Consultazioni 9/2018 - Assonime

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9/2018

                                                                                                     Consultazioni

                                    Risposta alla procedura di consultazione pubblica indetta dal MEF –
                                    Dipartimento delle Finanze, in data 30 luglio 2018, riguardante lo schema di
                                    decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2018/822/UE del
                                    Consiglio del 25 maggio 2018, relativa ai meccanismi transfrontalieri
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                                    soggetti all’obbligo di comunicazione (DAC 6)
Risposta alla procedura di consultazione pubblica indetta dal MEF              9/2018

                                    Ringraziamo i competenti organi del Dipartimento delle Finanze per l’opportunità che ci
                                    viene fornita di sottoporre alla loro attenzione le nostre considerazioni in merito allo
                                    schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2018/822/UE del
                                    Consiglio del 25 maggio 2018 (c.d. DAC 6), recante modifica della direttiva 2011/16/UE
                                    (c.d. DAC 1) in tema di scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore
                                    fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all'obbligo di notifica.

                                    Come si legge sul sito del MEF, la consultazione, “in ragione della complessità della
                                    materia trattata”, è volta ad “acquisire valutazioni, osservazioni e suggerimenti” da
                                    parte dei soggetti interessati, posto che il recepimento di tale disciplina europea
                                    consentirà “la raccolta di informazioni da parte dei soggetti interessati e la successiva
                                    trasmissione all’Amministrazione finanziaria, attività destinata ad estendere
                                    significativamente i mezzi di contrasto all’evasione ed elusione di carattere
                                    internazionale”.

                                    Data la complessità della tematica e con l'intento di fornire un contributo utile alla
                                    consultazione, riteniamo opportuno – anche al fine di focalizzare maggiormente
                                    l’attenzione sulle questioni che riteniamo di maggiore interesse per le nostre associate
                                    – procedere nel modo seguente:

                                          in primis, daremo conto dei dubbi interpretativi e delle questioni di carattere
                                           generale che, a nostro avviso, emergono dall’analisi della direttiva europea;

                                          poi, procederemo ad esaminare il contenuto dello schema di decreto legislativo
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                                           in consultazione, formulando di volta in volta eventuali proposte relativamente
                                           ai temi ivi non trattati e/o alle questioni che, a nostro avviso, necessiterebbero
                                           di ulteriori chiarimenti in via interpretativa.

                                    Infine, rileviamo sin d’ora che in questa sede non formuleremo osservazioni
                                    sull’individuazione degli elementi distintivi dei meccanismi transfrontalieri
                                    potenzialmente elusivi di cui all’allegato IV della DAC 6.

                                    1. La DAC 6: dubbi interpretativi e questioni di carattere generale

                                    Come accennato in premessa, dunque, prima di entrare nel merito dello schema di
                                    decreto legislativo – e al fine di una migliore comprensione dell’esatto contenuto di
                                    quest’ultimo –svolgiamo alcune considerazioni di fondo sulla DAC 6.

                                    La direttiva è un anello importante del c.d. pacchetto trasparenza lanciato dalla
                                    Commissione all’esito dei lavori svoltisi in sede OCSE/G20 sul progetto Base Erosion

                                                                                                                            2
Risposta alla procedura di consultazione pubblica indetta dal MEF                   9/2018

                                    and Profiut Shifting (c.d. BEPS). L’obiettivo diretto delle relative procedure di
                                    comunicazione e scambio automatico – in coerenza con i risultati dell’Action 12: 2015
                                    Final Report del BEPS. Mandatory Discolure Rules – è mettere tempestivamente a
                                    disposizione delle amministrazioni finanziarie informazioni “complete e pertinenti” sui
                                    meccanismi (arrangement) potenzialmente “aggressivi” di natura transfrontaliera,
                                    contribuendo alla creazione di un ambiente di fair taxation e, dunque, al buon
                                    funzionamento del mercato comune.

                                    Ottenendo le informazioni “in una fase precoce, ossia prima che tali meccanismi siano
                                    effettivamente attuati”, le Amministrazioni interessate avranno, infatti, l’opportunità di
                                    esaminare gli schemi oggetto di reporting e di decidere prontamente se essi siano o
                                    meno accettabili, proponendo, se del caso, disposizioni legislative o regolamentari di
                                    contrasto o adottando documenti interpretativi che indirizzino gli uffici in sede di verifica
                                    e controllo.

                                    L’obiettivo ultimo, evidentemente, è scoraggiare l’attività degli intermediari che
                                    elaborano questi schemi e li mettono a disposizione dei contribuenti; oltre che colmare
                                    le lacune del Common Reporting Standard (c.d. CRS) e della direttiva 2014/107/UE
                                    (c.d. DAC 2) in tema di individuazione del “titolare effettivo”.

                                    Il presupposto che fa scattare gli obblighi di comunicazione risulta integrato,
                                    indipendentemente dalla valutazione del fumus di elusività o meno del meccanismo
                                    transfrontaliero, per il solo fatto della presenza di uno degli elementi distintivi (hallmark)
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                                    indicati nell’allegato IV della direttiva e che si connotano, in modo oggettivo, come
                                    potenziali indici di rischio fiscale.

                                    In particolare, l’allegato IV pone riferimento a cinque categorie di elementi distintivi.

                                    La categoria A riguarda i c.d. generic hallmarks, che selezionano gli elementi
                                    segnaletici di rischio fiscale comunemente presenti negli schemi potenzialmente
                                    aggressivi e, cioè, la clausola di riservatezza con cui si impone al cliente di mantenere
                                    confidential lo schema che gli è stato messo a disposizione; il pagamento di un
                                    premium fee all’intermediario commisurato al valore del beneficio fiscale effettivamente
                                    conseguito; oppure la commercializzazione di schemi che sono replicabili e facilmente
                                    utilizzabili da più contribuenti e che comportano l’uso di documentazione
                                    standardizzata.

                                    Le categorie da B a D individuano, invece, i c.d. specific hallmarks, idonei a
                                    selezionare aree di rischio comuni e già note dei sistemi fiscali e specifiche

                                                                                                                                 3
Risposta alla procedura di consultazione pubblica indetta dal MEF                    9/2018

                                    vulnerabilità di una data giurisdizione. Per le loro differenti caratteristiche, la direttiva –
                                    in coerenza con le raccomandazioni dell’Action 12 – ha adottato un sistema misto in
                                    cui gli elementi distintivi specifici (che, come detto, riflettono tecniche e strategie già
                                    note, dal trasferimento di perdite ai pagamenti a membri del gruppo “apolidi”, etc.)
                                    convivono con gli elementi distintivi generici che meglio riescono a catturare gli schemi
                                    innovativi di nuova produzione disponibili sul mercato.

