6 Orario di lavoro e di servizio, turni, part-time, mansioni, indennità varie

Pagina creata da Federico Castagna
 
CONTINUA A LEGGERE
6) Orario di lavoro e di servizio, turni, part-time, mansioni, indennità varie

Quesito 1 (n. 23/2011)
1) In materia di polizia locale, è possibile articolare l'orario di lavoro della polizia locale, dopo idonea
concertazione in modo che sia modulato sulle esigenze dell'amministrazione ( per es. il turno è dalle
13,00 alle 19,00 , può l'amministrazione richiedere che le sei ore di servizio siano traslate in avanti ,
senza corresponsione dello straordinario ma solo della maggiorazione di legge se l'orario diventa
notturno oppure se cade in un giorno festivo? Si può concedere un'indennità di disagio opppure il
disagio è compreso nell'indennità di turno? E' possibile per l'Amministrazione prevedere di regola il
recupero il giorno dopo se per esempio gli agenti o uno di essi lavori in giorno festivo per es. la
domenica? E' possibile con delibera di giunta istituire l'orario di servizio, dalle 7 a mezzanotte su sei
giorni settimanali, e poi con altra delibera di giunta, dopo concertazione con i sindacati, istituire
l'orario di lavoro, che è di 36 ore settimanali organizzate in turni che si modulano sulle esigenze
dell'Amministrazione?

2) Di recente con delibera di giunta è stato concesso il part-time ad un dipendente di categoria D. Nel
comune di X ci sono sette dipendenti di cat. D nelle tre aree istituite su 15 dipendenti totali di cui un
part-time a tempo determinato. Secondo l'art 15 del ccnl del 1995 i contingenti di personale da
destinare a tempo parziale non possono superare il 25% della dotazione organica complessiva di
personale a tempo pieno di ciascuna qualifica funzionale... ecc.. Se ho 7 cat D , 7 per 25% mi dà
come risultato 1,75. Posso io concedere un secondo part-time per la persona di cat D che me l'ha
chiesta? In altri termini 1,75 viene arrotondato per difetto o per eccesso? Nel caso in cui fosse
possibile concedere il secondo part-time si potrebbe trasformare a tempo pieno il dipendente part-
time a tempo determinato che è stato assunto con regolare concorso a tempo determinato per due
anni?

Risposta
A) La disciplina concernente le turnazioni è contenuta nell’art. 22 del CCNL 14.9.2000. In particolare il
comma 5 di detto articolo regola le modalità di corresponsione della relativa indennità che vale a
compensare integralmente il disagio connesso alla particolare articolazione dell’orario turnato. Per questo
motivo non si ritiene legittimo concedere anche l’indennità di disagio.
I turni devono essere prestabiliti secondo quanto prevede il CCNL su base mensile e si ritiene che eventuali
variazioni dai turni standard debbano essere anch’esse predefinite; ad esempio, si stabilisce in via
preventiva che nelle giornate di consiglio comunale il turno sia 18-24 invece di 13-19; se legato ad eventi o
avvenimenti particolari, anche per questi dovrebbe esserci una previsione specifica.
Si ritiene quindi necessario che tali specificità siano previste anche in sede di accordo sindacale. In tale caso
rimane quindi l’istituto del turno ed il dipendente che svolgerà orario notturno e/o festivo percepirà solo
l’indennità normale di turno con la maggiorazione oraria del 30% o 50% prevista dal predetto art. 22.
B) Nel caso in cui il lavoratore sia inserito in un turno che, nell’ambito delle 36 ore settimanali di lavoro
dovute abbracci anche la domenica, con conseguente fruizione del riposo settimanale in altro giorno della
settimana successiva, allo stesso, nel caso di lavoro domenicale deve essere corrisposto solo il compenso
per il turno festivo ex art. 22 c. 5, secondo alinea, sopra richiamato. Il giorno del riposo settimanale diverso
dalla domenica può essere preventivamente stabilito dall’Amministrazione nell’ambito della concertazione
dell’orario di servizio, che verrà definito con atto dirigenziale.
C) L’istituzione di turni giornalieri di lavoro è lasciata ala facoltà degli enti in relazione alle proprie esigenze
organizzative o di servizio, pertanto è di competenza dei Dirigenti e/o Responsabili dei Servizi senza
particolari vincoli, se si eccettua la contrattazione decentrata sui criteri generali per le politiche dell’orario di
lavoro (con delibera giuntale) e la concertazione sull’articolazione dell’orario di servizio.
D) L’art. 4, comma 2, del CCNL 14.9.2000 prevede che il limite del 25% della dotazione organica
complessiva di personale a tempo pieno di ciascun categoria è arrotondato per eccesso onde arrivare
comunque all’unità. Pertanto il vostro risultato dell’1,75 è arrotondato a 2 unità.
E) Le prestazioni contrattuali relative alla trasformazione di rapporti a part-time in rapporti a tempo pieno si
riferiscono esclusivamente a posti di ruolo. Nulla è detto per quanto riguarda eventuali tempi determinati.
Si ricorda che in generale la trasformazione a tempo pieno o l’aumento della percentuale di part-time può
comunque avvenire solo su richiesta del lavoratore (fatta salva la revisione dei part-time di ruolo già
concessi, per effetto delle ultime riforme).
D’altro canto, l’Amministrazione nel bandire il concorso aveva collegato l’assunzione a tempo determinato a
una esigenza temporanea ed eccezionale, che si valutava soddisfabile con un part-time.
Prudenzialmente si ritiene quindi che ulteriori e diverse necessità temporanee ed eccezionali debbano
essere fronteggiate con ulteriori selezioni/assunzioni.

