GUARDARE CINEMA VEDERE STORIA. L'USO DEL CINEMA COME DOCUMENTO STORICO - Giovanni Scolari
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Giovanni Scolari GUARDARE CINEMA VEDERE STORIA. L’USO DEL CINEMA COME DOCUMENTO STORICO DSS PAPERS STO 03-07
Guardare cinema vedere storia L’oggetto dell’analisi non è l’opera, ma il problema inventato dall’uomo. J. Aumont Il cinema e la storia (intesa come disciplina di studio) vivono un rapporto difficile, talvolta contrastato. Molto dipende dalla loro stessa natura che impedisce di trovare punti d’accordo e chiavi interpretative che abbiano il medesimo significato in entrambe le categorie. Nella scuola, poi, questo rapporto diventa addirittura ambiguo perché i destinatari del materiale proposto hanno dentro di sé già codificato un messaggio cinematografico spessissimo in contrasto con i mediatori e con la comunicazione che essi intendono trasmettere. Esiste, quindi, nel destinatario un codice preesistente che tende a deformare la conoscenza degli avvenimenti storici, in contrasto con le distorsioni recepite, talvolta, anche dallo stesso docente. Se si cerca, infatti, di spiegare agli studenti di qualsiasi livello la condizione della donna dal medioevo ad oggi, essi tenderanno a ragionarla nei termini che gli sono stati restituiti dalle esperienze quotidiane e dal valore che alla donna è dato dalla società contemporanea. Ancora più importante sarà l’influsso delle fiction viste anche se propongono modelli in contrasto con la realtà effettiva del periodo. Infine, per esigenze drammaturgiche il cinema tende a semplificare gli avvenimenti saltando intere fasi storiche, eliminando o inserendo personaggi che servono per rafforzare il climax narrativo. I documenti storici, quindi, subiscono l’onta della cancellazione nella memoria collettiva che di epoca in epoca, di generazione in generazione si trasforma deformando inevitabilmente quanto si sta studiando e spiegando. Certo, questo presupposto non aiuta ad affrontare le tipiche domande che si pone un insegnante che decide di utilizzare il materiale filmico per restituire una parvenza di verosimiglianza al racconto storico. Anzi, per certi aspetti complica la vita, induce a ritornare sul più confortevole libro che spiega la storia secondo criteri a lui noti e tranquillizzanti per la classica lezione frontale. Tuttavia, la conoscenza di questi problemi è il punto di partenza per iniziare un percorso di approfondimento che fornisca la chiave di volta per giungere al disvelamento della fiction nella storia. È necessario ricominciare, ove possibile sgombrando la mente dai pregiudizi e dal proprio gusto personale, a “conoscere” il cinema non più e non solo come forma d’intrattenimento, ma anche come mezzo tecnico e di informazione. Bisogna spogliarsi delle sovrastrutture ideologiche per avere uno sguardo il più obiettivo possibile nell’analisi della fiction e di tutti gli 3
Giovanni Scolari aspetti ad essa connessa. Il cinema, infatti, non si esaurisce solamente nell’atto della visione, limitata al contesto socio-culturale del momento, influenzata dall’emotività degli avvenimenti. Detto questo, come si fa a rendere comprensibile la storia? Con quali modalità ci si deve avvicinare al film per spiegare la realtà a cui esso si riferisce? Con quali mezzi si integra il documento storico con la visione della fiction? Sono quesiti giusti che tengono conto non solo della complessità del materiale che si propone, ma anche della platea eterogenea che spesso cerca (in quanto abituata a farlo) solo film di intrattenimento in cui tutto è spiegato, senza lasciare libertà di interpretazione allo spettatore. Si deve, perciò, andare per gradi, crearsi una preparazione tecnica di base credibile partendo dalla conoscenza del mezzo cinematografico per poi passare ad un modello di studio capace di ridurre l’analisi del film all’interno dell’unità di approfondimento che si intende sviluppare. Come dice Pierre Sorlin “Il primo scopo è abituare gli uditori a guardare quello che si vede sullo schermo”. LA PRODUZIONE Cominciamo dalla realizzazione del film dividendolo in diversi momenti e tenendo conto che non tutte le nazioni hanno lo stesso procedimento produttivo. Ci serviremo, quindi, dei modelli ricorrenti in Italia e negli Stati Uniti, utilizzando l’Italia come esempio per la produzione europea. In Italia il progetto del film è quasi sempre concepito dal regista; infatti la cifra stilistica del cinema europeo è quella autoriale. Il regista è l’artista, intorno al quale ruota tutto il film. L’eccezione è data dall’attore così affermato da determinare le regole del gioco. Nel primo caso rientrano i grandi autori della storia del cinema italiano e quelli ancora in attività. Nel secondo, invece, si affermano le maschere comiche che talvolta possono giocare il doppio ruolo di attore-regista, in altre circostanze si costruiscono un gruppo di tecnici fedeli e affezionati da cui si sentono valorizzati. Gli autori e gli attori si legano, in generale, ai pochi produttori che l’Italia offre per realizzare le loro opere. Fuori da questo circolo virtuoso c’è un anonimato che vive di enormi difficoltà distributive. La difficoltà più grande per un cineasta non è, infatti, trovare i soldi per realizzare un film, ma avere canali che lo facciano conoscere e apprezzare dal pubblico. Diverso è, invece, il discorso che riguarda gli Usa. Hollywood è una vera e propria industria in cui dominano le case produttrici che, disponendo di enormi risorse economiche, impongono regole e tempi. In questo caso è 4
Guardare cinema vedere storia il produttore che sceglie la storia, il regista e gli interpreti; dopo di che affida il tutto ai suoi potenti apparati comunicativi che cercano di trasformare il film in un evento mediatico, capace di attirare pubblico. Se per l’Italia, perciò, la quasi totalità dei finanziamenti vanno nella sola produzione, Hollywood investe molta parte del budget anche nel pubblicizzare la pellicola. Questa introduzione può sembrare fuorviante, rispetto al tema proposto, ma non è così. Ogni film non è un luogo a sè, ma è figlio dell’apparato produttivo che l’ha generato. Non è la stessa cosa sapere se un’opera è stata realizzata durante un particolare periodo politico, sapere se un film è stato concepito su finanziamenti statali, piuttosto che da una singola parte politica. Non è la stessa cosa sapere se la censura ha giocato un ruolo determinante nella stesura della sceneggiatura. Esistono, poi, altri aspetti quali quelli della distribuzione. Infatti, le pellicole non vengono fornite direttamente alla sale cinematografiche dalla casa di produzione, ma devono passare attraverso i distributori che hanno il contatto con gli esercenti sparsi per il territorio. Il distributore diventa una figura indispensabile quando il film proviene da una nazione diversa; in tal caso la casa produttrice si affida a lui per garantire incassi che