarla. Mi piaceva andare a casa delle zie perché al centro della saletta, nel vassoio poggiato sul tondino di legno, c'erano sempre i dolcetti di mandorla che mi facevano gola, con tutte quelle ciliegie candite di vari colori, chicchi di caffè e pezzi di cedro. Il vassoio di dolci non era lì per essere mangiato, fungeva da soprammobile e la diceva lunga circa lo stato sociale della loro famiglia del quale le tre signorine andavano orgogliose essendo stato, il mio bisnonno, ufficiale di cavalleria. Lungo il tragitto mio nonno era solito ripetermi che, se proprio lo avessi desiderato, avrei potuto prenderne uno ma solamente dopo una lunghissima insistenza da parte delle zie. Non potevo farlo di mia spontanea volontà, dovevo aspettare che mi fosse offerto più volte e poi ringraziare e mangiarlo lentamente senza divorarlo. Non potevo dare a vedere di essere affamata, mi avrebbero 48
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Secondo Premio criticata dicendo che sarei diventata come mia nonna: in sovrappeso e poco raffinata. Mia nonna era una donna del popolo, figlia di contadini, e con tutto il suo daffare trovava sempre il tempo di sbrigare tutte le faccende, recarsi alla funzione del mattino e cucire abiti per tutta la famiglia, me compresa. Una volta per il giorno del Corpus Domini mi aveva confezionato un abito bianco fatto di pizzi e mussola fina e, poggiando sulle mie spalle uno scialle turchese come il cielo di maggio, mi aveva detto: "Sei la bambina più bella del mondo". Per le zie invece non lo ero. Una sera le avevo sentite parlare del mio viso: non avevo un profilo greco e poi avevo gli occhi chiari e le labbra troppo carnose. Mia nonna non le sopportava; quando ne parlava con me definendole "zitelle rinsecchite" sembrava davvero molto compiaciuta dell'appellativo che aveva loro appioppato. A me invece piacevano da morire, mi piaceva quando ci informavano circa il vicinato, il parentado e le malefatte di Don Aurelio che ripetutamente chiedeva soldi per consolidare la sua parrocchia. Mi piacevano le loro vocine nasali accompagnate da movimenti aggraziati e mi piaceva pure come inforcavano gli occhiali sulla estrema punta del naso. E poi mi piaceva la casa delle zie perché guardava la piana degli ulivi secolari e il mare. Sapevo che era un'ampia dimora del Settecento ma non ne avevo mai visitato il piano superiore. Ogni volta che andavamo a trovarle eravamo ospitati nel "mezzanino", un piano intermedio tra il piano terra e il primo piano, composto da un minuscolo ingresso, un'alcova che dava su una finestrella, un bagnetto e infine un vano che ospitava il salottino in stile liberty. Non ero interessata al resto della casa perché stare nel "mezzanino", che aveva le volte basse, era come stare nella casetta delle bambole. Anche i mobili e gli oggetti di quella stanza destavano la mia curiosità. L'arredamento mi piaceva tutto; in particolar modo ammiravo un bauletto di fattura locale, intagliato nel legno di quercia alla maniera del primo Novecento che faceva bella mostra di sé su un'angoliera bianca di ferro battuto posta al lato della saletta. Non ho mai visto mia nonna prendere un dolcetto dal vassoio delle zie. Con fare 49
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Secondo Premio canzonatorio e mai in presenza di mio nonno, diceva che oltre a non saper cucinare, erano diventate così magre per via della guerra durante la quale avevano smesso di mangiare perché troppo schizzinose; lei, al contrario, sapeva come fare le migliori focacce di tutto il quartiere, le verdure di campagna in pastella, le olive dolci soffritte e la cotognata. Di solito, invece, la casa delle zie non odorava di cibo ma quel giorno l'odore di frittura si andava diffondendo per tutto l'isolato. L'ospite speciale ero io. Mia madre mi aveva detto che, se fossi andata a trovarle a mezza mattina, mi avrebbero sicuramente invitata a pranzo e dalla loro casa sarei stata a un tiro di schioppo dalla piazza del paese da dove sarebbe partita la processione dedicata al Santo Patrono. A dirla tutta non si trattava della processione