Quesito 2 (n. 20/2010)
Chiedo informazioni circa una richiesta di part-time orizzontale (dal lunedì al venerdì), per 30 ore
settimanali anziché 36, di un'educatrice asilo nido comunale, qualifica educatrice ed inquadramento
C. E' possibile, siccome più funzionale per il servizio, chiedere alla dipendente di effettuare un orario
spezzato?

Risposta
In relazione al quesito posto, si prospetta la seguente soluzione.
Un problema di grande rilevanza che pone la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a
parziale è quello della collocazione e articolazione oraria della prestazione. Nel caso in cui l’ente non abbia
individuato i posti da destinare a tempo parziale nel rispetto dei criteri definiti dall’art. 4, comma 2, del CCNL
14.9.2000 e non abbia adottato regolamenti interni che disciplinano le procedure per la trasformazione dei
rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, il principio generale è che le parti devono raggiungere
un accordo (art. 5, comma 3, del CCNL 14.9.2000).
Nel ricercare tale accordo il lavoratore ed il dirigente dovranno trattare secondo correttezza e buona fede, in
quanto sarebbero censurabili dal giudice del lavoro comportamenti irragionevoli delle parti.
La funzionalità del servizio è quindi sicuramente un elemento che dovrà trovare spazio nell’ambito di un
accordo che, come detto, non vede però la predeterminazione di una regola fissa per la collocazione
dell’orario, salvo che l’ente abbia già preventivamente adottato criteri e orari applicabili a tutte le richieste di
part time.
Si ricorda comunque che in materia di concessione del part time trova applicazione l’art. 73 della legge n.
133/2008 che ha modificato l’art. 1, comma 58, della legge n. 662/1996, assegnando la discrezionalità
all’amministrazione in base alle esigenze organizzative.
Infatti il nuovo iter prevede che a richiesta del dipendente, entro i limiti percentuali previsti, la trasformazione
del rapporto di lavoro a tempo parziale può essere concessa dall’amministrazione.
La trasformazione, quindi, del rapporto di lavoro a tempo parziale non avviene più in maniera automatica ma
viene concessa discrezionalmente dall’amministrazione, entro sessanta giorni dalla domanda,
coerentemente alle esigenze organizzative di funzionalità dei servizi. Pertanto l’amministrazione può
respingere la domanda quando la trasformazione del rapporto di lavoro comporta “pregiudizio” alla sua
funzionalità.
Si ricorda, altresì, che ai sensi dell’art. 4, comma 13, del CCNL 14.9.2000 il rapporto di lavoro a tempo
parziale viene costituito mediante sottoscrizione di apposito contratto individuale di lavoro, contenente
l’indicazione della durata della prestazione lavorativa nonché della collocazione temporale dell’orario con
riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno e del relativo trattamento economico.

Quesito 3 (n. 29/2011)
Nel comune di X ci sono due agenti di polizia locale che svolgono i loro turni articolati su trentasei
ore settimanali per sei giorni compreso il sabato. Attualmente siamo in concertazione con i sindacati
per il cambiamento dell'orario di lavoro dei due agenti che verrà articolato sempre su trentasei ore
settimanali, con turni non più fissi come è stato fino ad ora, ma con turni modulati sulle esigenze del
comune. Per esempio in occasione del consiglio comunale il turno partirà dalle ore 18,00 alle ore
24,00. Quando ci sarà l'esigenza di controllare i parchi e le aree a verde del paese il turno
pomeridiano non sarà fisso dalle ore 12,30 alle ore 18,30, come è stato finora, ma dalle 14,00 alle
20,00 e così via. La domanda è la seguente: i turni così articolati su sei giorni settimanali
ammontano a trentasei ore settimanali o a trentacinque ore settimanali? Chiedo gentilmente un
chiarimento su quanto chiesto. faccio presente che i turni finora sono stati sempre : ore 7,30- 13,30 e
12,30-18,30 , mentre d'ora in poi i turni saranno più flessibili prevedendo , dale mese di aprile al mese
di settembre anche turni notturni cioè fino alle 24,00.

Risposta
L’art. 22, comma 1, del CCNL 1.4.1999 prevede l’applicazione al personale adibito a regimi di orario
articolato in più turni o secondo una programmazione plurisettimanale, della riduzione di orario fino a 35 ore
medie settimanali.
Il contratto, pertanto, non sembra preludere ad una scelta discrezionale dell’Amministrazione rispetto
all’adozione di tale regime orario, indipendentemente dal tipo di turnazione concordata; lascia una scelta
solo in ordine alle modalità di fronteggiare i maggiori oneri derivanti dalla applicazione dell’orario ridotto. In
particolare l’ente li può fronteggiare o con proporzionali riduzioni del lavoro straordinario o con stabili
modifiche dell’assetto organizzativo.
Qualora si intenda organizzare il servizio della Polizia su 36 ore settimanali, è possibile prevedere che per
ogni settimana di servizio a 36 ore ogni dipendente maturi un credito di un’ora che può essere accumulato
dando luogo a successive forme di riposo.

Quesito 4 (n. 86/2010)
In caso di ore lavorative straordinarie prestate in giorno festivo (domenica) o festivo infrasettimanale
non in occasione di consultazioni elettorali ma ad es. in caso di calamità naturali (neve):
- tutte le ore fatte vanno recuperate indipendentemente dalla durata della giornata lavorativa
ordinaria?
- entro quale termine?
- Il recupero può essere frazionato in più volte?
- sono retribuite con quale percentuale?