                                    Beninteso, la presenza di almeno un hallmark che fa scattare gli obblighi di
                                    comunicazione non comporta alcuna presunzione e valutazione, già se ne è fatto
                                    cenno, sull’effettiva configurabilità di strategie di pianificazione fiscale aggressiva, né
                                    tanto meno di acclarati di fenomeni di elusione e/o di evasione. Semmai, è necessario
                                    sottolineare, per maggiore precisione, che, con riferimento a particolari hallmark (e,
                                    cioè, con riferimento a tutti gli elementi distintivi “generici” della categoria A e agli
                                    elementi distintivi “specifici” delle categorie B e C.1.b.i, C.1.c e C.1.d dell’allegato IV),
                                    la direttiva ha adottato un approccio multi-step, secondo cui l’accesso al regime delle
                                    Mandatory Disclosure Rules è subordinato – oltre che alla presenza di almeno un
                                    elemento distintivo – anche ad una pre-condizione, consistente nel mancato
                                    superamento del criterio del vantaggio principale (c.d. main benefit test).

                                    Detto in altri termini, “gli elementi distintivi delle menzionate categorie possono essere
                                    presi in considerazione soltanto laddove soddisfino il criterio del vantaggio
                                    principale“(allegato IV, par. 1): il che comporta di dovere previamente individuare il
                                    vantaggio fiscale derivante dallo schema, per poi compararlo con gli altri possibili
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                                    benefici (ad esempio, di natura commerciale, o attinenti alla protezione di segreti
                                    industriali) che, se prevalenti, non fanno “scattare” alcun obbligo di comunicazione.

                                    A questo proposito, si rendono necessarie alcune precisazioni.

                                    Come veniva evidenziato nell’Action 12 del BEPS, la precondizione del vantaggio
                                    principale (utilizzata in molti regimi domestici che già avevano adottato le mandatory
                                    disclosure rules) non è facilmente verificabile in riferimento a schemi internazionali che
                                    possono generare molteplici vantaggi per differenti parti in differenti giurisdizioni e in
                                    cui, parimenti, possono essere individuati più benefici di natura commerciale e simili;
                                    con la possibilità, ad esempio, che un beneficio fiscale a favore di una controparte in
                                    una giurisdizione offshore si converta in un vantaggio commerciale per il contribuente
                                    nella reporting jurisdiction o che appaia irrilevante un vantaggio fiscale domestico visto
                                    separatamente dallo schema nel suo complesso.

                                                                                                                                  4
Risposta alla procedura di consultazione pubblica indetta dal MEF                      9/2018

                                    Ciò nonostante, nel corso dei lavori preparatori, alcuni Stati membri hanno insistito per
                                    introdurre nella direttiva il main benefit test, oltre che nei generic hallmark, anche in
                                    alcuni specific hallmark di cui già si è detto; e questa scelta, se ha indubbiamente il
                                    pregio di moderare il numero di schemi che dovranno essere comunicati, comporta
                                    rilevanti profili di incertezza per gli intermediari e i contribuenti destinatari degli obblighi
                                    di comunicazione in merito all’individuazione del vantaggio fiscale e al raffronto con i
                                    benefici non fiscali.

                                    Comunque la nozione di vantaggio fiscale dovrebbe coincidere, a nostro avviso, con
                                    l’“outcome” globale dello specifico meccanismo transfrontaliero, con l’insieme cioè dei
                                    benefici fiscali generati dallo schema, anche per più partecipanti in differenti
                                    giurisdizioni. Ad esempio, doppie o multiple compensazioni di perdite; trasferimenti di
                                    perdite ad altri soggetti e/o in ordinamenti con più elevati livelli di tassazione; fenomeni
                                    di conversione di un reddito in capitale o in altri redditi tassati a livello inferiore;
                                    deduzioni di pagamenti effettuati a favore di soggetti residenti in giurisdizioni che non
                                    applicano imposte sul reddito o che beneficiano di esenzioni soggettive o di regimi
                                    fiscali, preferenziali, etc.

                                    A quanto sembra – ma il punto è delicato e meriterebbe espliciti chiarimenti dagli
                                    organi competenti – non è necessario che questo vantaggio (o alcuno dei vantaggi
                                    rilevanti generati dallo schema) sia fruito dal “contribuente pertinente” tenuto alla
                                    comunicazione (ad esempio, il soggetto residente in Italia, o il soggetto non residente
                                    con redditi di fonte italiana che, come meglio si dirà più avanti, partecipano allo schema
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                                    effettuando operazioni fiscalmente rilevanti in Italia e che, per questo, potrebbero
                                    essere tenuti al reporting); il vantaggio può andare a beneficio del “gruppo” nel suo
                                    insieme o di altra società del gruppo (nei rapporti tra consociate) o riverberarsi, solo in
                                    parte e indirettamente, a beneficio del predetto contribuente pertinente (ove lo schema
                                    veda la partecipazione di parti terze in varie giurisdizioni che si siano eventualmente
                                    accordate per suddividersi, contrattualmente, il vantaggio conseguito in un determinato
                                    ordinamento).

                                    Inoltre, a quanto ci consta il vantaggio fiscale dovrebbe assumere rilievo, ai fini del
                                    main benefit test, per il solo fatto della sua esistenza; indipendentemente, cioè, da
                                    qualsiasi preliminare valutazione in ordine alla sua liceità; alla sua capacità di erodere
                                    basi imponibili domestiche o collettive; oppure di poter (o meno) essere ritenuto
                                    “indebito”, in quanto contrario alla ratio di disposizioni e principi di diritto vivente.

                                    In definitiva, il “fallimento” del main benefit test (nei casi, cioè, in cui non si sia riusciti a
                                    dimostrare che lo schema genera prevalenti vantaggi non fiscali) determina (in

                                                                                                                                    5
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                                    presenza di uno degli elementi distintivi sopra richiamati) che il meccanismo
                                    transfrontaliero rientri nell’ambito applicativo della direttiva e sia, perciò, soggetto
                                    all’obbligo di comunicazione. Questo però – è importante sottolinearlo – non comporta
                                    alcun “pregiudizio” sulla liceità dell’operazione. Gli obblighi di comunicazione di un
                                    determinato schema sorgono in una fase preliminare e si ritiene siano destinati a
                                    durare soltanto fino a quando l’amministrazione finanziaria o le amministrazioni
                                    finanziarie non si siano pubblicamente pronunciate sull’accettabilità dello schema o
                                    abbiano preso specifiche contromisure. E, in questo senso, il Considerando 14 della
                                    direttiva si premura, infatti, di ricordare che “i meccanismi di pianificazione fiscale
                                    aggressiva, il cui scopo principale o uno degli scopi principali è quello di ottenere un
                                    vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità del diritto fiscale
                                    applicabile, sono soggetti alla norma generale antiabuso prevista dall’articolo 6 della
                                    direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio”.

                                    Sott’altro profilo, occorre notare che la complessità dei meccanismi internazionali i cui
                                    elementi distintivi generici o specifici sono inclusi nelle cinque categorie dell’allegato IV
                                    della Direttiva (siano essi soggetti o meno alla precondizione del main benefit test) è
                                    fonte di incertezza anche in merito alla precisa individuazione dell’intermediario e del
                                    “contribuente pertinente” tenuti alla disclosure.

