Araba, architettura Definizione - Etimologia - Amazon S3

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Araba, architettura

Definizione – Etimologia
Espressione utilizzata per indicare la produzione
architettonica del popolo arabo entro i confini etnici di
provenienza e nelle regioni dominate da dinastie arabe.
La designazione etnica “arabi” (da arab, nomade) è propria di
genti che hanno origine nell’area meridionale della penisola
arabica e che in migrazioni successive, a partire dal III
millennio a.C., si sono mosse verso nord, prima verso la
Mesopotamia e la regione siriana e, in seguito, verso il Nord
Africa e l’Asia producendo tipi e linguaggi architettonici
anche molto diversi tra loro.
Gli aspetti salienti dell’architettura araba oltre i limiti
geografici della penisola arabica nei secoli successivi alla
dinastia dei Fatimidi (750-1280) non consentono di giudicarne
unitarie le manifestazioni architettoniche, che sono quindi da
trattate in voci specifiche.

Architettura e urbanistica arabe dalle
origini al VII secolo
Il territorio della penisola arabica, pressoché totalmente
desertico e intervallato da aree steppose (badiya), è stato
abitato sin dall’antichità da una piccola parte di popolazione
(al-madar) insediata in case di mattoni crudi e da beduini
(ahl al-wabar) che hanno percorso le piste carovaniere che
collegavano le principali oasi al Mediterraneo e al Golfo
Persico, entrando in contatto e subendo gli influssi delle
culture limitrofe. I mercanti dell’Arabia meridionale hanno
monopolizzato il commercio di incenso e controllato il
traffico tra l’India e l’ovest, trasportando merci sulle rotte
terrestri che attraversavano da nord a sud la penisola e
giocando un ruolo importante nelle relazioni tra bizantini e
sasanidi. In questo contesto si sono formati regni clientelari
arabi ai confini della penisola, che hanno sviluppato
caratteri architettonici originali.

Architettura araba nabatea

L’architettura araba nabatea, sviluppatasi nell’area di
confine fra la Siria e l’Arabia, dall’Eufrate al Mar Rosso, ha
risentito fortemente dell’influenza assira, egiziana,
ellenistica e romana manifestata sia a scala architettonica,
nell’utilizzo di elementi e tipologie edilizie, sia a scala
urbana, nella pianificazione di insediamenti tra cui Petra e
Bosra.
La civiltà nabatea di Petra in Giordania, situata a metà
strada tra il Golfo di Aqaba e il Mar Morto, in posizione
nodale per i commerci internazionali dalla Cina al
Mediterraneo e fiorita dal VI secolo a.C. al 106 d.C., ha
sviluppato una cultura urbana dipendente dal sistema di
stoccaggio dell’acqua piovana in grandi vasche scavate nella
roccia (il che ha permesso di insediare un territorio
altrimenti arido e di irrigare estese superfici agrarie) e ha
sviluppato un’architettura rupestre tra cui si annoverano el-
Khazneh Firaun (Tesoro del Faraone), el-Deir (il monastero),
le tombe, gli     altari     sacrificali   e   il   sistema   di
canalizzazione.
L’architettura della città nabatea di Bosra, in Siria,
importante centro sulla carovaniera tra Mar Mediterraneo e
Golfo Persico e tra l’Anatolia e il Mar Rosso, e capitale del
regno tra il 70 e il 106 d.C., è interamente costruita in
blocchi di basalto. La struttura urbana, fortemente modificata
da ampliamenti e ristrutturazioni romane e il cui limite
rispetto all’estensione di Traiano (che nel 106 d.C. fece di
Bosra la capitale della Provincia di Arabia) è segnato dalla
Porta Nabatea, doveva essere fondata su modelli insediativi di
derivazione aramaica.

