Vita da intermediario: la munificenza degli enti, gli sgarbi quotidiani e le reminiscenze scolastiche

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Edizione di giovedì 22 aprile 2021

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Vita da intermediario: la munificenza degli enti, gli sgarbi
quotidiani e le reminiscenze scolastiche
  di Marco Frisoni

Appare opportuno sgombrare il campo da ogni potenziale equivoco, anche in nome di
un’oramai perduta onestà intellettuale e non prestare, dunque, il fianco a dozzinali forme di
strumentalizzazione, che rappresentano, fra l’altro, una fra le attività maggiormente in voga
nel nostro Belpaese.

Tutto ciò per formulare, di seguito, talune considerazioni che, ahinoi, non possono prescindere
dal critico contesto sanitario, economico e sociale che ancora densamente ci avvolge e sul
presupposto che un siffatto panorama di riferimento non ha di certo giovato (anzi, tutt’altro) al
miglioramento di alcune dinamiche all’interno delle quali si muovono e si dibattono le
migliaia di professionisti italiani (e le loro collaboratrici e collaboratori, nel classico, mai
tramontato, mal comune mezzo gaudio!!).

Nonostante, per l’appunto, la tregenda pandemica che ha investito l’Italia (e gran parte del
pianeta), vi sono dei mestieri che, se possibile, continuano a divenire, agli occhi dell’opinione
pubblica, sempre più impopolari e, badi bene, loro malgrado, nel senso che, a ben vedere,
appaiono vittima di una serie di ineluttabili e sinistre conseguenze e, infine, destinatari di
contumelie provenienti da chiunque e circondati da una narrazione che trae linfa dalle
classiche leggende urbane o metropolitane che dir si voglia (vedasi, nell’usuale rimando
cinematografico, la pellicola “Urban legend”, diretto nel 1998 da Jamie Blanks, a cui seguiranno
due ulteriori seguiti, per la verità non eccelsi).

In altri termini, stiamo parlando della figura dell’intermediario (pomposamente “abilitato”),
sostantivo maschile (ovvero, aggettivo a seconda dell’uso linguistico adottato), che, in
concreto, identifica colui che, accerchiato dall’astio del contribuente/cittadino/datore di lavoro
e dal sospetto dell’ente pubblico destinatario di pagamenti vari e/o flussi informativi
iperbolici, integra una moderna incarnazione del gabelliere/daziere di medievale provenienza
e che, di conseguenza, si occupa (e preoccupa) di riscuotere le gabelle e i dazi per conto della
Pubblica Amministrazione (per una immaginifica visione, ancorché paradossale, del ruolo di
codesti tapini, erge a simbolo il memorabile frammento del film, a dir poco di culto, “Attila il
flagello di Dio”, nel quale Diego Abatantuono, in una delle sue migliori interpretazioni, nei
panni del re degli Unni, tenta di attraversare un ponte e deve fronteggiare l’ostilità dei
centurioni romani, di fatto investiti della funzione di antesignani doganieri/esattori di dazi).

Insomma, l’intermediario “moderno”, dei giorni nostri, si muove, di fatto, sotto il tiro incrociato

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di molti fuochi (poco importa se giungono da parte, presuntivamente, amica o avversa), in
quanto, a titolo di mero esempio, da un lato è osteggiato da chi “subisce” la funzione
scaturente dall’intermediazione (di norma, il cliente/assistito), che non perde occasione per
lamentare l’eccessivo carico fiscale/contributivo/informativo (e le connesse tariffe
professionali), addebitando (moralmente e non solo) all’incolpevole neo esattore colpe altrui,
mentre, sull’altro versante, il tapino intermediario viene letteralmente assediato dagli enti
pubblici, bramosi di esazione di qualunque sorta e di ricevere una messe eclatante di dati che
consentano a loro (solo a loro) di ridurre al minimo indispensabile le attività, che, in vero,
dovrebbero svolgere in virtù dei pubblici poteri (e ruoli) dei quali, ex lege, godono.

D’altro canto, l’intermediario odierno appare frutto di un colossale equivoco ideologico,
derivante dall’esatto significato del concetto di “semplificazione” (termine che, in tutta onestà,
quando pronunciato, genera tremiti e timori fra tutti i professionisti) come concepita dal punto
di vista amministrativo e burocratico; in effetti, vi è la sensazione che (oltre ad avere
sovrapposto in via pedissequa la semplificazione con informatizzazione/digitalizzazione dei
processi comunicativi con la P.A.) un simile concetto assuma diverse accezioni a seconda
dell’angolazione da cui decorre l’osservazione, tant’è vero che, salvo smentite, per i
professionisti, allo stato attuale, semplificazione significa solo spostamento in capo ai
contribuenti/cittadini/datori di lavoro (e dunque, di riflesso, sulle teste degli intermediari) di
tutti gli adempimenti immaginabili e possibili, con il risultato che tale scelta ha prodotto, in
capo a detti soggetti professionali, effetti del tutto divergenti da un reale “semplificare”, con
proliferazione e moltiplicazione di oneri, responsabilità e rischi sanzionatori (le compagnie
assicurative, giustamente, ancora oggi si fregano le mani con palese e meritata soddisfazione).

