BALTASAR GRACIAN, FILIPPO IV E L'IDEA DEL PRINCIPE PERFETTO

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BALTASAR GRACIAN,
                FILIPPO IV E L’IDEA DEL PRINCIPE PERFETTO

                                          Aurelio Musi*

   Le vite di Baltasar Gracian e di Filippo IV sono quasi parallele. In questo contributo sono
analizzate due opere di Gracian: El politico don Fernando (1640), sintesi del suo pensiero politico,
pubblicata al crepuscolo dell’Olivares, e Oraculo manual (1647), esaltazione del nuovo valido,
Luis de Haro, Questa seconda opera rappresenta l’ideale del sovrano, che si è liberato del suo
“arciministro”, ha incontrato il prudente de Haro e regna in relativa autonomia. Ma la condizione
malinconica, al crepuscolo del sistema imperiale spagnolo, coinvolge sia Filippo che Gracian:
incarna la distanza tra il modello e la realtà.

   The lives of Baltasar Gracian and Philippe IV roll by almost parallel. In this contribution
I analyze El politico don Fernando, written by Gracian in 1640, in the twilight of Count-Duke
Olivares, and Oraculo manual, written in 1647, in which the author celebrates the new valido Luis
de Haro. The focus of this second work is Philippe IV: a model of a king who finally is free from
the “arciministro” Olivares and can reign with a new style of valido, with a practice of a balance
between the power’s property and the power’s government. Both Philippe and Gracian are two
melancholic personalities: in the twilight of the Spanish Imperial System, they live the distance of
the ideal from the reality.

* Università degli Studi di Salerno - Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazioni
(musiaurelio@gmail.com)

                                                                            Polygraphia 2021, n. 3
Aurelio Musi

Vite parallele
    Due vite “altalenanti”, quelle di Baltasar Gracian e di Filippo IV d’Asburgo. La prima è stata
così definita da Miguel Batlori1: «e vuole rappresentare la tensione intellettuale e psichica tra
divino e umano nello scrittore barocco spagnolo, il suo carattere mondano e mistico al tempo
stesso, impastato di ribellione e ubbidienza ai superiori». La ratio studiorum gli ispirò l’estetica
dell’invenzione, la porta d’accesso ad una forma mentis circolante in tutte le opere di Gracian,
che si sentiva tanto aragonese nella visione “pattista” della Monarchia quanto intimamente e
sinceramente spagnolo, devoto a Dio e fedele al suo re. E la biografia di Filippo IV, come ho cer-
cato di ricostruire nel mio studio recente2, fu altrettanto oscillante fra passione sensuale, a volte
irrefrenabile, attrazione per tutti gli aspetti dei piaceri terreni, e sentimento di colpa soprattutto
nella fase più matura della sua vita, allorché gli insuccessi politici e militari, uniti alle numerose
disgrazie familiari, furono dal sovrano Cattolico vissuti come giusto castigo ad espiazione della
dissoluta condotta dell’età giovanile.
    Naturalmente si tratta di due forme diverse di vivere quella ambivalenza tipica e ricorrente
delle personalità barocche che Walter Benjamin ha definito «fuori media»3. Nella prima, quella
di Gracian, l’oscillazione è, a livello psicologico, fra il desiderio di spingersi fino in fondo nei
meandri dell’umano e il dovere dell’obbedienza a Dio e all’Ordine gesuitico; a livello politico,
fra il senso di appartenenza aragonese e il sentimento di fedeltà al re Cattolico delle Spagne
e dell’impero. Non è azzardato ipotizzare che questa oscillazione potesse produrre in Gracian
forme di malinconia, peraltro testimoniate da non pochi “luoghi” delle sue opere. Nella condi-
zione umana di Filippo IV si può rispecchiare invece il disordine malinconico che turbò il corpo
sociale dell’impero asburgico e l’affezione saturnina dell’epoca barocca.
    Vite altalenanti dunque e, al tempo stesso, parallele. Novizio tra il 1619 e il 1622, nello stes-
so periodo in cui Filippo IV iniziava ad apprendere i rudimenti dell’arte di regnare, Gracian
a Tarragona apprese la conoscenza di Dio e degli uomini; tra il 1623 e il 1627 compì gli studi
superiori di teologia a Saragoza; nel 1627 fu ordinato sacerdote. Tra il 1627 e il ‘30 fu docente
a Catalayud: nella pratica del suo insegnamento fuse razionalità e ironia, sottolineò acutezza
e ingegno. Tra il 1630 e il ’31 fu in Valencia, quindi a Lerida nei due anni successivi insegnò
Teologia Morale, trionfò come lettore e predicatore, nel 1633 a Gandia come docente di filosofia.
Qui fu investito dalla prima profonda crisi psicologica e cominciò a pensare all’elaborazione
de El Heroe. Dopo la professione dei quattro voti, sempre secondo la ricostruzione di Batlori4,
la vita di Gracian nella Compagnia di Gesù si fece più “altalenante” e l’inquietudine interiore
e religiosa si proiettò nella sua opera. Spirito introverso, gesuita inquieto e scontento del suo
Ordine, chiese di passare ad altro Ordine. Dopo il 1636 iniziava un periodo di quindici anni
dedicato esclusivamente alla predicazione e alla scrittura. Proprio in quell’anno si svolgeva
l’incontro col Lastanosa destinato a durare fino al 1639. Nello stesso periodo era confessore di
Francesco Carafa duca di Nocera.
    Nel 1621 il giovane Filippo IV succedeva al padre sul trono di Spagna. Fin dai primi anni
si era manifestato il conflitto fra un’indole passionale, fortemente improntata a irrefrenabili