completano la prima parte degli introiti di una fatica cinematografica. È determinante quando influenza, ad esempio, il doppiaggio, oppure censura o varia il manifesto od i trailer che pubblicizzano il film. È accaduto varie volte in passato, infatti, che il distributore facesse modificare dialoghi per motivi politici. Nella versione originale di Casablanca (1942) Bogart aveva partecipato nel ’36 alla resistenza antifascista in Etiopia; nella copia italiana tale riferimento fu eliminato. In quell’occasione non si volle turbare il popolo italiano che, uscito sconfitto dalla guerra, voleva mettersi rapidamente alle spalle il ventennio fascista. LA SCENEGGIATURA Il film è anche testo scritto: la sceneggiatura. Per alcuni autori il testo scritto era difficilmente modificabile in quanto in fase di stesura tutto era stato previsto minuziosamente; per altri come Fellini la sceneggiatura era un canovaccio totalmente manipolabile in sede di ripresa. Per arrivare alla sceneggiatura ci sono alcuni passaggi. Nella prima fase si elabora un soggetto, cioè un racconto breve che comprende la trama, i personaggi, lo spazio e il tempo della narrazione. Dopo si passa ad un trattamento, ovvero l’elaborazione più accurata dell’opera cinematografica in cui viene predisposta una scaletta comprendente le 5
Giovanni Scolari sequenze in cui è diviso il film. Nel trattamento i caratteri dei protagonisti sono delineati compiutamente. Lo stadio successivo è, infine, la sceneggiatura detta anche copione. La sceneggiatura è divisa normalmente in due parti: nella prima sono dettagliati i movimenti della macchina da presa, annotazioni sul clima, ambiente e paesaggio, i gesti e le azioni degli attori; nella seconda sono riportati i dialoghi ed i rumori, talvolta anche la musica quando essa è parte integrante della scena. IL LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI Se il testo scritto rappresenta un punto di partenza importante, diverso è il linguaggio delle immagini che richiede una conoscenza meno legata ai significati più evidenti. Come in un componimento letterario lo scrittore utilizza un particolare stile narrativo, anche il regista può optare per differenti inquadrature. Le immagini, infatti, parlano una loro particolare lingua che risponde a regole meno note, ma indispensabili per comprendere appieno il cinema e le sue forme. L’ immagine È composta da alcuni aspetti quali l’inquadratura, la composizione figurativa, i campi e i piani, l’angolazione. L’inquadratura è il campo visivo inquadrato dalla macchina da presa in cui deve essere evidenziato lo spazio scenografico ed umano rappresentato nella pellicola.La composizione figurativa è la disposizione dei volumi all’interno della inquadratura stessa. I campi e i piani sono determinanti per la comprensione di ogni singola scena. I campi considerano la descrizione degli ambienti. I piani riguardano le tecniche di ripresa degli attori. L’ambiente lascia il posto ai risvolti psicologici e drammaturgici dell’azione. Servono a sottolineare l’espressione, il dialogo, il sentimento. Anche l’angolo di ripresa è importante. Alla ripresa frontale, classica e rassicurante, si possono e si devono alternare altri tipi di ripresa (laterale, diagonale, dal basso o dall’alto) a seconda delle esigenze narrative e del messaggio che si vuole insinuare nello spettatore Il montaggio Come si giunge alla forma finale del film? Dove si fanno le scelte su quale tra i ciak girati va inserito nella copia finale, oppure in quale ordine vanno disposte le riprese effettuate da diverse angolazioni? Ed infine come dare unità al significato complessivo dell’opera cinematografica? 6
Guardare cinema vedere storia Tutto questo avviene con il montaggio, il lavoro di assemblaggio delle migliaia di metri di pellicola girata. I computer hanno velocizzato le procedure ma il lavoro del montatore non è, per questo, meno delicato e significativo: dalle sue mani esce il prodotto finale che viene mandato alla stampa, il risultato complessivo dell’opera di decine, centinaia, di persone. Il montaggio, per fare un parallelo con la grammatica, trova riscontro con la sintassi del discorso e come tale va considerato. Con il montaggio si può proporre anche un significato narrativo al film, conseguendo effetti rimarchevoli ai fini della chiarezza del racconto. Il montaggio non si esaurisce in se stesso, ma crea correlazioni più importanti poiché dà vita dando origine ad una realtà inesistente, attraverso un ritmo psicologico e narrativo. Quando si riuniscono due scene attraverso il montaggio si induce il pubblico a fare dei collegamenti che non esistono in natura, spingendolo anzi a dare un’interpretazione soggettiva a quanto visto. Se mostriamo in successione l’immagine di un uomo che spara verso destra e subito dopo un altro che risponde al fuoco da sinistra, lo spettatore trarrà immediatamente la conclusione che i due stanno cercando di colpirsi da grande distanza. Sarà, quindi, spinto a dare un significato all’accostamento senza aver visto materialmente ciò che sta accadendo. Non esiste, infatti, in nessuna delle inquadrature l’atto in sé; inoltre, le due scene potrebbero essere state girate in momenti assolutamente distinti senza che esista alcun rapporto effettivo. L’esempio citato è tratto da Una pallottola spuntata, film demenziale in cui una terza immagine mostra i due che si sparano da pochi centimetri, mancandosi sempre, in modo da creare un effetto comico irresistibile Il montaggio è, quindi, di per sé ingannevole. Inoltre, il cinema dà vita a realtà inesistenti. Il tempo cinematografico non è mai reale poiché si dilata, a seconda delle esigenze narrative. Quante volte abbiamo visto sullo schermo un eroe che cerca di impedire un’esplosione interrompendo il timer a poco più di un secondo dalla fine? E quante volte abbiamo osservato che il conto alla rovescia durava ben di più dei secondi mostrati? In altri casi il tempo si abbrevia. Un uomo compie un tragitto a piedi: nel film la camminata dura pochi secondi, mentre in realtà il tempo impiegato sarebbe molto superiore. Anche lo spazio cinematografico è una pura finzione. Infatti, nella raffigurazione dello spazio la cosiddetta “quarta parete” (dove è posta la cinepresa) è solo immaginata dallo spettatore mentre i personaggi si muovono su tre soli lati. Lasciamo stare, poi, la realtà virtuale costruita dai computer. Se lo sfondo naturale di opere come Il signore degli anelli, è 7
