BIOACUSTICA E ECOLOGIA ACUSTICA

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ManualeDiAcustica   2 aprile 2015   17:54   Page 803                 

                                                     BIOACUSTICA

                                                                                                                   Capitolo 18
                                             E ECOLOGIA ACUSTICA*

                 La bioacustica studia le emissioni acustiche degli esseri viventi, compreso l’uomo, per com-
                 prenderne i significati, perlopiù nell’ambito della comunicazione e dell’ecolocalizzazione.
                 Nata come complemento dell’etologia, si è rapidamente sviluppata a partire dagli anni
                 Cinquanta del secolo scorso, fino a diventare disciplina autonoma e a dare origine a nuovi
                 ambiti come l’ecologia acustica che abbraccia il più ampio campo dei rapporti fra gli es-
                 seri viventi, i loro segnali acustici e l’ambiente in cui vivono. In questa visione entra anche
                 il problema del rumore prodotto dalle attività umane e dell’impatto che può avere anche
                 sugli animali, sia in ambiente terrestre e aereo sia in ambiente acquatico. In anni recenti,
                 grazie allo sviluppo dell’elettronica e dell’informatica, queste discipline hanno assunto un
                 ruolo importante nel monitoraggio dell’ambiente naturale e della biodiversità.


             18.1
             PREMESSA
             La bioacustica studia i suoni e i rumori prodotti e percepiti dagli animali e
             dall’uomo, gli organi di emissione e ricezione, gli aspetti neurofisiologici che ne
             controllano la produzione, la ricezione e la comprensione, le caratteristiche, i si-
             gnificati, e anche le possibili utilizzazioni pratiche per le attività e gli interessi
             umani. Questo capitolo riguarda più propriamente la bioacustica zoologica, la-
             sciando ad altri specialisti la bioacustica umana, oggetto della fonetica e delle
             discipline mediche sui disturbi della fonazione e dell’udito (vedi in particolare i
             Capitoli 16 e 17).
                 È qui opportuno ricordare che il suono è una sensazione creata dal cervello in
             conseguenza della ricezione da parte del sistema uditivo di variazioni periodiche
             di pressione rispetto alla pressione atmosferica, in una gamma di frequenza
             che per l’uomo va da circa 20−30 Hz a circa 15−16 kHz; per essere percepite
             queste fluttuazioni devono essere superiori alla soglia di udibilità che, come già
             visto altrove, corrisponde convenzionalmente a una pressione acustica di circa
             20 µPa (a 1 kHz). Specie diverse dall’uomo hanno una diversa percezione di

             ∗
                 Gianni Pavan.

                                                                         
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                               queste fluttuazioni su frequenze che spaziano da pochi hertz a quasi 200 kHz,
                               con sensibilità anche molto diverse. Benché in origine il concetto di suono fosse
                               strettamente legato ai limiti percettivi dell’uomo, nell’ambito della bioacustica
                               si intendono come suono tutte le frequenze emesse o percepite da un organismo.
                               In ambito bioacustico si considerano anche i molti organismi che percepiscono
                               le vibrazioni del substrato e in alcuni casi comunicano tramite vibrazioni. Su
                               questi argomenti esiste una vasta letteratura scientifica, in questo capitolo si
                               riportano alcuni riferimenti selezionati relativi a testi sia di importanza storica
                               sia di produzione recente.
                                    Nel corso dell’evoluzione, il suono si è affermato nel mondo animale come
                               eccellente strumento di comunicazione nonché di percezione e indagine dell’am-
                               biente. L’uso del suono si è sviluppato negli invertebrati (insetti e crostacei),
                               ma soprattutto nei vertebrati, sia acquatici sia terrestri; in particolare nei pesci,
                               anfibi, uccelli e mammiferi, esclusi i rettili. Rispetto alle altre forme di comunica-
                               zione, chimica, tattile, visiva, con le quali si integra a differenti livelli, il suono
                               consente di modulare con basso dispendio di energia infiniti messaggi che si pro-
                               pagano velocemente in ogni direzione e a grande distanza. Alcuni gruppi animali
                               hanno anche sviluppato la capacità di indagare l’ambiente circostante tramite
                               l’emissione di brevi segnali e l’ascolto dei relativi echi (ecolocalizzazione).
                                    La forma di comunicazione più complessa è il linguaggio dell’uomo (Lieberman,
                               1968; 1980). Nato come esclusivamente sonoro si è anche affermato nella forma
                                                                                                                        
                               scritta, visuale, contribuendo in modo significativo alla sviluppo della cultura
                               umana. Il linguaggio dell’uomo si sviluppa principalmente con l’apprendimento,
                               fatto che consente una evoluzione molto rapida, anche nell’ambito di poche
                               generazioni e offre la possibilità di apprendimento continuo anche di lingue
                               diverse. Negli animali osserviamo una trasmissione genetica delle caratteristiche
                               sonore in insetti, pesci, anfibi e uccelli non canori, mentre negli uccelli canori
                               e nei mammiferi compaiono diverse possibilità di apprendimento (ad esempio
                               l’imprinting, una forma di apprendimento limitata a un breve periodo dopo la
                               nascita), imitazione e anche di innovazione (Gould, Marler, 1986).

                               18.2
                               CENNI STORICI
                               Già negli scritti antichi si ritrovano osservazioni sui suoni emessi dagli animali che
                               nell’Ottocento i naturalisti hanno incominciato ad interpretare come linguaggio,
                               cioè a considerarli funzionali alla sopravvivenza delle specie e, in definitiva, parte
                               integrante dei meccanismi che regolano il funzionamento degli ecosistemi. È però
                               con la nascita degli strumenti per registrare, riprodurre e analizzare i suoni che
                               la bioacustica ha potuto avere un effettivo sviluppo sia in campo scientifico
                               sia applicativo, riconoscendo anche l’esistenza di segnali acustici infrasonori e
                               ultrasonori non percepibili dall’uomo.
                                    Emblematica è la storia di Lazzaro Spallanzani, il quale nel 1700 osservò
                               la straordinaria capacità dei pipistrelli di volare sia nella completa oscurità sia

                                                                   
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             accecati, evitando in entrambi i casi sottili fili tesi sul loro percorso (Castellani,
             1994). Solo tappando loro i canali uditivi con della cera individuò nell’udito lo
             strumento che consentiva di evitare gli ostacoli, ma non conoscendo l’esistenza
             degli ultrasuoni, non udibili dall’orecchio umano, non poté comprendere che i
             pipistrelli emettono brevissimi impulsi ultrasonici e ascoltano gli echi generati
             dall’ambiente circostante. Solo nel XX secolo nuovi strumenti rivelarono l’esistenza
             degli ultrasuoni e anche degli infrasuoni emessi dagli animali (Griffin, 1944).
                  La bioacustica in senso moderno ha cominciato a muovere i primi veri passi
             con lo sviluppo degli strumenti per registrare e riprodurre i suoni: il fonografo di
             Edison, successivamente le varie generazioni di registratori magnetici dapprima a
             filo metallico e poi a nastro, fino ad arrivare alle moderne tecniche digitali che
             consentono un passaggio diretto dalla registrazione dei segnali alla loro trasmis-
             sione e analisi, anche in tempo reale. Dopo i sistemi di trascrizione oscillografica
             dei suoni che consentirono i primi studi di Pierce (1948), il passaggio più signifi-
             cativo è stato l’applicazione dell’analisi spettrografica alla voce umana e al canto
             degli uccelli (Koenig et al., 1946; Potter et al., 1947; Thorpe, 1954; Marler, 1955).
                  Grazie agli strumenti di registrazione e analisi, ora diffusi su ampia scala
             anche a livello amatoriale, la bioacustica si è sviluppata su temi etologici di grande
             interesse scientifico e di notevole presa sul pubblico, quali i canti degli uccelli, le
             vocalizzazioni subacquee dei mammiferi marini e, più recentemente, i paesaggi
             sonori.