1. Batlori 1958. Per altri aspetti della biografia e della storia delle interpretazioni relative a Gracian, cfr. Egido -
Marin 2001.
2. musi 2021.
3. Benjamin 1999.
4. batlori 1958, pp. 55 ss.
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impulsi sensuali, e la rigida educazione religiosa, condizionata dai confessori della famiglia.
Al tempo stesso entravano a far parte del bagaglio intellettuale del giovane re gli insegna-
menti del neostoicismo, i modelli del principe perfetto, espressi nella letteratura politica co-
eva, la sensibilità estetica e il mecenatismo, fortemente influenzati dal valido del sovrano,
il conte-duca d’Olivares. La vita di Filippo IV è scandita da varie fasi. Nella fase iniziale,
che va dalla nascita nel 1605 all’adolescenza, egli vive innanzitutto un primo trauma per la
perdita della madre, Margherita d’Austria, il 13 gennaio 1608. La morte della madre, moglie
di Filippo III, una personalità caratterizzata da una inconfondibile Stimmung malinconica,
segnerà profondamente l’intera biografia del figlio: la depressione, l’ossessione della morte,
provate fin da piccolo, accompagneranno Filippo IV per tutta la vita. Alla perdita della madre
si aggiunge il secondo trauma: nel 1610 la fragilità fisica del bimbo, ereditata, secondo Mon-
tesquieu, dal padre, gli causa una grave malattia. Tra la fanciullezza e l’adolescenza trascorre
la formazione del futuro sovrano. Quella tipica, modello del principe cristiano, che la coeva
letteratura politica formalizza nei suoi caratteri fondamentali, ma anche un’educazione spic-
catamente repressiva, nel segno dell’austera ortodossia e morale cattolica, vengono impartite
a un ragazzo che, nel fiore della pubertà, prova già una sfrenata sensualità, stimoli e pulsioni
sessuali assai spinte, anche se necessariamente dissimulate. Questa fase si conclude con la
morte di Filippo III e la successione al trono del figlio.
    La successiva fase coincide largamente col rapporto ventennale tra il sovrano e il suo favorito,
l’Olivares. Tra il 1621, anno dell’ascesa al trono, e il 1639, dimensione privata e dimensione pubbli-
ca di Filippo IV si riflettono tra loro e si potenziano a vicenda. Il monarca libertino supera i limiti
imposti dalla repressione infantile e protoadolescenziale. Seduce donne di ogni ceto sociale, dame
di corte, attrici e cantanti, prostitute anche di basso livello, per il soddisfacimento spasmodico dei
suoi insaziabili appetiti sessuali: assecondato in questo dal suo valido Olivares.
    Ma è quello stesso monarca che, all’esordio dell’ultima fase della guerra dei Trent’anni,
quella caratterizzata dallo scontro diretto tra Francia e Spagna, riesce ancora a mietere
successi nel conflitto internazionale grazie ad imponenti mezzi finanziari e militari. È con i
primi anni Quaranta, in particolare con le sconfitte militari, la rivolta e l’intervento france-
se in Catalogna, la crisi portoghese, che lo scenario va mutando e la potenza della monar-
chia asburgica comincia a vacillare. Crisi economica interna, destituzione del conte-duca
nel 1643 dopo il fallimento della sua strategia politica, malessere entro il sistema imperiale,
emerso in piena evidenza con le rivolte del 1647-48 a Napoli e in Sicilia, i costi della lunga
guerra contro l’Olanda sono i segni del declino. Ma non ancora della decadenza dell’im-
pero, che si verificherà, per la parte europea, solo con la guerra di successione spagnola al
principio del Settecento.
    Il confronto fra i contesti delle due opere più importanti di Gracian, El politico don Fernan-
do del 1640 e Oraculo manual del 1647, mette in evidenza i caratteri diversi delle due fasi della
biografia di Filippo e di Gracian. Al 1640 re e suo valido accusano i segni della crisi del rap-
porto. La parabola discendente di Olivares coincide con l’inizio del ciclo delle “sei rivoluzioni
contemporanee”, con l’andamento incerto della guerra con la Francia e i primi tracolli militari.
    La biografia di Gracian, negli stessi anni, vede il ritorno a Saragoza del gesuita e l’incari-
co di confessore del Carafa, su cui ha scritto pagine importanti Benedetto Croce5. Nella sua
prima forma El politico don Fernando fu il testo di una lettura tenuta in un’Accademia di

5. Croce 1937, pp. 219-235.
Aurelio Musi

Saragoza alla presenza del Carafa. E nelle altre due opere, Agudeza y arte de ingenio e nel
Discreto, numerosi sono i riferimenti al duca di Nocera, a cui «venne meno la fortuna, ma
non la fama che aveva meritato»6. E Gracian protestò contro l’imprigionamento del Carafa
come “commessa iniquità”: un’accusa che, come scrive Croce, «il grande stilista e moralista
spagnolo, il gesuita Gracian, volle che ben si udisse nella Spagna di Filippo IV»7.
    La seconda fase di Filippo IV è quella del governo del re e della ripresa dell’iniziativa filip-
pina. Il nuovo primo ministro de Haro, pur conservando formalmente i caratteri del valimiento,
se ne distacca rispetto alla fisionomia che essi hanno avuto con l’Olivares. È il periodo delle
rivolte a Napoli e in Sicilia, ma anche delle trattative di pace a Munster e Osnabruck e della pace
separata tra Spagna e Olanda nel 1647.
    Nella biografia di Gracian un peso notevole ha il nuovo incarico di direttore spirituale sul
campo di Lerida. Gracian è il «critico patriota spagnolo», come lo definisce Fumaroli.
    Oltre che un gesuita militante della Riforma cattolica, è chiaramente anche un patriota
spagnolo. Tutti i letterati spagnoli del siglo de oro erano patrioti. Ciò non impedì a Gracian
di esprimere dubbi sull’arte di governo di Olivares, né di solidarizzare col suo amico il duca
di Nocera, viceré di Aragona, quando questi fu vittima della evidente ingiustizia del primo
ministro di Filippo IV8.
    Il Carafa era stato nominato viceré di Aragona e Navarra nel 1640. L’anno successivo, in se-
guito alla congiura filofrancese organizzata in Aragona, il Carafa veniva accusato a Madrid di
cospirazione con gli avversari. Imprigionato, morì dopo dieci mesi di carcere il 16 luglio 1642.
Ma la clemenza del re non si fece attendere. La spoglia del Carafa fu traslata con molta solen-
nità a Madrid, dove fu inumata nella chiesa dei Gesuiti. Dopo quattro anni il processo a carico
del Carafa, istruito ad istanza del figlio Francesco Maria Domenico nel Consiglio d’Aragona, si
concluse con una sentenza di piena assoluzione9.
    Il legame tra il Gracian e il Carafa era assai profondo. Si trattava di una consonanza per-
fetta fra il gesuita intellettuale, politico attento alla funzione militare come via maestra per il
consolidamento della potenza dello Stato, che vedeva nel duca di Nocera la fusione fra armi,
lettere, virtù militare e sensibilità culturale, e il Carafa, Accademico Ozioso, uno dei fonda-
tori del sodalizio napoletano voluto dal viceré conte di Lemos nel 1612, esponente di punta
dell’antica aristocrazia feudale del Regno di Napoli, ma anche capitano generale della caval-
leria napoletana, distintosi nell’assedio di Casale nel 1628, valoroso combattente al seguito
del cardinale infante Ferdinando d’Asburgo nella battaglia di Nordlingen, insignito del Toson
d’oro e del titolo di gentiluomo di camera da Filippo IV. Forse l’attrazione di Gracian per
Francesco Carafa era anche dovuta alla multiforme e, per certi versi, contrastante personalità
del duca di Nocera: esponente di un baronaggio che sfruttava integralmente il potere giurisdi-
zionale sui vassalli, che praticava l’abuso e la sopraffazione nel vasto “stato” feudale esteso
in tre province del Regno di Napoli (Principato Citra, Abruzzo Ultra e Calabria Ultra); ma
anche membro di un’élite militare e politica transnazionale, presente nei più importanti sce-
nari di guerra dei Trent’anni e con un cursus honorum di tutto rispetto nel sistema imperiale
spagnolo, culminato nella carica vicereale; e ancora compositore di apprezzati componimenti

6. Croce 1937, p. 234.
7. Croce 1937, p. 235.
8. Fumaroli 2020, p. 244.
9. Cfr. Russo 1976.
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poetici in italiano e spagnolo; amico del Tasso che proprio al duca di Nocera aveva dedicato
il sonetto Quando mai dimostrarsi ai vostri occhi10 .
    Dopo la caduta in disgrazia di Olivares, Gracian rispose senza esitare all’appello di Filippo
IV ed entrò come cappellano nelle truppe spagnole inviate a Lérida per far togliere l’assedio
dei francesi alla città, rivelando così quel senso di appartenenza insieme aragonese e spagnolo
di cui si diceva prima. Nel 1646 fu poi a Huesca dove insegnò teologia morale fino al 1650 e
pubblicò El discreto con dedica a Baltasar Carlos.

