56 Tirreno-Adriatico: sette tappe per una corsa che promette spettacolo - Il Discorso

Pagina creata da Gabriele Colombo
 
CONTINUA A LEGGERE
56 Tirreno-Adriatico: sette tappe per una corsa che promette spettacolo - Il Discorso
56^ Tirreno-Adriatico: sette
tappe per una corsa che
promette spettacolo

La Corsa dei due Mari, che partirà anche quest’anno da Lido di
   Camaiore, prevede tre tappe adatte ai velocisti, due per
finisseur tra cui quella dei Muri con arrivo a Castelfidardo,
un traguardo in salita a Prati di Tivo e la cronometro finale
    di San Benedetto del Tronto che cambia il suo percorso
 rispetto agli ultimi anni. Il messaggio di Vincenzo Nibali.
56 Tirreno-Adriatico: sette tappe per una corsa che promette spettacolo - Il Discorso
Milano, 2 febbraio 2021 – Dal 10 al 16 marzo la Tirreno –
Adriatico vivrà la sua 56esima edizione toccando
cinque regioni dell’Italia centrale tra cui la Toscana,
l’Umbria, il Lazio, l’Abruzzo e le Marche.

IL PERCORSO
La prima frazione, che partirà e si concluderà a Lido di
Camaiore dopo 156 km, sarà adatta alle ruote veloci del gruppo
anche se ci sarà il Monte Pitoro da scalare tre volte nelle
fasi iniziali di corsa. Il giorno seguente, da Camaiore a
Chiusdino km 226, ci sarà una seconda tappa lunga, mossa e
articolata specialmente nella seconda parte con un arrivo
adatto ai finisseur. La terza frazione da Monticiano a Gualdo
Tadino di 189 km risulta ondulata nella prima parte e
pianeggiante nella seconda anche se un arrivo in volata non è
scontato visto che il rettilineo finale è in leggera salita
con pendenze intorno al 4%.

Sabato 13 ecco l’arrivo in salita a Prati di Tivo. Tappa breve
56 Tirreno-Adriatico: sette tappe per una corsa che promette spettacolo - Il Discorso
ma intensa (148 km con partenza da Terni). Prima ascesa alla
Forca di Arrone per entrare nella piana reatina. Segue
l’attraversamento di Rieti per affrontare poi la Sella di
Corno seguita dalla lunga discesa verso l’Aquilano. Si
affronta quindi la salita al Passo Capannelle. La discesa
successiva, di quasi 30 km, è caratterizzata da molte curve e
due lunghe e ben illuminate gallerie. La salita finale verso
la stazione sciistica conta 22 tornanti ed è lunga 14.5 km.
Pendenza media al 7% con punte fino al 12%. Domenica 14 è
prevista la “Tappa dei Muri” da Castellalto a Castelfidardo
(205 km). Dopo il via si percorrono circa 100 km su strade
ampie e rettilinee (prevalentemente lungo la costa) per
raggiungere Castelfidardo dove, dopo un primo passaggio
attraverso la Selva della Battaglia si entra nel circuito di
23 km circa da ripetere 4 volte. Il circuito è caratterizzato
da un susseguirsi di muri e discese con un solo breve tratto
pianeggiante, circa a metà. Il primo muro (dove ogni passaggio
è classificato GPM) presenta per lunghi tratti nel finale
pendenze attorno al 18%. Ultimi chilometri con diversi
saliscendi con pendenze a salire anche in doppia cifra dopo
San Rocchetto. Ultimo chilometro articolato nell’abitato di
Castelfidardo sempre in marcata salita.

La Castelraimondo – Lido di Fermo (169 km) sarà l’ultima
chiamata per i velocisti prima della cronometro di chiusura a
San Benedetto del Tronto. Cronometro individuale di 11.1 km
con percorso nuovo rispetto agli ultimi anni. Partenza dallo
Stadio delle Palme e passaggio sotto la ferrovia per portarsi
sulle strade del percorso classico, ma con direzione opposta.
Si scende verso Porto d’Ascoli per poi giungere in Piazza
Salvo d’Acquisto e con un giro di boa risalire il lungomare
verso nord. Dopo il porto si risale ancora verso Grottammare
per girare attorno al vecchio stadio e dirigersi a sud per
raggiungere l’arrivo.