                                    Ci si domanda, quindi, «who reports?»: si è detto che le conseguenze fiscali di uno
                                    schema globale possono prodursi in più giurisdizioni presso parti diverse e che il
                                    giudizio sulla sua accettabilità (o sull’esigenza di adottare contromisure o presidi) non
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                                    può che riguardare il meccanismo nel suo insieme. A differenza che negli schemi
                                    meramente domestici, possono coesistere più soggetti che, in differenti Stati membri
                                    UE, integrano i requisiti per essere considerati “contribuente pertinente” ai sensi
                                    dell’art. 1, punto 22, della direttiva, e cioè una persona “a disposizione della quale è
                                    messo, a fini di attuazione, un meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di
                                    notifica o che è pronta ad attuare un meccanismo transfrontaliero … o che ha attuato la
                                    prima fase di un tale meccanismo”. Questo induce a chiedersi se debba essere
                                    individuato (ed eventualmente in base a quali criteri) un unico “contribuente pertinente”
                                    (e , prima di esso, il relativo intermediario) tenuto all’obbligo di comunicazione dello
                                    schema globale in un solo Stato membro (che procederà allo scambio automatico delle
                                    informazioni con le autorità fiscali degli altri Stati membri). Una soluzione, questa, che
                                    ci appare, tuttavia, difficilmente ipotizzabile proprio perché lo schema potrebbe
                                    potenzialmente incidere in modo significativo sulle basi imponibili di più giurisdizioni o
                                    procurare vantaggi fiscali solo per il gruppo nel suo complesso o a beneficio di

                                                                                                                                6
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                                    consociate in Paesi terzi, senza erodere in modo specifico la base imponibile degli
                                    Stati membri in cui, comunque, operano alcuni soggetti partecipanti allo schema.

                                    Al riguardo, la direttiva si limita a precisare che, ove il contribuente pertinente sia
                                    soggetto all’obbligo di notifica alle autorità competenti di più di uno Stato membro (ad
                                    esempio, allorché l’operazione riguardi sia la sede centrale nello Stato membro di
                                    residenza che la sua stabile organizzazione in altro Stato membro), la comunicazione
                                    deve essere fatta ad un solo Stato membro, secondo l’ordine individuato dall’art. 1,
                                    punto 7 e che, comunque, il contribuente pertinente “ è esonerato … se può provare,
                                    conformemente al diritto nazionale, che le stesse informazioni sono state comunicate
                                    in un altro Stato membro.”

                                    Del pari, non riteniamo neppure immaginabile che tutti i soggetti partecipanti allo
                                    schema siano per ciò stesso tenuti, in via di principio, alla disclosure nello Stato
                                    membro in cui risiedono o producono redditi: per giustificare una tale soluzione non ci
                                    sembra sufficiente far leva sulla previsione dell’esimente di cui all’ultimo paragrafo del
                                    punto 10 dell’art. 1 della direttiva, secondo cui “un contribuente è esonerato dalla
                                    comunicazione di informazioni solo nella misura in cui può provare, conformemente al
                                    diritto nazionale, che le stesse informazioni … sono state comunicate da un altro
                                    contribuente pertinente”.

                                    In definitiva, con riferimento al medesimo schema, sembrerebbe di poter concludere
                                    che più soggetti possono essere “contribuenti pertinenti”; ma non è chiaro se questa
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                                    qualifica debba essere automaticamente ed indifferentemente attribuita a ciascuno dei
                                    partecipanti allo schema o se è invece necessario operare delle distinzioni e, in caso di
                                    risposta affermativa, in base a quali criteri.

                                    Gli esempi riportati nell’Action 12 del BEPS e nella relazione d’impatto della direttiva –
                                    SWD (2017)236 del 22 giugno 2017 – non sono del tutto chiari e non aiutano a
                                    dirimere dubbi e incertezze su questo punto.

                                    Secondo l’Action 12, una giurisdizione dovrebbe richiedere la comunicazione di un
                                    meccanismo internazionale soltanto quando sia individuabile una connessione
                                    sostanziale tra il meccanismo stesso e la giurisdizione, quando cioè esso produca
                                    conseguenze fiscali “material” per un contribuente domestico. Al riguardo, viene
                                    proposto l’esempio dell’ibrido importato: la parent company ACO nel Paese A finanzia
                                    la subholding BCO nel Paese B con uno strumento finanziario ibrido (uno strumento di
                                    debito nel Paese B in cui vengono dedotti interessi passivi, e uno strumento di equity
                                    nel Paese A dove genera dividendi non imponibili); nel contesto della stessa

                                                                                                                             7
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                                    operazione, BCO finanzia con uno strumento di debito CCO (controllata al 100 per
                                    cento) nel Paese C che, a sua volta, finanzia a debito ECO nel Paese E. Il risultato
                                    dello schema è che nel Paese E si deducono interessi passivi, nei Paesi C e B si
                                    genera una base imponibile pari a zero (gli interessi passivi sono compensati dagli
                                    interessi attivi), mentre nel Paese A emergono dividendi non imponibili, con un effetto
                                    complessivo di deduzione senza inclusione (D/NI)1. In relazione a questo schema,
                                    tenuto conto che il Paese E ha introdotto un regime di disclosure, l’Action 12 conclude
                                    che la società ECO, pur non essendo parte diretta dell’hybrid mismatch tra ACO e
                                    BCO, sia tenuta ad effettuare la comunicazione nel Paese E, in quanto giurisdizione le
                                    cui basi imponibili sono indirettamente minacciate dal particolare meccanismo
                                    transfrontaliero. Va da sé che qualora lo Stato E avesse altresì implementano regole di
                                    contrasto degli ibridi e non consentisse la deduzione degli interessi da parte di ECO,
                                    verrebbe meno l’obbligo di comunicazione dello schema2. L’esempio non chiarisce se
                                    l’obbligo di comunicazione risulterebbe integrato anche per BCO, ove lo Stato B
                                    avesse introdotto un regime di disclosure, senza tuttavia avere adottato regole anti-
                                    ibrido. Non è chiaro in questo esempio perché gli obblighi di comunicazione non
                                    debbano ricadere in via primaria (o in aggiunta) sull’intermediario in B (o, in mancanza
                                    di un intermediario, sul contribuente BCO).

                                    Sullo stesso tema sono ancor meno chiari i due esempi riportati nella richiamata
                                    relazione d’impatto della direttiva. Nel primo caso, ACO nello Stato membro A prende
                                    in licenzia un Intangible da CCO nello Stato C che è una giurisdizione offshore che non
                                    applica imposte; per evitare l’applicazione della ritenuta sulle royalties dovute da ACO
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                                    a CCO in base alla convenzione tra A e C, viene interposta NEWCO nello Stato
                                    membro B che, in virtù delle proprie convenzioni bilaterali, rispettivamente con A e con
                                    C non subisce né applica ritenute sui flussi di royalties in entrata e in uscita e ha una
                                    base imponibile prossima allo zero per effetto della compensazione tra le royalties
                                    attive e quelle passive. In questa situazione, la Relazione d’impatto individua un unico
                                    soggetto tenuto alla comunicazione e, in particolare, NEWCO (o meglio, l’Intermediario
                                    che ha costituito NEWCO) che dovrà effettuare la disclosure nello Stato membro B, nel
                                    presupposto che, trattandosi di uno schema “commerciale”, l’intermediario nello Stato
                                    membro B è nella posizione di poter eventualmente provare che NEWCO è stata
                                    creata per ottenere prevalentemente vantaggi diversi da quello fiscale. Niente si dice di

                                    1   Cfr. Action 12: 2015 Final Report, Mandatory Disclosure Rules, par. 257 ss.
                                    2 L’obbligo di comunicazione si conserverebbe, secondo l’OCSE, in presenza di eventuali aggiustamenti
                                    dell’effetto ibrido in altri ordinamenti, perché lo Stato E avrebbe interesse a controllare che l’aggiustamento
                                    sia completo e effettivo.