Il dibattito sul principe perfetto
   Giovanni Macchia ha stabilito una differenza tra due tipi principali di moralisti:
   il moralista pratico la cui scienza è rivolta a difendersi o a conquistare il mondo in cui vive (e accade che
   egli diventi un politico); e il moralista puro. Al piacere non di rado acre dell’osservazione quest’ultimo
   unisce la volontà di dare un senso allo spettacolo cui assiste (e non è raro il caso che egli diventi un filo-
   sofo o una grande anima religiosa). Mezzo espressivo del primo è il precetto; ma il mezzo espressivo del
   secondo è la riflessione11.

    Sulla scia di Machiavelli i primi sono gesuiti, preti, cardinali che possono diventare
reggitori di Stati: essi indicano un insieme di precetti utili per interessi immediati, manuali
pratici che utilizzano la psicologia come strumento di governo. Anche in Gracian si può
ritrovare Machiavelli, che egli chiamava con disprezzo il “valiente embustero”. «Ma un
Machiavelli ormai lontano dai grandi eroici fantasmi della storia. Dietro c’è il fosco pessi-
mismo gesuitico, una volontà di potenza fondata sulla malizia e sulla frode»12. Per Gracian
la politica non è un sapere storico e giuridico sopra la natura e le forme del potere. È una
disciplina pratica centrata sui mezzi per esercitare il potere senza perderlo. A differenza
dei trattati del suo tempo egli non costruisce un sistema alla maniera dei filosofi politici e
morali, anche se non rinuncia certo a questo profilo, situandosi dunque tra il precetto e la
riflessione. Offre un’arte del navigare per affrontare non la natura, ma la pratica del potere:
insomma la sommatoria di Machiavelli più Tacito, personificazione e astrazione insieme
del potere13. E’ comunque un moralista nel senso identificato da Macchia perché «non si
applica, con furore simmetrico, alla costruzione di un mondo di pensiero: si limita a notare
la contraddittorietà dell’esistere, le luci e le ombre di tutto ciò che ha sotto gli occhi»14. Un
confronto con gli scrittori politici più o meno contemporanei a Gracian chiarisce meglio
questo punto nevralgico.
    La formazione e l’ascesa al trono di Filippo IV si collocano sulla scia della riflessione spa-
gnola sul principe ideale e perfetto. La teoria politica, fondata sull’esperienza storica, si alimen-
tava di influssi tacitiani. E Tacito español ilustrado con aforismos era stato il titolo dell’opera di

10.Sulla figura del Carafa cfr. Musi 1991, pp. 146-147; Musi 2007, pp. 210-211.
11. Macchia 1988, pp. 23-24.
12. Macchia 1988, p. 25.
13. Cfr. Montaner 2001, pp. 47-58.
14. Macchia 1988, p. 18.
Aurelio Musi

Baltasar Alamos de Barrientos15, pubblicata nel 161416.
    Il Tacitismo di Alamos de Barrientos doveva svolgere una funzione eminentemente pratica:
costituire cioè una sorta di breviario per principi, consiglieri e ministri. Le regole di Stato e la
scienza della politica dovevano essere fondate sulla conoscenza storica e sulla psicologia come
analisi dei comportamenti.
    Nel 1621 Francisco de Quevedo dedicava all’adolescente Filippo l’opera Grandes Anales
de Quince Dias. Historia de muchos siglos que pasaron en un mes17. Essa cadeva in una con-
giuntura critica a corte per la morte di Filippo III e la lotta per il potere tra Zuñiga e Gaspar de
Guzman, duca di Olivares. Era anche un contesto di transizione, di aspettativa genuina e gene-
ralizzata di cambio politico per l’ascesa al trono di Filippo IV. Due opere manoscritte precedenti
erano state dedicate dal Quevedo rispettivamente a Zuñiga e al Guzman. Con i Grandes Anales
l’autore intendeva distaccarsi dal vecchio regime, fare i conti con il cambio del potere a Corte e
accreditarsi come amico dell’Olivares e consigliere del re.
    Per comprendere i Grandes Anales occorre partire da un’analisi dei termini privado e va-
limiento. All’origine il privado era il cortigiano di minor rango che otteneva la protezione di
un signore potente: egli stabiliva così una relazione con la persona naturale del monarca. Il
valimiento dal principio del secolo XVII significava invece il controllo esclusivo della grazia
regia ed era percepito come un problema politico nuovo. Filippo III aveva delegato la gestione
delle decisioni regie al Lerma e aveva istituito per il suo privado la carica di consigliere unico e
“ministro universale”. L’istituzione era poi andata generalizzandosi in Europa.
    Quevedo partecipava con la sua penna al cambio politico verificatosi sotto Filippo IV, che era
un cambio ministeriale e insieme di mentalità, molto influente sul giovane principe. Il rapporto
del monarca con il valido costituiva così il tema dominante dei Grandes Anales. E Filippo IV
ne era il protagonista.
    L’opera fu scritta in tre tappe: nelle prime settimane di regno, quando il potere di Olivares
era ancora un enigma; quindi i giorni della caduta di Lerma, la disapprovazione delle sue azioni
e dei suoi comportamenti da parte del Quevedo che considerava il valido di Filippo III esempio