Risposta
In caso di ore lavorative straordinarie prestate in giorno festivo (domenica) o festivo infrasettimanale per
fronteggiare situazioni di lavoro imprevedibili ed eccezionali (art. 38 CCNL 14.9.2000), quali quelle da voi
indicate (neve),
se chieste a pagamento:
viene riconosciuto lo straordinario maggiorato come segue:
        - 30% per il lavoro straordinario prestato nei giorni festivi o in orario notturno (dalle ore 22 alle ore 6
del giorno successivo);
        - 50% per il lavoro straordinario prestato in orario notturno-festivo
Se invece vengono chieste a recupero:
    possono essere recuperate tutte le ore effettuate, anche se di durata superiore alla giornata lavorativa
    ordinaria, compatibilmente con le esigenze organizzative e di servizio, anche frazionando il recupero,
    concordandolo con il responsabile del servizio. Contrattualmente non c’è un termine massimo per il
    recupero, gli enti possono stabilirlo autonomamente, in via preventiva, per uniformare il trattamento dei
    dipendenti.
    Fattispecie diversa è invece quella disciplinata dall'art 24 del CCNL 14.9.2000, integrato dall'art. 14
    CCNL 5.10.2001, che al comma 1 regola il caso di prestazione lavorativa svolta nel giorno di riposo
    settimanale per particolari esigenze di servizio; si pensi ad esempio all'apertura, la domenica, di una
    mostra che richiede la presenza del personale, normalmente in riposo settimanale. In questo caso, le
    esigenze di servizio, seppure particolari, sono programmate, e si applica perciò il sopra citato articolo
    che prevede, per ogni ora di lavoro prestata, sia il compenso aggiuntivo pari al 50% della retribuzione
    oraria sia il riposo compensativo da fruire di regola (quindi non obbligatoriamente, ma di norma) entro 15
    giorni, e comunque non oltre il bimestre successivo.

Quesito 5 (n. 58/2011)
In data 30 giugno 1998 un istruttore direttivo a tempo indeterminato ha chiesto (ai sensi dell’art. 1
comma 58 L. 662/1996) e ottenuto la trasformazione del rapporto di lavoro in tempo parziale 18/36.
Visto il comma 14 art. 4 CCNL comparto Regioni Autonomie Locali stipulato il 14.09.2000 (code
contrattuali), allo scadere del biennio il dipendente ha diritto di tornare a tempo pieno anche in
soprannumero o, prima della scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto
in organico;
 preso atto che dopo la scadenza del biennio, luglio 2000, il dipendente in questione non si è avvalso
di detto diritto;
nel corso degli anni successivi questa Amministrazione ha variato la dotazione organica, in
particolare ha trasformato il tempo pieno del suddetto istruttore direttivo in tempo parziale 18/36;
solo ora in data ottobre 2011 il dipendente ha chiesto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo
parziale a tempo pieno.
Questa a.c. intende non accogliere tale richiesta per i seguenti motivi:
-      preso atto che detta richiesta non può essere accolta essendo scaduti i termini contrattuali;
-      il posto in dotazione organica è stato trasformato in tempo parziale;
-      visti gli obblighi imposti dalla normativa sul tetto della spesa personale in particolare art. 1
comma 562 L.296/2006 nonché il parametro tra spese personale spese correnti di cui all’art. 14
comma D.L. 78/10.
E’ corretta tale interpretazione, anche alla luce della delibera n.2/2009/Par Corte dei Conti Veneto?

Risposta
- la richiesta del dipendente assunto a tempo pieno, che ha trasformato il rapporto a tempo parziale, di
  ritornare a tempo pieno, può essere esercitata alla scadenza del biennio: con ciò si intende però che il
  dipendente deve lasciar trascorrere almeno un biennio dalla trasformazione ma, decorso tale termine, può
  in qualunque momento esercitare il proprio diritto. Si tratta quindi di un termine iniziale e non di un termine
  finale. La natura del termine dovrebbe quindi indurre gli enti a mantenere prudenzialmente invariata (e
  quindi a tempo pieno) la previsione di spesa per il suddetto personale, proprio perché soggetta a possibile
  riespansione nel caso di rientro dal tempo parziale. La natura “minima” del termine biennale è confermata
  anche dal parere ARAN n. RAL 307 che si allega in calce alla presente.
- Il CCNL 14.9.2000, art. 4, prevede che il ritorno a tempo pieno, decorsi i due anni dalla trasformazione,
  possa essere esercitato dal dipendente anche se “in soprannumero”, mentre la disponibilità del posto in
  organico è circoscritta solamente all’ipotesi di richiesta di rientro a tempo pieno prima della scadenza dei 2
  anni. Quindi, nel caso in esame, la previsione del CCNL supera il motivo ostativo costituito dalla
  trasformazione del posto.
- La richiesta di rientro a tempo pieno è qualificata dal CCNL come “diritto” del lavoratore, condizionata solo
  dal termine biennale; la delibera da voi citata esplicitamente esclude che il diritto individuale possa essere
  limitato dalle norma sul contenimento della spesa, tenuto conto che, come si diceva, una corretta
  previsione della spesa potenziale per il dipendente avrebbe dovuto tener conto dell’importo relativo al
  tempo pieno, proprio per non dover subire conseguenze negative inaspettate nel caso di rientro dal tempo
  parziale.
- Il divieto al rientro potrebbe essere sancito solo da una specifica disposizione contraria, che però non si
  rinviene attualmente nell’ordinamento; al contrario, si è recentemente introdotta la sola possibilità di
  negare la trasformazione da tempo pieno a part-time (che prima era un diritto differibile al massimo di 6
  mesi) in occasione della modifica del D.L.112/08 alla L. 662/96.
- Poiché, infine, il dipendente era stato assunto in origine a tempo pieno, non si possono neppure, a nostro
  parere, opporre le limitazioni alle assunzioni attualmente vigenti, che invece dovrebbero essere tenute in
  conto qualora il dipendente fosse stato assunto a tempo parziale; in questo caso infatti la trasformazione
  del rapporto sarebbe equivalsa a nuova assunzione, con tutte le conseguenze del caso.
 Per questi motivi la richiesta del dipendente appare legittima.