                                                                                                                                                 8
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                                    contestuali (o alternativi) obblighi di disclosure nello Stato membro A che subisce
                                    l’erosione dei propri diritti impositivi: anche se non è chiaro su chi potrebbe ricadere
                                    l’obbligo: se su CCO (in quanto soggetto non residente che produce redditi in A) o su
                                    ACO (in quanto soggetto che – senza lo schema – sarebbe stato tenuto ad operare la
                                    ritenuta3).

                                    In definitiva, necessiterebbe di essere opportunamente chiarito se la qualifica di
                                    “contribuente pertinente” possa essere attribuita o meno a tutti i soggetti partecipanti
                                    allo schema (che risiedono o producono redditi in uno o più Stati membri) che provoca,
                                    nelle relative giurisdizioni, conseguenze fiscali rilevanti (dirette o indirette), in grado di
                                    mettere a rischio in modo significativo le relative basi imponibili.

                                    In ultimo, e in stretta connessione con quanto sopra si è detto, sarebbero opportuni
                                    specifici chiarimenti sui criteri per individuare, nel suo insieme, il meccanismo
                                    transfrontaliero oggetto di comunicazione; e cioè tutti gli step e le transazioni che ad
                                    esso sono riconducibili e tutte le persone che vi partecipano o che sono coinvolte.
                                    Secondo le indicazioni dell’Action 12, in caso ad esempio di acquisizione di una nuova
                                    entità, lo schema globale include non solo l’acquisizione stessa, ma anche le modalità
                                    di finanziamento dell’acquisizione e ogni ristrutturazione successiva del business;
                                    mentre per i finanziamenti di gruppo si dovrebbe risalire fino alla pianificazione del
                                    progetto e alle transazioni con cui è stato introdotto nuovo capitale e includere tutti gli
                                    step successivi, compresa l’allocazione del capitale in conseguenza del finanziamento.
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                                    La precisa definizione dei criteri idonei a delimitare i confini di un meccanismo si
                                    presenta, con ogni evidenza, come un problema che richiede adeguati
                                    approfondimenti.

                                    3 Parimenti poco chiaro è il secondo (e ultimo) esempio proposto dalla Relazione d’impatto. Al medesimo
                                    fine di evitare l’applicazione di imposte sulle royalty (imposte sul reddito e ritenute), la società ACO (titolare
                                    dell’Intangible) residente nello Stato terzo A (che non tassa le royalty) dà in licenzia l’IP ad una controllata
                                    al 100 per cento, BCO, che è una società ibrida costituita nello Stato membro B (una società, cioè, che è
                                    considerata trasparente nello Stato membro B di costituzione e opaca per lo Stato terzo A di residenza
                                    della licenziante). BCO sub licenzia l’IP a CCO e DCO residenti, rispettivamente, negli Stati membri C e D.
                                    Le royalty corrisposte a BCO da CCO e DCO non sono tassate nello Stato membro B che considera
                                    trasparente BCO, né (in capo alla società socia) nello Stato terzo A che, invece, considera opaca BCO.
                                    Parimenti le royalty erogate da CCO e DCO a BCO non subiscono ritenute in uscita perché le convenzioni
                                    tra gli Stati C e A e tra gli Stati D e A non le prevedono: in questo caso infatti non è possibile applicare le
                                    convenzioni tra gli Stati C e B e tra gli Stati D e B perché la società BCO (che non è tassata) non può
                                    essere considerata soggetto residente ai fini convenzionali. Anche in questo caso, secondo la relazione
                                    d’impatto, l’obbligo dovrebbe essere adempiuto dall’intermediario nello Stato membro B di costituzione
                                    della ibrida (o, in mancanza di un intermediario residente, dall’ibrida stessa), e non invece negli Stati
                                    membri delle licenziatarie che deducono le royalty che non saranno assoggettate né a ritenuta né
                                    corporate tax. Il tema meriterebbe ulteriori chiarimenti.

                                                                                                                                                    9
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                                    2. Analisi del contenuto dello schema di decreto legislativo in consultazione

                                    Passando all’analisi dello schema di decreto legislativo, ricordiamo innanzitutto che la
                                    DAC 6 introduce una regolamentazione “minima” in questo settore4, sicché i singoli
                                    stati membri UE ben possono estendere l’operatività della disciplina europea, ampliare
                                    le ipotesi di comunicazione, prevedere ulteriori fattispecie “sospette” e, più in generale,
                                    “fare propri” i fondamentali precetti della direttiva, “adattandoli” cioè alle peculiari
                                    caratteristiche della specifica giurisdizione in cui tale disciplina è destinata ad operare.

                                    Occorre, dunque, valutare se lo schema di decreto si sia attenuto pedissequamente
                                    alle indicazioni della direttiva o abbia adottato soluzioni che, in parte, se ne discostano
                                    e, eventualmente, in che modo. In sostanza, la direttiva richiede di:

                                        1) individuare il meccanismo “transfrontaliero”;

                                        2) verificare se tale meccanismo presenta gli “elementi distintivi” previsti
                                            dall’allegato IV e, quindi, se sia soggetto ad obbligo di comunicazione;

                                        3) individuare i soggetti tenuti ad effettuare la comunicazione e l’autorità
                                            destinataria della predetta comunicazione;

                                        4) appurare se sussistono casi di esonero dall’obbligo di comunicazione.

                                    Sia pure con qualche variazione, anche lo schema di decreto, sostanzialmente segue
                                    quest’ordine, rinviando tuttavia l’individuazione degli elementi distintivi dei meccanismi
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                                    transfrontalieri che fanno sorgere l’obbligo di comunicazione all’emanazione di un
                                    apposito decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle
                                    finanze (cfr. art. 5).

                                    4 Cfr. il Considerando 10 della direttiva n. 2018/822/UE, ove è precisato che “Dato che la presente direttiva

                                    relativa alla comunicazione di meccanismi di pianificazione fiscale potenzialmente aggressiva dovrebbe
                                    essere principalmente finalizzata a garantire il corretto funzionamento del mercato interno, è fondamentale
                                    non regolamentare a livello dell'Unione più di quanto sia necessario per conseguire gli obiettivi previsti.
                                    Per questo motivo sarebbe necessario limitare tutte le norme comuni sulla comunicazione di informazioni
                                    alle situazioni transfrontaliere, ossia alle situazioni che coinvolgono più Stati membri o uno Stato membro
                                    e un paese terzo. In tali circostanze, dato l'impatto potenziale sul funzionamento del mercato interno, è
                                    possibile giustificare la necessità di applicare una serie di norme comuni, piuttosto che lasciare che la
                                    questione sia disciplinata a livello nazionale. Uno Stato membro potrebbe adottare ulteriori misure
                                    nazionali di natura analoga in materia di notifica, ma ogni informazione raccolta oltre a quelle che sono
                                    soggette all'obbligo di notifica ai sensi della presente direttiva non dovrebbe essere comunicata
                                    automaticamente alle autorità competenti degli altri Stati membri. Tali informazioni potrebbero essere
                                    scambiate su richiesta o spontaneamente secondo le norme applicabili”.