             18.3
             LA BIOACUSTICA
             La percezione del suono e la comunicazione acustica sono ampiamente diffusi
             nel regno animale (Hopp et al., 1998). Molti invertebrati e praticamente tutti
             i vertebrati emettono e percepiscono suoni in diverse bande di frequenza (Fig.
             18.3.1). In ambiente acquatico producono suoni alcuni insetti, molti crostacei,
             i pesci teleostei, generalmente a bassa frequenza e bassa intensità, gli anfibi,
             alcuni rettili (tartarughe, alligatori), e soprattutto i mammiferi marini (cetacei e
             pinnipedi). Nei vertebrati terrestri la comunicazione acustica è molto diffusa negli
             anfibi anuri (rane, rospi), negli uccelli e nei mammiferi, mentre nei rettili è limitata
             a poche specie (gecki, alligatori, alcune tartarughe). Nei mammiferi si trovano i
             sistemi acustici più complessi e variati; gli elefanti e le balene (cetacei misticeti)
             comunicano con infrasuoni (Payne et al., 1986; Watkins et al., 1987), con valori di
             frequenza prossimi a 20 Hz, mentre i piccoli roditori comunicano con ultrasuoni
             fino a 100 kHz (Sales, Pye, 1974); pipistrelli e delfini emettono ultrasuoni fino a
             200 kHz, per funzioni prevalentemente di ecolocalizzazione (Thomas et al., 2002).
             In generale, a maggiori dimensioni corrispondono suoni a frequenza più bassa.
                 Anche molti invertebrati, perlopiù insetti (coleotteri, emitteri, imenotteri,
             ortotteri) (Gerhardt, Huber, 2002; Drosopoulos, Claridge, 2006), ma anche alcuni
             crostacei (generi Palinurus, Alpheus e Synalpheus), producono suoni e hanno il
             senso dell’udito o perlomeno recettori che percepiscono variazioni di pressione

                                                                  
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                                Figura 18.3.1 Gamme di frequenza usate da diversi gruppi zoologici. Il riquadro indica la
                                              gamma di massima sensibilità uditiva dell’uomo.

                               e/o vibrazioni del substrato. In alcuni casi, la capacità uditiva si è sviluppata
                              come risposta antipredatoria; ad esempio in alcune farfalle (insetti lepidotteri) per        
                               sfuggire all’ecolocalizzazione dei pipistrelli. L’udito infatti non serve solo a recepire
                               i suoni dei propri conspecifici per funzioni di comunicazione, ma assolve una più
                               ampia funzione di percezione dell’ambiente circostante, ad esempio per percepire
                               la vicinanza di un corso d’acqua, o il rumore o i suoni di un possibile predatore
                               in avvicinamento, o ancora per sentire la presenza di una preda e inseguirla. Per
                               questi motivi, la gamma di frequenze udibili da una specie è spesso più ampia
                               della gamma delle frequenze emesse. In casi molto particolari, in alcune farfalle, vi
                               è un apparato uditivo unicamente atto a percepire gli impulsi di ecolocalizzazione
                               dei pipistrelli e un apparato emettitore che emette ultrasuoni per confonderne
                               (jammming) la capacità di ecolocalizzazione (Fullard et al., 1979).
                                    Attraverso l’individuazione, la registrazione, la catalogazione e l’analisi dei
                               segnali acustici si cerca di comprendere come gli animali comunicano, come
                               regolano i loro comportamenti individuali e di gruppo e come si riconoscono
                               individualmente e a livello specifico. Le manifestazioni sonore offrono molteplici
                               possibilità per studiare la biologia e il comportamento animale; generalmente
                               hanno caratteristiche specie-specifiche essenziali nel riconoscimento sessuale, e in
                               tale caso possono essere usate anche per la classificazione sistematica degli animali;
                               negli uccelli, ad esempio, specie sistematicamente molto vicine e rassomiglianti si
                               differenziano per il canto che diventa l’unica chiave di riconoscimento specifico.
                               Attraverso lo studio dei loro suoni è possibile conoscerne i legami filogenetici, le
                               pressioni selettive che hanno agito nel corso dell’evoluzione e verificare il loro
                               adattamento all’ambiente e al contesto in cui vivono. Nuove entità tassonomiche

                                                                    
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             sono state distinte e riconosciute come specie diverse proprio su base acustica e il
             recente sviluppo di indagini sulla biodiversità sempre più usa i segnali acustici
             come elemento di riconoscimento specifico.
                  Si tratta di un’area di ricerca altamente interdisciplinare sulla quale convergono
             etologia, biologia, zoologia, fisiologia, psicologia, nonché acustica, elettroacustica,
             informatica e analisi numerica. Si considerano anche l’anatomia e fisiologia degli
             organi di produzione e ricezione dei segnali, le patologie ad essi connesse, la
             propagazione dei segnali nell’ambiente, le capacità percettive e cognitive sia degli
             emettitori sia dei ricevitori, il significato dei segnali e la loro elaborazione anche
             riguardo alle differenti culture e dialetti di popolazioni diverse di una stessa specie
             animale, le reazioni fisiologiche, comportamentali e culturali indotte dai segnali
             sia a livello specifico sia eterospecifico. Infine, per la corretta interpretazione dei
             dati bioacustici e comportamentali è spesso necessario approfondire la conoscenza
             anche degli altri sistemi di comunicazione, visiva, tattile, chimica ed elettrica,
             con i quali in molti casi il sistema acustico si integra (Sebeok, 1968).
                  Gli animali utilizzano segnali acustici prevalentemente in situazioni nelle
             quali il riconoscimento specifico è essenziale, ad esempio nella delimitazione del
             territorio, nella competizione intra-specifica, nella ricerca e scelta del partner,
             nell’isolamento riproduttivo, nell’accoppiamento, nella cura della prole. Per molte
             specie i segnali acustici di richiamo sessuale rappresentano la più significativa
             chiave di identificazione specifica per l’accoppiamento e quindi per l’isolamento

             riproduttivo.
                  L’adozione di segnali con caratteristiche specie specifiche comporta importanti
             vantaggi, tra i quali la non interferenza con altre specie che condividono lo stesso
             ambiente. Analogamente a quanto avviene nella competizione per altri tipi di
             risorse, la non interferenza si realizza con segnali chiaramente differenti tra specie
             e specie, talvolta anche in ambienti, situazioni e ore diversificati. Ciascuna specie
             si crea cioè una propria nicchia acustica (o comunicativa) che non si sovrappone
             a quella delle specie simpatriche.
                  Vi sono però anche casi di segnali acustici con caratteristiche simili fra specie
             diverse pur viventi in simpatria, e addirittura con significati sovraspecifici, cioè
             compresi da specie diverse (Getschow et al., 2013). Uno degli esempi più studiati
             è quello dei segnali di allarme negli uccelli passeriformi che, per convergenza
             evolutiva, hanno acquisito la comune caratteristica di essere difficilmente rilevabili
             e localizzabili dai predatori (Marler, 1955).
                  L’identificazione specifica, come altre informazioni, può essere codificata in
             vari aspetti del segnale acustico, anche diversi per ogni specie; negli uccelli vi
             è la maggior varietà e nei loro canti l’identificazione può essere convogliata da
             particolari modulazioni di frequenza delle note, dal ritmo, dalla sintassi, o da
             un insieme di questi aspetti. Lo studio delle caratteristiche acustiche specifiche
             apre importanti prospettive scientifiche e applicative legate al monitoraggio e alla
             gestione dell’ambiente e degli equilibri biologici attraverso il riconoscimento dei
             segnali acustici tipici di ciascuna specie.
                  Se non si è orientati allo studio di un unico tipo di vocalizzazione emesso in