istituzionale di fine agosto quando le autorità sfilano in pompa magna dietro al Santo. Si trattava di una processione occasionale che molti ignoravano ma di cui ero a conoscenza perché le zie, che tutto sapevano, ce ne avevano parlato proprio la domenica precedente durante la solita visita settimanale. Mai v'era stato un mese di maggio più torrido di quello: gli ortaggi e gli ulivi sembravano contorcersi per la sete. I contadini dicevano che il Santo doveva uscire per le strade del paese per rendersi conto personalmente di come fosse arida la terra e preoccupata la gente. Non era la prima volta che la statua d'argento massiccio, nella cui bocca veniva posta una sarda salata, era portata in spalla da quattro uomini a turno. Il Santo, che aveva sempre protetto quel paesino del sud, avrebbe respirato quel- l'aria immobile, densa e scolorita come acqua tinta di calce; avrebbe ascoltato le preghiere di povera gente afflitta dalla paura della fame che, con i volti bruciati dal sole e le mani callose, a capo chino seguiva la processione. Avrebbe provato l'arsura della sete accentuata dalla sarda salata e si sarebbe impietosito intercedendo presso il Padreterno per far scendere la pioggia. A me l'idea di prender parte a quella processione entusiasmava. Ero felice, tutta presa dall'evento, contenta di dover assistere a una sorta di rituale magico. Le zie non erano d'accordo, non vedevano di buon occhio che partecipassi alla lunga passeggiata 50
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Secondo Premio col Santo che mi avrebbe mischiata al "popolino". Solo zia Lisetta con la sua vocina nasale diceva che la devozione andava aldilà della distinzione tra classi e che lei personalmente mi avrebbe accompagnata; tuttavia, durante la processione, l'avevo vista storcere il naso appena un signore ricurvo col berretto tra le mani, le aveva chiesto, in dialetto, informazioni circa la funzione serale. A mio parere zia Lisetta era un po' innamorata di don Aurelio e non perdeva occasione di mostrargli quanto fosse pia e devota partecipando alle processioni dove lui era presente. III Non percorrevo Via dei Cordari da anni. Sapevo che dopo la morte di zia Marietta (la più giovane, quella con gli occhi macchiati di giallo) la casa era stata venduta a una persona che non conoscevo ma, francamente, non sapevo che il "mezzanino" fosse diventato un B&B. Quel biglietto aveva scatenato in me una serie di ricordi e al contempo acceso la mia curiosità. Non so se per un attacco acuto di nostalgia o se per pura curiosità, decisi di recarmi in quella via, di ripercorrerla immergendomi nei luoghi della mia infanzia, cosa che in genere evitavo poiché i momenti di nostalgia mi procuravano un sottile malessere. Mio figlio dormiva beatamente; lo adagiai nel marsupio facendo attenzione a che non si svegliasse e m'incamminai verso quella parte della città antica oramai percorsa solo da ombre del passato e numerosi turisti alla ricerca di un mondo quasi dimenticato. Quando scorsi la casa in lontananza, fui abbagliata dal luccichio della calce con cui era stata imbiancata e contemporaneamente il mio sguardo si posò su una coppia che, ridendo di gusto e ignara d'esser vista, si chiudeva l'uscio alle spalle. "Ma quell'uomo era mio marito? E chi era quella donna vestita di verde? Cosa ci facevano assieme?". Il cuore mi batteva all'impazzata e avevo la sensazione che di lì a poco avrei perso i sensi. Il cielo sembrava stinto, l'aria attorno si era fatta densa e pesante tanto da non permettermi di respirare. Mi resi conto che dovevo appurare che fosse lui, che non potevo scappar via prima 51