                                                                                                                                              10
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                                    Di seguito, esaminiamo distintamente queste tematiche regolamentate dallo schema di
                                    decreto in esame.

                                    2.1. Meccanismo “transfrontaliero”

                                    La direttiva individua, per “meccanismo transfrontaliero”, “un meccanismo che
                                    interessa più Stati membri o uno Stato membro e un paese terzo” (cfr. il nuovo punto
                                    18 dell’art. 3 della DAC 1). L’art. 2, comma 1, lett. a), dello schema di decreto definisce
                                    il meccanismo transfrontaliero come “uno schema, accordo o progetto riguardare l’Italia
                                    e una o più giurisdizioni estere”.

                                    Al riguardo osserviamo, innanzitutto, che il riferimento ad uno “schema, accordo,
                                    progetto” potrebbe generare qualche dubbio, nel senso che tali termini potrebbero
                                    essere interpretati non come sinonimi di “meccanismo” – concetto di per sé molto
                                    ampio – ma come fattispecie con specifiche caratteristiche, sicché laddove non si
                                    riscontri tecnicamente uno “schema, accordo, progetto” non ci sarebbe la possibilità di
                                    rilevare una fattispecie rientrante nel concetto di “meccanismo transfrontaliero”. Il punto
                                    andrebbe chiarito.

                                    Il secondo aspetto importante di questa definizione è che lo “schema, accordo,
                                    progetto” deve riguardare “l’Italia e una o più giurisdizioni estere”; giurisdizioni, quindi,
                                    che possono essere intra o extra UE. Ne consegue, dunque, che se questi meccanismi
                                    intervenissero fra Stati diversi dall’Italia – e intercorressero, quindi, anche tra Stati tutti
                                    appartenenti all’UE – non sorgerebbe comunque alcun obbligo di comunicazione alla
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                                    nostra Amministrazione finanziaria. Ciò vuol dire che, ad esempio, un meccanismo
                                    transfrontaliero ideato da un intermediario italiano ma al quale partecipino due soggetti
                                    residenti, rispettivamente, uno in Francia e l’altro in Germania, non dovrebbe essere
                                    soggetto all’obbligo di comunicazione. Lo stesso dicasi se il meccanismo viene ideato
                                    da una capogruppo residente in Italia e attuato fra due società figlie residenti in Stati
                                    esteri, anche se appartenenti all’UE; in tal caso, la comunicazione spetterebbe solo a
                                    tali società figlie, quali contribuenti pertinenti verso le rispettive amministrazioni di
                                    riferimento. Se questa interpretazione è corretta, allora si deve ritenere che il
                                    legislatore italiano abbia effettuato una precisa scelta di fondo. Il punto andrebbe
                                    chiarito.

                                    Sempre in tema di meccanismo transfrontaliero, l’art. 2 dello schema di decreto, al
                                    comma 1, lett. a), numeri da 1 a 5, elenca le condizioni che devono sussistere
                                    affinché il meccanismo possa considerarsi transfrontaliero e, fra queste, al numero 4, è
                                    stabilito che il meccanismo è transfrontaliero se “uno o più partecipanti allo schema,

                                                                                                                                  11
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                                    accordo o progetto, senza essere residenti ai fini fiscali o avere una stabile
                                    organizzazione in una giurisdizione estera, svolgono in tale giurisdizione la propria
                                    attività in maniera tale da ivi configurare una stabile organizzazione”. Per la verità, la
                                    norma europea non presenta quest’ultimo inciso, stabilendo come condizione
                                    sufficiente che “uno o più dei partecipanti al meccanismo svolge un'attività in un'altra
                                    giurisdizione senza essere residente a fini fiscali né costituire una stabile
                                    organizzazione situata in tale giurisdizione” (cfr. il nuovo punto 18, lett. d), dell’art. 3
                                    della DAC 1). Andrebbe, quindi, chiarito se questa è una precisa scelta di fondo del
                                    nostro legislatore.

                                    2.2. Contribuente “pertinente”

                                    L’individuazione di contribuente “pertinente” e la sua eventuale distinzione dal soggetto
                                    “partecipante” al meccanismo transfrontaliero – che non assume, cioè, la posizione di
                                    contribuente “pertinente” – risente, anche nello schema di decreto legislativo, di tutte le
                                    incertezze che sono già insite nella direttiva e che abbiamo ricordato in precedenza.

                                    La direttiva fornisce la definizione di contribuente c.d. “pertinente”, inteso come
                                    “qualunque persona a disposizione della quale è messo, a fini di attuazione, un
                                    meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica o che è pronta ad attuare
                                    un meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica o che ha attuato la prima
                                    fase di un tale meccanismo”. Tale soggetto è tenuto in via autonoma ad effettuare la
                                    comunicazione perché “è messo a sua disposizione” “è pronto ad attuare” o “ha attuato
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                                    la prima fase” del meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica.

                                    La definizione della direttiva sembra del tutto slegata dal “vantaggio fiscale” che il
                                    meccanismo transfrontaliero dovrebbe, in via di principio, assicurare; vantaggio fiscale
                                    che, quindi, non dovrebbe rappresentare un parametro identificativo idoneo ai fini della
                                    normativa in esame. In altri termini, la circostanza che il contribuente riceva un
                                    vantaggio fiscale dal meccanismo transfrontaliero – ovvero il fatto che il meccanismo
                                    abbia determinato, o sia potenzialmente idoneo a determinare, l’erosione di base
                                    imponibile nella giurisdizione del contribuente – non dovrebbe rilevare ai fini
                                    dell’obbligo di comunicazione. Il condizionale in tal caso è, però, d’obbligo perché
                                    trattasi di conclusione tutta da verificare: nel Considerando 8 della direttiva, infatti, si
                                    parla espressamente dell’opportunità di trasferire l'obbligo di comunicazione di
                                    informazioni “al contribuente che trae beneficio dal meccanismo” nel caso in cui
                                    sussista un’esimente in capo all’intermediario.

                                                                                                                               12
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                                    Sotto altro profilo, nella direttiva sono menzionati – senza essere definiti – anche i
                                    soggetti c.d. “partecipanti” al meccanismo transfrontaliero sicché, come già
                                    accennato, si pongono “a monte” una serie di interrogativi di non facile soluzione. In
                                    primis, non è chiaro se il soggetto “partecipante” coincida o meno con il “contribuente
                                    pertinente”. Si potrebbe ritenere, forse, che il contribuente pertinente sia sempre anche
                                    “partecipante”, ma che non sia vero il contrario, in quanto il “partecipante” potrebbe
                                    essere residente in uno Stato extra-UE non interessato dalla normativa in commento e,
                                    perciò, non tenuto ad effettuare l’obbligo di comunicazione. Se così fosse, allora si
                                    dovrebbe concludere che l’obbligo di comunicazione non possa mai fare capo al
                                    partecipante che non sia anche contribuente pertinente.