15. Cfr. sull’opera dell’autore Santamaria 1979, pp. 293-304; Iriarte 2014; Sauquillo 2008. Secondo Sauquillo la
testa pensante del Perez non si inquadra nella modernità, ma è manifestazione di premodernità. Le critiche dell’au-
tore si rivolgono soprattutto a Maravall, Tierno Galván ed altri che hanno visto nella produzione del Barrientos
l’applicazione del metodo induttivo baconiano. Per Sauquillo, invece, sono autori anteriori come Donato Giannotti
che anticipano la modernità attraverso la visione dell’equilibrio dei tre poteri. Per il Barrientos la virtù barocca del
governante è ancora manifestazione del carisma premoderno come garanzia personale del buon governo.
16. Per quanto segue cfr. Musi 2021, cap. II.
17. Per quanto segue ho tenuto in considerazione Peraita 1997; REY 2010, pp. 633-669. In esso l’autore rico-
struisce le interpretazioni del Quevedo dal Seicento a oggi. L’immagine nel suo secolo fu quella di uno scrittore
scandaloso, sedizioso. Erudito, moralista, satirico, fu mordace in materia sociale e politica, irriverente in questioni
ecclesiastiche. Per i numerosi attacchi ricevuti Quevedo fu spesso indotto all’autocensura. Ebbe lodi dai suoi
contemporanei, Lope de Vega e Gracian, tra gli altri. Nei secoli XVIII e XIX fu apprezzato il pensatore e nel
Romanticismo fu visto come antitesi al “tiranno” Olivares. L’opera Politica de Dios fu considerata il tentativo di
utilizzare la religione come freno al dispotismo: secondo una via seguita da Bossuet e Montesquieu. Nella prima
metà del XX secolo Quevedo fu ancora considerato un campione della giustizia, dotato di ambizione intellettuale e
talento satirico, ma si guardò criticamente alla scarsa originalità delle sue opere di trattatistica e alla sua artificiosità
stilistica. Marañon lo ritrasse quasi alla stregua di un cospiratore e di una spia dei francesi. Tra gli anni Sessanta e
Settanta del Novecento l’ideologia marxista ha visto in Quevedo un intellettuale organico dell’aristocrazia spagno-
la. Sulla scia degli ultimi studi di Maravall, Rey auspica una migliore storicizzazione di Quevedo, che si colloca
sulla strada stretta fra conservazione e trasformazione. Nel suo caso, sostiene Rey, non si è realizzato il necessario
equilibrio tra filosofi e filologi ed è pertanto necessario ricollocare Quvedo nel suo contesto letterario e culturale.
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negativo, prototipo di politico ambizioso, simulatore, dissimulatore, dedito a coltivare solo inte-
ressi privati; terza tappa, il conflitto Uceda-Zuñiga. Del primo Quevedo sottolineava le scarse
qualità politiche, pur non condannandolo moralmente; il secondo era definito «uomo di tutti i
tempi e degli affari suoi»18.
   Nei primi giorni del suo regno, agli occhi dei suoi sudditi Filippo IV incarnava l’immagine
mitica di suo nonno Filippo II. Per Almansa y Mendoza, un altro scrittore politico del tempo, il
governo del nuovo re era il «secolo d’oro della Monarchia»19.
   Il titolo dell’opera di Quevedo, Grandes Anales, voleva alludere al fatto che Filippo IV aveva
realizzato in due settimane quello che altri avevano realizzato in anni o secoli. Il sottotitolo, Hi-
storia de muchos siglos que pasaron en un mes, rappresentava la condensazione e intensificazione
del tempo. L’iperbole diventava così la figura più appropriata per descrivere il nuovo re. I lettori
cortigiani e il lettore per antonomasia, Filippo IV, dovevano concepire l’opera come storia20.
   Per Quevedo il monarca doveva essere cristiano per definizione, esercitare la sovranità, evi-
tare l’appropriazione delle prerogative regie da parte del valido. L’autore sceglieva Cristo come
modello di governante e suggeriva al nuovo sovrano di imitare il linguaggio politico del Cristo:
in un momento in cui regnava un monarca le cui virtù principali erano legate alla sua identità
cattolica, ma che veniva giudicato poco dotato di qualità efficacemente politiche, del dono del
comando, di diligenza negli affari amministrativi. E allora l’attenzione di Quevedo si rivolgeva
alla rappresentazione del potere reale, all’acquisizione di virtù pratiche, all’immagine pubblica
della sovranità, alla ricerca del giusto equilibrio tra re e ministro. Il privado doveva eseguire,
non controllare la decisione del monarca. La sua critica si rivolgeva al clientelismo ministeriale
e alla corruzione amministrativa.
   Grandes Anales erano rivolti direttamente al re. Dovevano formare, istruire il nuovo monarca,
indicargli le differenze tra un buono e un cattivo politico. Ma il panegirico regio e il sostegno al
governo olivarista rappresentavano anche il tentativo di risolvere la personale situazione politica
dell’autore, caduto in disgrazia dopo la carcerazione del duca di Osuna, suo grande patron.
   Nell’altra opera di Quevedo, Politica de Dios, pubblicata nello stesso anno dei Grandes Ana-
les, l’autore si proponeva ancora un’utilizzazione pratica: guidare il principe nelle sue azioni e
nella sua relazione col valido. Il monarca-patriarca-pastore regnava al di sopra degli intrighi dei
politici, al di là del bene e del male. La sua maestà indipendente doveva fondarsi sulla difesa
del bene comune contro gli interessi particolari di governanti e nobiltà. E Filippo IV, pur gio-
vane e non ancora maturo per gli affari di Stato, aveva ricevuto dalla Provvidenza il dono della
saggezza politica, perché la perizia nell’arte di governare derivava da una «scienza infusa». Era
perciò il monarca esemplare. Quevedo censurava elementi concreti della politica del Lerma e di
Filippo III: la negligenza del re, il suo disimpegno, il disprezzo e il disdoro della reputazione.
Criticava gli errori della forma di governo: il controllo esclusivo della sfera politica da parte
del valido e della sua camarilla, le novità introdotte nell’equilibrio tra Monarchia e aristocrazia
cortigiana, con un chiaro beneficio per la seconda.
   Le questioni politiche centrali, negli anni in cui furono composte le due opere, erano dun-
que la corruzione e il clientelismo, il controllo delle decisioni di un re quasi eterodiretto, la
conservazione e la reputazione della Monarchia cattolica, il destino della tregua firmata dal

18. Rey 2010, p. 39.
19. Rey 2010, p. 42.
20. Peraita 1997, pp. 159-168.
Aurelio Musi

Lerma con l’Olanda, la ridefinizione delle virtù del buon politico in antitesi a Filippo III.
Gli eventi raccontati da Quevedo erano la caduta della fazione Sandoval, il processo a Rodrigo
Calderon, il «favorito del favorito», il processo al duca di Osuna, l’estromissione degli ecclesia-
stici, in particolare di Aliaga confessore del re, dall’establishment politico.
    Oltre Tacito e la sua considerazione della politica come moralità applicata, che ebbero straor-
dinaria fortuna e furono apprezzati nel milieu della cultura barocca, fu Giusto Lipsio a influen-
zare dal punto di vista dottrinale l’opera di Quevedo21. Il pensatore olandese, vissuto tra il 1547
e il 1606, aveva pubblicato nel 1589 il suo capolavoro, che larga influenza avrà su tutta la rifles-
sione del Seicento e sui teorici della ragion di Stato: i Politicorum libri sex. Il realismo di Lipsio
era fondato sulle virtù considerate non precetti morali e religiosi, ma nella loro declinazione
prammatica, legata alla conoscenza del territorio da parte del principe e degli strumenti concre-
ti di governo. Praticando quelle virtù il principe poteva ottenere un doppio obiettivo: esercitare
la sua capacità di comando e guadagnare l’obbedienza disciplinata dei sudditi. Il neostoicismo
di Lipsio si ispirava al De clementia di Seneca, il programma educativo per il giovane Nero-
ne, fondato sul dominio delle passioni, sull’ideale del principe saggio, capace di governare in
guerra e in pace. Lipsio rappresentava la sintesi tra neostoicismo e cristianesimo neoplatonico.
La sua fortuna nella penisola iberica fu notevole soprattutto fra il 1595 e il 1630. Quevedo lesse
in traduzione spagnola il De politicorum, dove era espressa a chiare lettere anche una teoria del-
la vita il cui protagonista era l’individuo come essere politico e sociale. E l’ars vivendi era la rap-
presentazione dell’ideale neostoico, della trasformazione cioè delle virtù native in virtù dative,
costanza, prudenza, pazienza, fermezza, conquistate attraverso il faticoso lavoro di controllo su
se stessi. Per il sovrano assoluto tutto questo significava realizzare l’obiettivo della disciplina,
della sintesi cioè tra la sua capacità di comando e la conquista della disponibilità all’obbedienza
da parte dei sudditi22.
    Tutti i modelli su indicati fondono politica e storia al fine pratico di guidare i governanti. Le
opere, quasi sempre direttamente legate agli interessi politici immediati dei loro autori, sono
rivolte più o meno direttamente al sovrano per la sua educazione: neostoicismo e tacitismo de-
vono costituire riferimenti ideali immediatamente spendibili.
    Diversa, come si vedrà, è la fisionomia delle opere di Gracian, anche se non mancano i punti
di contatto con la trattatistica contemporanea.