Quesito n. 6 (n. 63/2011)

 In Comune sono presenti due agenti di Polizia Locale cat C che, a turno durante i consigli comunali
si occupano di curare la registrazione audio della seduta consiliare, si occupano
dell'approvigionamento di acqua per i consiglieri e curano l'apertura e chiusura del comune oltre a
fare tutte le fotocopie per i consiglieri che durante la seduta chiedono copia di qualche documento.
Uno dei due agenti si rifiuta di occuparsi di tali incombenze ritenendole al di fuori del cd mansionario
e non ascrivibili al profilo di appartenenza ( cat C). Si precisa però che l'art. X del vigente
regolamento di polizia locale del comune così recita: " Oltre ai compiti ed alle funzioni derivantigli da
leggi e regolamenti in relazione alla qualifica rivestita,rientrano tra i compiti particolari degli
operatori di polizia municipale: comma 21: disimpegnare tutti gli altri servizi che nell'interesse del
comune sono loro ordinati". Alla luce del citato comma l'Assessore x , in apertura di seduta
consiliare, invitava l'agente di polizia locale a procedere alla registrazione della seduta ricevendo
come risposta dall'agente un atteggiemento di diniego e di rifiuto ad adempiere a quanto richiestogli
e, inoltre a chiusura di seduta si rifiutava di occuparsi della chiusura del comune. A seguito di
quanto sopra l'assessore al personale ha investito della questione la commissione di disciplina del
comune. Si chiede di sapere se è legittimo procedere con un procedimento disciplinare e quindi
chiede di sapere se le incombenze chieste all'agente in questione si possono richiedere o, se , non si
possono richiedere e dunque il procedimento disciplinare è illegittimo.
Risposta
Nel caso prospettato, la norma di riferimento è l’art. 52 comma 1 del d.lgs. 165/01, secondo il quale
“Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni
equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore
che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 1,
lettera a). L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto
ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione.”

Nel caso di specie, è necessario preliminarmente valutare se le mansioni richieste al lavoratore siano
equivalenti professionalmente a quelle proprie del suo inquadramento. A questo proposito, la Cassazione
(sentenze n.12121/1995; n.7040/1998) ha più volte affermato che, perché si possa parlare di equivalenza,
non si deve far riferimento esclusivamente all’appartenenza astratta alla stessa categoria, ma è necessario
che le mansioni siano aderenti alla competenza tecnico-professionale del dipendente; ne consegue che la
questione sarà sempre da esaminare in concreto, in relazione a contenuto, natura, modalità di svolgimento
delle stesse. Fatta tale premessa, in riferimento alla presente fattispecie, gli elementi prospettati inducono a
ritenere che non si possa parlare di mansioni equivalenti.
In merito alla mancata equivalenza, è implicito, in via generale, il divieto di modificare in peius le mansioni
rispetto alla professionalità per cui il dipendente è assunto o che ha successivamente acquisito, fatte salve le
deroghe esplicite di legge, nel caso in cui il demansionamento sia l’unica alternativa al licenziamento o nel
caso di inidoneità a svolgere la mansione originaria per inabilità sopravvenuta. Al di fuori di tali ipotesi, il
lavoratore può chiedere il risarcimento del danno purché provi l’avvenuto demansionamento illegittimo.
Aa questi principi generali si affianca un’ampia elaborazione giurisprudenziale, in base alla quale, pur non
essendo espressamente previsto da alcuna norma, sia possibile richiedere al lavoratore lo svolgimento di
mansioni inferiori rispetto a quelle proprie del profilo posseduto, purché le stesse abbiano carattere
marginale e strumentale/accessorio rispetto all’attività principale svolta dal lavoratore e la richiesta non sia
pretestuosa o lesiva della dignità del lavoratore.
Tale interpretazione si basa sul generale obbligo di buona fede nell’adempimento delle obbligazioni nonché
sul dovere di collaborazione che incombe sul lavoratore subordinato (art. 2094 cod.civ.), oltre che sui canoni
di buon andamento, efficacia ed efficienza cui deve essere improntata l’attività delle pubbliche
amministrazioni.
In questo senso depongono numerose sentenze della Cassazione; in particolare la n. 2045 del 25.2.1998
specifica che, per ragioni di efficienza ed economia del lavoro o di sicurezza, possano essere affidate
mansioni inferiori in modo incidentale e marginale; la sentenza n. 6714 del 2.5.2003 ritiene legittima la
richiesta di svolgimento di mansioni di livello inferiore purché marginali ed accessorie rispetto alla
competenza principale e purché non rientrino nella competenza di altri lavoratori di professionalità meno
elevata; la Cassazione, in questa sentenza, ha anche affermato non essere rilevante la circostanza per cui il
legittimo comportamento del datore di lavoro non avesse carattere straordinario ma costituisse una prassi
aziendale, come appunto pare nel caso di specie allorché si riunisce il Consiglio comunale.
Secondo le sentenze n.7821 dell’8.6.2001 2 n. 11045 del 10.6.2004, una volta che l’attività prevalente e
assorbente del lavoratore corrisponde alla sua qualifica, è legittima l’adibizione a mansioni inferiori rispetto
alla prima, purché accessorie alla stessa e svolte con carattere marginale per motivate esigenze aziendali.
Ancora, la sentenza 17774 dell’agosto 2006 ribadisce l’orientamento consolidato, in base al quale l’attività
prevalente e assorbente svolta dal lavoratore deve essere quella della categoria di appartenenza ma, per
ragioni di economia, efficienza o sicurezza possono essere richieste, incidentalmente e marginalmente,
attività di livello inferiore, ed il lavoratore è tenuto ad espletarle.
Lo stesso orientamento è confermato dall’ARAN nel parere RAL 117, che sottolinea la necessità che i
compiti inferiori affidati siano strumentali rispetto alle mansioni prevalenti.
La norma regolamentare del Comune, anche se di tenore molto generale, quale norma di chiusura cui
frequentemente si ricorre, può essere un ulteriore elemento di forza cui fare riferimento anche se comunque
deve necessariamente raccordarsi con l’art. 52 del d.lgs. 165/01 citato in apertura.