                                    Ad ogni modo, lo schema di decreto – diversamente dalla direttiva – definisce il
                                    “contribuente” e non il contribuente c.d. “pertinente” (evidentemente, assunto dallo
                                    schema di decreto come attributo implicito della nozione). Il contribuente è qualificato
                                    come “qualunque soggetto che attua o a favore del quale viene messo a disposizione
                                    un meccanismo transfrontaliero”. La definizione è più sintetica rispetto a quella adottata
                                    dalla direttiva, ma ci sembra sostanzialmente equivalente. Piuttosto merita osservare
                                    che, in ossequio alla direttiva, lo schema di decreto prosegue specificando che il
                                    contribuente è “tenuto all’obbligo di comunicazione” solo al ricorrere delle specifiche e
                                    alternative condizioni elencate nei numeri da 1 a 4 della lett. d) dell’art. 25. Tuttavia, le
                                    condizioni previste ai nn. 3 e 4 della lett. d) dell’art. 2 dello schema di decreto non
                                    appaiono in linea con quanto previsto dalla direttiva, poiché fanno riferimento,
                                    rispettivamente, alla percezione di redditi o alla generazione di utili o allo svolgimento
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                                    di attività “in maniera tale da configurare una stabile organizzazione” che beneficia del
                                    meccanismo nel territorio dello Stato, mentre la direttiva, prevede l’esatto contrario (cfr.
                                    l’inciso “pur non essendo residente a fini fiscali e non disponendo di una stabile
                                    organizzazione in alcun Stato membro”, contenuto nelle lett. c) e d) del par. 7 del
                                    nuovo art. 8 bis ter della DAC 1). Non è chiaro se ciò rappresenti una precisa scelta del
                                    nostro legislatore. Il punto andrebbe approfondito.

                                    Infine, lo schema di decreto prevede un’esimente per il contribuente che non trova
                                    riscontro nella direttiva: il contribuente, infatti, può soprassedere dalla comunicazione

                                    5  La direttiva, per la verità, enumera le medesime condizioni allorché il contribuente pertinente – nonché
                                    l’intermediario – sia tenuto ad effettuare la comunicazione “alle autorità competenti di più di uno Stato
                                    membro” e, quindi, al fine di dirimere eventuali incertezze in ordine al destinatario della comunicazione,
                                    ma non ci sembra che tale particolarità incida sulla sostanziale equivalenza della definizione nazionale
                                    rispetto a quella europea. Cfr. art. 8 bis ter, par. 7, comma 2, della nuova DAC 1.

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                                    del meccanismo, “qualora dalle informazioni trasmesse possa emergere una sua
                                    responsabilità penale” (cfr. art. 3, comma 9).

                                    In linea generale, difficilmente i contribuenti si serviranno di questa esimente perché,
                                    servendosene, ammetterebbero una responsabilità ben più pesante di quella attinente
                                    alla mancata comunicazione del meccanismo. Peraltro, va rilevato che la valutazione di
                                    un’eventuale responsabilità penale del contribuente spetta sempre alla magistratura –
                                    inquirente e giudicante – e che, di norma, si verificano spesso rilevanti discordanze di
                                    vedute tra contribuente e magistratura sulla sussistenza o meno degli elementi
                                    integrativi di un reato. Il caso tipico è proprio quello delle operazioni che il contribuente
                                    potrebbe considerare legittime o, al più, elusive e che il giudice potrebbe, viceversa,
                                    qualificare come fraudolente: ciò è accaduto non poche volte in passato (si pensi, ad
                                    esempio, al caso del falso di bilancio). Al di là di ciò, comunque, non è chiaro come
                                    operi tale esimente nel caso in cui il contribuente sia un soggetto collettivo, in quanto la
                                    responsabilità penale potrebbe ascriversi alla persona fisica che ha agito in nome e per
                                    conto della società, mentre l’obbligo di comunicazione è ascrivibile al soggetto
                                    collettivo. Il punto meriterebbe ulteriori chiarimenti.

                                    2.3. Intermediario

                                    Secondo la direttiva, l’intermediario è:

                                          “qualunque persona che elabori, commercializzi, organizzi o metta a
                                           disposizione a fini di attuazione o gestisca l'attuazione di un meccanismo
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                                           transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica” (art. 3, par. 21, primo comma),
                                           nonché

                                          qualunque persona che, in considerazione dei fatti e delle circostanze
                                           pertinenti e sulla base delle informazioni disponibili e delle pertinenti
                                           competenze e comprensione necessarie per fornire tali servizi, sia a
                                           conoscenza, o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza, del
                                           fatto che si è impegnata a fornire, direttamente o attraverso altre persone,
                                           aiuto, assistenza o consulenza riguardo all'elaborazione, commercializzazione,
                                           organizzazione, messa a disposizione a fini di attuazione o gestione
                                           dell'attuazione di un meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di
                                           notifica” (art. 3, par. 21, secondo comma)6.

                                    6In ogni caso, per essere qualificato intermediario è necessario che il soggetto soddisfi almeno una delle
                                    condizioni seguenti: a) essere residente a fini fiscali in uno Stato membro; b) disporre di una stabile
                                    organizzazione in uno Stato membro attraverso la quale sono forniti i servizi con riguardo al meccanismo;

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                                    Nello schema di decreto l’intermediario è identificato in colui che: a) “mette a
                                    disposizione ai fini dell’attuazione un meccanismo transfrontaliero da comunicare o ne
                                    gestisce l’attuazione”, ovvero, 2) “direttamente o attraverso altri soggetti, svolge
                                    un’attività di assistenza o consulenza ai fini dell’attuazione del meccanismo
                                    transfrontaliero da comunicare, qualora, avuto riguardo alle informazioni disponibili e
                                    alle competenze necessarie per svolgere tale attività, sappia o abbia un motivo
                                    ragionevole per concludere che il medesimo meccanismo sia rilevante” 7.

                                    Quindi, per quanto concerne le attività che identificano l’intermediario, dovrebbe essere
                                    condiviso un punto fermo e non discutibile: non dovrebbe essere qualificabile come
                                    “intermediario” ai fini della normativa in esame colui che svolge una qualsiasi delle
                                    attività menzionate in precedenza che non sia finalizzata all’attuazione del
                                    meccanismo transfrontaliero.

                                    Al di là di questa premessa di fondo, notiamo che la definizione nazionale diverge da
                                    quella europea, in primis, per quanto concerne le attività, che nella versione italiana si
                                    riducono alla “messa a disposizione” e all’“assistenza” o “consulenza”: non vengono
                                    richiamate, cioè, anche le attività di “elaborazione”, “commercializzazione” e
                                    “organizzazione” menzionate dalla direttiva. Siamo convinti che i concetti di “messa a
                                    disposizione” e “assistenza” utilizzati dallo schema di decreto abbiano una portata
                                    semantica ampia, tale da ricomprendere anche i concetti di “elaborazione”,
                                    “commercializzazione” e “organizzazione”. Tuttavia, è la direttiva a far sorgere qualche
                                    dubbio sulla coincidenza o meno del significato di questi concetti, perché elenca tanto
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                                    la nozione di messa a disposizione e assistenza di cui parla anche lo schema di
                                    decreto, quanto i concetti di elaborazione, commercializzazione e organizzazione.
                                    Perciò, forse, sarebbe meglio eliminare ogni incertezza, ripetendo pedissequamente
                                    l’elenco della direttiva.