Architettura araba ghassanide
L’architettura araba ghassanide, degli arabi cristiani che nel
250 emigrarono dallo Yemen nell’Hawran, nella Siria
meridionale, controllando il territorio desertico a est di
Damasco e nel VI secolo d.C. funzionarono come Stato
cuscinetto tra i bizantini e i sasanidi, è nata da un insieme
di influssi siriaci, greci e iranici, e ha raggiunto un
altissimo livello artistico in opere pubbliche quali dighe,
canalizzazioni, cisterne, bagni, palazzi, teatri, chiese,
archi di trionfo presenti nei resti di circa trecento fra
città e villaggi sulle pendici orientali e meridionali
dell’Hawran come a Sergiopolis/Rusafa ed a Qasr al-Hayr al-
Gharbi.
L’edilizia residenziale ghassanide a peristilio, di cui alcuni
esempi sono nei palazzi di Kerratin (444), di Umm is-Surab
(489) e di al-Hayyar (578), ha costituito uno dei nodi di
passaggio tra l’architettura sasanide e le ville omayyadi del
deserto giordano (Omayyade, Architettura).

Architettura araba lakhmida

L’architettura   araba   lakhmida,   della   dinastia   di   arabi
cristiani emigrati dallo Yemen e vassalli dei sasanidi
(facenti da scudo contro i bizantini e i nomadi che
provenivano dalla penisola arabica) che hanno regnato con
capitale a Hira, nell’odierno Iraq meridionale, dal 266 al VII
secolo d.C., ha risentito direttamente dell’influenza
sasanide. Ciò è leggibile nelle strutture dei palazzi come
quello di al-Khawarnaq a due chilometri circa a est di Na‫‏‬jaf
in Iraq dal quale sembra essere derivato l’impianto
tetraiwanico del Dār al-Imāra di Kufa, delle terme, nonché dei
giardini.
L’architettura araba lakhmida ha rappresentato uno degli
anelli di collegamento fra l’architettura sasanide e quella
delle dinastie islamiche degli Omayyadi e degli Abbasidi.
Architettura yemenita
Al contesto desertico della penisola arabica, che ha indotto
alla migrazione nabatei, ghassanidi e lakhmidi, fanno
eccezione alcune regioni che godono di un clima migliore: qui,
nelle province meridionali dello Yemen e di ‘Asir
(nell’odierna Arabia Saudita), si sono sviluppate civiltà
sedentarie e insediamenti urbani. Le fasi più antiche di
strutturazione architettonica e urbana hanno lasciato poche
tracce nelle presenti architetture di queste regioni. Il forte
attaccamento della cultura architettonica alle tecniche e ai
caratteri costruttivi tradizionali fa pensare, comunque, a una
trasformazione molto lenta dell’architettura araba yemenita
nel tempo e a una sostanziale persistenza dei suoi caratteri
originari nell’edilizia tradizionale.
L’architettura araba delle regioni dell’Asir e dello Yemen
utilizza i materiali disponibili in loco: ad Abhā o a Khamīs
Mushayt nell’Asir la pietra o la terra cruda e il legno
prevalgono come materiali da costruzione; sugli altipiani del
nord dello Yemen, a Tawila, Kawkaban, Manakha, Hababa,
Shahara, Thula e Zakati, il materiale prevalente di
costruzione è la pietra; nelle aree semidesertiche, come a
Sa’dah, prevale la tecnica zabur di cordoni di fango
sovrapposti; mentre a Sana’a i materiali più diffusi sono il
mattone e la pietra. L’edilizia residenziale di queste regioni
si sviluppa in altezza, raggiungendo anche i sei piani, come a
Sana’a e Shibam, con al piano terra i locali destinati a
deposito e ricovero degli animali, e ai piani superiori le
cucine, le stanze per donne e bambini, le stanze degli uomini
e la sala di ricevimento.

