Cimitero Definizione-Etimologia - Amazon S3

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Cimitero

Definizione-Etimologia
Dal greco koimetérion, dormitorio, latinizzato in coemeterium,
in italiano C. è parola relativamente antica, introdotta nel
linguaggio comune solo nel XIV secolo. Nel latino
ecclesiastico spesso è definito come asylus circum ecclesiam,
rifugio, asilo per i vivi e per i morti. È il luogo destinato
a ospitare i defunti, in terra (inumazione) e in loculi
(tumulazione) o ad accogliere le urne cinerarie e a consentire
la dispersione delle ceneri in appositi giardini.

Processo formativo
È parte integrante dello scenario urbano da quando Costantino,
venendo meno alla decima legge delle XII Tavole (450-451 a.C.)
– Hominem mortuum in Urbe ne sepelito neque urito – autorizzò
la sepoltura dei re cristiani all’interno delle chiese e
scelse per la propria (337 d.C.) il sagrato della basilica di
Costantinopoli, dando così inizio a un processo di inurbamento
dei cadaveri, favorito dal diffondersi della fede nel dogma
della resurrezione associata al culto dei martiri e delle loro
tombe. La morte, vista come sonno eterno, non incuteva più
paura; i defunti, chiamati “dormienti”, venivano sepolti nel
coemeterium (dormitorio), solitamente collocato apud
ecclesiam, all’interno o nell’intorno delle chiese, in quello
spazio circostante l’edificio che costituiva i “passus
ecclesiastici in circuitu ecclesiae”, i cosiddetti dextros.
Tuttavia, nel Medioevo, il C. non era soltanto un sepolcreto.
La stessa parola designava anche un luogo in cui si era smesso
di seppellire, o dove non si era mai seppellito alcuno, ma che
assolveva comunque a una funzione importante per la vita
cittadina: era un foro, una piazza, dove i vivi si
incontravano per i loro interessi spirituali e temporali, per
svolgere giochi, commerci, scambi, nobili e meno nobili
affari; era anche il posto in cui si stipulavano atti
giuridici e in cui si leggevano pubblicamente le sentenze; e
dove avvenivano particolari reclusioni: persone votate alla
vita eremitica, ma anche criminali che la giustizia aveva
condannato a essere murati per sempre.
Per molti secoli la vita e la morte si divisero i medesimi
spazi, sino a quando, nelle prime decadi del XVIII secolo,
l’invasiva presenza dei sepolcreti urbani apparve come una
seria minaccia per la salute pubblica. Inchieste e rapporti
medici costituirono la premessa per la costruzione dei primi
C. collettivi capaci di garantire, attraverso una puntuale
conoscenza del ciclo evolutivo del corpo umano, igiene e
sanità per la comunità dei viventi. In questo senso si
collocano, ad esempio, i C. di Ferdinando Fuga realizzati a
Roma (C. dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia, 1740;
demolito) e a Napoli (C. delle Trecentosessatasei fosse,
1762), o quello di Francesco Valeriano Dellala di Beinasco per
Torino (C. di San Pietro in Vincoli, 1777), recinti
geometricamente scompartiti, caratterizzati da una successione
di camere voltate, ermeticamente serrate da chiusini in
pietra, nelle quali venivano calati i corpi, spesso avvolti
solo in semplici sudari.
A questi primi atti fecero seguito ancora decenni di indagini
e progetti, che portarono, non senza tenaci opposizioni del
clero così come del popolo, all’editto firmato da Napoleone a
Saint-Cloud il 12 giugno 1804 (esteso ai territori italiani il
5 settembre 1806), con il quale si stabiliva il definitivo
allontanamento dei sepolcreti dalla città, fissando i criteri
per la creazione dei moderni impianti cimiteriali extra
moenia.
Poco dopo, Alexandre-Théodore Brongniart iniziava il progetto
per il C. parigino del Père-Lachaise, ricorrendo al tema della
sepoltura in seno alla natura quale simbolico gesto di laica
riconciliazione dell’uomo con la morte. Sullo stesso esempio
di C. parco si realizzeranno anche gli impianti di Vienna,
Amburgo, Barcellona e, nel XX secolo, il C. sud di Stoccolma.
A esso si contrappone il C. edificio, nel quale il manufatto
architettonico prevale nettamente sull’elemento naturale.
Secondo questo modello, chiaramente desunto dal Camposanto di
Pisa, verranno conformati la maggior parte dei C. italiani
ottocenteschi – si vedano, tra gli altri, il Vantiniano a
Brescia (1815), il C. di Staglieno a Genova (1835), il Verano
a Roma (1855), il Monumentale a Milano (1863).