                                    Peraltro, con riguardo alle attività rilevanti, merita evidenziare che le ipotesi in concreto
                                    verificabili possono essere le più varie. Ad esempio, vi è il dubbio se rientri o meno
                                    nella nozione di intermediario obbligato alla comunicazione, l’ipotesi del consulente che
                                    rende un parere pro veritate; parere che potrebbe avere ad oggetto un determinato

                                    c) essere costituito in uno Stato membro o essere disciplinato dal diritto di uno Stato membro; d) essere
                                    registrato presso un'associazione professionale di servizi in ambito legale, fiscale o di consulenza in uno
                                    Stato membro. Infine, nella prospettiva della direttiva il soggetto qualificabile come intermediario può
                                    sempre fornire prova contraria.
                                    7 La direttiva, infatti, specifica che “qualunque persona ha il diritto di fornire elementi a prova del fatto che

                                    non fosse a conoscenza, e non si potesse ragionevolmente presumere che fosse a conoscenza, del
                                    proprio coinvolgimento in un meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica. A tal fine, tale
                                    persona può fare riferimento a tutti i fatti e a tutte le circostanze pertinenti, come pure alle informazioni
                                    disponibili e alle sue pertinenti competenze e comprensione”.

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                                    meccanismo transfrontaliero – o parte di esso – che il contribuente intende adottare,
                                    ovvero riguardare la valutazione – in termini di costi e benefici – di una serie di
                                    meccanismi transfrontalieri potenzialmente adottabili dal contribuente e da mettere a
                                    confronto. In questi casi, a ben guardare, il consulente si limita a svolgere un’analisi
                                    obiettiva e un giudizio di merito sui pro e i contro dell’operazione e non svolge alcuna
                                    attività “propulsiva”. Eppure tale attività potrebbe potenzialmente rientrare tra quelle
                                    rilevanti ai fini della disciplina in commento qualora si ritenesse che, anche in questa
                                    ipotesi, in un certo qual modo, il consulente fornisce un proprio contributo “qualificato”
                                    – quanto meno in termini di informazioni tecniche – all’attuazione del meccanismo
                                    transfrontaliero. E, così ragionando, occorrerebbe anche valutare, forse, la rilevanza
                                    scriminante dell’eventuale parere pro veritate “negativo”, con il quale il consulente
                                    sconsiglia cioè di dare attuazione al meccanismo transnazionale.

                                    Ci rendiamo conto che lo schema di decreto non può spingersi nell’analisi di questi
                                    aspetti, ma sarebbe opportuno che nella relazione di accompagnamento fossero
                                    meglio chiariti.

                                    Analoghi problemi interpretativi si pongono, poi, nei casi in cui il consulente, a seguito
                                    dello svolgimento di una due diligence richiesta dal cliente, venga a conoscenza di un
                                    meccanismo transfrontaliero già realizzato o in corso di attuazione; ovvero nell’ipotesi
                                    in cui il consulente si limiti semplicemente a prendere visione di una due diligence
                                    svolta magari da altro consulente in relazione ad un meccanismo transnazionale in
                                    corso di attuazione. Sarebbe logico che in questo caso il consulente non fosse
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                                    ricompreso tra i soggetti obbligati alla comunicazione, non essendo parte “attiva” del
                                    meccanismo transfrontaliero; e questo tanto più nel caso in cui la due diligence sia
                                    condotta su un meccanismo già attuato.

                                    Vi possono, poi, essere dei casi, non infrequenti, ove l’attività dell’intermediario
                                    potrebbe addirittura essere stata resa “per le vie brevi”, tramite e-mail, risposte
                                    telefoniche o meri pareri verbali resi nel corso di riunioni ad hoc o incontri occasionali.
                                    Occorre stabilire se anche queste attività siano rilevanti e, in caso di risposta
                                    affermativa, valutare che tipo di tracking and tracing l’intermediario sia tenuto ad
                                    attivare.

                                    In definitiva, gli esempi, com’è evidente, possono essere molti e pongono interrogativi
                                    che meriterebbero di essere risolti al più presto e questo non solo al fine di evitare che
                                    l’incertezza interpretativa determini un eccesso di comunicazioni “a tutto campo” da
                                    parte di intermediari e/o contribuenti – comunicazioni non solo inutili, ma al più tali da
                                    determinare, presumibilmente, un notevole aggravio di costi in termini di tempo, mezzi

                                                                                                                              16
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                                    e risorse alle stesse amministrazioni finanziarie coinvolte nello scambio di queste
                                    informazioni – ma anche (e soprattutto) in considerazione del fatto che l’obbligo di
                                    comunicazione riguarda, come vedremo meglio successivamente, attività realizzatesi a
                                    far data dal 25 giugno 2018; attività che, evidentemente, i consulenti sarebbero, in via
                                    di principio, tenuti a “tracciare” già attualmente. In altri termini, i soggetti coinvolti
                                    nell’obbligo di comunicazione devono già ora adottare un adeguato sistema di tracking
                                    and tracing e, quindi, predisporre e conservare apposita documentazione in ordine alle
                                    attività rilevanti ai fini della normativa in esame.

                                    Per tali ragioni, quindi, è necessario individuare un chiaro discrimen. L’Action 12 del
                                    progetto BEPS, ad esempio, utilizza il termine “promoter”, che suggerisce comunque
                                    un coinvolgimento “attivo” o “propulsivo” dell’intermediario. E d’altronde, anche la
                                    direttiva europea, così come lo schema di decreto, elencano espressamente una serie
                                    di attività finalizzate all’attuazione del meccanismo transfrontaliero, sicché occorre
                                    chiarire agli operatori del settore che l’obbligo di comunicazione non deriva dal
                                    coinvolgimento professionale “a qualsiasi titolo”, ma da attività “qualificate” e finalizzate
                                    all’ottenimento di un determinato risultato.

                                    Passando al tema delle esimenti riferibili all’intermediario, non vi sono grandi
                                    incertezze in ordine alla prima ipotesi – prevista dall’art. 3, comma 3, dello schema di
                                    decreto – in cui più intermediari svolgano attività rilevanti sul medesimo meccanismo
                                    transfrontaliero. In questo caso, in linea con quanto previsto dal nuovo art. 8 bis ter,
                                    par. 4, della DAC 1, l’intermediario è esonerato dall’obbligo di comunicazione “se può
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                                    provare che le medesime informazioni concernenti il meccanismo transfrontaliero sono
                                    state comunicate da altro intermediario all’Agenzia delle Entrate o all’autorità
                                    competente di uno Stato membro dell’Unione europea o di altre giurisdizioni estere con
                                    le quali è in vigore un accordo per lo scambio di informazioni ai sensi del presente
                                    decreto”. L’esonero, quindi, riguarda solo le ipotesi in cui più intermediari conoscano “le
                                    medesime informazioni”: solo in questo caso la comunicazione fatta da uno “libera” gli
                                    altri intermediari. Questo evidentemente perché ogni intermediario potrebbe avere una
                                    conoscenza, meramente parziale e limitata, di un “segmento” dell’intero meccanismo
                                    transfrontaliero e, quindi, essere tenuto ad una comunicazione che ha contenuto
                                    diverso da quella riferibile ad altro intermediario.