Giovanni Scolari spesso reale, lo stesso non si può dire degli innumerevoli dettagli aggiunti dai tecnici degli effetti speciali. Infine, lo spazio diventa entità fittizia quando ci mostra, ad esempio, un’autovettura che parte e subito dopo giunge in un luogo. Il montaggio ci suggerisce un percorso che concretamente non è mai stato compiuto. In ultima analisi il montaggio crea uno specifico ritmo del film variando i fenomeni di moto, colore e composizione delle immagini, secondo misure quali la diversa lunghezza delle inquadrature. Ancora sull’immagine: bianco e nero e colore Il Bianco e nero ha possibilità che permettono valori espressivi particolari. In Schindler’s List: il colore avrebbe spento l’angoscia della realtà dei campi di concentramento, distogliendo l’attenzione dello spettatore dai dettagli che Spielberg voleva invece evidenziare. Le ombre che tagliano violentemente lo schermo, i volti e i corpi fatti risaltare nei loro tratti principali contrastano con l’unica macchia di colore (la bambina ebrea) che scuote le nostre coscienze come quella di Schindler. In questa circostanza si può dire che il bianco e nero si è “fatto colore”. Anche il colore, tuttavia, possiede delle importanti peculiarità visive. Normalmente ha una funzione descrittiva poiché riproduce esattamente la realtà. Se, però, esaminiamo opere come Million dollar baby comprendiamo che il colore viene spento per rendere meglio l’atmosfera dolente che sovrasta tutti i personaggi. In questo caso il colore assume una funzione narrativa, esprimendo cromaticamente le tematiche presenti nella pellicola. Un’ultima categoria si può riscontrare nel registro più propriamente espressivo, quando il colore dà all’immagine un significato particolare che in se stessa non riuscirebbe a manifestare. La fabbrica di cioccolato di Tim Burton è un prodotto esemplare per l’uso che il regista fa del colore e delle sue possibili variazioni. LA PSICOLOGIA NEL CINEMA Lo spettatore vive di fenomeni psicologici che sono stati analizzati da molti studiosi. Questi studi hanno evidenziato alcuni aspetti dell’esperienza vissuta dal pubblico durante la proiezione. La percezione e lo stato onirico La luce proveniente dallo schermo non è costante, tuttavia lo spettatore non si accorge della sua frammentarietà in quanto vive in uno stato di passività inerziale. Appena seduto nella poltrona si rilassa, 8
Guardare cinema vedere storia disponendosi alla visione. Pur essendo consapevole del carattere illusorio delle immagini, tende a considerare quanto visto come una forma di realtà. A questa dicotomia corrisponde una “distanza psicologica” che consente di entrare o uscire dal film. La visione cinematografica si distingue dalla visione televisiva perchè vissuta in uno stato di torpore che ha molti punti di contatto con il sogno, una sorta di effetto ipnoide che avviene senza che il soggetto se ne avveda. La comprensione e la memorizzazione In questi due fattori gioca un ruolo essenziale non il linguaggio espresso dal film, ma la difficoltà dei soggetti di ricostruire l’azione raccontata. Anzi, studi psicologici hanno mostrato come la problematica più grande riguardi la ricostruzione dell’ambiente. Nella memorizzazione, poi, si è notata una tendenza a “ristrutturare” a posteriori quanto visto secondo una logica personale ed affettiva con una conseguente notevole perdita di informazioni. La partecipazione e l’identificazione È il rapporto “empatico” che si stabilisce tra chi guarda e l’oggetto che scorre sullo schermo. Chi assiste può restare indifferente, ma può anche arrivare a riprendere, mimare le azioni del film in una “fusione” realizzata su basi emozionali ed affettive. Grazie ad esperimenti effettuati, si sono verificati nello spettatore non solo dei processi cognitivi comuni ai personaggi, ma l’accelerazione della frequenza cardiaca e respiratoria, nonché della tensione muscolare in corrispondenza di quanto avveniva sul grande schermo. In sostanza, il film genera una situazione percettiva che crea nel pubblico la sensazione di vivere eventi reali, sensazione rafforzata dalla ricchezza di stimolazioni del flusso delle immagini. Dopo di che si attua, attraverso una serie di mappe cognitive che ognuno ha dentro di sé, un processo di riconoscimento che vive della capacità dello spettatore di ipotizzare e verificare ciò che accade nella narrazione. CINEMA E TELEVISIONE La televisione per Sorlin non ha non possiede la distanza critica della fonte storica poichè si nutre di una visione permanente dell’avvenimento, diversamente dal cinema. Inoltre, ha modificato in modo profondo il modo di scrivere e percepire la storia grazie all’introduzione del testimone, l’individuo comune che ha partecipato personalmente agli avvenimenti. 9
Giovanni Scolari Nella storiografia tradizionale, la testimonianza viene riassunta, talvolta sintetizzata, vagliata nei suoi aspetti meno accertabili. In televisione, al contrario, il testimone diventa protagonista assoluto grazie alla gestualità, alla mimica facciale che lo pone al centro dell’attenzione, portando lo spettatore ad un forte processo di identificazione e comprensione; il quel momento lui è la Storia. La televisione, poi, mette in crisi la classica narrazione storica - che vive di argomentazioni complesse, di tesi analizzate con metodicità e pazienza – prediligendo la sinteticità a discapito della profondità. Infine, pur in presenza di televisori sempre più tecnologicamente avanzati, la forma dell’immagine su grande schermo ed i colori perdono in profondità e lucentezza nel passaggio dalla pellicola al piccolo schermo. Tutte queste critiche hanno più di un fondamento, ma sono limitanti. La diffusione di altre forme di media e l’avvento del satellite con i suoi innumerevoli canali, ha consentito alla televisione di liberarsi della zavorra politico ideologica per rivolgersi anche a prodotti di nicchia. Non è, insomma, solo varietà, telegiornali e sport. Certamente, questi aspetti prevalgono e l’immensità dei programmi televisivi rendono difficile un lavoro completo. Tuttavia, come non notare la maturità raggiunta da molte fiction statunitensi che trattano argomenti scabrosi, in modo diverso e approfondito? E come non accorgersi dell’abisso che le separa dagli omologhi italiani sovrapponibili per interpretazioni, scrittura e tecnica di ripresa? Questa differenza può essere oggetto di studio oppure è una semplice casualità? E come si fa a scartare il linguaggio pubblicitario e dei videoclip che ha formato molte delle nuove leve dei cineasti nostrani e stranieri dal discorso sul cinema in particolare e sulla storia in generale? Rimangono, quindi, alcune perplessità sul ragionamento di Sorlin. Condivisibile è, invece, la considerazione che solo i film di finzione sono in grado di costruire una storia totale, poiché “tutto è reinventato”. Sorlin evidenzia che le limitazioni del cinema sono legate principalmente ad aspetti politici (censura, ideologie) piuttosto che alle imposizioni dettate dal mercato. Resta il documentario, ma Sorlin lo considera, a ragione, fonte di elaborazione parziale. Quando, invece, si sofferma sulla fiction televisiva ne ravvisa l’utilità come fonte storica in quanto ripropone gli abiti, le abitazioni, i consumi degli italiani di quegli anni; tuttavia, non la ritiene sufficientemente interessante poiché non esprime un punto di vista generale. Manca, insomma, quella che lui definisce “lo spessore della storia”. 10