                                                                  
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                               un determinato contesto, ad esempio la scelta sessuale, ma si vuole tentare di
                               delineare il sistema di comunicazione nel suo complesso, è necessario definire il
                               repertorio della specie, e quindi osservare, registrare e analizzare i comportamenti
                               nei quali vi è emissione acustica e descriverne le caratteristiche.
                                   Comprendere il significato dei messaggi, comporne di nuovi e usarli nei rapporti
                               con gli animali apre anche la possibilità di colloquio, o meglio di «interazione co-
                               municativa» fra l’uomo e gli animali. Si possono comporre e riprodurre (playback )
                               con un altoparlante messaggi artificiali per indurre determinati comportamenti e
                               per verificare sperimentalmente i significati delle espressioni sonore, dei linguaggi
                               e dei dialetti. Un’applicazione riguarda, ad esempio, la difesa delle colture agrarie
                               e degli aeroporti mediante l’emissione di appropriati segnali sonori per allontana-
                               re gli animali che recano danni o per attirarli in «trappole acustiche» allo scopo
                               di deviarli dai loro obiettivi.
                                   La bioacustica, nata come complemento dell’etologia per studiare il comporta-
                               mento acustico degli animali, ha raggiunto finalità scientifiche più ambiziose come
                               lo studio degli habitat, il monitoraggio della biodiversità, e lo sviluppo di stra-
                               tegie di conservazione (Laiolo, 2010). Si può infatti stabilire in modo incruento,
                               senza recare danno o disturbo agli animali, la presenza nell’ambiente di deter-
                               minate specie mediante il riconoscimento dei segnali acustici tipici; per alcune
                               specie è addirittura possibile riconoscere dialetti regionali e distinguere i singoli
                               individui (Galeotti, Pavan, 1991). Ciò consente di effettuare censimenti e moni-
                                                                                                                         
                               toraggi ambientali semplicemente registrando e identificando i segnali acustici
                               emessi dagli animali (Obrist et al., 2010) con finalità d’interesse pratico che sono
                               in larga parte ancora da indagare e sviluppare.
                                   Sia per le ricerche sia per le applicazioni pratiche hanno grande importanza
                               le «Fonoteche», istituzioni nazionali e internazionali, assimilabili per certi versi
                               ai musei, che si occupano di raccogliere, archiviare e documentare le registra-
                               zioni dei suoni degli animali e dei paesaggi sonori realizzate in tutto il mondo
                               rendendole disponibili alla comunità scientifica, per iniziative di ricerca, didattica
                               e divulgazione, nonché al grande pubblico. Con le stesse finalità, si trovano sul
                               web un numero crescente di siti sui paesaggi sonori, con registrazioni realizzate
                               da ricercatori e da appassionati che portano al grande pubblico l’emozione dell’a-
                               scolto delle voci delle specie più misteriose e degli ambienti naturali più reconditi,
                               ma anche i canti degli uccelli che si possono ascoltare fuori casa, contribuendo a
                               creare una sempre più diffusa consapevolezza delle necessità di conservazione.

                               18.4
                               IL PAESAGGIO SONORO
                               Gli ambienti naturali si caratterizzano non solo per ciò che percepiamo visiva-
                               mente, il «paesaggio» come lo intendiamo correntemente, ma anche per i suoni
                               caratteristici generati da fenomeni naturali, quali il vento, lo stormire delle fo-
                               glie, lo scorrere delle acque, e dalle voci degli animali che vi abitano. Insetti,
                               anfibi, uccelli e mammiferi emettono segnali acustici caratteristici che si intrec-

                                                                   
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              Figura 18.4.1 Spettrogramma di un paesaggio sonoro della foresta amazzonica in cui si evidenziano compo-
                            nenti acustiche di diversi gruppi zoologici (dall’alto: insetti, uccelli, anfibi); 0-12 kHz, 16,8 s
                            (software SeaPro; Pavan 1996-2014).

             ciano a formare biofonie, caratteristiche per ciascun ecosistema, che si integrano
             ai rumori provocati dal vento e dallo scorrere delle acque, la cosiddetta geofonia.
             Biofonia e geofonia si integrano all’antropofonia per costituire il «paesaggio sono-
            ro» (soundscape), concetto espresso da Murray Schafer nel 1977 (Schafer, 1985)
             in ambito perlopiù musicale e antropologico (per completezza, vedi Capitolo 27)
             e poi ampiamente ripreso e sviluppato anche in ambito ecologico e zoologico
             (Krause, 2002; Dumyahn, Pijanowski, 2011; Pijanowski et al., 2013). Un’ulteriore
             evoluzione di questo concetto ha portato all’affermarsi dell’ecologia acustica. Con
             essa viene ampiamente riconosciuta l’importanza scientifica dei paesaggi sonori,
             della biodiversità acustica e il problema emergente dell’inquinamento acustico
             prodotto dall’uomo sia in aria sia in acqua.
                 In altre parole, i paesaggi sonori non solo ci trasmettono piacevoli sensazioni
             avvolgendoci con suoni continuamente mutevoli, caratteristici e riconoscibili, ma
             rappresentano le caratteristiche, la biodiversità e la ricchezza degli ecosistemi che
             ci circondano (Pavan, 2012). Un esempio di rappresentazione grafica di paesaggio
             sonoro e delle sue molteplici componenti biologiche è dato dalla Fig. 18.4.1. Nei
             paesaggi sonori si possono intrecciare anche i suoni e i rumori dell’uomo, talvolta
             gradevoli, espressione di lavoro, comunicazione, cultura, ma che possono diventare
             invasivi.
                 Il concetto di paesaggio sonoro, per i naturalisti confinato al mondo naturale,
             si estende infatti anche alle realtà in cui emergono i suoni e i rumori dell’uomo;
             suoni che ne rappresentano le attività e le tradizioni mostrando le differenze
             fra popoli, culture, religioni, ambienti. Suoni che talvolta diventano rumore,
             nell’accezione del rumore come elemento negativo di disturbo, che talvolta si
             integra ai suoni dell’ambiente naturale, ma che talvolta diventa invasivo, che
             copre e maschera i suoni naturali dell’ambiente, recando danno agli animali che
             vi vivono.

                                                                       
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                                   I paesaggi sonori hanno via via acquisito sempre maggior interesse anche
                               da parte degli scienziati. Il paesaggio sonoro non è solo pertinenza dell’estetica
                               ma ha molteplici valenze, etiche, culturali, ricreative, e anche scientifiche. Nel
                               momento in cui si riconosce il paesaggio sonoro come espressione della struttura e
                               diversità di un ambiente, i suoni diventano uno strumento di studio e monitoraggio
                               dell’ecosistema.
                                   Il tema dei paesaggi sonori è tuttavia spesso oggetto di trattazione non
                               scientifica, orientata alla divulgazione, ma anche orientata ad aspetti psicologici
                               e artistici degli ambienti urbani e degli ambienti chiusi. L’esigenza di ricondurre
                               il tema entro binari scientifici e rigorosi in un preciso ambito naturalistico ha
                               portato allo sviluppo di nuove discipline, come l’ecologia acustica e, all’interno di
                               essa, la soundscape ecology (Pijanowski et al., 2013).