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Secondo Premio di aver verificato si trattasse davvero di mio marito. Mi avvicinai al portale e poggiai le dita sul campanello, quasi come se lo stessi appena sfiorando, illudendomi per un istante che in casa non ci fosse nessuno. Il bimbo prese a piangere. La donna che aprì la porta aveva un'espressione meravigliata e, percependo la mia sofferenza, mi guardò con aria interrogativa aspettando che le comunicassi il motivo per il quale avessi bussato alla sua porta o quantomeno la ragione del mio malessere. Non ce ne fu bisogno: dall'alcova illuminata di azzurro e con aria indignata per essere stato disturbato in un momento importante, uscì mio marito. Appena mi riconobbe, la sua espressione si fece sbigottita e le uniche parole che riuscì a pronunciare furono: "Ma che ci fai qui?". Fui assalita da conati di vomito e rabbia, in preda a un dolore amaro che mi paralizzava le gambe. Non risposi, mi girai di scatto e scappai via, allontanandomi velocemente dalla casa di pietra che, fiera e indifferente, si stagliava in tutta la sua lucentezza nel grigio del cielo sovrastante il colle più alto del paese, di fronte alla piana di ulivi, guardando il mare. Correvo come una furia mantenendo il marsupio con le mani, sapevo che lui mi stava dietro perché in lontananza sentivo il mio nome perdersi nel vento. Non gli avrei dato modo di raggiungermi, di parlarmi, di rassicurarmi con una rete di menzogne. Intanto, dal mare, arrivava un vento fresco che minacciava tempesta e che si portava dietro l'odore di salsedine e gelsomino. La sua voce andava affievolendosi perché a sua insaputa mi ero fermata nel bar della piazzetta per ripararmi dalla pioggia. Aveva preso a diluviare, senza preavviso, proprio come quel giorno di un fine maggio della mia infanzia, dopo aver partecipato alla processione con zia Lisetta. Nell'aria umida c'era l'odore di verde proveniente dalle piante della villa comunale che finalmente intingevano le radici nella terra inzuppata. La voce di mio marito era svanita del tutto, risucchiata dai vicoli stretti nei quali si era infilato per cercarmi. Quando, dopo una buona mezzora, uscii dal bar, aveva smesso di piovere da qualche minuto. Me lo trovai di fronte completamente inzuppato; mi 52
Sezione C / Narrativa, in lingua italiana, a tema libero Secondo Premio tese le braccia per prendere bimbo e marsupio e le uniche parole che disse furono: "Non è come credi". "E come pensi che io creda che sia? La verità è che penso tu sia un bugiardo. Mi hai fatto credere di essere ad una noiosa riunione di lavoro e invece eri con quella donna nella casa delle zie...". Mi rispose che era una collega fuorisede a cui aveva prenotato un posto dove dormire presso il B&B di un suo amico; aggiunse che era con lei perché l'aveva accompagnata a recuperare le valigie durante l'intervallo tra la riunione e la cena, poi avrebbero raggiunto gli altri colleghi...". Quando gli chiesi il motivo per il quale le tenesse il braccio sulla spalla, mi rispose che lo aveva fatto per pura galanteria. Probabilmente erano scuse, anche la storia dell'amico che gli aveva chiesto di promuovere il suo B&B, sembrava una scusa. Non credetti a una sola parola di quel che disse ma stranamente mi sentii molto sollevata, l'aria prese a fluire regolarmente nei miei polmoni e improvvisamente il peso che avevo sul cuore si fece più leggero mentre mio marito guardava me e nostro figlio con aria spaesata e disorientata, come se avesse appena scampato un grosso pericolo. Nonostante fossi una persona solitamente impulsiva, la mia reazione fu pacata; gli chiesi semplicemente di condurmi a casa delle zie adducendo la scusa di voler vedere come era stata ristrutturata. In realtà volevo cercare il più piccolo dettaglio che potesse dare una risposta ai miei dubbi e alleviare la mia inquietudine e, perché no, rivivere le stesse emozioni di quando ero bambina. Il pavimento della casa, realizzato con cementine del primo Novecento, era stato completamente recuperato. Bypassando ingresso e alcova, mi precipitai immediatamente in camera da letto realizzata in quello che un tempo era stato il salottino e in cui le pareti bianco latte contrastavano con il tortora delle lenzuola; sul letto disfatto era adagiata una coperta ad intaglio che, tuttavia, non mostrava né segni di stropicciature né dettagli che potessero testimoniare che mio marito avesse consumato un momento d'amore in quel posto. Nell'alcova era stata realizzata una 53
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