La sintesi politica: Ferdinando il Cattolico

   Ne El politico don Fernando, Gracian enuncia cinque requisiti per la stabilità delle Corone:
le virtù del valore per il loro conseguimento e della prudenza per la loro stabilità; la forma
perfetta della fondazione delle Monarchie; la particolare attenzione alla composizione di un
impero universale e al rapporto tra unità e differenze territoriali, diverso da quello di un regno
omogeneo; la capacità di coniugare «l’astuzia che ha un suo proprio modo di fondare gli stati»
col «valersi sempre dell’occasione», perché «le storie sono più piene di accidenti che di esempi

21. Cfr. Schwartz 2000, pp. 229-240.
22. Per la diffusione dello stoicismo nella cultura politica europea utile soprattutto per la ricostruzione delle prin-
cipali interpretazioni di Lipsio nel pensiero filosofico, storico e politico europeo del Novecento, Martinez 2013,
pp. 19-63.
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di esperienze»; le sapienti strategie matrimoniali23. Ferdinando il Cattolico ha rappresentato la
sintesi dei cinque requisiti. A lui affidarono la natura qualità, la fortuna favori e la fama con-
sensi. Ricopiò il cielo in lui le migliori qualità di tutti i fondatori monarchi, al fine di comporre
un impero di tutto il meglio delle monarchie. Congiunse molte corone in una e, non essendo
sufficiente alla sua grandezza un mondo, la sua fortuna e la sua capacità ne scoprirono un altro.
Aspirò ad adornare la sua fronte di pietre orientali, così come di perle occidentali, che, se non lo
conseguì ai giorni suoi, ne insegnò il cammino ai suoi successori attraverso l’imparentamento,
ché, dove non ha luogo la forza, l’ha invece l’astuzia24.
    Don Fernando assurge così a modello di sovrano imperiale perché ha personificato la mirabi-
le sintesi fra le qualità del principe, l’affermazione della legittimità del potere attraverso i titoli
della conquista militare e le strategie matrimoniali, la capacità di unire due mondi sotto il suo
scettro, la fusione fra astuzia e fortuna. È chiara l’ispirazione machiavelliana non necessaria-
mente intenzionale di questa pagina del gesuita. Anche se la precisazione ulteriore ridimensiona
fortemente tale ispirazione. Scrive infatti Gracian:
   Aiuta molto, ovvero molto ostacola, per conseguire la celebrità, derivare da questa o l’altra famiglia: filo-
   sofia per noi nascosta, effetto manifesto della divina provvidenza, più favorevole ad una piuttosto che ad
   altre. Sembrerebbe che si ereditano, così come le caratteristiche naturali, anche quelle morali, le qualità e
   le indisposizioni della natura e della fortuna. Vi sono casate che recano seco la felicità e altre la infelicità.
   Quella di Austria è sempre stata felicissima, prevalendo continuamente contro le macchinazioni dei suoi
   emuli. Quella di Valois, al contrario, in Francia, è stata disgraziata, non perdonando tale infelicità neppure
   alle privilegiate femmine25.

    Dunque è la mano misteriosa della Provvidenza che ha generato i successi della Felix Au-
stria, proteggendola dai suoi nemici “emuli”.
    Ma la ragione per la quale Ferdinando il Cattolico si eleva di molto al di sopra dei suoi suc-
cessori sta nel fatto che egli è riuscito a riunire, anticipandoli, i caratteri specifici di ognuno di
loro: il valore militare di Carlo V, le qualità di Filippo II nell’amministrazione della giustizia, la
sensibilità religiosa di Filippo III, le capacità di governo di Filippo IV26. Inoltre “il prudentis-
simo Fernando” è riuscito a realizzare il giusto mezzo tra due estremi del passato: l’imperatore
Adriano sempre in movimento e Gallieno «del tutto in ozio». Re itinerante, il Cattolico non fissò
la sua dimora in nessuna città spagnola o perché non diede per definita in qualche modo la sua
monarchia, della quale ambiva sempre l’ingrandimento, o per il profondo parere di non rendere
una nazione la testa e l’altra i piedi27.
    Dunque mobilità dei confini della Monarchia e pari dignità delle sue naciones sono, agli oc-
chi di Gracian, due caratteri positivi della formazione politica creata dal Cattolico: a conferma
della doppia lealtà, del doppio sentimento di appartenenza del gesuita all’impero e alla “nazio-
ne” aragonese, e della fondamentale adesione alla pratica di governo “pattista”.
    Ma l’opera di Gracian è anche la testimonianza della sua sostanziale fedeltà a Filippo IV. Del
resto il sovrano aveva mostrato di apprezzare El Heroe, pubblicata nel 1637 e dedicata proprio

23. Gracian 2003, pp. 50-52.
24. Gracian 2003, p. 52.
25. Gracian 2003, p. 53.
26. Gracian 2003, p. 81.
27. Gracian 2003, p. 88.
Aurelio Musi

al sovrano nell’edizione di due anni dopo. Filippo lo aveva ringraziato, come ricorda Fumaroli28,
con una frase diventata famosa: «È una piccola opera che contiene grandi cose». Un’altra frase
del re è riportata in El politico: guardando un dipinto che ritrae il suo avo Ferdinando, Filippo IV
avrebbe detto: «A lui dobbiamo tutto». Modo indiretto – commenta Fumaroli – di far valere l’op-
portunità e l’efficacia di quel ritratto scritto del re fondatore della Spagna e dell’esempio che egli
dà al suo successore, nel momento in cui questo deve affrontare la secessione della Catalogna29.
    Il protettore del gesuita, il Lastanosa, aveva fatto in modo che questa ed altre sue opere giun-
gessero al sovrano, che apprezzò, fece copiare e conservare il manoscritto della Arte de ingenio.
La nascita del figlio di Filippo, Baltasar Carlos, aveva poi spinto Gracian a vagheggiare la pos-
sibilità di poter essere scelto come suo precettore. Proprio ne El politico il gesuita scriveva:
   Vi sono altre stirpi bellicosissime per natura e per inclinazione, come quella di Borbone, seminario di
   valenti capitani, la cui fusione con quella di Austria promette al nostro Serenissimo Principe di Spagna,
   insieme alla felicità, il valore per essere monarca dell’Universo. Sia oracolo il suo nome regale di BAL-
   TASAR RE, composto di quattro vocali che danno inizio a tutte le quattro parti del mondo (Europa, Asia,
   Africa, America) in vista del fatto che la sua monarchia e la sua fama le occuperà tutte30.

   El politico è indirizzato a Filippo IV, a cui l’autore attribuiva tre qualità: l’audacia, la sorpre-
sa, l’indugio31. E ne completava il ritratto:
   l’eminenza regale non consiste nel combattere, ma nel governare. Grande prerogativa del grande Filippo
   IV, il quale, quantunque universale in eminenze, di giudizio straordinario, di rilevante ingegno, di eroico
   valore, ha messo ogni cura nel governo, violentandosi, e quasi sottraendola alla naturale inclinazione
   guerriera, giudicandola l’apice delle prerogative regali e divisa propria di un perfetto re32.