                               18.5
                               ECOLOGIA ACUSTICA
                               L’ecologia acustica è una disciplina nata per studiare i paesaggi sonori dal punto
                               di vista scientifico, cioè per studiare le componenti acustiche di un ambiente,
                               le loro relazioni, anche considerando il rumore dell’ambiente fisico e la sempre
                               maggiore invasione del rumore di origine antropica (vedi Capitolo 26). Mentre
                              con la bioacustica si studiano le vocalizzazioni delle singole specie, e solo talvolta   
                               si prendono in considerazione i possibili rapporti fra specie diverse, come nel caso
                               dei segnali di allarme e del rapporto preda-predatore, con l’ecologia acustica si
                               studia come le specie si sono adattate alle caratteristiche acustiche dei diversi
                               ambienti e dei diversi insiemi di specie con le quali competere per un canale di
                               comunicazione.
                                   L’ecologia acustica studia anche i paesaggi sonori per valutarne in modo
                               oggettivo alcuni parametri che possono fornire indicazioni utili all’ecologo, anche
                               a prescindere dal riconoscimento delle singole specie componenti. Si stanno per
                               questo studiando indici che possano dare una misura della ricchezza biologica e
                               della biodiversità di un ambiente attraverso l’analisi del paesaggio sonoro, per
                               confrontare ambienti diversi, o per studiare l’evoluzione di un ambiente nel tempo
                               o per valutarne l’evoluzione quando sottoposto a pressioni esterne (cambiamenti
                               climatici, antropizzazione, introduzione di specie aliene, inquinamento acustico
                               ecc.)
                                   L’ecologia acustica è una disciplina scientifica, non ancora pienamente svi-
                               luppata e codificata, che vuole superare le incertezze degli approcci tradizionali
                               all’analisi del paesaggio sonoro; in questo ambito la soundscape ecology si sta
                               affermando come studio del paesaggio sonoro inteso come espressione dell’in-
                               terazione fra paesaggio naturale e attività dell’uomo. E anche se gli strumenti
                               scientifici a nostra disposizione non consentono ancora un completo approccio
                               analitico per riconoscere e misurare ogni singolo componente sonoro, i ricercatori
                               sono orientati a sviluppare indici e modelli per misurare e comparare i paesaggi
                               sonori (Sueur et al., 2008; Pieretti et al., 2011; Depraetere et al., 2012).

                                                                  
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             18.6
             ECOLOCALIZZAZIONE
             L’ecolocalizzazione è la capacità di individuare un bersaglio tramite l’emissione
             di un breve segnale acustico, generalmente ultrasonico, e l’ascolto dell’eco da
             esso riflesso. Questa capacità, anche chiamata biosonar, si è sviluppata in modo
             rudimentale in alcuni uccelli cavernicoli dell’America del sud (Griffin, 1953;
             Brinkløv et al., 2013), ma ha raggiunto una piena funzionalità solo in alcuni
             mammiferi: nei chirotteri (pipistrelli) (Griffin, 1944; 1953; 1958) e nei cetacei
             odontoceti (delfini e capodoglio) (Busnel, 1966; Nachtigall, Moore, 1988; Au,
             1993; Thomas et al., 2002). L’ecolocalizzazione può anche essere attuata dai non
             vedenti con brevi schiocchi della lingua (Griffin, 1953; Brinkløv et al., 2013).
                 L’ecolocalizzazione serve a individuare ed evitare ostacoli e orientarsi, ma
             anche a individuare, inseguire e catturare le prede nella completa oscurità. L’eco-
             localizzazione è indispensabile per i pipistrelli: sono animali notturni, vivono in
             colonie all’interno delle grotte o nei sottotetti di vecchi edifici, e quindi volano e
             cacciano nella completa oscurità. È altrettanto importante per i cetacei che vi-
             vono in un ambiente nel quale la luce penetra per poche decine di metri dalla
             superficie e che può essere particolarmente torbido nelle acque costiere e fluviali.
                 Come già accennato all’inizio, fu l’abate Spallanzani il primo a intuire che
            i pipistrelli dovessero avere una speciale abilità sensoriale per volare, orientarsi
             ed evitare gli ostacoli nel buio (Castellani, 1994). Pur non avendo i sofisticati
             strumenti che oggi rivelano gli ultrasuoni emessi dai pipistrelli, ideò e realizzò
             una serie di esperimenti per studiarne il volo nel buio. Preparò una stanza
             completamente oscurata e vi tese dei sottili fili collegati a delle campanelle cosı̀
             se i pipistrelli li avessero urtati, le campanelle avrebbero suonato. Fece volare dei
             pipistrelli con gli occhi bendati e questi volarono senza problemi, ma quando fece
             volare pipistrelli con i canali auricolari tappati con la cera, questi non riuscirono
             a evitare i fili. Spallanzani immaginò un sesto senso, legato all’udito, strumento
             essenziale per il volo notturno dei pipistrelli, ma solo dopo il 1940 (Griffin, 1944)
             si scoprı̀ che i pipistrelli emettono brevi impulsi ultrasonici e con l’ascolto e
             l’interpretazione dei relativi echi individuano prede e ostacoli.
                 Tali impulsi, nella maggior parte dei casi fra 20 kHz e oltre 100 kHz, non udibili
             dall’uomo, sono brevi segnali tonali, poche decine di ms di durata, ampiamente
             modulati in frequenza (FM), emessi in sequenze serrate, ma variabili in funzione
             del contesto e delle fasi di ricognizione; la Fig. 18.6.1 mostra una sequenza di
             ricognizione ambientale che termina con la focalizzazione su una preda e poi
             riprende il normale ritmo della ricognizione. Nei pipistrelli rinolofi sono invece a
             frequenza quasi costante fra 80 e 120 kHz (CF) e con durata che raggiunge i 100 ms.
             La struttura tempo-frequenza di questi segnali consente il riconoscimento specifico
             di alcuni gruppi di specie, tuttavia la convergenza evolutiva ha portato varie specie
             ad emettere segnali di ecolocalizzazione fra loro molto simili. L’ecolocalizzazione
             nei cetacei è trattata nel paragrafo seguente.

                                                                
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              Figura 18.6.1 Spettrogramma di una sequenza di impulsi ultrasonici FM in cui si evidenziano la fase di
                            ricognizione e la fase di focalizzazione su una preda; 0–125 kHz, 1,7 s (software SeaPro).