Architettura            e     urbanistica            arabe
islamiche
A partire dal VII secolo, la nascita dell’Islam ha spinto
l’architettura araba della penisola arabica a svilupparsi
attorno ai centri della Mecca e di Medina, continuando a
evolversi in maniera sinergica con le culture architettoniche
limitrofe. Infatti, nonostante i monumenti delle prime due
generazioni islamiche siano andati interamente distrutti,
fonti letterarie descrivono il santuario della Mecca (Ka’ba),
al tempo di Maometto (570-632), costituito da ricorsi di
pietra alternati a ricorsi di legno. Se le tecniche
costruttive sono di chiara influenza axumita, attraverso
l’architettura yemenita, le tipologie edilizie sono di
derivazione iranica sasanide.
L’origine della moschea a sala ipostila di tipo arabo, di cui
le moschee di Basra (635) e di Kufa (638) rappresentano i
primi esempi, origine che per alcuni è nella casa di Maometto
a Medina, è ritracciabile nelle apadana achemenidi. I
caratteri dell’architettura palaziale di influenza sasanide,
attraverso l’architettura lakhmida di Hira, sono
particolarmente evidenti nell’impianto tetraiwanico del Dār
al-Imāra (Casa del Governo) di Kūfa.

Architettura araba omayyade (661-750)

La conquista della Siria ha posto gli arabi in contatto con
una delle regioni di maggiore sincretismo architettonico (via
gli tramite gli influssi orientali sull’architettura
bizantina) e con tecniche costruttive legate all’uso della
pietra.
È evidente la derivazione dell’architettura araba omayyade
(Omayyade, Architettura) dall’edilizia religiosa e palaziale
bizantina così come l’utilizzo di maestranze bizantine per la
sua edificazione: la Cupola della Roccia (685 o 687) a
Gerusalemme, mausoleo costruito secondo l’impianto dei
battisteri bizantini a pianta ottagonale a doppio ambulacro
con apparato decorativo musivo di derivazione bizantina; la
moschea di al-Aqsā (674) a Gerusalemme, nata dalla volontà del
califfo ‘Omar di far coprire con un tetto un gruppo di antiche
rovine, probabilmente della basilica di Erode; la moschea di
Damasco (714) costruita da al-Walid nel temenos del tempio di
Giove damasceno con impianto a tre navate parallele al muro
della qibla e transetto rialzato.
La moschea araba mediorientale e anatolica a sala ipostila
nasce dal riuso delle cattedrali bizantine cambiandone il
verso della preghiera da est verso sud. Esemplificativa di
questo processo di trasformazione è la moschea di Hama in
Siria (636).
Il carattere di derivazione dell’architettura araba omayyade
da   sincretismi     architettonici     è   proprio    anche
dell’architettura secolare: qui, nei palazzi di Gerusalemme
(705-715) e di Amman (724-743) ma soprattutto nei “castelli
del deserto”, cioè negli insediamenti al confine tra le
odierne Siria e Giordania (residenze dell’aristocrazia araba
sorte in territori agricoli irrigati e produttivi e luoghi di
esercizio del potere lungo i principali percorsi di
collegamento del territorio tra il sud di Damasco e Amman),
tra cui Qusayr Amra (711), Ayn al-Garr (Anjar) (714-15) e
Khirbat al-Mafjar (739), Qasr al-Mshatta (743-44), le
influenze bizantine e sasanidi sono commiste. Se da un punto
di vista tipologico questi insediamenti riprendono la
tradizione dei castella romani e sono legati alla tradizione
della villa rustica e, a volte, sorti su un sito di
antropizzazione romana, i caratteri costruttivi e le strutture
architettoniche rimandano al mondo sasanide tramite
l’architettura yemenita.

Architettura araba abbaside (750-1258)