Guardare cinema vedere storia Sorlin dimostra che non esiste un’unica via allo studio del cinema come fonte storica, ma diverse strade che possono portare a risultati comuni e altrettanto importanti. IL MODELLO STORICO “Ogni immagine è bella perché è lo splendore del vero” diceva Jean Luc Godard (1959) a proposito di India di Roberto Rossellini. Lo splendore del vero richiama il concetto di realtà, intesa come il prolungamento dell’esperienza che noi abbiamo del mondo nell’immagine, insomma la verità delle cose. Il cinema diviene, così, storia. In questo senso, può venire interpretato in diversi modi. È oggetto di una propria storia, ma anche strumento didattico, fonte ed agente storico. Per questo motivo, in primo luogo, bisogna operare una distinzione tra film storico e fonte storica. Quando una pellicola parla di un periodo ormai passato si usa definirla film storico in quanto tenta di ricostruire l’evento utilizzando fonti documentali (libri, atti, manifesti, diari ecc.) ed iconiche (quadri, stampe). Se, invece, si analizzano film coevi al periodo esaminato, gli elementi riportati alla luce funzionano da vera e propria fonte storica. L’utilità di tale ripartizione è superficiale alla luce del modello che andremo ad elaborare successivamente, ma serve per prendere coscienza della diversità delle fonti. Insomma, un film quale Soldato Blu non serve solo come film storico, ma soprattutto come fonte per comprendere come la guerra del Vietnam influenzasse la società statunitense. Queste categorie di pensiero devono però essere affrontate tenendo conto che negli ultimi trenta anni la televisione e i computer hanno profondamente cambiato l’impatto che il cinema ha sulla popolazione. Ora, infatti, il cinema ha perso il predominio sulla diffusione degli stereotipi storici, passato decisamente nelle mani della televisione. Al cinema, però, è rimasta una grande forza in grado di intervenire sui processi sociali grazie alla capacità di svelare verità nascoste o proporre interpretazioni coltivate da minoranze, oppure di fornire modelli a cui aspirare. Inoltre, il cinema è capace ancora di aggregare individui con medesimi gusti ed opinioni, di alimentare mode, di creare gruppi professionali compatti Questa capacità si potenzia massicciamente in virtù dei passaggi televisivi che moltiplicano il messaggio contenuto nell’opera. L’avvento del videoregistratore e, più recentemente del Dvd, ha dato all’analista, in quanto spettatore e studioso, la possibilità di vedere la stessa immagine e la stessa scena per centinaia di volte; inoltre ha reso accessibile 11
Giovanni Scolari un patrimonio sterminato di lungometraggi che vanno dall’origine del cinema ad oggi. A differenza di quanto si fa nella critica cinematografica in cui si da un giudizio estetico partendo da una reazione emozionale e da una visione globale del cinema, l’analisi storica consiste nell’attenzione al dettaglio nella consapevolezza che tutto diventa ugualmente importante in un film. Questa è la prima regola quando si studia un film. Come dice Jacques Aumont si deve partire da un “non sapere”, da un’insoddisfazione dovuta ad un “non so”. Bisogna, insomma, visionare il materiale predisponendosi ad una “messa a distanza” dal film, una messa a distanza non solo dalle reazioni emozionali, ma anche dal sapere pre- formato che ci ha guidato nella visione da semplice spettatore. Certo, non è facile dimenticare quello che si è letto sui giornali, piuttosto che nei manuali di storia del cinema, ma è necessario per afferrare la somma dei particolari che fanno di ogni opera artistica una fonte per la ricostruzione storica. Mi preme, però, sottolineare come le regole che stiamo per declinare devono essere intese come un modello di riferimento che non deve ingabbiare la fantasia dell’analista, libero di inseguire nuove domande, ipotesi e soluzioni. L’ideale è, però, che il lavoro compiuto sia verificabile in senso scientifico anche se non vi sono procedure assolute di verificabilità in questo campo. Una volta individuato il periodo storico che si intende analizzare, si inizia con un faticoso lavoro di documentazione. Prima di procedere in tal senso, bisogna selezionare quali film possono essere utili al nostro scopo. In questa fase aiuta molto, naturalmente, essere esperti il più possibile di cinema per fare una prima scrematura. Come detto, l’analisi storica prescinde da valutazioni di carattere estetico e, quindi, in questa ottica tutte le pellicole sono degne di attenzione e studio; tuttavia, non potendo visionare ogni produzione collegata all’argomento, si devono vagliare le opere che hanno un senso per il lavoro che si intende compiere. In pratica, se si parla della guerra del Vietnam, è utile parlare di Platoon in quanto, pur essendo del 1986, è opera di un regista, Oliver Stone, che ha partecipato in prima persona alla guerra oggetto della ricerca. Diventa, invece, meno interessante una pellicola come Hamburger Hill (1987), poiché è evidente la ripetizione di concetti espressi da Stone. Tuttavia, lo stesso film può interessare nel momento in cui si vuol approfondire in modo comparativo cosa era rimasto della guerra del Vietnam negli Stati Uniti della fine degli anni ’80, limitando cioè lo studio ad un preciso lasso di tempo. Da evitare in questa primo stadio, perciò, lunghe liste che semplicemente selezionano tutte le opere sulla fase storica interessata. Si 12
Guardare cinema vedere storia rischia così di fare solo un’analisi comparativa mescolando in modo inconsulto prodotti fatti in epoche diverse (ricordate la distinzione tra fonti storiche e film storico?) e senza nessun collegamento effettivo e tanto meno valore scientifico. Dopo aver individuato le produzioni che hanno attinenza con l’argomento che si intende indagare, si passa all’approfondimento documentario. Bisogna rintracciare il più possibile gli articoli e le interviste che riguardano la preparazione del film, le critiche che ha raccolto, i dati di afflusso nelle sale e, infine, cosa di queste opere è stato poi segnalato all’interno di libri riguardanti la storia del cinema. Tale lavoro deve andare in parallelo con gli approfondimenti storici. Tutto il lavoro tracciato in precedenza è significativo e determinante per la ricerca che si realizzerà. Tuttavia, prima di passare alla visione del film, bisogna fare di tutto per rimuoverlo, per dimenticarlo al fine di recepire ogni singola informazione senza avere pregiudiziali di qualsiasi sorta. Il compito è di difficile realizzazione, ma lo sforzo deve essere compiuto. In questo tipo di analisi tutto è ugualmente importante, da particolari apparentemente insignificanti si possono trarre delle chiavi interpretative di parte della storia di quegli anni. Primo compito, perciò, è riuscire a non proiettare sul film una parte di noi, ma prenderlo per se stesso