                               18.7
                               BIOACUSTICA SUBACQUEA
                               Come affermato nel Capitolo 5, par. 5.3, l’ambiente acquatico limita la propaga-
                               zione della luce a poche decine di metri dalla superficie, ma è particolarmente
                               favorevole alla propagazione del suono e per questo molti organismi acquatici
                               hanno sviluppato la capacità di usare il suono come strumento di comunicazione.
                                   Molti organismi acquatici producono suoni e rumori, invertebrati (perlopiù
                               crostacei, ma anche alcune specie di insetti), pesci, alcuni anfibi, mammiferi
                              acquatici (cetacei e pinnipedi), con frequenze di emissione che spaziano dagli            
                               infrasuoni agli ultrasuoni. I loro segnali sonori si integrano al rumore naturale
                               dell’ambiente, formando un insieme acustico complesso (Urick, 1983), al quale
                               contribuisce sempre più anche l’uomo con una forma di inquinamento, quello
                               acustico, che ha profondi impatti sulla loro vita (Richardson, 1995).
                                   Considerando che la maggior parte delle specie acquatiche che producono suoni
                               vive in ambienti marini, è molto sviluppata la bioacustica marina (Tavolga, 1964;
                               1967; Au, Hastings, 2008). La produzione di suoni nei crostacei e nei pesci è diffusa,
                               ma poco studiata; tra i pesci teleostei, più di 50 famiglie comprendono specie
                               produttrici di suoni (Hawkins, Myrberg, 1983; Webb et al., 2008), generalmente
                               con frequenze al di sotto di 2 kHz e con intensità limitate che confinano il ruolo
                               della comunicazione alle brevi distanze.
                                   Fra i mammiferi marini, i cetacei e i pinnipedi hanno sviluppato notevoli ca-
                               pacità acustiche; sono tuttavia i cetacei odontoceti e misticeti ad avere sviluppato
                               specifici adattamenti per sfruttare al meglio il suono come strumento di comu-
                               nicazione su grandi distanze nonché di visione subacquea alternativa (Bradley,
                               Stern, 2008).
                                   In questi, la comunicazione acustica ha acquisito un ruolo diffuso e privilegiato
                               rispetto ad altre forme di comunicazione. Gli organi per la ricezione e la produzione
                               dei suoni si sono evoluti e diversificati con l’acquisizione anche della funzione di
                               ecolocalizzazione (biosonar, o biological sonar ), tipica e altamente specializzata
                               negli odontoceti (Au, 1993; Thomas et al., 2002). Nei delfini l’ecolocalizzazione si
                               attua con brevissimi impulsi sia a banda larga sia a banda stretta, generalmente

                                                                   
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              Figura 18.7.1 Grafico che mostra l’estensione in frequenza dei segnali emessi dagli
                            organismi acquatici e del rumore di origine antropica.

             chiamati click, con durata di 30−300 µs. Tali impulsi, prodotti nell’ultimo tratto
             del canale respiratorio, al di sotto dello sfiatatoio, vengono proiettati frontalmente
             attraverso il melone, una struttura lipidica e muscolare di forma lenticolare che
            funge da lente acustica; posta frontalmente al cranio dà al capo dei delfini forme
             caratteristiche.
                 I primi ad ascoltare i suoni e i rumori sotto la superficie del mare sono stati i
             militari, per individuare navi e sottomarini dal rumore dei loro propulsori. Ma il
             mare ha anche una musica più lieta, fatta di voci di animali che comunicano fra
             loro tessendo complessi motivi, come i canti dei maschi di megattera (Megaptera
             novaeangliae) che nella stagione riproduttiva chiamano le femmine con melodiose
             canzoni che possono essere ascoltate anche a centinaia di chilometri di distanza.
             O i ticchettii dei capodogli che navigano anche a oltre 1000 metri di profondità,
             nel buio assoluto, usando solo il suono come guida.
                 Tuttavia, per anni le voci delle balene sono state classificate come «rumore
             biologico» dagli addetti ai SONAR passivi che invece volevano sentire navi,
             sottomarini e SONAR. Successivamente i biologi hanno cominciato a studiarle,
             considerando suoni le voci degli animali e rumore quanto prodotto da macchine
             e motori.
                 Come è rappresentato in Fig. 18.7.1, la produzione di segnali acustici nei
             cetacei è molto varia, sia per l’ecolocalizzazione negli odontoceti, con segnali
             impulsivi che si estendono fino a 200 kHz, sia per i segnali di comunicazione,
             continui e a frequenza più bassa, generalmente inferiore a 25 kHz negli odontoceti e
             a 5 kHz nei misticeti (balene e balenottere). In alcune specie di misticeti di grandi
             dimensioni, i segnali di comunicazione sono sequenze a frequenze estremamente
             basse (fra 10 e 50 Hz) che possono propagarsi su grandi distanze (Watkins et al.,
             1987). È da considerare che questi segnali, oltre ad avere funzione comunicativa,
             potrebbero anche consentire di rilevare, tramite gli echi, macrostrutture dei bacini

                                                                
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                               oceanici e forse anche la presenza di masse d’acqua a temperatura diversa (Clark,
                               Ellison, 2004).
                                    I livelli di pressione acustica emessi sono nell’ordine di 190−230 dB di picco
                               per gli impulsi di ecolocalizzazione, e di 160−180 dB per i segnali tonali (misurati
                               frontalmente a 1 m, riferiti a 1 µPa, come usuale in acustica subacquea). La
                               distanza di rilevamento di questi suoni è molto variabile: dipende dalla frequenza -
                               la trasmissione in acqua è migliore al diminuire della frequenza - e dalla struttura
                               del segnale, dalla potenza e direzionalità della sorgente, dalle caratteristiche
                               di propagazione locali e dal rumore dell’ambiente, sia naturale sia dovuto alle
                               attività dell’uomo.
                                    Nei delfini, il raggio d’azione dei segnali di ecolocalizzazione può raggiungere
                               poche centinaia di metri, mentre i fischi modulati, con frequenze generalmente
                               inferiori a 25 kHz, come quelli emessi dalla stenella (Stenella coeruleoalba), molto
                               comune nel Mediterraneo, sono rilevabili entro alcuni chilometri. Il capodoglio
                               (Physeter macrocephalus), l’odontocete di maggiori dimensioni, può raggiungere
                               18−20 m di lunghezza, compie lunghe immersioni, generalmente di 40−50 minuti,
                               e riemerge, appena visibile, tradito solo dal caratteristico soffio inclinato in
                               avanti e a sinistra. Ma in immersione emette particolari e potenti impulsi di
                               ecolocalizzazione (100 Hz – 30 kHz), ripetuti in lunghe sequenze che possono
                               essere captate anche a più di 15 km e che ne rivelano inequivocabilmente la
                               presenza. Prima che la bioacustica ne rivelasse il mistero, i complessi ticchettii
                                                                                                                        
                               e schiocchi rilevati dagli operatori SONAR si riteneva fossero prodotti da un
                               fantomatico pesce falegname (Carpenter fish).
                                    Le distanze di propagazione dei segnali a bassa frequenza dei misticeti sono
                               invece maggiori, nell’ordine delle decine di km; superiori a 100 km per la me-
                               gattera e ancora di più per le specie che usano segnali stereotipati a frequenza
                               infrasonica, come ad esempio la balenottera azzurra (Balaenoptera musculus) e
                               la balenottera comune (Balaenoptera physalus), unico misticete costantemente
                               presente in Mediterraneo.
                                    Acustica e bioacustica hanno un ruolo rilevante nelle attività di protezione
                               (Laiolo, 2010) di questi animali e dell’ambiente marino: riconoscere i segnali tipici
                               di ciascuna specie consente infatti l’identificazione specifica e in alcuni casi il
                               rilevamento e il censimento degli animali anche a grande distanza o in mancanza di
                               osservazione diretta, ad esempio di notte o in condizioni meteomarine sfavorevoli.
                               Il rilevamento acustico integra pertanto le tecniche d’indagine tradizionali offrendo
                               l’opportunità di rivelare e di avvicinare specie altrimenti difficilmente osservabili.
                               In alcuni odontoceti si riconosce la presenza dei cosiddetti «fischi firma» diversi
                               da individuo a individuo. Nel capodoglio l’accurata analisi acustica dei segnali
                               consente di stimare le dimensioni dell’individuo emettitore.
                                    Molti studi sulle fini capacità di ecolocalizzazione caratteristiche degli Odon-
                               toceti sono condotti per perfezionare i SONAR navali e civili e, in relazione al
                               grave problema delle catture accidentali di cetacei nelle reti da pesca, per svi-
                               luppare dispositivi attivi che consentano di allertare i delfini sulla presenza delle
                               reti (i cosiddetti pinger, che emettono suoni che dovrebbero disturbare o aller-

                                                                   
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             tare i delfini) (Barlow, Cameron, 2003), o riflettori acustici che rendano le reti
             stesse più percepibili tramite il biosonar di cui sono naturalmente dotati. Con la
             bioacustica e l’ecologia acustica, inoltre, si studia il problema dell’impatto sui ce-
             tacei del rumore di origine antropica e le possibili strategie di mitigazione o di
             riduzione, argomento che ha avuto ampio sviluppo negli ultimi quindici anni.