Nel caso segnalato, è quindi fondamentale capire se le mansioni svolte in aggiunta a quelle proprie della
polizia municipale, se, come appare, ritenute di livello inferiore rispetto alle prestazioni tipiche della cat. C,
siano svolte in maniera marginale e se possano considerarsi accessorie rispetto a quelle prevalenti e tipiche
del profilo.
Altro elemento di cui tener conto è la presenza o meno di personale di categoria inferiore competente a
svolgere le funzioni in questione. A questo proposito, non si può prescindere da un esame concreto della
situazione di fatto in cui tale fattispecie si presenta con particolare riferimento alla condizione organizzativa e
gestionale in cui si trova un Comune di soli 3.900 abitanti, con un numero estremamente ridotto di
dipendenti, la cui assunzione o sostituzione si rivela limitata e problematica, che devono far fronte a compiti
numerosi e variegati.
E’ necessario rammentare che le motivate esigenze aziendali costituiscono un valido punto di forza per
ammettere, nei limiti più sopra indicati, lo svolgimento di mansioni inferiori in modo marginale.
A quanto è dato comprendere, sulla base di una sintetica illustrazione dei fatti, parrebbero potersi rinvenire
nella situazione di fatto descritta le caratteristiche della marginalità, dell’incidentalità e dell’accessorietà nelle
prestazioni richieste, rispetto alle funzioni prevalenti del lavoratore, che paiono occupare interamente il
tempo lavorativo dei vigili, fatte salve le eccezioni oggetto della presente disamina. Nel caso si ritengano
presenti le condizioni sopra indicate, allora il lavoratore potrebbe essere passibile di procedimento
disciplinare, in ipotesi per inosservanza delle disposizioni di servizio.
Si ricorda infine che in base a una giurisprudenza consolidata, l’onere della prova in ordine al mancato
demansionamento e alla legittimità del proprio operato spetta al datore di lavoro (Cass. N. 4766 del
6.3.2006), mentre è in capo al lavoratore provare in giudizio il danno derivante dalla dequalificazione
professionale/demansionamento, non essendo automaticamente riconducibile a tale situazione,
quand’anche fosse riconosciuta, .una situazione di pregiudizio per il lavoratore tale da portare al risarcimento
di un danno.

Quesito 7 (n. 15/2010)
Indennita' di rischio e disagio: devono essere pagate in base alla presenza in servizio?

Risposta
In relazione al quesito avanzato, si riportano di seguito alcune indicazioni tratte da orientamenti dottrinali e
dall’esame di alcuni contratti collettivi decentrati.

INDENNITA’ DI DISAGIO (CCNL EE. LL. 1.4.1999 art. 17)
La definizione dei criteri che comportano l’attribuzione dell’indennità e l’ammontare dell’indennità stessa
sono di competenza della contrattazione decentrata.
L’individuazione dei lavoratori è demandata ai responsabili delle strutture di inquadramento.
L’indennità può essere corrisposta solo per l’effettiva presenza in servizio e deve essere, pertanto,
proporzionata in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale. In proposito si richiamano le indicazioni fornite
in merito dall’Aran: “Compensi per attività disagiate: occorre, in primo luogo, individuare con chiarezza i
contenuti delle prestazioni lavorative che possono essere causa di disagio per i lavoratori interessati, è
evidente che il disagio è una condizione del tutto peculiare e non può coincidere con le ordinarie prestazioni
di lavoro (come i rientri pomeridiani) e non può riguardare tutti (o quasi) i dipendenti dell’ente; non è corretto
neanche assegnare il compenso per disagio a specifiche prestazioni che sono già oggetto di specifici
compensi definiti dal CCNL (come il turno o la reperibilità); occorre, poi, determinare l’importo del compenso
che deve essere corrisposto ai lavoratori interessati per il periodo di effettivo svolgimento delle
prestazioni disagiate (sono escluse le assenze); il relativo valore deve essere fissato con criteri
ragionevolezza, tenendo conto dei valori già corrisposti per condizioni analoghe: sarebbe contestabile,
infatti, se venisse pagato un compenso per disagio superiore a quello del turno (che rappresenta la
condizione           più       tipica          e       più         rilevante        del         disagio)”.
Compensi per rischio: il contratto decentrato è autorizzato a individuare le condizioni di rischio
effettivamente presenti nell’ente (o nelle modalità di esecuzione delle prestazioni), cui collegare il
pagamento del compenso; si deve trattare, come per il disagio, di condizioni o di ambienti di lavoro che
siano idonei a mettere a rischio la salute del lavoratore interessato; il rischio, pertanto, non può essere
correlato al possesso di un profilo professionale o alla appartenenza ad una area professionale; non è
ragionevole ipotizzare che tutti i lavoratori in possesso di un determinato profilo sia sempre in condizione di
rischio a prescindere dalle modalità specifiche, dal luogo o dall’ambiente nel quale la prestazione viene resa;
il rischio, in sintesi, è una condizione oggettiva che può riguardare anche, e giustamente, lavoratori di
categoria e profilo diversi ma può anche differenziarsi all’interno della medesima categoria e profilo.”