    In questo luogo Gracian mostrava di essere a conoscenza del rapporto non certo idilliaco che,
proprio a proposito della condotta militare della guerra, vedeva Filippo IV, desideroso di essere
presente sui campi di battaglia, in conflitto col suo valido, il conte-duca d’Olivares33. Nella stes-
sa opera, il rapporto fra re e suoi ministri suscitava notevole attenzione da parte dell’autore. Il
governo del regno, scriveva, non può essere esercitato dal solo sovrano: esso si trasmette a tutta
la serie dei ministri i quali sono a loro volta dei re. Che vale che il principe sia eccellente in sé
se coloro che coadiuvano lo discreditano? E tuttavia, quasi a voler relativizzare, ridimensionare
il giudizio sul potere ministeriale, Gracian aggiungeva: «Un re di grandi capacità è di grandi
capacità di scelta». E portava ad esempio e modello «Filippo II, il Prudente» che
   teneva sempre i suoi ministri in una dipendenza artificiosa, moderando le loro molte aspettative con qual-
   che soddisfazione: è un’arte in se stessa sapere allevare i ministri, farli e conservarli (…) Un re saggio non
   si accontenta di sceglierli buoni, li fa, li forma, li istruisce. Non dipende dal principe che essi siano dotati;
   il sapere se lo sono, questo sì34.

  Il politico li forma politici. Luigi XI di Francia trasmetteva anche agli uomini di più comune
condizione, che egli riteneva più maneggevoli e docili, quel suo spirito politico la sua intelli-

28. Fumaroli 2020, pp. 264-265.
29. Fumaroli 2020, p. 265.
30. Gracian 2003, p. 53,
31. Fumaroli 2020, p. 190.
32. Gracian 2003, p. 68.
33. Per cui cfr. Musi 2021, passim.
34. Gracian 2003, p. 91.
BALTASAR GRACIAN, FILIPPO IV E L’IDEA DEL PRINCIPE PERFETTO

genza nello scoprire, i suoi riflessi nel prevenire, la sua destrezza nel negoziare, il suo modo di
procedere35.
   Non è esplicitata, ma Gracian fa intravedere la differenza tra Filippo II che «tiene i suoi mi-
nistri in una dipendenza artificiosa» e Filippo IV che ha un arciministro:
   l’eccellentissimo signore don Gaspar di Guzman, conte-duca di Olivares, eminente in tutto, Grande Mi-
   nistro del Grande Monarca. Invero gigante dalle cento braccia, dalle cento intelligenze, dalle cento pru-
   denze. Ché senza dubbio il Cielo ha previsto i maggiori uomini per i maggiori rischi di questa Monarchia
   Cattolica. E che tutto il mondo abbia congiurato contro di essa, non è avvenuto che per far risaltare alla
   luce universale di tutto il mondo e di tutti i secoli le qualità regali e ducali.36

   L’enfasi iperbolica che esalta l’Olivares è solo apparentemente bilanciata dall’attributo “gran-
de” utilizzato per Filippo IV. In realtà il re “ha avuto” “l’arciministro”, previsto dal Cielo, cioè
dalla Provvidenza, più che frutto di una condotta pari a quella del nonno di Filippo IV. Che,
peraltro, si distacca ancor più nettamente dalla superiore figura di Ferdinando il Cattolico:
   questi rese la Spagna religiosa, depurandola degli uni e degli altri infedeli e innalzando il sacro e vigile
   tribunale dell’Inquisizione (…), valorosa, facendo conoscere lo sforzo degli spagnoli alle nazioni straniere,
   con l’improvviso terrore della sua potenza (…), maestosa, ponendo al centro l’autorità regale, prima tanto
   scompigliata e persino tanto contestata (…), ricca, non con i tributi, ma con le sue flotte, fonti inarrestabili
   di oro, platino, perle e altre ricchezze che vengono ogni anno dall’India. Sapeva attirare verso di essa
   uomini dotti ed insigni in lettere umane e divine. Infine la fece felice in ogni genere di perfezione e di
   cultura. Di modo che, con molta ragione, il prudentissimo Filippo, suo nipote, nel rendere onore ai suoi
   ritratti, aggiungeva: “A lui noi dobbiamo tutto”37.

Filippo IV nel 1647

    1647: viene dato alle stampe Oraculo manual, con una nuova edizione nel 1649. Il contesto
era cambiato rispetto agli anni a ridosso de El politico don Fernando sia per la biografia di
Gracian sia per Filippo IV. Il primo si era stabilmente insediato nell’insegnamento di teologia
morale a Huesca, dopo aver svolto studi e ricerche nella magnifica biblioteca dell’ospedale di
Valencia. Il secondo si era orma reso conto che, pur non potendo fare a meno di un valido, dove-
va cambiare il suo rapporto con la figura e le funzioni di un ministro che non poteva più essere
“arciministro”, come nel 1640 aveva definito l’Olivares l’autore del El politico.
    Il sistema politico, instaurato da Filippo III e ancor meglio sviluppato fino al 1643, intro-
dusse alcune novità strutturali destinate a cambiare sensibilmente la dinamica delle istituzioni
e la stessa dialettica sociale: il governo attraverso i favoriti o validos o privados, a cui prima
Filippo III poi Filippo IV affidarono gran parte delle funzioni e delle prerogative della struttura
consiliare, col conseguente svuotamento della sua natura politica oltre che amministrativa; la
concentrazione nel valido dei poteri di grazia e delle prerogative nella concessione di privilegi;
la fisionomia clientelare, clanica, familiare del potere perfezionata dal “regime Olivares”; la sua
organizzazione in un rigido inquadramento di fazione, partito capace di controllare sia il profilo
formale delle cariche pubbliche sia il profilo informale della dialettica politica; la dipendenza
della periferia, a partire soprattutto dalla nomina, il destino e l’epilogo dei viceré e governatori,