             18.8
             METODI E STRUMENTI PER LA REGISTRAZIONE
             E L’ANALISI DEI SUONI
             Negli anni Quaranta del secolo scorso iniziano i primi studi di bioacustica con
             strumenti pionieristici (microfoni, registratori, amplificatori, registratori grafici,
             oscilloscopi, altoparlanti), talvolta appositamente progettati e costruiti (Pierce,
             1948).
                 Il primo completo e flessibile strumento di analisi dei suoni è stato il Kay-
             SonaGraph TM (Koenig et al., 1946; Potter et al., 1947; Thorpe, 1954; Marler,
             1955), che consentiva per la prima volta di superare i limiti dell’oscilloscopio e di
             registrare graficamente e in dettaglio la struttura dei suoni attraverso la rappre-
             sentazione grafica spettrale in funzione del tempo (Fig. 18.8.1). Questo strumento,
             sviluppato per applicazioni in campo militare, ha consentito le prime ricerche sui
            canti degli uccelli negli anni Cinquanta e si è successivamente affermato come
             strumento fondamentale per la bioacustica (oltre che per la fonetica sperimentale
             e altre discipline).
                 Le prime attrezzature erano limitate nelle prestazioni, complesse e costose

              Figura 18.8.1 Esempio di spettrogramma di una vocalizzazione territoriale di allocco (Strix
                            aluco) prodotto dal KaySonaGraph (0-2 kHz, durata 4,7 s, filtro wide
                            band 75 Hz). Le modulazioni di frequenza della terza nota consentono il
                            riconoscimento individuale.

                                                                    
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                               nonché ingombranti, ma hanno comunque aperto una nuova area di conoscenza
                               e di ricerca scientifica e applicativa. Lo sviluppo tecnologico degli ultimi decen-
                               ni, e soprattutto dell’elaborazione digitale dei segnali, ha portato ad un notevole
                               miglioramento delle prestazioni degli strumenti di registrazione, alla loro miniatu-
                               rizzazione, all’abbassamento dei costi e conseguentemente ad una loro più ampia
                               diffusione e utilizzazione. In parallelo, lo sviluppo dell’informatica consente lo svi-
                               luppo di nuovi strumenti di analisi esclusivamente per via software (Pavan, 1985;
                               Sueur et al., 2008; Obrist et al., 2010).
                                   Microfoni e idrofoni sono strumenti usualmente utilizzati in ambito bioacustico;
                               generalmente si tratta di modelli utilizzati in ambito musicale o cinematografico,
                               ma per applicazioni speciali si adottano strumenti ad hoc. In casi particolari si
                               usano anche accelerometri, sensori di vibrazioni e interferometri laser per rilevare
                               le vibrazioni del substrato o delle strutture che producono il suono (vedi Capitolo
                               13, su trasduttori e strumenti di misura).
                                   Studiando le vocalizzazioni di animali selvatici è spesso necessario non avvici-
                               narsi per non alterarne il comportamento e pertanto si usano microfoni molto
                               direzionali, sia a interferenza sia equipaggiati con riflettori parabolici per concen-
                               trare il suono sulla capsula microfonica e attenuare suoni e rumori provenienti
                               da altre direzioni. In questi ambiti di studio si usano prevalentemente microfo-
                               ni a condensatore; per studi su insetti e pipistrelli si usano speciali microfoni
                               ultrasonici a condensatore o basati su sensori MEMS.
                                                                                                                        
                                   Per applicazioni invece dedicate alla registrazione del paesaggio sonoro sono
                               necessari microfoni e registratori a basso rumore per catturare eventi sonori
                               anche prossimi ai limiti di udibilità dell’uomo (Pavan, 2012). La registrazione
                               stereofonica binaurale è ampiamente usata per conservare un’immagine spaziale
                               del fronte sonoro, ma le esigenze di localizzazione e separazione delle sorgenti
                               sonore portano all’uso di apparati multi-microfonici. Per monitoraggi a lungo
                               termine si usano registratori autonomi programmabili con timer anche agganciati
                               al ciclo solare (Favaretto et al., 2011; Obrist et al., 2010).
                                   In ambito marino, le situazioni sono molto più complesse e gli idrofoni (vedi
                               Capitolo 5, par. 5.8) possono essere stazionari, calati da un imbarcazione, montati
                               su una boa galleggiante o su un dispositivo deposto sul fondale o ancorato a una
                               struttura, oppure mobili. Gli idrofoni stazionari possono essere connessi a un
                               registratore autonomo, che deve essere recuperato periodicamente, cablati a una
                               boa di trasmissione o cablati a una stazione ricevente sulla terraferma. Gli idrofoni
                               non stazionari possono essere montati su un veicolo autonomo sia di superficie sia
                               subacqueo (AUV o glider ; Baumgartner et al., 2013), integrati in un dispositivo
                               di registrazione (DTAG) che si applica con ventose sul corpo di un cetaceo
                               (Johnson, Tyack, 2003), o organizzati in schiere lineari (cortine idrofoniche) o
                               in strutture tridimensionali trainate da una imbarcazione di superficie o da un
                               veicolo subacqueo. Le cortine idrofoniche consentono l’applicazione delle tecniche
                               di beamforming, mentre per la precisa localizzazione delle sorgenti nello spazio
                               circostante sono necessari sensori in configurazioni 3D (Zimmer, 2014). I sistemi
                               di ascolto subacqueo, oltre che per lo studio della fauna marina, sono utilizzati per

                                                                   
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             la mitigazione dei rischi derivanti dall’uso di sorgenti sonore di elevata potenza
             (Pavan, 2007; Pavan et al., 2009).
                  In bioacustica la scelta degli idrofoni dipende dalla banda di frequenza alla
             quale si è interessati (fino a pochi kHz per pesci e misticeti, fino a 200 kHz per gli
             odontoceti) e ai livelli di pressione acustica; ad esempio, per studiare in ambiente
             controllato i segnali di ecolocalizzazione emessi dai delfini bisogna essere preparati
             a ricevere livelli di pressione acustica fino a 240 dB a 1m, mentre per registrare i
             delfini in ambiente naturale anche a chilometri di distanza è necessario avere una
             catena di acquisizione in grado di ricevere segnali prossimi al livello del rumore
             di fondo dell’ambiente.
                  Lo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni consente di registrare su supporti
             digitali con grande fedeltà una ampia gamma di frequenze con un range dina-
             mico prossimo a 120 dB; anche con strumenti consumer di costo relativamente
             basso si può registrare da 10 Hz a oltre 80 kHz con oltre 90 dB di dinamica, men-
             tre per frequenze superiori sono necessari strumenti specifici, dedicati al settore
             professionale. Superati i limiti dei sistemi di registrazione analogici, la registra-
             zione digitale consente enormi vantaggi, tra i quali la possibilità di registrare per
             lunghi periodi, anche mesi, con più sensori contemporaneamente, e di avere poi a
             disposizione i dati in formato digitale direttamente elaborabili su computer. Le
             tecniche di analisi sono molteplici, in parte riconducibili a tecniche tradizionali,
             come la visualizzazione dell’inviluppo, della forma d’onda e dello spettro, istanta-