DICHIARAZIONI
Stefano Allocchio, Direttore di Corsa di RCS Sport, ha
56 Tirreno-Adriatico: sette tappe per una corsa che promette spettacolo - Il Discorso
dichiarato: “Abbiamo costruito un percorso sulla falsa riga di
quello dello scorso anno con tappe adatte alle caratteristiche
di ogni corridore. Crediamo che questa formula sia vincente
perché ci permette di mostrare al mondo, oltre ad uno
spettacolo sportivo di altissimo livello, anche territori
unici con scenari che cambiano e vanno dalle località di mare
a quelle dell’entroterra fino a quelle di montagna.
Un ringraziamento particolare va a tutte le istituzioni
coinvolte che, anche in un periodo così complicato, si sono
adoperate per far si che la Tirreno-Adriatico si possa
svolgere regolarmente e in tutta sicurezza”.

   Vincenzo Nibali in azione alla Tirreno-Adriatico, corsa
   che ha vinto nel 2012 e 2013

Vincenzo Nibali, due volte vincitore della Corsa dei Due Mari,
ha detto: “La Tirreno-Adriatico è un must del mio calendario
di inizio anno, un banco di prova a cui difficilmente ho
saputo rinunciare. È stata una gara che mi ha dato grandi
soddisfazioni, come nel 2012 e 2013, ma è anche servita per
darmi la scossa per il prosieguo della stagione. E poi, c’è
56 Tirreno-Adriatico: sette tappe per una corsa che promette spettacolo - Il Discorso
una cornice unica come il centro Italia, che ben conosco.
Dalla Toscana, dove mi sono consacrato come giovane corridore,
alle Marche, un territorio stupendo che ho imparato ad amare
recentemente, senza dimenticare regioni come Umbria, Abruzzo o
Lazio. Anche quest’anno, sarò più che felice di essere al
via”.

                      #TirrenoAdriatico

                   Photo Credits: LaPresse

Press Ciclismo RCS Sport

Premiati i primi vigneti
italiani con Indice Bigot
sopra i 90
In questi giorni 50 aziende vinicole italiane hanno ricevuto
l’Attestato dell’Indice Bigot per alcuni dei loro vigneti. Il
riconoscimento avviene a un anno dalla presentazione ufficiale
dell’Indice del potenziale qualitativo del vigneto al Castello
di Cigognola durante la quale Giovanni Bigot assieme ad Angelo
Gaja – patriarca del Barbaresco – e al prof. Stefano Poni –
docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza –
davanti ad una platea di importanti produttori ed addetti al
lavoro, si sono confrontati sul tema “come migliorare
la qualità dei vini grazie al monitoraggio
svolto nei vigneti con metodo e
costanza”.       Fra i vigneti premiati con
Indice Bigot sopra i 90 punti su 100 sono:
in Friuli-Venezia Giulia il vigneto
Refosco Buttrio di Vigne di Zamò, il
vigneto       Tocai      Bert      dell’azienda
agricola Sturm e il vigneto Sauvignon
Lungo Strada di Russiz Superiore; in
Piemonte il vigneto Nebbiolo San Lorenzo
di Gaja e il vigneto Barbera Barturot
di Ca’Viola; in Toscana il vigneto Merlot Forra Alta di Tenuta
Nozzole, il vigneto Sangiovese Oliveto di Tenuta La Fuga; in
Sardegna il vigneto Pardoniga Mandrolisai dell’azienda Bentu
Luna. “In questo anno di applicazione – dice Giovanni Bigot,
agronomo e ricercatore friulano, fondatore della società
Perleuve – il metodo che ho messo a punto in anni di
osservazioni, raccolta dati e studi è stato accolto
favorevolmente da molte aziende consapevoli che i grandi vini
si fanno nel vigneto. Molti produttori vitivinicoli hanno
manifestato l’interesse    a conoscerlo, proprio perché
l’applicazione del metodo, che sottende all’Indice Bigot
permette di individuare gli strumenti necessari per migliorare
progressivamente la qualità delle uve ottenute, in quel
vigneto, in base all’obiettivo enologico. Indica infatti la
strada migliore per farlo, dato che ne fotografa lo status quo
ed evidenzia cosa va migliorato.” L’Indice Bigot risponde alla
necessità, sempre più sentita dalle aziende, di conoscere in
modo certo e scientificamente validato la reale qualità dei
propri vigneti, questione non facilmente inquadrabile,
affrontata sinora in modo vago, prendendo in considerazione un
singolo fattore, come se fosse quello determinante. Si tratta
di un metodo per valutare, da 0 a 100, il potenziale
qualitativo di un vigneto, prendendo in considerazione
i fattori viticoli che hanno influenza diretta sulla qualità
del vino: produzione, superficie fogliare esposta (SFE),
rapporto tra foglie e produzione (SFE/kg), sanità delle uve,
tipo di grappolo, stress idrico, vigore, biodiversità e
microrganismi, età del vigneto.      Tra questi parametri si
evidenzia con punteggi mediamente alti l’equilibrio vegeto-
produttivo (SFE/kg) con valori tra 1,5-1,9; mentre l’aspetto
su cui si dovrà sicuramente ancora lavorare è la biodiversità,
soprattutto per quanto riguarda la capacità di osservarla in
maniera semplice ma oggettiva. Per il monitoraggio, Bigot ha
messo a punto l’App 4Grapes®, facile da usare, che consente in
                    ogni momento di avere sotto controllo la
                    situazione ampelopatologica, qualitativa e
                    produttiva e di raccogliere i dati
                    necessari per ottenere i valori
                    dell’indice di ciascuna vigneto. “Parte
                    tutto dalle osservazioni fatte dalle
                    persone che vivono costantemente il
                    vigneto e, con metodo, hanno la capacità
                    di fare osservazioni     che, grazie   ad
                    opportuni successivi     interventi,   ne
                    possono migliorare la qualità – continua
                    Bigot. Questi dati ci arrivano tramite
l’App 4Grapes®, noi li elaboriamo e inviamo all’azienda una
scheda descrittiva con il dettaglio dei singoli valori e il
punteggio finale per ogni vigneto monitorato. A conclusione
del primo anno di attività, abbiamo consegnato alle aziende
l’Attestato dell’Indice Bigot, una preziosa pergamena che
include le informazioni sui vigneti preso in esame, con la
relativa valutazione, i punti da migliorare e i fattori in cui
ha raggiunto un ottimo livello.“ Visto il grande interesse
verso l’Indice Bigot, il terzo livello del corso di
monitoraggio dell’Academy 4Grapes®, che Giovanni Bigot ha
fondato alla fine dello scorso anno, è stato dedicato a questa
tematica. L’obiettivo dichiarato è quello di formare
“Ampelonauti”, ovvero persone che osservano con attenzione,
metodo e dedizione il loro vigneto e ne capiscono le esigenze.