Formazione del cimitero contemporaneo
Espulsi i luoghi di sepoltura dalla città, i progettisti dei
primi impianti cimiteriali collettivi inizialmente tesero a
trasferire nei campi aperti una generica idea di semplicità e
sicurezza,    spesso    priva   di  specifica    traduzione
architettonica: per costituire un nuovo C. sembrava essere
necessario, a volte sufficiente, un recinto, per lo più
quadrato o rettangolare, una croce e una cappella sepolcrale.
In breve però si iniziò a far ricorso a immagini ritenute più
consone a interpretare la solennità del tema e alle geometrie
semplici si sostituirono composizioni più articolate.
Fin dai primi progetti apparve tuttavia evidente come il
programma architettonico di questa struttura, i cui termini si
possono alternativamente e senza forzature trasferire dalla
città ai C. in un continuo scambio di rimandi e citazioni,
fosse prevalentemente affidato alla risoluzione del recinto
cimiteriale (reinverato limes della società moderna, perimetro
invalicabile e simbolico, inizialmente un semplice muro
trasformato poi, sul tipo delle strutture conventuali, in
struttura più complessa caratterizzata da una sequenza di
portici e cappelle); degli accessi (le porte attraverso cui
celebrare i riti di passaggio); dei percorsi esterni (i viali
di collegamento con la città) e interni (direzionalità
principali e secondarie); del centro della figura geometrica
(punto privilegiato, mundus protetto dal timore sacro,
occupato da una statua, dalla croce o anche da un faro, come
nel caso del C. di Brescia, motivo desunto dall’architettura
cimiteriale francese); degli edifici principali (la cappella
sepolcrale, le sepolture particolari, gli annessi cimiteriali)
posti, a seconda del ruolo simbolico e funzionale, in
posizione nodale (cioè all’intersezione dei percorsi) o polare
(cioè alla terminazione dei percorsi o alla intersezione dei
percorsi fondamentali dell’impianto); e quindi della
distribuzione planimetrica del suolo attraverso una maglia
geometrica, per lo più ortogonale, matrice organizzativa e
regolatrice dell’intero impianto.
Nel primo Novecento italiano, terminata la Grande Guerra,
l’interesse generale si sposta sui problemi legati alla
ricostruzione e l’architettura funeraria assume essenzialmente
il carattere evocativo dei sacrari militari e dei memoriali,
eretti sui luoghi di sanguinose battaglie – Monte Grappa
(1935), Montello (1935), Redipuglia (1938), ad esempio – o di
feroci massacri – Memoriale delle Fosse Ardeatine, Roma
(1944-1949). Per alcuni decenni non si bandiranno più concorsi
né verranno edificati C. di particolare rilevanza. La cultura
architettonica italiana dimostra difficoltà a tornare a
occuparsi della definizione dei luoghi di sepoltura: per la
ricostruzione delle città appena uscite dai conflitti
occorrono soprattutto abitazioni, interi quartieri, e poi
scuole, fabbriche e uffici. Gli ampliamenti dei recinti
cimiteriali, dove necessari, vengono affidati per lo più
all’opera dei tecnici delle amministrazioni comunali,
ricercando spesso nell’applicazione pedissequa degli articoli
della vigente normativa (nel 1934 viene approvato il Testo
Unico    delle   Leggi    Sanitarie)     risposte    ritenute
incontrovertibilmente soddisfacenti. Alcuni di questi
progetti, i più raffinati, sono informati alla contemporanea
architettura nordeuropea, mostrata nelle mirabili raccolte di
C., crematori e monumenti funerari redatte da Roberto Aloi.
Solo a partire dagli anni Settanta, in ragione della sensibile
crescita delle città e di un rinnovato interesse verso le
architetture collettive, e quindi anche verso i C., vengono
indetti numerosi concorsi – tra i quali si ricorda quello
largamente celebrato per l’ampliamento del C. di Modena
(1971-1982) – o affidati incarichi a professionisti esterni
alle strutture comunali, inaugurando una sorta di pratica
ancora ampiamente diffusa.
Concorsi nazionali e internazionali, nuove costruzioni o
ampliamenti di grandi e piccoli C., da allora si susseguono
costantemente, caratterizzando gli ultimi vent’anni di
produzione architettonica con complessi altamente espressivi e
rappresentativi.
Pur nell’estrema varietà delle proposte, e nelle evidenti
contaminazioni tra i modelli, la ricerca sembra ormai
stabilizzata sulle due rotte precedentemente fissate. Il
modello che si diffonde maggiormente è quello del C. edificio
desunto dalla tradizione latina dei C. monumentali
ottocenteschi: si vedano gli esempi di Parabita (1967-1982),
di Terni (1986-2005), di Arezzo (1992-2004), di Voghera
(1995-2000), sino ai più recenti impianti di Piratello, Imola
(1997-2001) o di Silvi (2009). Più rare le soluzioni che
prevedono invece il ricorso a immagini naturalistiche proprie
del C. parco, e tra queste il C. di Longarone (1966-1972),
quello di Villa Coviolo a Reggio Emilia (1980-1985) o il
progetto mai realizzato per Urbino (1974) a cui per alcuni
aspetti si ispirano i C. di Ciampino (1981-98), di Baschi
(1994-1997) e di Villanova, Pordenone (1997-1999).
Nelle ultime decadi del XX secolo si è inoltre riscontrata
anche in Italia una sensibile diffusione della cremazione,
sebbene ancora per lo più concentrata nelle regioni
settentrionali, con la conseguente edificazione di impianti –
si veda, ad esempio, il crematorio di Brescia (2002-2004) o
quello di Parma (2009) – dotati non solo di forni ma anche di
sale per il commiato, nicchie cinerarie per la deposizione
delle urne e giardini della memoria nei quali effettuare la
dispersione delle ceneri.