             neo o mediato, del segnale. Date le caratteristiche di non stazionarietà dei segnali
             biologici e la necessità di analizzare lunghe sequenze di segnali, nuove forme di
             rappresentazione grafica si sono affermate grazie alle possibilità di calcolo e di vi-
             sualizzazione dei moderni computer. La forma di rappresentazione grafica più
             affermata in ambito bioacustico è lo spettrogramma (Fig. 18.4.1, Fig. 18.6.1 e
             Fig. 18.8.1), o sonogramma, in inglese sonogram ma anche sonagram dal nome
             del primo strumento analogico, il summenzionato Kay SonaGraph, utilizzato per
             questo scopo. Sui sonogrammi ci si sofferma diffusamente nel Capitolo 17 sulla
             voce umana.
                  Lo spettrogramma è un grafico che mostra la struttura di un evento acustico,
             sia udibile sia non udibile, come infrasuoni e ultrasuoni. Lo spettrogramma mostra
             il suono scomposto nelle sue componenti in frequenza in funzione del tempo. In
             ambito bioacustico sull’asse x è rappresentato il tempo e sull’asse y la frequenza;
             l’intensità delle varie componenti nel piano tempo-frequenza è dato dal colore o
             da differenti livelli di grigio. In altri ambiti il tempo è rappresentato in verticale
             e il display che si produce è chiamato waterfall.
                  In origine prodotto da costosi e lenti strumenti analogici, poi con strumenti
             digitali dedicati, quali ad esempio il Kay-SonaGraph DSP 5500 (Catchpole, 1990),
             ora lo spettrogramma si produce in tempo reale con software che analizzano il
             suono acquisito in forma digitale su un qualsiasi computer (Strong, Palmer, 1975;
             Pavan, 1985; Pavan et al., 2009; Zimmer, 2011), ma anche con smartphone e
             tablet, con tecniche perlopiù basate sull’analisi di Fourier (vedi Capitoli 13 e 14).
                  Le tecniche digitali consentono grande accuratezza e flessibilità nella scelta dei

                                                                  
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                               parametri di analisi e visualizzazione. Oltre che variare la risoluzione temporale e
                               spettrale è possibile usare scale lineari o logaritmiche per rappresentare frequenza
                               e intensità, quest’ultima anche con differenti scale di colore. Nuove opportunità
                               nascono dalle tecniche di digital signal processing per filtrare i segnali ed estrarre
                               le informazioni di interesse sia nella ricerca di dettagli su brevi intervalli temporali
                               sia su serie temporali estese anche ore, giorni, e mesi. Nell’analisi spettrale dei
                               suoni si è comunque vincolati al principio di indeterminazione delle misure tempo-
                               frequenza secondo il quale risoluzione in frequenza e risoluzione temporale sono
                               inversamente proporzionali (Watkins, 1967; Beecher, 1988). I sonogrammi sono
                               classicamente realizzati in due differenti modi: a banda stretta (narrow band,
                               45 Hz per la gamma 0−8 kHz) per ottenere elevata risoluzione in frequenza
                               e bassa discriminazione temporale oppure a banda larga (wide band, 300 Hz
                               per la banda 0−8 kHz) per ottenere elevata risoluzione temporale a scapito
                               della discriminazione in frequenza. I termini banda stretta e larga derivano dalla
                               larghezza del filtro di analisi impiegato dagli strumenti analogici; benché con
                               strumenti digitali i parametri di analisi siano determinati da differenti parametri
                               numerici (dimensione della finestra sul segnale, passo di scansione, curva di
                               pesatura, dimensione della FFT), questi termini continuano a essere impiegati
                               per designare i due tipi fondamentali di sonogramma.
                                    In molti casi non è sufficiente un singolo spettrogramma e la comprensione
                               della reale struttura del segnale può richiedere l’integrazione di informazioni rica-
                                                                                                                         
                               vabili da differenti forme di analisi e visualizzazione (Fig. 18.8.2), spettrogrammi
                               realizzati con differenti larghezze di banda, oscillogramma, inviluppo, analisi del
                               cepstrum (Childers et al., 1977), analisi zero-crossing, spettro istantaneo, spettro
                               mediato su un intervallo temporale, o da più avanzate forme di analisi. Con certe
                               tipologie di segnali, soprattutto quando caratterizzati da rapide modulazioni del-
                               la frequenza, la trasformata di Fourier può essere inadeguata e si ricorre ad altre
                               tecniche quali l’analisi Wavelet e la trasformata di Wigner-Ville. La trasformata
                               di Hilbert e l’analisi del Cepstrum sono altre tecniche in uso in bioacustica; per la
                               definizione di cepstrum vedi Capitolo 2, par. 2.14. Qualora i software disponibili
                               non siano adeguati alle necessità di analisi, diventa necessaria la programmazio-
                               ne diretta (Zimmer, 2011), in ambienti di sviluppo quali Matlab o R, per il quale
                               è disponibile una libreria (seewave) specializzata per la bioacustica (Sueur et al.,
                               2008).
                                    La rappresentazione grafica dei suoni è un aspetto particolarmente importante
                               negli studi di bioacustica; in questo modo si rendono visibili e misurabili tutte le
                               caratteristiche di un segnale acustico anche quando non percepibili dall’orecchio
                               umano, come gli infrasuoni e gli ultrasuoni, o le rapide modulazioni di frequenza
                               dei canti di molte specie di uccelli. Il canto dell’allodola, per esempio, è costituito
                               da note con modulazioni di frequenza molto rapide, ben percepibili dall’orecchio
                               di un conspecifico, ma non percepibili dal nostro che è mediamente 10 volte più
                               lento. La rappresentazione grafica è quindi essenziale per riconoscere le strutture
                               acustiche e le caratteristiche specie-specifiche, ma anche per individuare varianti
                               regionali e caratteristiche individuali.

                                                                   
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              Figura 18.8.2 Analisi dei segnali stridulatori prodotti da un coleottero (Copris incertus). Il
                            suono è prodotto dal movimento alternato di un plectrum che sfrega su una
                            superficie zigrinata, la pars stridens. L’oscillogramma, in basso, mostra gli
                           impulsi generati dal contatto del plectrum sui dentelli dalla pars stridens; gli
                            impulsi sono caratterizzati da fase opposta nei due movimenti di andata e
                            ritorno (CIBRA software).

                 L’analisi spettrografica è infine essenziale per mostrare e misurare l’intreccio
             di differenti strutture acustiche dei paesaggi sonori. Nel caso di registrazioni
             sonore multicanale è anche possibile identificare la posizione di singole sorgenti
             sonore, attraverso l’applicazione di opportune tecniche di cross-correlazione del
             segnale ricevuto dai diversi sensori, per valutarne ritardi relativi (TDOA – Time
             Difference Of Arrival ), ma solo con gli strumenti di visione acustica, ancora
             oggi costosi e impiegati quasi esclusivamente in ambito industriale, si potrà in
             futuro vedere la distribuzione spaziale delle sorgenti sonore che compongono un
             paesaggio sonoro.