in ogni minimo dettaglio allo scopo di farlo diventare, come dice Aumont: “ciò che si vede e si sente, e per nulla ciò che si sapeva già” Dalla proiezione devono discendere una mappa, dei percorsi, delle ipotesi che dovranno essere viste e sviscerate utilizzando il materiale già accumulato che ora ritorna estremamente d’attualità Tali ipotesi devono anche tenere conto delle capacità inventive dei diversi autori. Non bisogna mai dimenticare che il cinema ha enormi potenzialità ed è in grado di porre quesiti di diversa natura. Il cinema può narrare la storia in molti modi, ma è in grado di diventare anche “agente” di storia. Un’opera, infatti, può essere alla radice di invenzioni profonde sul piano antropologico, acquistando un particolare valore alla luce dell’immagine diversa dell’uomo che ha fornito. Roma città aperta di Rossellini (1945) ha un tale successo che sulla rivista Life viene scritto: “La maggior parte degli spettatori ha ritrovato parte di quella nobiltà che l’Italia aveva perduto sotto Mussolini”. È facile capire, alla luce di quanto letto, che gli eroi di Rossellini hanno riabilitato gli italiani presso l’opinione pubblica americana e mondiale (fino a quel momento diffidente verso il popolo che aveva tollerato e appoggiato oltre vent’anni di regime fascista) ben più di quanto abbiano fatto i governi alla guida della nostra nazione subito dopo il conflitto bellico. 13
Giovanni Scolari A questo punto dal taccuino di qualsiasi analista emergeranno una serie di ipotesi che dovranno poi essere corroborate dal confronto con il materiale raccolto in precedenza. A volte questa documentazione aiuterà a tracciare meglio la mappa dei problemi emersi dalla visione, ma non sarà sufficiente in quanto servono altri dati per supportare le teorie, le ipotesi fornite dai film. La qualità e la quantità dei dati raccolti sarà direttamente proporzionale alla validità scientifica della ricerca. Diverse sono le possibili direzioni dello studio effettuato. Tra le direttrici principali vi sono, senza dubbio, la storia politica (film di propaganda e ideologici), la business history (la macchina economico- industriale, i modi di sfruttamento), la storia sociale (comportamenti, orientamenti, inquietudini e mode di una comunità). In primo luogo bisogna trovare raffronti con la vita quotidiana così come ci è stata trasmessa dalle fonti documentali e vedere come la vita è influenzata dagli accadimenti. Il film deve essere visionato con un’attenzione assoluta, individuando ogni elemento, anche il meno importante. Si ricostruisce la genesi del film, il contesto storico e sociale in cui la lavorazione è andata avanti. Successivamente, si dovrebbe cercare di individuare i diversi elementi storici del film e collegarli tra loro. Le informazioni ricavate dalla visione - singola o comparata con altre opere – deve essere sottoposta ad un ulteriore approfondimento confortato da dati documentali. In ultima istanza vedere come il film ha interagito con la società circostante diventando di volta in volta fenomeno di costume, momento di aggregazione, intrattenimento, propaganda di regime o ideologica ecc. Tale lavoro viene svolto utilizzando le critiche, gli incassi, la discussione giornalistica e politica, l’influenza sulle mode e sull’immaginario che la pellicola ha creato. Tutto ciò va fatto in costante raffronto con la ricostruzione cronologica degli avvenimenti. Ogni informazione raccolta deve trovare conferma in altre fonti storiche cartacee ed essere legato agli avvenimenti narrati o rappresentati. Il rischio è di cadere nell’interpretazione arbitraria dello spirito del film ed elaborando teorie basate su giochi di parole e slittamenti di significati. 14
Guardare cinema vedere storia L’ITALIA DEL MIRACOLO ECONOMICO VISTA DA FELLINI: 1950-1960 “L'unico e vero realista è l'artista visionario e creativo che meglio riesce a mostrare se stesso attraverso la propria arte” F. Fellini Federico Fellini nasce a Rimini nel 1920. Trasferitosi a Roma giovanissimo, inizia a collaborare con alcune riviste umoristiche. Il suo successo gli permette di fare una veloce carriera nel mondo dello spettacolo, collaborando a spettacoli teatrali e scrivendo per la radio. Infine, il balzo nel cinema come sceneggiatore e poi, a partire dal 1950, come regista. Durante la sua carriera ha ottenuto numerosissimi premi in tutti i principali festival che lo hanno incoronato come uno dei più grandi registi della storia del cinema. La sua scomparsa risale al 1993, pochi mesi dopo aver ricevuto l’Oscar alla carriera, il quinto della sua vita. Dopo questi brevi tratti biografici proviamo a spiegare il motivo della scelta, anche se dalle parole in calce all’inizio del capitolo, vi è già contenuta una chiara traccia. Per chi è a digiuno di cinema gli anni ’50 sono stati certamente il periodo più fecondo della nostra produzione che annoverava registi considerati tra i maestri della settima arte. Questi autori, in particolare Rossellini e De Sica, parrebbero avere le carte in regola per rappresentare meglio la realtà di quegli anni. Eppure Fellini, che ha scelto un registro via via più surreale ed onirico, è un perfetto esempio di come il cinema diventa strumento storico nelle mani di un autore capace di rappresentare non solo il visibile, ma anche il non detto di una società e cioè gli umori, le inquietudini, i cambiamenti sotterranei dell’Italia che passa da una società rurale prebellica ad una cultura industriale sempre più edonistica e consumistica. Infine Fellini si differenzia dagli altri autori per la sua atipicità in quanto egli, pur in mezzo a cambiamenti epocali, non sposa mai completamente una posizione. E non lo fa perché ignori quanto accade o per ignavia, ma perché libero da retaggi ideologici o filosofici che l’avrebbero fatto scivolare nel contingente invece di essere un geniale inventore di immagini e di sentimenti. Infatti, il suo cinema mostrato tutto quello che è presente nella società senza porsi in posizione critica verso qualcosa o qualcuno ma limitandosi ad indugiare sugli uomini e sulle idee e lasciando che essi evidenzino con il loro pratico operare pregi e difetti 15