INDENNITA’ DI RISCHIO (CCNL EE. LL. 14.9.2000 art. 37 e CCNL 22.01.2004 art. 41)
L’individuazione dei lavoratori è demandata ai responsabili delle strutture di inquadramento.
I criteri che comportano l’attribuzione dell’indennità sono definiti dalla contrattazione decentrata.
L’ammontare dell’indennità è individuato dall’art. 41 del CCNL 22/01/2004.
L’indennità può essere corrisposta solo per l’effettiva esposizione al rischio e deve essere proporzionalmente
ridotta in caso di non esposizione.
Le direttive dell’Aran di cui sopra si sono espresse anche in relazione alla presente indennità: “ Compensi
per rischio: il contratto decentrato è autorizzato a individuare le condizioni di rischio effettivamente presenti
nell’ente (o nelle modalità di esecuzione delle prestazioni), cui collegare il pagamento del compenso; si deve
trattare, come per il disagio, di condizioni o di ambienti di lavoro che siano idonei a mettere a rischio la
salute del lavoratore interessato; il rischio, pertanto, non può essere correlato al possesso di un profilo
professionale o alla appartenenza ad una area professionale; non è ragionevole ipotizzare che tutti i
lavoratori in possesso di un determinato profilo sia sempre in condizione di rischio a prescindere dalle
modalità specifiche, dal luogo o dall’ambiente nel quale la prestazione viene resa; il rischio, in sintesi, è una
condizione oggettiva che può riguardare anche, e giustamente, lavoratori di categoria e profilo diversi ma
può anche differenziarsi all’interno della medesima categoria e profilo”.
Per quanto concerne il rapporto tra indennità di rischio e quella per attività disagiate, la relativa cumulabilità
deve intendersi esclusa in quanto la “condizione di rischio” può essere considerata come fattispecie tipica
della più ampia “condizione di disagio”, come affermato anche dall’Aran.
Da quanto sopra risulta evidente che i principi che sono alla base del disagio si applicano anche al rischio.

Quesito 8 (n. 55/2010)
Un agente di polizia municipale cui mensilmente viene retribuita l'indennità di vigilanza di € 1.110,00=
annui, gode del congedo facoltativo per maternità. L'indennità deve comunque venire pagata a
questo agente ?

Risposta
L’indennità di vigilanza riconosciuta all’agente di polizia locale è considerata una voce di trattamento
economico fisso del dipendente.
Atteso che tale indennità è legata al profilo professionale ricoperto dal dipendente, si ritiene che, anche nel
caso di assenza per congedo facoltativo per maternità, l’indennità in oggetto debba comunque essere
corrisposta.

Quesito 9 (n. 85/2010)
Si chiede se gli incarichi di progettazione per un importo superiore a €. 5.000,00.= siano da inviare
alla corte dei conti.

