Università della Terza Età Cinisello Balsamo Storia dell'Arte Contemporanea a.a. 2020 2021 - Dott.ssa Francesca Andrea Mercanti
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Università della Terza Età Cinisello Balsamo Storia dell’Arte Contemporanea a.a. 2020 – 2021 Dott.ssa Francesca Andrea Mercanti
Considerato, insieme a Paul Delvaux il maggiore pittore del surrealismo in Belgio, Magritte dopo iniziali vicinanze al cubismo e al futurismo, s'incentrò su una tecnica raffigurativa accuratissima basata sul trompe l'oeil, alla pari di Salvador Dalí e di Delvaux, ma senza il ricorso alla simbologia di tipo paranoide del primo o di tipo erotico-anticheggiante del secondo. Ma René Magritte, detto anche le saboteur tranquille per la sua capacità di insinuare dubbi sul reale attraverso la rappresentazione del reale stesso, non avvicina il reale per interpretarlo, né per ritrarlo, ma per mostrarne il mistero indefinibile. Intenzione del suo lavoro è alludere al tutto come mistero e non definirlo.
Salvador Dalì, Ragazza alla finestra, 1925, Salvador Dalì, Senza titolo. Porta con olio su cartone, Madrid, Museo Nacional Trompe-l'oeil, 1972, olio su tela, Pubol, Centro de Arte Reina Sofía Castello Gala Dalì
Paul Delvaux, Il tempio, 1949, olio su tela, collezione privata Paul Delvaux, Il chiostro, 1957, olio su tela, Bologna, Galleria d’Arte Maggiore
Nato a Lessines in Belgio nel 1898, René Magritte è figlio di Léopold Magritte un René Magritte in una fotografia sarto e mercante. La natura del lavoro del del tedesco Lothar Wolleh padre costringe l’artista a trasferirsi più volte in gioventù: nel 1910, all'età di 12 anni, si trasferirono a Châtelet. Qui, a tredici anni Magritte vive uno shock che lo accompagnerà per tutta l'esistenza: vede recuperare dal fiume Sambre il cadavere della madre, morta suicida. Secondo una versione ricorrente, di cui non è chiara la veridicità, venne ritrovata annegata con la testa avvolta dalla camicia da notte; questo fatto sarebbe rimasto particolarmente impresso in alcuni suoi dipinti come L'histoire centrale, Les amants e Le fantasticherie del passeggiatore solitario.
Le fantasticherie del viaggiatore solitario, 1926, olio su tela, collezione priata Sullo sfondo di un paesaggio dominato da pesanti e minacciose nubi stanno due figure: un uomo con la bombetta visto di spalle e un cadavere di donna rigido, secco, calvo, simile ad un osso di seppia. Il fiume rappresentato è senza dubbio il Sambre, dove la donna si era suicidata. Il personaggio maschile è colto nell’atto di voltare le spalle al dolore, nel vano tentativo di rimuovere il dramma che lo ha segnato. Tuttavia, accanto a questa interpretazione di natura biografica ci può essere un’altra: l’uomo è un assassino che volge le spalle alla sua vittima e nasconde l’arma del delitto tra le pieghe del cappotto nero.
L’assassino minacciato, 1926, olio su tela, collezione privata L’immagine della morte violenta torna in un altro dipinto, eseguito nello stesso anno. Qui la scena si svolge in un interno privo di mobilio. Si possono scorgere solo una sedia, un letto e un tavolino sul quale è poggiato un grammofono. Nella stanza attigua, due uomini elegantemente abbigliati ed armati di clava e rete scrutano ciò che è appena accaduto e aspettano il momento opportuno per agire. L’assassino non si accorge della loro presenza, intento forse ad ascoltare la musica che inonda l’ambiente e che fa quasi da colonna sonora, come nel fotogramma di un film noir. Ritorna il corpo di donna disteso, il panno bianco attorno al collo, il rivolo di sangue che esce dalla bocca.
Storia centrale, 1927, olio su tela, collezione privata Realizzata quando Magritte non ha ancora trent’anni, l’opera rappresenta un diretto richiamo al vissuto dell’artista: ciò che viene mostrato, impaginato paratticamente nella successione di oggetti comuni, è la precoce morte della madre, trovata annegata quando l’artista ha solo tredici anni. La figura ha il volto coperto da un lenzuolo (come pare fosse quello della madre al momento del ritrovamento) e si porta una mano alla gola, come nel tentativo di togliersi l’aria. I due oggetti rappresentano più i pensieri dell’artista che la realtà che ha di fronte: la valigia allude alla partenza e all’allontanamento mentre la tuba ricorda i lineamenti del corpo femminile: il suo essere fredda e statica la collega direttamente con l’immagine del corpo annegato della madre.
Gli amanti I, 1927- 1928, olio su tela, Canberra, National Gallery of Australia Nell’opera, un uomo e una donna si stringono insieme in un gesto affettuoso, quasi come se si stesse facendo fotografare. Potrebbe essere un'istantanea della vacanza, con scorci del verde della costa della Normandia e del mare oltre. Ma attraverso il semplice espediente dei sudari che coprono la testa degli innamorati, si tirano indietro contro i loro volti e si arricciano come corde sulle loro spalle, l'intimità spontanea di questa 'istantanea di vacanza' diventa uno spettro di alienazione, soffocamento, persino morte.