Giovanni Scolari delle loro convinzioni. Tutto ciò permette allo spettatore e allo studioso un quadro generale che va ben al di là della semplice visione, consentendogli di agire liberamente all’interno di un complesso quadro storico. La sua autonomia assoluta lo mette inevitabilmente al centro delle posizioni critiche emerse nel periodo. Lo studio delle recensioni, provenienti dai due lati dello schieramento politico, è infatti utile al fine di tracciare un esauriente quadro della cultura nel quindicennio analizzato. Lo è ancora di più esaminando le critiche mosse al regista romagnolo che, non essendo definibile per nessuno, diventa attaccabile a seconda dei problemi che i suoi films sollevano o della visuale da cui ha osservato il fenomeno al centro della sua indagine. Così Fellini viene definito, nel giro di pochi anni, nostalgico, cattolico, comunista, realista, barocco, letterario ecc. Da una parte gli viene rimproverato di invitare al male gli spettatori, dall'altra non gli si perdona di non aver aderito al neorealismo. Insomma tutto e il contrario di tutto. L’apprendistato cinematografico di Fellini si svolge nel caotico dopoguerra italiano, attraverso la collaborazione con molti registi italiani, ma in particolare grazie al sodalizio con Roberto Rossellini con cui collaborerà alla stesura della sceneggiatura di diversi film, tra cui Roma città aperta e Paisà. L’esigenza di passare dietro la macchina da presa emerge però rapidamente portandolo all’esordio nel film Luci del varietà, firmato a quattro mani con Alberto Lattuada. 16
Guardare cinema vedere storia LUCI DEL VARIETÀ 1950 La compagnia di avanspettacolo "Polvere di stelle" è in treno dopo un insuccesso rimediato. Liliana Antonelli, una giovane scappata di casa, si presenta al capocomico Checco Dalmonte che cerca subito di approfittare di lei, ricevendone in cambio solo uno schiaffo. Liliana riesce comunque ad entrare nella compagnia. Durante uno spettacolo le cade la gonna suscitando l'entusiasmo del pubblico. Il clamoroso successo la promuove al rango di soubrette. Checco si innamora perdutamente di lei al punto da lasciare la sua compagna, la trasformista Melina Amour. Liliana, però, lo usa per accalappiare un impresario della capitale che la farà entrare in un importante spettacolo. Checco, distrutto,, viene cacciato dalla pensione in cui vive e, senza soldi, ritorna nella vecchia compagnia e da Melina ancora innamorata di lui. Sul treno che li riporta negli scalcinati teatri del Lazio, nota una bella ragazza e inizia a farle la corte. L’esordio di Fellini come regista è relativamente tale. L'iniziativa parte da Lattuada che non dirige più film per l'opposizione dei produttori ai suoi progetti. Lattuada intraprende così la strada della produzione, forte della presenza di sua moglie Carla Del Poggio - a quei tempi attrice ricercata - e di Peppino De Filippo. In questa operazione coinvolge Fellini convincendolo al salto nella regia. La scelta del soggetto cade sull'avanspettacolo, una decisione influenzata da Fellini e dal suo cosceneggiatore Pinelli. In quel mondo l'autore romagnolo era entrato nel 1939 quando, per la rivista Cinemagazzino, aveva realizzato una serie di interviste. Tra gli intervistati figurava Aldo Fabrizi che lo assunse poco dopo per scrivergli i testi di alcuni sketch. Fellini era già famoso per le rubriche che teneva al Marc'Aurelio, un noto settimanale satirico, determinante per la nascita di una scuola di sceneggiatori importante per il cinema italiano. L'amicizia con Fabrizi gli apre le porte dell'avanspettacolo permettendogli di conoscere personaggi e luoghi riproposti in Luci del varietà. Il realismo delle situazioni narrate viene riconosciuto dalle recensioni della stampa specializzata. Nella critica di Bianco e nero, rivista del Centro Sperimentale di Cinematografia, si dice: "Luci del varietà riesce ad ottenere ciò che Lattuada non ottenne mai finora: l'interpretazione veritiera e sensibile di un piccolo mondo". Su Cinema, dove è forte l'influenza di Guido Aristarco e della critica di sinistra, si attribuisce gran merito del realismo dei personaggi a Fellini. Anche Aldo Palazzeschi pone l'accento sulla verosimiglianza della ricostruzione del mondo del varietà, 17
Giovanni Scolari affermando che "il regista (considera Fellini un coadiuvatore) prende a braccio lo spettatore e gli mostra quel mondo non preoccupandosi di farglielo vedere né meglio né peggio di quello che è." Nonostante questo, il film non ha successo. La lobbie dei produttori esercita pressioni affinché il comitato tecnico per la cinematografia (ente previsto dalla legge sul cinema del 1949) neghi ai due registi il premio dell'8% riservato alle imprese di particolare valore artistico. Ponti mette subito in cantiere un film sullo stesso argomento. Vita da cani esce alcuni mesi prima di Luci del varietà influenzandone, in modo negativo, l'andamento commerciale già gravato da grosse difficoltà distributive. Luci del varietà è, negli incassi stagionali, solo 65esimo con 118 milioni, lasciando dietro di sé solo debiti. L'ingloriosa conclusione economica di questo film non deve far dimenticare la sua importanza che sta, come sottolineato dalle recensioni, nella ricostruzione di un universo scomparso, importante sia per l'immaginario collettivo del "maschio italiano" sia per i gusti del pubblico del dopoguerra. La compagnia Polvere di stelle è lo specchio fedele della realtà delle piccole compagnie che sopravvivevano con stentate tournée in provincia o esibendosi nei peggiori locali delle città. Se per le grandi stelle della rivista, infatti, il successo era garantito, le compagnie minori dovevano adattarsi. Nelle località più popolose facevano 30/45 minuti di avanspettacolo che si trasformava in uno stiracchiato show di 1 ora e mezza negli abitati più piccoli. Il cast di queste compagnie era sempre alquanto raffazzonato, messo insieme casualmente. La "Polvere di stelle" può essere considerata come archetipo dell'organizzazione di quegli spettacoli. Ogni artista faceva più di una cosa. Le bellissime girls, annunciate in cartellone, erano per lo più reclutate tra giovani disoccupate, quando non erano le sorelle o le amiche di qualcuno della compagnia o ragazze che, come la Liliana del film, avevano solo l’aspetto fisico come talento. Occorre poi dire che la considerazione popolare le poneva allo stesso livello delle prostitute, poiché molte di loro integravano i magri guadagni col fare la entreneuse. Queste ragazze, poi, erano tutt'altro che attraenti. Fellini e Rinaldo Geleng, suo amico, le chiamavano le "strappone" in quanto "si perdevano i grassi da tanto che erano ciccione". Lo sceneggiatore Bernardino Zapponi le rammentava perché non erano capaci di ballare, ma "in compenso" cantavano molto male. Tuttavia, in una società che aveva patito il soffocante moralismo del regime fascista, l'apparizione di una gamba nuda costituiva un evento straordinario. Il che spiega la reazione del pubblico all'improvviso 18