Per informazioni
www.perleuve.it

comunicazione@perleuve.it

academy@4grapes.it

T: 339 2070155

Via Isonzo 23 – Cormons (Go)

                               C.L.

La Nave Sepolta: recensione
del film con Ralph Fiennes e
Carey Mulligan
Disponibile su Netflix da venerdì 29 gennaio, questo
film è diretto da Simon Stone e sceneggiato da Moira
Orfini, ed è un adattamento del romanzo The Dig, di
John Preston.

La pellicola rievoca un fatto realmente accaduto: la
scoperta di un importante sito archeologico a Sutton
Hoo, nel Suffolk, alla vigilia dello scoppio della
Seconda Guerra Mondiale.

I due protagonisti sono Edith Pretty (Carey
Mulligan), agiata vedova di un colonnello, e Basil
Brown (Ralph Fiennes), un poliedrico archeologo
autodidatta di bassa estrazione sociale.

Edith ingaggia Basil per avviare degli scavi
archeologici nei pressi di alcuni tumuli di terra
nella sua vasta proprietà, in un luogo dove leggende
locali narrano che giacciono sepolti delle vestigia
vichinghe, e nel quale la giovane vedova intuisce
che deve essere sepolto qualcosa di valore.

I fatti le danno ragione, perché gli scavi portano
alla luce una nave anglosassone risalente al VI-VII
secolo. Una scoperta eccezionale, che attira ben
presto le attenzione dei più grossi musei nazionali,
che vogliono assicurarsi i preziosi reperti
ritrovati.

Ma la Seconda Guerra Mondiale è alle porte e la
salute di Edith comincia a cedere…

La Nave Sepolta: un film intimista sull’importanza
della memoria
La scoperta archeologica narrata dal film è stata
molto importante, perché ha di fatto ridisegnato
l’immagine del Medio Evo. Ma nella pellicola viene
utilizzata più come occasione per sottolineare
l’importanza della conoscenza del nostro passato per
vivere il nostro presente, nella nostra dimensione
personale, più che nella consapevolezza della
dimensione storica degli eventi.

