ACTA PSYCHIATRICA SCANDINAVICA, LA VALUTAZIONE DELLE PSICOTERAPIE

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LA VALUTAZIONE DELLE PSICOTERAPIE

     REVIEW DEI PRINCIPALI ARTICOLI DI OUTCOME DELLA
              PSICOTERAPIA PUBBLICATI SULL

             ACTA PSYCHIATRICA
               SCANDINAVICA,
                     DECENNIO 1997-2007
                       Antonietta Spataro
                          marcea15@libero.it

Da una ricerca effettuata sugli articoli pubblicati dalla rivista Acta
Psychiatr. Scandinav., nel corso dell’ultimo decennio, è emerso che
l’attenzione per la valutazione dei diversi tipi di psicoterapia ha
trovato particolare interesse soprattutto negli ultimi anni. Le
pubblicazioni cui faccio riferimento sono, infatti, tutte molto recenti
(dal 2003 al 2007).
I modelli terapeutici che sono stati oggetto di un maggiore numero di
studi sono, senza dubbio, la terapia cognitiva comportamentale ed il
modello sistemico.
In uno studio pubblicato nel 2005, Braga D. T. e collaboratori hanno
valutato i risultati di una terapia cognitivo comportamentale di gruppo
(CBGT), condotta con pz affetti da disturbo ossessivo compulsivo
(OCD), dopo un periodo di follow-up di un anno. Quarantadue pz con
OCD, che avevano completato 12 sessioni di CBGT sono stati seguiti
per un anno ed esaminati attraverso la Yale –Brown obsessive
compulsive scale (Y-BOCS) e la clinical global impression (CGI). I
risultati emersi indicano come la riduzione nella gravità dei sintomi
osservata alla fine del trattamento veniva mantenuta durante l’anno
successivo. Soltanto undici pz. avevano avuto una ricaduta nel periodo
di follow-up. L’intensità del miglioramento e la piena remissione sono
stati identificati come forti predittivi per la non ricaduta. In
conclusione, gli autori, indicano come la CBGT sia un trattamento
efficace per i disturbi ossessivo-compulsivi, pur ammettendo la
necessità di studi a più lungo termine.
La terapia cognitivo comportamentale di gruppo era stata, altresì,
oggetto di studio nel 2003 da parte di Lidbeck, che ha proposto una
valutazione del mantenimento dei traguardi terapeutici ottenuti
attraverso le terapia sopra citata, con pz. affetti da disturbo di
somatizzazione. In uno studio precedente, in cui veniva effettuato un
controllo a sei mesi di follow-up, i pz. con disturbo di somatizzazione
(n=32) miglioravano rispetto alla malattia, alla preoccupazione
somatica, all’ipocondria, all’uso di medicine. Nel report di Lidbeck lo
stesso gruppo di pz. è stato analizzato anche un anno e mezzo dopo il
trattamento iniziale. È risultato che il follow-up a lungo termine
evidenzia il mantenimento del miglioramento rispetto all’ipocondria.
C’era stata una maggiore riduzione dell’ansia e della preoccupazione
psicosociale, mentre la somatizzazione e la depressione miglioravano
progressivamente. L’autore conclude affermando che il trattamento
cognitivo comportamentale di gruppo a breve termine può essere utile
con tali pz. come cura primaria.
Ancora nel 2004, Morrison et al. pubblicano uno studio in cui
analizzano l’efficacia della terapia cognitiva (TC) come trattamento
per i sintomi psicotici persistenti, all’interno di una comunità per la
salute mentale. Sono stati valutati 59 pz., che sono stati assegnati
casualmente (secondo la disponibilità del terapeuta) alla teoria
cognitiva o al trattamento usuale, e che sono stati seguiti prima,
durante e ad un anno dal termine della terapia.
L’analisi di regressione degli effetti casuali mostra che c’è un
miglioramento significativo, attribuibile alla terapia cognita, e che
molti dei miglioramenti sintomatici sono mantenuti nel tempo.
Sempre nel 2004, viene pubblicato un lavoro di Fischer-Kern e
collab., relativo ad uno specifico modello psicoterapeutico orientato al
contesto. Gli autori sottolineano come i clinici che lavorano nel campo
della psichiatria e della psicoterapia si confrontano, molto spesso, con
pz. molto disturbati con lunghe storie di trattamenti falliti (per
esempio pz. psicotici e pz. borderline). Schemi pervasivi di instabilità
relazionale e stili di relazione interpersonale non adattivi, come anche
processi proiettivi, sono indicati tra i fattori che possono
compromettere i trattamenti farmacologici e psicoterapici. Secondo gli
autori l’integrazione delle concettualizzazioni centrate sulla famiglia e
sull’individuo può essere un utile passaggio per stabilire in questi pz. i
concetti di trattamento interdisciplinare. Nello specifico viene
proposto un modello di sviluppo orientato al contesto nella
programmazione di una psicoterapia (COMEPP), che rappresenta un
processo di programmazione diagnostico e terapeutico, nel quale
vengono ad integrarsi sia concetti sistemici che psicoanalitici.
Il lavoro presenta il caso clinico di un giovane uomo con disturbo di
personalità psicotica, il quale era stato precedentemente sottoposto,
senza alcun risultato, a farmacoterapia e trattamento psicologico. I
risultati cui sono pervenuti gli autori mostrano come attraverso la
COMEPP sia stato possibile elucidare conflitti psicodinamici (per