35. Gracian 2003, p. 92.
36. Gracian 2003.
37. Gracian 2003, p. 96.
Aurelio Musi

dal centro controllato dal privado; il primato sociale dell’aristocrazia più prestigiosa, in par-
ticolare dei Grandes, sensibilmente cresciuti di numero, oltre settanta, nei primi decenni del
Seicento. E’ stato notato che i termini valimiento e valido avevano connotazioni esecutive di
potere reale che nopn erano tanto evidenti nelle parole medievali di privanza e privado. Sebbene
alcuni autori politici ritenessero sinonimi tra loro i primi e i secondi termini, normalmente si
consideravano i privados come favoriti del re che potevano coesistere con altri privados, mentre
il valido, essendo il ministro principale del sovrano, costituiva un unicum38.
    Ma il sistema del valimiento, inaugurato con l’ascesa del Lerma al principio del Seicento, non com-
portò una sorta di dittatura del valido,perché le prerogative del sovrano, nonostante la propaganda con-
traria di molti analisti e osservatori diplomatici e politici, rimasero sostanzialmente immutate.
    Con la caduta del conte-duca e fino alla morte di Filippo IV si produssero ulteriori cambia-
menti nella vita politica spagnola e imperiale. Nel decennio successivo alla fine dell’Olivares,
i Consigli, in particolare quelli di Stato, Guerra e Castiglia, e le Giunte si ripresero le loro
prerogative e ripristinarono la funzione strutturante del sistema che avevano svolto in epoche
precedenti39. La tendenza ad affidare poteri enormi, esclusivi e squilibranti per la macchina
politico-amministrativa, fu abbandonata.
    Il personaggio politico più rilevante dopo l’allontanamento del conte-duca fu Luis de Haro.
Nato nel 1603 a Valladolid dal matrimonio tra Diego Lopez de Haro, quinto marchese del Car-
pio, e Francisca de Guzman, sorella di Gaspar de Guzman, conte duca di Olivares, univa dun-
que la ricchezza e il potere delle due Case, quella del Carpio e quella dei Guzman40. Compagno
di giochi del futuro Filippo IV, di cui era quasi coetaneo, godeva di un patrimonio straordinario
e dell’eredità di una fitta rete clientelare: un enorme conglomerato di señorios di oltre 400 km
quadrati, lo stato signorile più esteso del Regno di Cordoba; un complesso di persone fidate, che
permise al de Haro di amministrare il suo immenso patrimonio e difendere i suoi interessi tanto
nella capitale cordobese quanto nei suoi stati signorili; uffici, patronati e cappellanie41. La Casa
del Carpio era al suo apogeo quando il re, mostrando chiaramente la volontà di non lasciarsi
condizionare nella nomina, pensò a lui fin dal 1642.
    La congiuntura della successione era particolarmente delicata42. La crisi di Olivares aveva
innescato un acceso dibattito sulla continuità del valimiento. I nobili cercavano di recuperare
spazi politici e disputarsi il valimiento vacante: esso doveva essere occupato esclusivamente
da un Grande di sangue, lontano dal circolo familiare dei Guzman. Il re intendeva invece con-
centrare i poteri e rinunziare a un nuovo valimiento nelle modalità esercitate dal conte-duca: si
trattava insomma di instaurare una diversa forma di governo.
    La crisi di Olivares nel 1642, dovuta soprattutto agli scacchi subiti in politica estera (Mantova e
Monferrato, Catalogna, Portogallo), allo scontento dell’aristocrazia castigliana, che esercitava una
sorta di resistenza passiva, al contropotere di Isabella e del suo circolo, parve favorire la nobiltà.
Era l’ora dei Grandes che impugnarono il valimiento del de Haro. Agli occhi dei suoi rivali la con-
tinuità col vecchio “regime Olivares” era evidente: il clan de Haro-Zuñiga-Guzman conservava
la preminenza nella gestione del potere e della grazia. I Grandes cercarono allora di promuovere

38. Malcom 2019, p. 18.
39. Stradling 2014; Rodriguez 1998.
40. Galvez 2016, pp. 25-28.
41. Galvez 2016, pp. 30-48.
42. Cfr., per quanto segue, Hernandez 2016, pp. 183-198.
BALTASAR GRACIAN, FILIPPO IV E L’IDEA DEL PRINCIPE PERFETTO

azioni tese a controllare e condizionare le decisioni del re. Ma l’ascendente del de Haro su di lui
si consolidò. La scelta di Filippo fu dovuta a vari fattori43: la provenienza dei due dallo stesso am-
biente cortigiano fin dall’infanzia; la loro amicizia e vicinanza fin dal 1622; la giovane età del de
Haro; la possibilità offerta al re di scegliere il suo privado e non viceversa; l’esperienza di genti-
luomo di Camera, titolo ottenuto dal de Haro nel 1622, che gli consentiva la precedenza nel quarto
del re; la ricostituzione del rapporto con la nobiltà, destabilizzato dall’Olivares.
    Ma negli anni immediatamente successivi alla fine di Olivares il clima non era ancora fa-
vorevole alla assunzione e stabilizzazione del potere da parte del de Haro. Fu un periodo di
notevole incertezza politica quello compreso tra il 1643 e il 1648, dovuto ad elementi differenti,
tutti comunque convergenti verso l’obiettivo, profondamente sentito e perseguito con caparbietà
da Filippo IV, di evitare la concentrazione di poteri che era venuta a determinarsi col valimiento
dell’Olivares. Pertanto la strategia tesa alla conservazione dell’equilibrio di fazioni e alla rico-
stituzione di un rapporto più armonico tra i viceré e i Consigli territoriali, fu voluta da Filippo
per riportare il governo dell’impero al primato della sovranità unica e indivisibile.
    Tuttavia proprio il clima di incertezza politica consentì a de Haro di realizzare i diversi gradi
che gli avrebbero consentito l’ascesa e la stabilizzazione del suo potere. La vicinanza al re gli
permise di occupare diverse cariche: la nomina di «ministro principale» nel 1644, poco dopo a
commissario regio dell’esercito in Catalogna, quindi Cavallerizzo maggiore nel 1648. Il ricono-
scimento ufficiale come valido avvenne solo nel 1646.
    Con il sostegno di Filippo, de Haro pose in atto una strategia su un doppio binario: la ri-
composizione della Camera del re, attraverso un suo maggiore controllo, e la costituzione della
Casa di Baltasar Carlos; la restituzione di privilegi ai Grandes, che avviò un processo di più
accentuata pressione giurisdizionale della feudalità. De Haro, inoltre, era la personalità meglio
preparata, secondo Filippo, al compito di neutralizzare i rischi di una Corte divisa44.
    Ma il rafforzamento delle posizioni del valido e l’ampliamento della sua sfera di influenza
non dovevano indebolire le prerogative del re, come era successo con l’Olivares. Il nuovo mo-
dello di valido doveva invece promuovere l’autocoscienza dei suoi limiti e, insieme, rafforzare
l’autorità monarchica. Il valimiento del de Haro fu reso possibile dalla convergenza fra forme,
attitudini della sua personalità e il desiderio di autonomia del sovrano.
    Nel 1647 il valido dové affrontare l’opposizione di una fazione nobiliare a lui contraria, ma
la mano forte di Filippo IV ebbe la meglio e favorì una maggiore visibilità del valido come
mediatore, non come sostituto del sovrano. Il re e il suo valido avevano dovuto far fronte alla
cospirazione del «partito devoto», composto da Hijar, il confessore del re, Santo Tomas, il Chu-
macero, la Agreda e la stessa moglie del sovrano, Isabella. La repressione di Filippo consentì al
de Haro la rimozione dei rivali: Isabella morì nel 1644; Hijar, Chumacero e la Agreda furono
neutralizzati; altri personaggi, come il Monterey, il Castrillo e l’Arce, furono marginalizzati.
Nel pieno delle sue funzioni al 1648, de Haro divenne il cortigiano modello, il referente degli
inviati stranieri, il controllore dell’amministrazione attraverso la collocazione dei suoi fedelis-
simi nei posti-chiave45. Il patto tra il re e il suo valido durò fino alla fine: e, come è stato scritto:
«naturalmente modesto al pari che discreto, don Luis dové intuire il paradosso che una privanza