Uno scavo archeologico come metafora della ricerca
dentro di sé, quindi. Non per niente il titolo
inglese della pellicola è The Dig (letteralmente “lo
scavo”), che è stato maldestramente tradotto nella
versione italiana come La Nave Sepolta.

E infatti nel film il sito archeologico sembra
perdersi nella campagna inglese, che acquisisce una
dimensione eterea e quasi astorica. In questo
ambiente si muovono Edith e Basil, che formano una
coppia di diversa estrazione sociale, unita però da
una profonda assonanza interiore e da un intenso
amore per le proprie radici.

Un sodalizio che si sostanzia nella reciproca
ammirazione e nel mutuo rispetto, ma che non sfocia
nella passione, esprimendosi con sguardi e silenzi
eloquenti, grazie anche all’ottima interpretazione
di Carey Mulligan e Ralph Fiennes.

La prima parte del film narra il lento ma
inesorabile avvicinamento dei due protagonisti, fino
alla scoperta della nave anglosassone sepolta. Nella
seconda parte entrano altri elementi, meno
metafisici e più concreti: l’inesorabile avvicinarsi
della Seconda Guerra Mondiale, la competizione tra i
musei per accaparrarsi i reperti archeologici
ritrovati e il fiorire di storie parallele a quella
di Edith e Basil. Elementi, questi ultimi, che sono
stati introdotti anche grazie a personaggi
inventati.

La Nave Sepolta: qualche licenza poetica per fare
sognare
Del resto nella realtà i due protagonisti avevano
un’età che avrebbe reso poco realistico il crearsi
di un profondo rapporto tra i due, e che è stata
ritoccata per comprensibili ragioni narrative.
Inoltre il cugino di Edith è un personaggio
secondario inventato per fornire carburante
all’intreccio.

Piccole licenze poetiche che permettono al film di
indagare sul rapporto di coppia, anche nella sua
dimensione passionale, assente nel sodalizio tra
Edith e Basil. Perché in questo film tutti i
personaggi, in un modo o nell’altro, scavano dentro
di sé, magari per scoprire che il proprio matrimonio
non così idilliaco, e forse è meglio cambiare
partner, cogliendo l’attimo.

Una narrazione comunque sempre intimista, nella
quale i grandi eventi della Storia scorrono sullo
sfondo, mentre ciò che conta sono le vite delle
persone semplici, che magari compiono grandi
imprese, ma rimangono sepolte nell’anonimato.

Lo stesso Basil Brown, nel mondo reale, è stato solo
recentemente rivalutato, mentre il suo fondamentale
ruolo nella scoperta del sito venne nascosto dagli
illustri professoroni accorsi da Londra a Sutton Hoo
nel 1939. E rimase sepolto nell’oblio per decenni.

La Nave Sepolta: una piccola chicca da vedere
Questo film si muove con grande delicatezza su due
dimensioni inestricabilmente intrecciate: i grandi
eventi della Storia e le vite delle persone reali
che nella Storia si muovono. Privilegiando queste
ultime.

Un’operazione non semplice, anche perché il motore
narrativo del film si nutre di altre complesse
contrapposizioni: agape contro eros, città contro
campagna, ottusi intellettuali cattedratici contro
validi artigiani autodidatti, l’eccezionalità del
dramma della guerra contro la normale routine
quotidiana.

Il tutto sempre con un approccio intimistico, dove
contano i dettagli e i non detti. Nonostante qualche
momento in cui la storia sembra vacillare, nel suo
complesso il film convince, soprattutto grazie a una
recitazione di alto livello. Oltre all’impeccabile
Ralph Fiennes, colpisce molto la prestazione di
Carey Mulligan, attrice poco conosciuta che ha preso
la parte originariamente destinata a Nicole Kidman.
Bravissima.
In un periodo storico dove molto spesso gli effetti
speciali sono più importanti delle storie narrate
(un esempio tra tutti è il tanto declamato quanto
inutile Tenet, di Christofer Nolan), fa piacere
scoprire piccole chicche come La Nave Sepolta, che
magari non rimarranno scolpite nell’eternità, ma
regalano allo spettatore molte emozioni e fanno
riflettere. Da vedere.
Puoi anche leggere