                                    Le altre due ipotesi di esonero dell’intermediario appaiono meno chiare. Lo schema di
                                    decreto prevede l’esonero:

                                         “limitatamente ai casi in cui esamina la posizione giuridica del proprio cliente o
                                             espleti compiti di difesa o di rappresentanza del cliente in un procedimento

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                                             innanzi ad una autorità giudiziaria, compresa la consulenza sull’eventualità di
                                             intentarlo o evitarlo” (art. 3, comma 4, dello schema di decreto), nonché

                                         “qualora dalle informazioni trasmesse possa emergere una sua responsabilità
                                            penale” (art. 3, comma 5, dello schema di decreto).

                                    La prima esimente menzionata dovrebbe costituire attuazione di quanto previsto dalla
                                    direttiva in ordine al segreto professionale, anche se lo schema di decreto non cita
                                    espressamente il segreto professionale. Si ricorda, a questo proposito, che già il
                                    Considerando 8 della direttiva, nel confermare che “l'obbligo di comunicazione di
                                    informazioni dovrebbe essere imposto a tutti gli attori che sono di solito coinvolti
                                    nell'elaborazione, commercializzazione, organizzazione e gestione dell'attuazione di
                                    un'operazione transfrontaliera soggetta all'obbligo di notifica o di una serie di tali
                                    operazioni, nonché a coloro che forniscono assistenza o consulenza”, precisa che “in
                                    alcuni casi, l'obbligo di comunicazione di informazioni non sarebbe applicabile a un
                                    intermediario a causa del segreto professionale o laddove non esistano intermediari
                                    perché, ad esempio, il contribuente elabora e attua un sistema internamente” e che, in
                                    tali casi, “sarebbe dunque necessario trasferire l'obbligo di comunicazione di
                                    informazioni al contribuente che trae beneficio dal meccanismo”. Tuttavia, il par. 5 del
                                    nuovo art. 8 bis ter della DAC 1 prevede che “ciascuno Stato membro può adottare le
                                    misure necessarie per concedere agli intermediari il diritto all'esenzione dalla
                                    comunicazione di informazioni su un meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo
                                    di notifica quando l'obbligo di comunicazione violerebbe il segreto professionale sulla
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                                    base del diritto nazionale dello Stato membro”8, precisando che gli intermediari
                                    possono avere diritto all'esenzione “soltanto nella misura in cui operano nei limiti delle
                                    pertinenti norme nazionali che definiscono le loro professioni”.

                                    Come detto, lo schema di decreto non menziona espressamente il segreto
                                    professionale ma, nell’intento definirne la portata, afferma che l’intermediario è
                                    esonerato dall’obbligo di comunicazione “limitatamente ai casi in cui esamina la
                                    posizione giuridica del proprio cliente o espleti compiti di difesa o di rappresentanza del
                                    cliente in un procedimento innanzi ad una autorità giudiziaria, compresa la consulenza
                                    sull’eventualità di intentarlo o evitarlo”. Tale previsione ha suscitato varie perplessità,
                                    sia in merito alla corretta interpretazione del suo dato letterale, sia con riguardo alla
                                    sua conformità rispetto alla direttiva europea.

                                    8 Specificando che, in tali circostanze, ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie per imporre

                                    agli intermediari la notifica, senza indugio, dei rispettivi obblighi di comunicazione ai sensi del paragrafo 6
                                    a un eventuale altro intermediario o, in sua assenza, al contribuente pertinente.

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                                    Quanto al primo profilo, la norma fa espresso riferimento all’attività resa “in un
                                    procedimento innanzi ad una autorità giudiziaria, compresa la consulenza
                                    sull’eventualità di intentarlo o evitarlo”; dall’altro, utilizza una disgiuntiva – esame della
                                    posizione giuridica del cliente o espletamento di compiti di difesa o di rappresentanza
                                    del cliente – dando così l’impressione di regolamentare due tipi di attività tra loro
                                    distinti, quasi che l’“esame della posizione giuridica” configuri, ex se, sempre
                                    un’esimente, a prescindere dal suo collegamento con un procedimento innanzi ad
                                    un’autorità giudiziaria, già incardinato o meramente potenziale. Verosimilmente, la
                                    norma vuole ricondurre tutte le attività – quindi, anche l’esame della posizione giuridica
                                    – ad un procedimento innanzi ad un’autorità giudiziaria, in atto o potenziale. Pur
                                    essendo convinti di ciò, la norma, a nostro avviso, andrebbe comunque meglio
                                    formulata.

                                    Ma a parte questo, è sorto il dubbio tra gli operatori se sia corretto restringere così
                                    tanto l’ambito operativo del segreto professionale che riguarda la cognizione da parte
                                    del professionista anche di fatti e notizie che esulano dall’assunzione della difesa in un
                                    procedimento innanzi all’autorità giudiziaria9: in effetti, in tal senso sembrerebbe
                                    deporre la stessa direttiva, che lascia agli Stati membri la scelta di approntare una più
                                    o meno ampia possibilità di tutela del segreto professionale; una scelta, dunque, libera
                                    da condizioni o limiti. Inoltre, in tal senso potrebbe anche militare l’analoga evoluzione
                                    interpretativa riservata alla tutela del segreto professionale nel contesto della normativa
                                    antiriciclaggio (cfr. CGUE 26 giugno 2007, C-305/05, che lo ha circoscritto al diritto di
                                    difesa). Ma non mancano, tuttavia, argomenti anche in senso contrario. Il punto, per la
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                                    sua delicatezza andrebbe chiarito e ben motivato.

                                    Quanto alla seconda scriminante – quella, cioè, riguardante l’eventuale responsabilità
                                    penale dell’intermediario – valgono le considerazioni già espresse per l’analoga
                                    esimente prevista per il contribuente.

                                    9 Merita poi evidenziare che il segreto professionale è menzionato anche nell’art. 6, comma 1, lett. c), dello
                                    schema di decreto – in perfetta linea con la direttiva – in riferimento all’oggetto della comunicazione che
                                    deve contenere tra i vari elementi anche “la descrizione dettagliata del meccanismo transfrontaliero
                                    oggetto di comunicazione, nei limiti in cui non comporti la divulgazione di segreti commerciali, industriali o
                                    professionali, dei processi commerciali o delle informazioni giuridicamente tutelabili”. In verità, il segreto
                                    professionale di cui parla questa disposizione non dovrebbe riguardare il segreto professionale cui è
                                    tenuto il professionista e che è disciplinato nell’art. 3, comma 4 dello schema di decreto, ma altra tipologia
                                    di segreto insito nell’oggetto dell’informazione. Il punto, comunque, andrebbe chiarito nella relazione di
                                    accompagnamento al decreto.

                                                                                                                                               19
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