Non di meno, nonostante tutto, il rigore del mestiere dell’intermediario risulterebbe mitigato a
fronte di una legislazione chiara e non soggetta a disorientanti interpretazioni di prassi, spesso
contrastanti una con l’altra e, con frequenza inquietante, connotate da un’alta gradazione di
intempestività.

Pur consci che la situazione emergenziale derivante dall’avvento del COVID-19 non ha di
sicuro contribuito a invertire la sediziosa tendenza appena illustrata, ci si potrebbe tuttavia
ragionevolmente (e sommessamente) attendere che, a oltre 14 (!!!!) mesi dall’inizio dello stato
di allerta pandemico, gli enti pubblici imboccassero sentieri più certi e lineari, evitando gli
errori (per carità, comprensibili vista l’emergenza imprevedibile) a cui si è assistito da febbraio
del 2020 in avanti.

E, invece, niente affatto, anzi, proprio in questi giorni si è forse raggiunto il punto di non
ritorno (l’acme) dell’emanazione improvvida (addirittura solo preannunciata tramite
comunicato stampa, con suoni di fanfare, canti e balli e giubilo da parte dell’ente preposto) di
prassi pseudo interpretativa ed ennesimo pessimo episodio di (para) diritto circolatorio di
infima qualità (anche nel caso, sovviene l’ennesimo collegamento con il mondo della settima
arte e, pertanto, buono e giusto richiamare “Punto di non ritorno – Event Horizon” del 1997,
regia di Paul William Scott Anderson, atteso che la realtà ha superato anche la fantascienza
più cupa).

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Il riferimento, credo intuitivo, si dirige ineluttabilmente verso la leggendaria circolare Inps n.
62/2021 e al (surreale) comunicato stampa congiunto (!!!!) Ministero del lavoro e delle
politiche sociali/Inps del 16 aprile 2021.

Partiamo dall’Inps, che non ha mancato, anche durante la pandemia, in contributi memorabili,
che hanno sorpreso persino le menti del professionista più ottenebrato e senescente (fra i
quali, a pieno titolo, si colloca lo scrivente); e, dunque, ecco che la circolare in parola declama
la munificenza dell’ente, che, dopo più di un anno dalla pandemia, “accontenta”, con fare da
monarca illuminato, sulla scia dello Statuto Albertino del 1848, i consulenti del lavoro che,
oramai stremati, chiedevano, sin dall’introduzione delle integrazioni salariali con causale
COVID-19, procedure e istanze snelle, omogenee e univoche.

Ebbene, con il documento del 14 aprile u.s., ecco che, infine, l’Inps ritiene maturo il tempo per
avviare (sia chiaro, con un semestre sperimentale, che non si nega mai in qualunque
situazione) un processo unitario in ordine alle modalità di trasmissione dei dati necessari al
calcolo e alla liquidazione diretta delle integrazioni salariali da parte dell’Inps o al saldo delle
anticipazioni delle stesse, nonché all’accredito della relativa contribuzione figurativa, da
effettuarsi con il nuovo flusso telematico denominato “UniEmens-Cig”, per gli eventi di
sospensione o riduzione dell’attività lavorativa decorrenti dal 1° aprile 2021.

Vi è di più; nel punto 6 della circolare, rubricato “Caratteristiche e vantaggi del nuovo flusso
“UniEmens-Cig”, l’ente manifesta urbi et orbi la magniloquenza delle innovazioni messe in
campo, citando obiettivi che, guarda caso, sono i medesimi portati all’attenzione da molti mesi
dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro (verrebbe da dire: strano, ma
vero), evitando, tuttavia, si sottolineare come gli auspicati risultati potranno divenire concreti
solo grazie agli intermediari, che, ancora una volta, si accolleranno tutti gli oneri di
aggiornamento, anche informatico, affinché il flusso aggiuntivo/integrato dei dati sia inviato
con le modalità corrette del caso (e ciò, per l’alto senso di responsabilità dei consulenti del
lavoro, in prima linea per garantire a datori di lavoro e lavoratori l’accesso agli ammortizzatori
sociali pandemici, a prescindere dalle contorte e bizantine procedure da percorrere).