Risposta
In relazione al quesito presentato si osserva in via preliminare che negli ultimi tempi si sono succeduti
numerosi – e non sempre ben coordinati – interventi da parte del legislatore, tesi principalmente a limitare
l’uso dello strumento degli incarichi, per ragioni di contenimento della spesa pubblica. Sinteticamente si
ricordano:
        - l’art. 1, co. 127 della L. 662/1996;
        - l’art. 1 commi 11 e 42 della L. 311/2004;
        - l’art. 1, co. 173 della L. 266/2005
        - Legge Finanziaria n. 244/2007 per il 2008.
Vanno altresì ricordati l’art. 7 del D.Lgs. 165/2001 relativo all’affidamento di incarichi professionali riferibili ad
attività consulenziali, nonché l’art. 91 del D.Lgs. 163/2006 inerente ad attività di progettazione e di direzione
lavori.
L’art. 1, co. 173 della Legge Finanziaria per il 2006 (L. 266/2005), attualmente vigente, dispone un obbligo
per gli enti locali (di cui all’art. 1, co. 2 del D.Lgs. 165/2001) di trasmissione alla competente sezione della
Corte dei conti degli “atti di spesa di importo superiore a 5.000 euro relativi ad incarichi di studio, di
consulenza, alle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza ai fini
dell’esercizio del controllo successivo sulla gestione”.).
Tale obbligo vale anche per i Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti.
Al riguardo va ricordato che la Corte dei conti, sez. riunite in sede di controllo, con deliberazione n. 6 del 15
febbraio 2005 ha approvato le linee di indirizzo e i criteri interpretativi sulle disposizioni della Legge
Finanziaria per il 2005 in materia di affidamento di incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza. La
Corte ha precisato che gli incarichi di ricerca presuppongono la preventiva definizione del programma da
parte dell’amministrazione, mentre le consulenze riguardano le richieste di pareri ad esperti; gli incarichi di
studio presuppongono la consegna di una relazione scritta finale, nella quale sono illustrati i risultati e le
soluzioni proposte; il contenuto di tali incarichi coincide con il contratto di prestazione d’opera intellettuale.
La Corte, nel caso specifico, esclude dall’ambito di applicazione degli artt. 11 e 42 della Legge Finanziaria
2005, e cioè dall’obbligo di comunicazione, le prestazioni professionali consistenti nella resa di servizi o
adempimenti obbligatori per legge; la rappresentanza in giudizio e il patrocinio dell’amministrazione; gli
appalti e le esternalizzazioni di servizi necessari per raggiungere gli scopi dell’amministrazione.
        Con deliberazione n. 4 del 17 febbraio 2006, la Corte dei Conti, sez. Autonomie, nel dettare linee
giuda per l’attuazione dell’art. 1, co. 173 della Legge Finanziaria per il 2006 nei confronti di Regioni ed Enti
Locali, precisa che il rinvio del comma 173 ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 è limitato alla sola
individuazione della tipologia di atti da trasmettere alla Corte.
         Tale deliberazione sembra mantenere, pertanto, la distinzione (già enucleata dalla stessa Corte dei
Conti nella delibera n. 6 del 2005) tra incarichi “operativi”, tra cui rientrano quelli di progettazione, ed incarichi
finalizzati a sostenere i processi decisionali delle Amministrazioni, con presumibile mantenimento
dell’esclusione dei primi dall’applicazione delle norme della L. 266/05.
       Successivamente al parere reso dalla Corte dei Conti, sez. Autonomie, le sezioni regionali non si
sono espresse in modo univoco.
             - La Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti della Toscana, con deliberazione n.
                 301/2009, ha affermato che “la Sezione ritiene che le comunicazioni degli atti di spesa di cui
                 al richiamato comma 173 debbono essere acquisite ed utilizzate nell’ambito della verifica
                 della gestione finanziaria di ciascun ente, come ulteriore elemento di analisi della spesa
                 corrente, e dell’impatto di atti di spesa sugli equilibri di bilancio, intendendo escluse le spese
                 d’investimento e, quindi, anche quelle per gli incarichi in materia di lavori pubblici”. Dello
                 stesso avviso è la Corte dei conti dell’Abruzzo (parere 262/08).
             - Di orientamento opposto è la Corte dei Conti, sez. regionale di controllo per l’Emilia Romagna,
                  che, con deliberazione n. 7/2009, ha specificato che “tenuto conto che le norme attualmente
                  in vigore non contemplano alcuna esclusione dall’obbligo di invio in ragione del settore di
                  attività al quale si riferisce l’incarico conferito, è da ritenere che anche gli incarichi inerenti ai
                  servizi di architettura e di ingegneria (progettazione, direzione lavori, collaudi…) di cui al
                  D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) di importo superiore a cinquemila euro
                  debbano essere trasmessi alla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti”. Dello
                  stesso avviso è la Sezione regionale di controllo per il Piemonte (cfr. pareri n. 3/2007 e n.
                  3/2008).
Va inoltre ricordato che la circolare n. 23 del14/06/2005 del Ministero dell’Economia e delle Finanze –
Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – avente ad oggetto la deliberazione n. 6/05 della Corte
dei conti sopra richiamata, precisa che “sono state escluse dal campo di applicazione delle disposizioni
contenute nel comma 11 (della legge Finanziaria 2005) le prestazioni professionali consistenti nella resa di
servizi o adempimenti obbligatori per legge, la rappresentanza e la difesa dell’amministrazione in giudizio, le
consulenze facenti parte integrante di gare di appalto di lavori pubblici e le “esternalizzazioni” di servizi per
raggiungere gli scopi dell’amministrazione”. La Ragioneria Generale dello Stato precisa, inoltre, che “i
contratti rientranti nelle previsioni del comma 11 della L.F. 2005 sono quelli aventi ad oggetto: attività di
studio; attività di ricerca; attività di consulenza estrinsecatesi in pareri, valutazioni, espressione di giudizi,
supporti specialistici.
Non vanno, conseguentemente, trasmessi alla Corte dei conti i contratti di collaborazione aventi oggetto
diverso dai sopra elencati”.
Con ulteriore circolare n. 7 del 10.02.2006, la Ragioneria Generale dello Stato conferma quanto già espresso
nelle precedente circolare sopra richiamata, evidenziando che i commi 9 e10 della L.F. 2006 si riferiscono a
spese per studi e consulenze, spese di rappresentanza, pubblicità, mostre, convegni, mentre gli articoli 56 e
57 si riferiscono esclusivamente agli incarichi aventi ad oggetto attività di consulenza.
In dottrina si ricorda la posizione di Luigi Oliveri, il quale, pur condividendo la tesi esposta dalla Sez.
Autonomie e rilevando la diversa disciplina degli incarichi contenuta nel D.Lgs. 165/2001 e nel D.Lgs.
163/2006, ritiene utile, per mere ragioni di prudenza, che laddove aggiudicatari delle prestazioni di servizi
risultino persone fisiche, si provveda comunque a trasmettere il carteggio alle sezioni di controllo, se
l’importo del contratto è superiore ai 5.000 euro.
Alla luce
    - della pronuncia della Corte dei Conti, sez.Autonomie,
- degli orientamenti non univoci delle sezioni regionali della Corte dei conti e
    - delle circolari della Ragioneria Generale dello Stato,
si ritiene, a parere dello scrivente, si possa sostenere che gli incarichi di servizi di architettura e ingegneria
non sono sottoposti all’obbligo della comunicazione, senza peraltro voler escludere comportamenti
improntati alla massima prudenza se ritenuti preferibili dalle singole amministrazioni.

Quesito 10 (n.59/2011)

Sottoponiamo i seguenti quesiti:
- relativamente a personale a tempo indeterminato:
1) alla luce della sentenza della Corte dei Conti Sezioni Unite n. 51 del 04/10/2011 relativa alla
   “possibilità di remunerare prestazioni professionali per la progettazione di opere pubbliche ……”,
   è possibile estendere quota di tale incentivo anche al RUP e collaboratori anche se la
   progettazione dell’opera è stata eseguita da un professionista esterno?
2) le somme riguardanti tali incentivi, inseriti alla lettera “K” del fondo incentivante, sono escluse dal
   limite dell’anno 2010 (comma 2 bis art. 9 D.L. 78/2010)?
- relativamente a personale a tempo determinato assunto con incarico ai sensi dell’art. 110:
3) è possibile incaricarlo della progettazione interna di un’opera e liquidare il relativo incentivo
   “Merloni”?
4) gli spetta quota parte dell’incentivo “Merloni” per il RUP anche senza progettazione interna ma
   con professionista esterno?
Risposta
1) SI ritiene che la percentuale di incentivo determinata in base al regolamento del Comune vada
riconosciuta al RUP e agli eventuali collaboratori anche nel caso di progettazione affidata all'esterno, se ed
in quanto egli svolga comunque i propri compiti di coordinamento e controllo sull'attività di progettazione, in
quanto si tratta di incarichi diversi. Ciò pare confermato dall'art. 92 comma 5 del D.lgs. 163/06,secondo il
quale:
        •       le quote di incentivo corrispondenti a prestazione svolte all'esterno sono da considerarsi
        economie
        •        la ripartizione degli incentivi tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle
        specifiche prestazioni da svolgere sulla base dell'accertamento dell'attività svolta dai dipendenti ad
        opera del dirigente competente;
        si ritiene per questo motivo che le quote di prestazioni che continuano ad essere svolte all'interno
        possano essere remunerate con la quota di incentivo fissata dal regolamento interno per quelle
        prestazioni.