esempio processi di proiezione primitiva da parte della madre su suo
figlio) e quindi stabilire il settino adeguato per il trattamento.
In conclusione, viene affermato che il COMEPP può essere molto
utile in aggiunta a concomitanti trattamenti farmacologici e
psicologici in quei pz. definiti “refrattari alla terapia”.
La psicoterapia psicoanalitica viene attenzionata, invece, in un lavoro
del 2004 di Valbak et al., nel quale si vuole esaminare
l’appropriatezza della psicoterapia psicoanalitica, attraverso la
validazione predittiva di una specifica intervista di tipo categoriale:
“l’Intervista per la valutazione dinamica” (DAI).
Sono stati intervistati 74 pz. con precedenti quadri morbosi, attraverso
la DAI e i punteggi ottenuti sono stati comparati con le misure di
guarigione e con l’alleanza terapeutica. Le correlazioni emerse sono,
comunque, basse o moderate. Tutto questo indica un valore predittivo
limitato di questa intervista.
Di particolare interesse è anche l’editoriale del 2004 di A. Bateman,
che fa una riflessione in merito al futuro della psicoanalisi nell’ambito
della psichiatria, partendo dalla constatazione che allo stato attuale la
sua posizione è, volendo essere benevoli, precaria. Bateman ritiene
che questa graduale ma inesorabile trasformazione dal dominio al
declino sia il risultato del fallimento della psicoanalisi nell’evolvere
scientificamente e nell’intraprendere scambi clinici ed accademici con
altri campi di conoscenza come le neuroscienze e la psicologia
cognitiva. L’autore si chiede, quindi, “Che speranza ha una disciplina
che abbonda in teoria e nella narrazione di casi, ma che è limitata nel
dare prova di efficacia come trattamento per i disturbi mentali in
un’area di trattamenti supportati empiricamente?”.
Seppure con le dovute cautele, Bateman conclude con toni fiduciosi in
merito alla possibilità di ricerche in questo campo.
Priebe e McCabe si sono occupati, invece, con un lavoro del 2006,
della relazione terapeutica nei contesti psichiatrici, ponendo l’accento
sulla rarità degli studi in merito alla fattibilità e all’efficacia di
interventi potenziali nelle relazioni terapeutica stessa.
Questo lavoro presenta un’accurata analisi dell’attuale clima di ricerca
sulla relazione terapeutica nei principali contesti psichiatrici. Tiene
conto delle strutture teoriche per la comprensione della relazione
terapeutica, delle differenze tra la terapia convenzionale ed il
trattamento psichiatrico, l’uso di metodi qualitativi e quantitativi per
esplorare e valutare la relazione terapeutica, e gli interventi
sperimentali per migliorare la stessa. Gli autori pervengono alla
conclusione dell’utilità di una ricerca più attenta e più completa sulla
relazione terapeutica, che portare a definire una specifica teoria in
modo da influenzare la cultura terapeutica nei contesti psichiatrici.
Infine, un recentissimo lavoro del 2007 di Lan e Kristensen valuta,
attraverso uno studio di controllo randomizzato, l’esito della
psicoterapia di gruppo sistemica e analitica con donne che avevano
subito abusi sessuali intrafamiliari durante l’infanzia.
Sono state esaminate 151 donne con storie di abuso infantile, le quali
sono state assegnate, a caso, alla psicoterapia analitica (A) o alla
psicoterapia di gruppo sistemica (S). Prima e dopo il trattamento sono
stati valutati alcuni indici, quali la qualità di vita, il funzionamento
psicosociale, la sofferenza psicologica ed i flashback. Dai risultati è
emerso che entrambe le psicoterapie hanno condotto ad un
miglioramento della qualità di vita, alla diminuzione dei sintomi
psicopatologici e ad un migliore funzionamento generale, ma in
particolare la psicoterapia di gruppo sistemica si è rivelata migliore di
quella analitica.
Nelle conclusioni i due autori sottolineando il dato sopra citato,
tengono a precisare l’importanza di uno studio a più lungo termine
riguardo al mantenimento degli obiettivi terapeutici.
Per finire, volendo analizzare senza pretese alcuna di giudizio, la
letteratura fin qui proposta, sembra sia presente una anello debole,
relativo al fatto che si perde di vista l’oggetto stesso della ricerca,
quale appunto la psicoterapia. Intendo dire che la psicoterapia
rappresenta l’incontro di due individualità e come tale dà vita a
relazione uniche ogni volta. Il fallimento terapeutico, che diventa
indice di non efficacia del trattamento in ambito di ricerca, non
sempre è dovuto al modello teorico pratico di riferimento della
psicoterapia, ma piuttosto ad un fallimento dell’incontro tra terapeuta
e pz.
Per tale motivo ritengo utile proseguire le ricerche di Priebe e McCabe
sulla relazione terapeutica.
BIBLIOGRAFIA

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              Psychiatrica Scandinavica, 2004, 110
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              behavioural group therapy for obsessive-compulsive
              disorder: a 1-year follow-up, Acta              Psychiatrica
              Scandinavica, 2005, 112
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