43. Valladares 2016, pp. 93-97; Cfr. Malcom 2019.
44. Hernandez 2016, pp. 190-198.
45. Malcom 2019, pp. 91-125.
Aurelio Musi

tanto insolita come la sua sarebbe stata l’ultima»46.
    Il cugino di Olivares, Luis de Haro, il nuovo protagonista della vita politica spagnola, nel
1647 fu definito da Filippo IV «ministro principal con suficiente autoridad»47, ma la sua in-
fluenza non fu esercitata «over the king»48. Filippo IV cercò di creare un sistema di pesi e con-
trappesi, capace di mantenere in equilibrio, nonostante l’affidamento dei poteri di «prominent
minister»49 a de Haro, la struttura politico-amministrativa. L’obiettivo fu perseguito attivando
due strumenti: la creazione delle giunte speciali, come la Junta de Conciencia, il cui perso-
naggio decisivo fu Agustin de Castro50 e, soprattutto, l’equilibrio delle fazioni51, «the balance
of factions»52. Fu per questo che lo svolgimento della vita politica, nell’ultima fase di regno di
Filippo IV, non andò in un’unica direzione.
    Da una parte è visibile una certa continuità col “regime Olivares”: consiglieri favoriti di Fi-
lippo IV furono il conte di Monterey e il cardinale Borja, appartenenti all’entourage del conte-
duca. Ma della ristretta cerchia fecero parte anche il conte di Oñate, non certo sospettabile di
simpatie olivaresiane e, soprattutto, Suor Maria Agreda. La leadership Castrillo (presidente del
Consiglio delle Indie e viceré di Napoli) - Haro rimpiazzò Francisco de Melo, governatore di
Bruxelles, e Medina de las Torres, ex viceré di Napoli, con vecchi nemici del conte-duca come
il Castelrodrigo e il viceré di Napoli, Almirante di Castiglia53. Ma qualche anno dopo, precisa-
mente nel 1646, il Medina tornò alla Corte di Madrid e Francisco de Melo entrò nel Consiglio
di Stato e di Guerra54.
    In sostanza l’equilibrio delle fazioni fu realizzato da Filippo attraverso tumultuosi cambi e
avvicendamenti. Un relativo assestamento si verificò con la caduta in disgrazia del Monterey.
Haro fu nominato Grande, duca d’Olivares, Cavallerizzo Maggiore, fu “primus inter pares” nel
governo di Filippo IV, di cui fecero parte Castelrodrigo, nominato Maggiordomo Maggiore, il
Castrillo, presidente delle Indie, il conte di Pañaranda, consigliere di Castiglia nel 1634, esperto
diplomatico, presidente del Consiglio delle Indie, futuro viceré di Napoli dopo il Castrillo55.
Ancora «the balance of factions» nel 1648, quando, secondo Stradling, convissero due privados,
l’uno nemico dell’altro, capi di due fazioni: Luis de Haro e il duca di Medina de las Torres, vice-
ré di Napoli ai tempi della caduta dell’Olivares, di cui fu genero, consigliere di Stato. Il Medina
aumentò il suo potere fino al 1654 – in questo anno Castrillo fu viceré di Napoli e Medina pre-
sidente del Consiglio d’Italia, - allorché si giunse di nuovo ad una fase di cristallizzazione delle
fazioni. Il primo ministro morì nel 1661.

46. Valladares 2016, p. 151. Il giudizio di Malcom sull’attività complessiva del de Haro è largamente positivo.
Alla luce delle ricerche più recenti l’autore sostiene che il valido di Filippo IV utilizzò con prudenza ed efficacia
il favore reale e le mediazioni cortigiane. Fu mediatore imparziale tra il re e la nobiltà. Seppe circondarsi di un
brillante gruppo di collaboratori e svolse una politica estera di ampio respiro. Il suo trionfo diplomatico fu la pace
dei Pirenei come esito del Regno di Filippo IV, Cfr. Malcom 2019 passim.
47. Ribalta 1990, p. 96.
48. Stradling 2014, p. 247.
49. Stradling 2014, p. 247.
50. Stradling 2014, p. 248.
51. Ribalta 1990, p. 96.
52. Stradling 2014, p. 246.
53. Stradling 2014, p. 251.
54. Stradling 2014, p. 257.
55. Stradling 2014, p. 261; Ribalta 1990, p. 97.
BALTASAR GRACIAN, FILIPPO IV E L’IDEA DEL PRINCIPE PERFETTO

    La relazione tra Filippo IV e Luis de Haro fu definita dal sovrano nella sua lettera alla Agre-
da del 30 gennaio 1647. Per il re il suo valido doveva essere l’intermediario e l’esecutore degli
ordini regi, non l’unico ministro. Filippo confidava quindi sul contributo e il consiglio di «altre
persone» e «ministri differenti»56 proprio per confermare la sua strategia volta ad evitare i rischi
di quel dualismo di poteri, ripetutamente corso durante il valimiento dell’Olivares. E rivendica-
va a chiare lettere il fatto che al sovrano spettasse l’ultima parola. Le «altre persone» erano in
parte il circolo del de Haro, formato da Monterey, Peñaranda, Castrillo, Leganés, Balbases, ma
anche referenti diretti del sovrano.
    Non è facile identificare precisamente i caratteri della fase politica tumultuosa nei vent’anni che
precedettero la fine del regno di Filippo IV. In essa convissero: la natura privilegiata del rapporto
tra Filippo IV e Luis de Haro, anche se soggetta a continue trasformazioni; la restaurazione delle
due forme di amministrazione, quella consiliare e quella parallela delle Juntas, un equilibrio dif-
ficile tra continuità e discontinuità nella dinamica del potere, con l’alternanza continua fra uomini
del passato regime e nuovo personale politico, cresciuto nei Consigli e nel rapporto personale col
sovrano; una dinamica politica caratterizzata non dal predominio di una sola fazione che si fa
regime, ma dalla «balance of factions». L’uso del termine fazione è stato contestato da Malcom,
perché allude a un gruppo compatto di ministri come al tempo dell’Olivares. Nel periodo del de
Haro si trattò piuttosto, secondo l’autore, di differenti reti clientelari legate al valido soprattutto
attraverso alleanze familiari57. Certo il “regime” come al tempo del conte-duca non si ricreò, ma
non vi è dubbio che gli strumenti per l’ascesa e la conservazione del potere del valimiento, adottati
dal de Haro, furono assai simili a quelli del suo collega predecessore.
    Ancora Malcom ha scritto che:
   il sistema socio-politico degli anni dell’intesa tra Filippo e de Haro funzionava bene, faceva rispettare
   leggi e privilegi, conservava intatta la reputazione internazionale della Corona. Tutto dipendeva, tuttavia,
   dalla disposizione di Filippo a permettere l’esistenza di tale situazione quando nel profondo del suo cuore
   sapeva che era un errore delegare la sua autorità ad un unico nobile favorito58.

    In buona sostanza un Filippo più maturo, anche se era ancora perseguitato dal fantasma del
conte-duca, mostrava di aver appreso la lezione sui rischi del valimiento e si sforzava di evitarli.
    L’abilità del de Haro fu quella di rispondere quasi alla lettera al ritratto del perfetto corti-
giano proposto dal gesuita Baltasar Gracián nella sua opera El discreto, pubblicata nel 1646. Il
tema del libro era la discrezione: la qualità che doveva definire e contraddistinguere la nuova
nobiltà dei tempi nuovi.
      Tenere discrezione equivaleva a comprendere come dovesse essere vissuta la propria vita
in maniera soddisfacente. A questa qualità dovevano essere unite altre di carattere pratico come
la perspicacia, la pazienza, il discernimento, l’esperienza, il disinganno, capacità per percepire
le cose come sono59.
    Un anno dopo lo stesso autore pubblicava Oraculo manual o arte de prudencia: il controllo e
la conoscenza delle virtù e dei difetti erano qui considerate fondamentali per la personalità del
perfetto cortigiano e per la sua condotta di vita nel mondo considerato un campo di battaglia. Re-
putazione e apparenza da sole non erano sufficienti in assenza della verità, del merito, dell’intel-

56. Malcom 2019, p. 189.
57. Malcom 2019, p. 212.
58. Malcom 2019, p. 233.
59. Malcom 2019, pp. 46-47.
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