2) le ultime pronunce delle sezioni regionali della Corte dei conti (Liguria n. 16/2011, Lombardia n. 435/2011,
Piemonte 57/2011), ed in particolare la pronuncia delle sezioni riunite n. 51 del 4.10.2011 hanno affermato
l'esclusione dei compensi in argomento dal blocco disposto dall'art.9 comma 2 del D.L. 78/2010 in quanto
“...le sole risorse di alimentazione dei fondi da ritenere non ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 9,
comma 2-bis, sono solo quelle destinate a remunerare prestazioni professionali tipiche di soggetti individuati
o individuabili e che peraltro potrebbero essere acquisite attraverso il ricorso all’esterno dell’amministrazione
pubblica con possibili costi aggiuntivi per il bilancio dei singoli enti. Pertanto in tali ipotesi dette risorse
alimentano il fondo in senso solo figurativo dato che esse non sono poi destinate a finanziare gli incentivi
spettanti alla generalità del personale dell’amministrazione pubblica. 4.2. Detta caratteristica ricorre per
quelle risorse finalizzate a incentivare prestazioni poste in essere per la progettazione di opere pubbliche, in
quanto in tal caso si tratta all’evidenza di risorse correlate allo svolgimento di prestazioni professionali
specialistiche offerte da personale qualificato in servizio presso l’amministrazione pubblica; peraltro, laddove
le amministrazioni pubbliche non disponessero di personale interno qualificato, dovrebbero ricorrere al
mercato attraverso il ricorso a professionisti esterni con possibili aggravi di costi per il bilancio dell’ente
interessato. Deve aggiungersi, con specifico riferimento a tale tipologia di prestazione professionale, che
essa afferisca ad attività sostanzialmente finalizzata ad investimenti. 4.3. Caratteristiche analoghe
presentano le risorse che affluiscono al fondo per remunerare le prestazioni professionali dell’avvocatura
interna (comunale/provinciale), in quanto, anche in questo caso, si tratta di prestazioni professionali tipiche
la cui provvista all’esterno potrebbe comportare aggravi di spesa a carico dei bilanci delle amministrazioni
pubbliche.”
La Corte suggerisce altresì che:
“4.6. Alla luce di quanto precede deve aggiungersi che, ai fini del calcolo del tetto di spesa cui fa riferimento
il vincolo di cui al citato art. 9, comma 2-bis, e cioè per stabilire se l’ammontare complessivo delle risorse
destinate annualmente al trattamento accessorio del personale non superi il corrispondente importo
dell’anno 2010, occorrerà sterilizzare, non includendole nel computo dell’importo 2010, le risorse destinate a
dette finalità, vale a dire progettazione interna e prestazioni professionali dell’avvocatura interna; con tale
accortezza sarà così possibile evitare effetti distorsivi nell’applicazione della norma, come ad esempio nel
caso in cui un ente, nel 2010, abbia destinato consistenti risorse a dette finalità, con ciò elevando in modo
improprio il tetto delle risorse complessive destinabili alla contrattazione integrativa.

3) l'art. 91 comma 8 del d.lgs. 163/06 (già art. co. 2 quater della l. 109/94) prevede che:
“E' vietato l'affidamento di attività di progettazione,coordinamento della sicurezza in fase di progettazione,
direzione dei lavori, coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione,
collaudo, indagine e attività di supporto a mezzo di contratti a tempo determinato o altre procedure diverse
da quelle previste dal presente codice.”
Tale previsione, come anche specificato dall'Autorità di Vigilanza in diversi pareri (deliberazioni nn.
R79/2000, 123/2001, 169/2001, 158/2002, 25/2005) non va intesa quale contrasto assoluto tra attività di
progettazione e lavoratore titolare di contratto di lavoro a termine, purchè tale tipologia contrattuale non sia
intesa ad eludere le norme sull'affidamento dei servizi tecnici.
In altre parole, se il contratto a tempo determinato è stipulato per lo svolgimento di una parte organica di
attività istituzionali dell'ente, nella quale sono funzionalmente ricomprese anche competenze in materia di
progettazione, non siamo in presenza del divieto di cui alla norma sopra citata. Il divieto non opera quindi se
ci troviamo nel caso in cui si ricopra un posto di dotazione organica dell'ente che potrebbe normalmente
essere ricoperto anche con una assunzione a tempo indeterminato. Qualora invece il contratto a tempo
determinato sia stipulato solo ed esclusivamente con la finalità di assegnare una determinata attività di
progettazione, si ricade nel divieto di cui all'art. 91 co. 8.
4) visto quanto affermato al punto precedente, per tale quesito valgono le stesse considerazioni svolte per il
punto 1): se parte delle prestazioni sono svolte all'interno, esse potranno essere remunerate con quota parte
dell'incentivo.
Puoi anche leggere