Guardare cinema vedere storia incidente che fa cadere la gonna a Liliana. L'universo maschile entra in fibrillazione e decreta il successo dello spettacolo fino a quel momento oggetto di fischi e insulti. Le cose non miglioravano molto nelle compagnie di medio livello. Nella rivista che si esibisce a Rimini, all'interno de I Vitelloni, i boys della soubrette sono ben lontani dagli aitanti e muscolosi atleti che si esibiscono oggi. I due si distinguono perché uno è calvo mentre l'altro è terribilmente strabico. Se le ballerine stimolavano la fantasia erotica dello spettatore che non badava troppo alle scarse doti artistiche delle ragazze, gli altri numeri erano spesso oggetto di insulti da parte della platea, che non perdeva mai occasione per far sentire la propria voce. Nel film sono mostrate esibizioni paradossali come quella del finto fachiro indiano e ventriloquo Edison Will. Oppure quella della trasformista Melina che, dopo essere stata sbeffeggiata durante tutto il suo numero, induce alla commozione gli spettatori quando imita Garibaldi con tanto di inno italiano. Il personaggio principale della rivista era, però, il comico, in questo caso Checco, modello assemblato sulle caratteristiche di diversi protagonisti del varietà di quegli anni, come confessa Geleng. Resta ancora da tracciare il ritratto della protagonista femminile: Liliana. Questa donna, una vera e propria arrampicatrice sociale, appare per la prima volta durante un’esibizione della "Polvere di stelle". In mano tiene Bolero, uno dei fotoromanzi più venduti. Del suo passato si sa poco ed il suo unico credito è aver vinto una maratona di ballo. I suoi desideri accomunano a questa figura la vicenda delle molte ragazze sbandate protagoniste di numerose pellicole nel dopoguerra. Liliana è, infatti, più fortunata del personaggio da lei stessa interpretato in Senza pietà 1947, di Lattuada. Anche lei è uscita dalla guerra segnata, desiderosa di coronare i propri sogni, ma incapace di comprendere la realtà. Liliana, però, non si fa travolgere nel tentativo di dimenticare il proprio passato. Usa la bellezza per raggiungere il proprio scopo: il successo e la ricchezza. Tuttavia l'ultima sua apparizione è speculare al suo ingresso nel film quanto a "cultura". Mentre si sta recando a Milano, dove parteciperà ad un’importante rivista, porta con sé ancora dei fotoromanzi, dimostrazione evidente dell’incapacità di uscire dal suo ristretto orizzonte. Questi personaggi vengono inghiottiti dalla crisi dell'avanspettacolo. Pochi di loro sapranno adeguarsi e sopravvivere alla "civiltà" che avanza. Gli uomini come Checco scompaiono tristi e miserabili, abbandonano il palcoscenico e i sogni per tornare alla vita comune di tutti i giorni. La scomparsa di questa forma di spettacolo può sembrare in sé poco importante. Tuttavia l'esame al microscopio di questo mondo ci permette di 19
Giovanni Scolari comprendere parte dell'evoluzione dell'identità culturale dell'Italia del dopoguerra. Per arrivare a questa definizione è però necessario tracciare un quadro della situazione economica della nostra penisola al momento della realizzazione del film (1950), aiutati in questo dalle vicende narrate in Luci del varietà. La situazione è ancora difficile. I passi compiuti da De Gasperi per avvicinare l'Italia alle potenze occidentali creano una lacerante contrapposizione nella società civile, aggravata dall'intervento statunitense in Corea del Sud. Nei primi mesi del 1950 l'atmosfera si fa sempre più tesa. Il 9 gennaio la polizia apre il fuoco a Modena durante una manifestazione operaia causando sei vittime. La reazione dell'opinione pubblica contribuisce alla decisione di De Gasperi di dare il via alla riforma agraria e ad alcune misure compensative per il Mezzogiorno, attardato sul piano economico, allo scopo di alleggerire le forti tensioni sociali. Tali fatti, naturalmente, non traspaiono all'interno della pellicola. Ad una superficiale osservazione questi guitti sembrano non accorgersi di quello che accade al di fuori del loro mondo. È piuttosto il loro modo di vivere, la loro mentalità, i mezzucci usati per sopravvivere che fanno cogliere il "clima" economico-sociale che fa da contorno alle loro vicende personali. In qualche modo si potrebbe dire che essi "esistono" come personaggi proprio in quanto lo sfondo li "legittima" ad essere tali. Dunque, al contrario di quanto appare, essi "sono" nel mondo e ne sono un aspetto tutt'altro che irrilevante. E quando scompaiono dai film è perché in effetti il mondo ha virato, ha intrapreso un'altra strada nella quale essi non hanno più non solo una legittimazione ad esistere, ma neppure vengono "tollerati" come fantasia o immaginazione. In una parola entrano nell'inerte passato. All'inizio del film viene mostrato il cartellone dello spettacolo dove si può leggere il costo del biglietto. Nel paesino laziale una serata con avanspettacolo e film western costa 110 lire per una poltrona e 75 per un posto tra i distinti. Nel ‘50 il prezzo d'ingresso medio in Italia per uno spettacolo di rivista era di 529 lire, per uno di varietà 148, di un film 346. Un altro dato si riferisce alla sola Italia centrale dove teatro e rivista costavano rispettivamente 297 e 142 lire. Appare dunque evidente che le zone battute dalla compagnia teatrale erano particolarmente depresse. La povertà risulta maggiormente visibile quando a Sutri, centro in provincia di Viterbo di circa duemila abitanti, i guitti vengono ospitati da un avvocato che si intuisce esser parte della "ricca borghesia" del paese, o almeno di quella che sembrerebbe essere tale. L'avvocato, infatti, segue la rivista da un palco in compagnia di un dottore e di un presunto duca. Ma più che all'arte, i tre sembrano interessati solo alle "stelle" della serata, per cui snobbano le ballerine di fila che se ne 20
Guardare cinema vedere storia vanno con i giovanotti del paese. La casa del leguleio è significativa del livello economico di questa borghesia di paese e di un certo tessuto economico locale che poi riflette gran parte della provincia italiana d'allora. Essa è posta in "alto", su di una collina, anche se poi per arrivarci non esiste una strada asfaltata. Lo stesso avvocato deve recarvisi a piedi poiché, probabilmente, non dispone di propria autovettura. L'interno della casa è spoglio, disadorno. La cucina è una grande stanza con spesse mura e grandi credenze nere; dal soffitto pendono pomodori, salami in modo del tutto somigliante alle case contadine mostrate ne Il Bidone. La dovizia di cibo presente nella cucina dell'avvocato esercita sui guitti un richiamo irresistibile: che contrasto con i magri pasti consumati sui treni o nelle osterie! Un piatto di pasta e un gustoso vino sono i mezzi di cui si serve il legale per tacitare le coscienze dei commedianti mentre cerca di concupire Liliana. La fame non era d'altro canto fatta solo dagli artisti. Nel 1950 il consumo annuo pro capite degli italiani è di 165,5 Kg di frumento contro i 180 del decennio 1921-31; 6,9 Kg di carne bovina, l'ammontare più basso mai registrato tra il 1916 e il 1939; 79,8 litri di vino, una quantità risibile rispetto al passato. A ciò bisogna aggiungere che 4,5 milioni di famiglie non mangiavano mai carne e tre milioni la consumavano una volta alla settimana. Esaminando le condizioni abitative si scoprirà che: il 24% delle case è sprovvisto di cucina; il 48% di acqua corrente; il 73% del bagno; il 93% di telefono. Non sono dati che debbono sorprendere in quanto nel 1951 ancora il 3% delle famiglie, circa 870.000, viveva in abitazioni improprie (cantine, soffitte, baracche, grotte), mentre il 21% abitava in appartamenti sovraffollati (più di due persone per stanza). Nonostante questo l'Italia, o meglio una parte di essa, si stava avviando verso il risanamento. Nel 1950 la bilancia commerciale presenta, per la prima volta dopo la guerra, un saldo positivo. L’economia è influenzata dall'agricoltura che nel ‘51 contribuisce per il 20% al prodotto interno lordo e con il 44% all’occupazione. Le regioni più industrializzate sono Piemonte, Lombardia e Liguria. Le altre vengono considerate scarsamente industrializzate; in Puglia, Campania, Basilicata, Abruzzo e Molise, Calabria e Sicilia, gli occupati nell'industria scendevano al di sotto del 5%! Proprio le regioni settentrionali beneficiano della politica di sviluppo infrastrutturale, intrapresa dal governo, che porterà poi all’intensa emigrazione dei decenni successivi. Infine, Roma riafferma la sua presa sull'immaginario collettivo grazie all’azione del Papa che con l'anno santo del 1950 ridà slancio alla sua immagine nel mondo. Anche il cinema e Cinecittà riprendono vigore, incoraggiando sogni proibiti e speranze di 21
Giovanni Scolari successo illusorie che trovano sfogo nell’enorme diffusione dei fotoromanzi. Le vicende cinematografiche di Fellini si intersecano ancora con i miti degli italiani in una nuova pellicola, la prima diretta da solo, Lo sceicco bianco. Il risultato di quanto detto è che l'avanspettacolo beneficia, come tutta la società italiana, di un'improvvisa e inaspettata libertà che si trasforma rapidamente in una stagione eccezionale di licenziosità e di turpiloquio. Maestro delle cerimonie è l'inventore dell'Uomo Qualunque Guglielmo Giannini che dai giornali chiama "ederasti" i repubblicani e "Andreottino Culicide" il sottosegretario alla Presidenza del consiglio. Dopo il 1948 si assiste alla controffensiva dei cattolici grazie alla ritrovata efficienza della censura. Non a caso il Centro Cattolico Cinematografico boccia Luci del varietà sconsigliandone la visione a tutti. È da notare come il C.C.C. ponga molto l'accento sul concubinaggio di Checco. Era uscito proprio nel 1950 il libro di Luigi Renato Sansone Fuorilegge del matrimonio, una raccolta di lettere che aveva aperto una discussione sul divorzio. Questo e altri avvenimenti inaspriscono la sessuofobia del clero che inizia una martellante campagna moralizzatrice che porta ad un’autocensura da parte di produttori e registi, incalzati dalla strisciante azione dei sottosegretari che si succedevano alla delega per il cinema (Ermini, Scalfaro, Brusasca, Resta) fedeli alla linea di condotta tracciata da Andreotti. Le preoccupazioni della vita quotidiana si aggiungevano ad altri fattori, come la belligeranza tra le due Coree e la guerra fredda, che spingevano il pubblico ad esorcizzare la paura di un nuovo conflitto rivolgendosi verso fotoromanzi e film di minore impegno. Queste due tendenze venivano riassunte dai film di Raffaello Matarazzo con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson. È in quel periodo che i due raggiungono il massimo successo, Catene trionfa ai botteghini insieme a Totò. A fare da doloroso contrappunto è il fallimento di due tra le opere più importanti del dopoguerra: Miracolo a e Bellissima di Visconti. Ritorniamo all'avanspettacolo e cerchiamo di comprendere i motivi che hanno portato alla sua scomparsa nel giro di pochi anni. Dagli annuari SIAE risulta che il cinema è passato dai 661.549 biglietti del 1950 ai 744.781 del 1960; nello stesso periodo le attività teatrali s’abbassano da 20.979.311 a 10.574.581. Il calo delle presenze è del 50%, ma nel caso della rivista la perdita è del 70%. L'avanspettacolo era spesso anche l'introduzione al film; è difficile quindi sapere quanti spettatori avesse. È però un dato che funge da segnale della crisi. Certamente questo tipo di manifestazione ha risentito della nuova cappa moralista e dall'avvento della televisione, ma anche dei mutamenti di gusto degli italiani, usciti 22
Guardare cinema vedere storia dall'isolamento culturale grazie al cinema americano e ai nuovi mezzi di comunicazione. L'ideale femminile non era più la ballerina di fila, ma Silvana Mangano o la diva di Hollywood, un mondo che si stava trasferendo sul Tevere. 23
Giovanni Scolari LO SCEICCO BIANCO 1952 Ivan Cavalli e Wanda giungono a Roma in viaggio di nozze. Devono partecipare all'udienza papale con uno zio di Ivan, dirigente al Vaticano, che dovrebbe aiutarlo ad ottenere il posto di segretario comunale. Wanda, lettrice di fotoromanzi, vuole invece conoscere l'eroe dei suoi sogni: lo Sceicco Bianco, protagonista della rivista Incanto Blu. Appena il marito si appisola, Wanda si reca alla redazione del periodico dove viene invitata a Fregene per seguire la lavorazione del fotoromanzo. Lì conosce lo Sceicco che in realtà si chiama Fernando Rivoli. Nel frattempo Ivan ha scoperto la scomparsa della donna e la sta cercando. Wanda, dopo aver partecipato ad alcune scene come attrice, viene portata al largo da Nando. Lo Sceicco cerca di approfittare di lei raggirandola ma un colpo di vento muove la vela che colpisce al capo Fernando, stordendolo. Al ritorno i due sono attesi dal regista, imbestialito, e dalla moglie di Fernando, un'orribile megera. Wanda fugge per non essere picchiata dalla donna, ma viene abbandonata dalla troupe. Ancora vestita del costume di scena, riesce a rientrare a Roma. Disperata tenta di suicidarsi buttandosi nel Tevere, ma viene salvata dalla polizia. Ivan, dopo essersi barcamenato per scusare l'assenza della moglie, si è gettato alla sua ricerca infruttuosamente. Sconsolato pensa di rivolgersi alla Polizia, ma la paura dello scandalo lo fa desistere. A questo punto si eclissa con una prostituta. La mattina successiva, Ivan decide di confessare tutto allo zio. Un attimo prima di questo giunge una telefonata che lo avverte del ricovero di Wanda a seguito del tentativo di suicidio. Dopo aver eluso ancora le domande dei parenti, recupera la moglie e la porta in fretta e furia all’udienza papale dove la famiglia dello zio li attende. In piazza San Pietro, Wanda riesce a giustificarsi e gli sposi si incamminano verso la Basilica. L'insuccesso della prima regia non ha scoraggiato Fellini che percepisce di aver trovato la strada per realizzarsi. L'occasione gli giunge da un soggetto che Michelangelo Antonioni aveva scritto nel ‘49 dopo aver girato il documentario L'amorosa menzogna, analisi dell’enorme successo dei fotoromanzi. Interessato dal fenomeno che assomigliava, sotto molti aspetti, ai suoi amati fumetti, Fellini comincia a lavorare con Pinelli alla sceneggiatura a cui collaborerà anche Ennio Flaiano. Il sodalizio con Flaiano rappresenta l’anello di congiunzione con gli intellettuali di via Veneto dove lo scrittore era venerato come un maestro e sarà di enorme importanza per i film successivi. 24
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