             18.9
             IMPATTO DEL RUMORE SULL’AMBIENTE TERRESTRE
             Come il rumore è fastidioso e dannoso per l’uomo (vedi Capitoli 16 e 26), lo è
             ancora di più per quegli animali che fanno del suono uno strumento essenziale per
             sopravvivere, per comunicare, per trovare un partner, per riconoscere ed evitare
             gli ostacoli, per cacciare le prede di cui si nutrono (Barber et al., 2011). È ormai
             dimostrato che il rumore antropico ha un impatto significativo sulla fauna sia in
             ambienti naturali sia in ambienti antropizzati; è ad esempio provato che certe
             specie di uccelli in città cantano con frequenze più elevate per meglio sovrastare

                                                                      
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                               il rumore a bassa frequenza del traffico cittadino (Slabbekoorn, den Boer-Vissen,
                               2006). La misura del rumore antropico diventa sempre più necessaria, non solo
                               per preservare la qualità degli ambiti vissuti dall’uomo, ma anche per valutare la
                               qualità dell’ambiente nel suo complesso, a prescindere dalla presenza dell’uomo.
                                    Il concetto di wilderness si basa sull’assenza di segni prodotti dalla presenza
                               umana e quindi implica l’assenza di rumore antropico. Il controllo del rumore
                               negli ambienti naturali dovrebbe diventare pratica comune per garantire un
                               adeguato comfort acustico sia alle comunità animali sia ai visitatori che ne
                               desiderano fruire. È purtroppo da notare che anche lontano dalle aree urbanizzate
                               il rumore può essere presente e invasivo. I voli aerei sono una fonte di rumore
                               pressochè ubiquitaria e particolarmente invasiva, soprattutto sui principali corridoi
                               di volo; nelle vicinanze degli aereoporti i corridoi di decollo e atterraggio sono
                               distribuiti per minimizzare il disturbo sulle aree urbane e spesso si concentrano
                               sulle aree non urbanizzate, in alcuni casi aree agricole, ma in altri casi aree di
                               alto pregio naturalistico che si trovano costantemente investite dal rumore aereo
                               con effetti ancora poco studiati. Gli animali che vocalizzano a bassa frequenza
                               possono esserne colpiti; si osserva ad esempio che nel periodo riproduttivo i cervi
                               diventano molto attivi vocalmente per delimitare il proprio territorio e competere
                               vocalmente per l’accoppiamento, ma quando sentono un aereo in avvicinamento,
                               se molto rumoroso, smettono di bramire e aspettano che passi.
                                                                                                                         
                               18.10
                               IMPATTO DEL RUMORE SULL’AMBIENTE MARINO
                               Il tema della bioacustica subacquea è di sviluppo relativamente recente e de-
                               stinato a importanti sviluppi futuri. Il timore che il rumore potesse avere un
                               effetto negativo nasce negli anni Settanta, con la preoccupazione che l’esperimen-
                               to ATOC (Acoustic Tomography of Ocean Climate; Munk, Wunsch, 1979) potesse
                               rappresentare un pericolo per i cetacei, in particolare per i misticeti che comuni-
                               cano con suoni a bassa frequenza. Ulteriori sviluppi di questa attenzione hanno
                               portato a comprendere l’importanza dell’acustica per i cetacei e successivamente
                               anche per altri gruppi zoologici marini.
                                   Nel corso dell’evoluzione, i cetacei si sono adattati alle caratteristiche acustiche
                               dell’ambiente, tra cui il rumore dovuto a fenomeni idroacustici e geosismici, ma
                               ora si trovano ad affrontare un ambiente alterato dalle attività umane anche nelle
                               caratteristiche acustiche.
                                   In passato, molte specie di cetacei sono state a rischio di estinzione a causa
                               dell’industria baleniera che ha fatto stragi di balene, balenottere e capodogli. La
                               protezione dei cetacei attuata negli ultimi decenni ha consentito ad alcune specie
                               prossime all’estinzione di superare la soglia critica per la sopravvivenza, tuttavia
                               nuovi problemi ambientali pongono ora nuove minacce. I cetacei sono ai vertici
                               della catena alimentare e per questo sono colpiti dalle molte sostanze tossiche che
                               riversiamo in mare o risentono delle alterazioni dell’ambiente marino prodotte
                               sia direttamente che indirettamente dalle attività umane, includendo anche i

                                                                   
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             cambiamenti climatici e le loro conseguenze sugli ecosistemi, terrestri e marini. Il
             depauperamento delle risorse dovuto alla pesca eccessiva, le reti derivanti e certi
             sistemi di pesca che provocano la morte di molti odontoceti e anche di misticeti,
             che se intrappolati nelle reti non possono emergere per respirare, sono altre
             cause di pericolo per i cetacei. Anche i materiali di plastica non biodegradabile
             (bottiglie, imballaggi, reti, sacchetti ecc.) abbandonati in mare rappresentano un
             pericolo: persistono nell’ambiente decine di anni e se ingeriti possono provocare
             la morte degli animali.
                 È acquisizione recente che anche il rumore subacqueo possa essere un pericolo
             per i mammiferi marini ed essere considerato un inquinante a tutti gli effetti.
             Sott’acqua si intrecciano sempre nuovi rumori e segnali, dagli infrasuoni agli
             ultrasuoni, prodotti dal traffico navale, dalle nuove tecnologie per individuare
             navi e sottomarini, per cercare relitti, per trasmettere informazioni, per sondare i
             fondali marini, per misurare la temperatura delle acque, per individuare i banchi
             di pesci, per studiare la crosta terrestre e per effettuare prospezioni petrolifere e
             minerarie.
                 Il rumore prodotto dall’uomo si sovrappone alle bande di frequenza usate
             dagli animali acquatici (Fig. 18.7.1) e può interferire con i loro comportamenti.
             Le categorie di produzione di rumore da parte dell’uomo spaziano da sorgenti
             puntuali di alta potenza come SONAR navali, esercitazioni militari, esplosioni
             per demolire strutture offshore, brillamento di ordigni bellici, airgun usati nelle

             prospezioni geosismiche, che possono essere letali a breve distanza, a sorgenti più
             o meno discontinue come la costruzione di opere offshore e sulla costa, a emissioni
             costanti e diffuse, come con il traffico navale, gli impianti industriali offshore,
             che, seppur non immediatamente letali, possono avere un impatto significativo
             sul comportamento e sul benessere dei singoli individui e conseguentemente un
             impatto negativo a livello di popolazione.
                 Le ricerche di bioacustica degli ultimi due decenni sono state per lo più
             orientate alla protezione dei cetacei rispetto al rumore di elevata potenza, in
             particolare degli airgun e dei SONAR navali, ma ora si sta affermando una
             maggiore attenzione su tutte le problematiche indotte dal rumore anche a livelli
             subletali.
                 Lo stesso ambiente è certamente una fonte di rumore; il moto ondoso, il vento,
             la pioggia, i microsismi del fondale sono sorgenti di segnali acustici di differenti
             caratteristiche, vedasi in proposito le curve di Wenz (1962), ma a questo rumore
             gli animali si sono adattati nel corso dell’evoluzione sviluppando una curva di
             sensibilità uditiva e schemi di comunicazione adeguati.
                 Il rumore e le vibrazioni prodotte in mare dalle attività umane, ormai ricono-
             sciute come «inquinamento acustico», possono interferire in vario modo con la
             vita animale (Richardson et al., 1995; Popper 2003; Simmonds et al., 2004; Pop-
             per et al., 2004; Agardy et al., 2007; Weilgart 2007; Clark et al., 2009; Tyack
             2009) e per questo sono sempre più prese in considerazione anche a livello legisla-
             tivo (McCarthy, 2004; Pavan, 2007; 2008; Weir, Dolman, 2007) e di gestione delle
             strategie di conservazione (Agardy et al., 2004; Pavan, 2007; 2008). Dopo esse-

                                                                
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