Con gli abbasidi (Abbaside, Architettura) il trasferimento
della capitale da Damasco a Baghdad (Città della Pace) ha
comportato lo spostamento del baricentro culturale dell’impero
in area iranica. Nell’architettura ciò è leggibile
nell’utilizzo del mattone crudo come materiale da costruzione,
di grandi sezioni murarie, di decorazioni in stucco, di
tipologie e strutture architettoniche e urbane proprie del
mondo sasanide ed è particolarmente evidente nella Baghdad
(762) di al-Mansur, costruita come città palatina su impianto
circolare di recinti concentrici al cui centro vi era il
palazzo in connessione con la moschea, o nella Sāmarrā (836)
di al-Mu’tasim, costruita lungo il Tigri come un insieme di
palazzi e di giardini, tra cui il Jawasaq al-Khaqani
(Padiglione dell’Imperatore) e Balkuwara (849), edifici
pubblici e religiosi.
Nell’architettura araba abbaside le moschee a sala ipostila
dotate di ziyāda (recinto esterno) hanno minareto spiraliforme
che deriva dalle ziqqurat babilonesi. Esemplificativi di tali
caratteri sono la Grande moschea di al-Mutawakkil (847-61) e
la moschea Abu Dulaf (859-861) a Sāmarrā, la moschea di Ibn
Tūlūn al Cairo (870-879), il muro esterno e il minareto a
pianta quadrata a ziqqurat della Grande moschea di Kairouan
(670-863). I “castelli del deserto” abbasidi, come a Ukhaydir
(775), risentono fortemente dell’influenza delle tradizioni
locali sasanidi. Ciò è leggibile nella crescita delle loro
dimensioni planimetriche e nell’introduzione di strutture di
recinti concentrici e sale tetraiwaniche.

Architettura araba fatimida (909-1171)

I   caratteri   dell’architettura   araba   fatimida   (Fatimida,
Architettura) non si presentano come unitari ma possono essere
suddivisi tra il periodo nord-africano (909-969), in cui la
capitale del califfato è al-Mahdiyya (916) in Tunisia, e
quello egiziano (969-1171), in cui la capitale è portata ad
al-Qāhira (969) (la Trionfante) nei pressi di al-Fustāt, città
palatina a struttura monoassiale con al centro due palazzi che
si affacciavano sul Bayn al-Qasrayn.
Sono esemplificative dell’architettura religiosa fatimida le
moschee di al-Azhar (970) e di al-Hakim (975) costruite in
mattoni e materiali di spoglio, con decorazioni di stucco ad
attestare il legame con il mondo della penisola arabica e
mediorientale, transetto rialzato, navate parallele al muro
della qibla, cupole sulla navata presso il mihrab e portale
monumentale. Dal XII secolo i mausolei fatimidi a pianta
quadrata e cupolati hanno iniziato a sostituire il sistema di
transizione tra base e cupola da trompes in muqarnas, la cui
origine è anch’essa probabilmente in Persia.
I caratteri dell’edilizia residenziale fatimida, leggibili nei
resti archeologici delle case di al-Fustāt, derivano dai bayt
abbasidi di Uhaydir e Sāmarrā, probabilmente introdotti in
Egitto dai Tulunidi (868–905). La struttura della casa a qa’a
(sala di ricevimento), di cui la Qā’at al-Dardir rappresenta
l’esempio cairota più antico, sembra essersi sviluppata dalla
contrazione delle corti di al-Fustāt.

Bibliografia
Grabar O., Arte islamica, formazione di una civiltà, Milano,
1989; Grabar O., Bowersock G.W., Brown P. (a cura di),
Interpreting Late Antiquity. Essays on the Postclassical
World, Cambridge, 2001; Grabar O., Ettinghausen R., Jenkins-
Madina M., Islamic Art and Architecture 650-1250, New Haven,
2001; Hoag J., Architettura islamica, Milano, 1978; Kreswell
K.A.C., Early Muslim Architecture, Oxford, 1932-1940; Monneret
de Villard U., Introduzione allo studio dell’archeologia
islamica: le origini e il periodo omayyade, Venezia – Roma,
1966; Rostovtzeff M., Caravan Cities, Oxford, 1932; Veranda
F., Art of Building in Yemen, Cambridge, 1982.

Photogallery

Il monastero di el-Deir a Petra (Giordania).

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Manoscritto persiano del XV secolo che descrive la costruzione
del castello di al-Khawarnaq ad al-Hira.

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Facciata di una casa a Sana'a (Yemen).
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Pianta di Qusayr Amra.

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Sāmarrā, pianta del palazzo Balkuwara.

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