Appare, invece, del tutto incredibile la vicenda che ruota intorno al summenzionato
comunicato stampa, con il quale Dicastero e Inps annunziano al popolo l’imminente
emanazione di un documento di prassi nel quale, bontà loro, si andrà ad operare una
manipolazione al calendario “comune”, per sostenere che, nella settimana dal 29 marzo 2021
al 4 aprile 2021, non vi sarebbero vuoti dal colmare in materia di copertura con
ammortizzatori sociali, nonostante le norme di riferimento (Decreto Sostegni su tutti)
dispongano esattamente il contrario e i datori di lavoro, per riuscire a tutelare i propri
lavoratori sul piano retributivo, su suggerimento dei professionisti, si siano industriati per
reperire soluzioni alternative (ferie, permessi, congedi, etc.).

Ma si sa, tutto è relativo, anche il calendario gregoriano attuale utilizzato del 1582 e, di per sé,
la bizzarra aspirazione interpretativa profusa potrebbe essere apprezzabile se non fosse che
interviene a “giochi fatti”, cioè a “paghe chiuse” (con tanto di versamenti F24 già infasati se non

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effettuati) e facendosi beffe degli sforzi datoriali (e dei professionisti) appena ricordati e,
comunque, derivanti da un improvvido modo di legiferare, degno epigono della barbarie
giuridica con la quale i consulenti del lavoro si devono cimentare ogni giorno (doverosa la
dura reazione in proposito da parte dell’Ancl a livello nazionale).

In conclusione, è doveroso trasfondere delle ulteriori suggestioni che la mesta quotidianità
suggerisce, generando impensabili collegamenti con vicende del passato, che, forse in via
profetica, riemergono con preponderanza; e, allora, a conti fatti, gli inaccettabili episodi di cui
sopra null’altro sono se non veri e oggettivi sgarbi verso i consulenti del lavoro e, soprattutto,
una manifestazione di integrale latitanza di rispetto verso il lavoro altrui, con specifico
riguardo al prezioso “fare” delle collaboratrici e collaboratori degli studi professionali, che,
instancabili, hanno prestato la loro fattiva attività senza badare a orari, riposi, festività e ferie.

E, allora, rimembrando ricordi scolastici, dove, a cavallo fra la scuola superiore (oggi
trionfalmente appellata “scuola secondaria di secondo grado”) e i primordi universitari, le
occupazioni principali erano: a) lettura mattutina dell’unica vera Gazzetta Ufficiale del nostro
Paese, vale a dire quella dello sport, astutamente occultata nel sottobanco; b) successiva fase
di lettura dedicata all’area fumettistica (super eroi Marvel, Dc Comics, Image Comics, etc. e il
“bonelliano” Zagor); c) terzo frangente destinato a un’attenta analisi delle riviste musicali
dell’epoca (rigorosamente heavy metal).

Pur tuttavia, l’impegno principale, indifferibile, era quello di accendere la televisione in pausa
pranzo e assistere in religioso silenzio e catatonica assuefazione alla nuova puntata di “Sgarbi
quotidiani”, programma condotto dall’ineffabile Prof. Vittorio Sgarbi dal 1992 al 1999 su
Canale 5, ammiraglia del gruppo Mediaset.

Ebbene, le coincidenze sono incontestabili, non solo perché il titolo della trasmissione
declama il costante subire dei consulenti del lavoro, ma, in particolare, per un memorabile
episodio andato in onda il 13 gennaio 1994, nel quale il funambolico Vittorio “nazionale”, per
protestare contro l’ingerenza dell’editore (Silvio Berlusconi, in piena espansione politica), per
l’intera durata dell’emissione rimase in assoluto silenzio (incredibile, vista la nota fluenza
discorsiva del protagonista) quale forma di personale dissenso (pare, fra l’altro, che si sia
trattata di una delle puntate con maggiori indici di ascolto).

Di conseguenza, forse, i professionisti, con in testa i consulenti del lavoro, considerati gli
“Sgarbi quotidiani”, dovrebbero prendere spunto dalla contestazione silente appena ricordata e
attuare, a loro volta, un’obiezione di coscienza verso gli enti, basata sul “mutismo
dell’intermediario” e, dunque, in altre parole, un oblio prolungato consistente nel non inviare,
per un arco temporale significativo, alcunché alla Pubblica Amministrazione, pur nella
contezza che la deontologia professionale, il rigore e l’integrità morale tipiche del consulente
del lavoro, difficilmente condurranno a un esito del genere...

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