La progettazione
Nei suoi termini più specificamente tecnici la progettazione
cimiteriale attualmente è disciplinata dal Regio Decreto
1265/1934 (Testo Unico delle Leggi Sanitarie), dal d.p.r.
285/1990 (Regolamento di Polizia Mortuaria) e dalla circolare
esplicativa del Ministero della Sanità n. 24 del 24.06.1993
(restando comunque intesi i rimandi alle disposizioni sulle
strutture in cemento armato, a quelle sulle costruzioni in
zona sismica, nonché alla normativa sull’eliminazione delle
barriere architettoniche, sulla prevenzione degli infortuni e
sulla sicurezza sul lavoro).
Tali norme stabiliscono le parti dell’impianto cimiteriale e
definiscono le dimensioni minime e le caratteristiche
costruttive dei singoli elementi, a seconda delle tecniche e
dei procedimenti edilizi adottati (con lavorazioni interamente
in opera o mediante l’utilizzo di componenti prefabbricati).
Sono parti del progetto: le strutture di ingresso (portineria
e custodia; locali per squadre di necrofori, giardinieri,
operai; magazzini attrezzi; rimesse e officine per mezzi
meccanici), il recinto, le percorrenze interne (principali e
secondarie), i campi per inumazioni comuni (anche per diverse
religioni), i colombari per loculi e quelli per ossarietti,
l’ossario comune, le sepolture private (campi di inumazione,
cappelle ed edicole funerarie soggette a concessione), la
camera mortuaria, la sala per autopsie, i depositi di
osservazione e obitori, il crematorio, oltre agli uffici
amministrativi e ai magazzini di deposito temporaneo di
rifiuti.
La normativa stabilisce anche le dimensioni delle zone di
rispetto tra i cimiteri e i centri abitati (almeno 200 metri;
art. 57 d.p.r. 285/1990) da lasciare inedificate (ma
utilizzabili per ospitare parcheggi e aree verdi o strutture
di servizio a uso cimiteriale).
Sulla scelta dell’ubicazione di una nuova struttura
cimiteriale influiscono molteplici fattori e valutazioni
igienico-funzionali, quali ad esempio la qualità del terreno o
l’analisi dei venti dominanti, il decentramento ma anche la
facilità di comunicazione con la rete viaria urbana.

Bibliografia
Aloi R., Architettura funeraria oggi, Milano, 1959; Ariès P.,
L’Homme devant la mort, Paris, 1977 (Trad. it. L’uomo e la
morte dal Medioevo ad oggi, Bari, 1980); Bertolaccini L.,
Città e cimiteri. Dall’eredità medievale alla codificazione
ottocentesca, Roma, 2003; Curl J.S., A celebration of death.
An introduction to some of the buildings, monuments and
settings of funerary architecture in the Western European
tradition, London, 1980; Etlin R.A., The architecture of
death. The transformation of the cemetery in eighteenth-
century in Paris, Cambridge, 1984; Latini L., Cimiteri e
giardini. Città e paesaggi funerari d’occidente, Firenze,
1994; Giuffrè M., Mangone F., Pace S., Selvafolta O. (a cura
di), L’architettura della memoria in Italia. Cimiteri,
monumenti e città. 1750-1939, Milano, 2007; Ragon M., L’espace
de la mort, Paris, 1981 (Trad. it. Lo spazio della morte,
Napoli, 1986); Strappa G. (a cura di), Ediliza per il culto.
Chiese-Moschee-Sinagoghe-Strutture cimiteriali, Torino, 2005.

Photogallery

Parigi, Cimitero del Père-Lachaise, T. Brongniart, 1812 circa.
Planimetria generale con otto vedute prospettiche.

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Brescia, Cimitero Monumentale, R. Vantini, 1815 e anni
seguenti. Planimetria generale.

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Brescia, Cimitero Monumentale, R. Vantini, 1815 e anni
seguenti. Planimetria generale.

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Modena, ampliamento del cimitero di planimetria generale;
sulla destra il recinto del Cimitero di San Cataldo, A. Rossi
con G. Braghieri, 1971-82.
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Urbino, ampliamento del cimitero, planimetria generale, A.
Pomodoro, 1974.

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Voghera,   quinto   ampliamento   del   Cimitero   Maggiore,   A.
Monestiroli con T. Monestiroli, 1995-2003. Veduta della corte
interna.

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