Gli amanti II, 1928, olio su tela, New York, collezione Richard S, MoMA Le figure si baciano attraverso i veli. Si trovano in una stanza con la parete di fondo, la parete laterale e il soffitto a vista. La figura maschile indossa un abito nero e cravatta con una camicia bianca. Abbraccia una donna vestita di un abito rosso senza maniche con rifiniture bianche. L'uomo è in una posizione dominante rispetto alla donna: lei inclina la testa verso l'alto mentre lui si china per baciarla. Entrambe le figure hanno un velo biancastro che copre completamente il viso e il collo. Magritte ha presentato due figure con i volti coperti da un panno bianco, chiuse in un contesto ambiguo, e incapaci di comunicare o toccarsi veramente, probabilmente siamo di fronte a un bacio d'amore negato . La stoffa mortale tiene per sempre separate le due figure e come tali crea un'atmosfera di mistero che celebra questa immagine.
Con il padre e i due fratelli si trasferisce nuovamente questa volta a Charleroi, per allontanare il dolore della tragedia. Dopo gli studi classici, René volge i suoi interessi alla pittura. Nel 1916 si iscrive all'Accademia di belle arti di Bruxelles, città dove la famiglia si trasferisce nel 1918. Segue i corsi di Van Damme, Ghisbert, Combaz e Montald e incontra il pittore Victor Servranckx. Nel 1922 si sposa con Georgette Berger, che aveva conosciuto nel 1913, quando aveva quindici anni. Nel 1923 comincia a lavorare come grafico, principalmente nel design di carta da parati. I suoi inizi di pittore si muovono nell'ambito delle avanguardie del Novecento, assimilando influenze dal cubismo e dal futurismo. Secondo quanto affermato da lui stesso, la svolta surrealista avviene con la scoperta dell'opera di Giorgio de Chirico, in particolare dalla visione del quadro Canto d'amore. Mosso dall’intento a dipingere semplicemente ciò che vede, Magritte si portò sempre più verso la sperimentazione, e nel 1925 aderì al gruppo surrealista di Bruxelles, composto da Camille Goemans, Marcel Lecomte e Paul Nougé, e dipinse il suo primo quadro surrealista, Le Jockey perdu (Il fantino perduto), mentre lavora a diversi disegni pubblicitari. Magritte si cimenta nell'impiego tipico delle accademie, accorgendosi però che quello che dipinge non è la realtà bensì ne sta creando una nuova, come avviene nei sogni; cerca così di creare qualcosa più reale della stessa realtà.
Ritratto di Pierre Bourgeois, 1920, olio su Nudo, 1919, olio su tela, Bruxelles, Galerie tela, Bruxelles, Communauté francaise de Isy Brachot Belgique, donazione Bourgeois
Georgette al pianoforte, 1923, olio su Autoritratto, 1923, olio su tela, tela, Bruxelles, Galerie Isy Brachot collezione privata
La Bagnante, 1925, olio su tela, Charleroi, Museo Comunale delle Belle Arti
Giorgio de Chirico, Canto d’amore, 1914, olio su tela, New York, MoMa Nell’opera compaiono, sul fianco di un edificio, un calco della testa dell'Apollo del Belvedere, un gigantesco guanto in lattice da chirurgo e una palla. Profondamente colpito dal dipinto, Magritte lo descrive come un'opera ”che rappresentava un taglio netto con le abitudini mentali di artisti prigionieri del talento, dei virtuosi e di tutti i piccoli estetismi consolidati: un nuovo modo di vedere."
Il fantino perduto, 1926, olio su tela, New York, Collezione privata Considerata come la prima opera di Magritte che lo stesso autore considerò pienamente surrealista, nella versione iniziale l’artista utilizzò una tecnica diversa (collage di acquarello, china e matita). La scena è incorniciata da due tende come un sipario, al centro c’è il disegno di un fantino in corsa, il ricamo geometrico del terreno fatto di linee sottili arriva fino al cielo che sfuma dal bianco al blu. Gli alberi ai lati richiamano i pezzi della scacchiera su cui sono disegnati note di spartiti musicali. Gli scacchi, più e meglio di qualsiasi altro gioco, rappresentano l’anima del surrealismo, non è un caso che nel 1934 André Breton, leader del movimento surrealista e amico di Magritte, riunì tutti i surrealisti nella sua Scacchiera surrealista.
Andrè Breton, Scacchiera surrealista, 1934, tecnica mista Nell’opera le caselle di una normale scacchiera da gioco sono sostituite con le fototessere degli amici surrealisti: Vi sono rappresentati, dall'alto verso il basso e da sinistra verso destra: André Breton, Max Ernst, Savador Dalì, Hans Arp, Yves Tanguy, René Char, René Crevel, Paul Éluard, Giorgio De Chirico, Alberto Giacometti, Tristan Tzara, Pablo Picasso, René Magritte, Victor Brauner, Benjamin Péret, Gui Rosey, Joan Miró, E.L.T. Mesens, Georges Hugnet e Man Ray. La scacchiera mette insieme chi surrealista lo è stato da subito, chi fu espulso dopo il primo anno, come Dalì, e chi non ha mai aderito formalmente, come Giorgio De Chirico.
La grande notizia, 1926, olio su tela, Collezione privata In primo piano, una sorta di scomparto contenente lo scheletro di un uccello, proveniente da chissà quale camera delle meraviglie. Ad ali spiegate, lo scheletro dimostra un'inquietante vitalità che, mescolata ai toni cupi dello sfondo, aggiunge un che di drammatico alla scena che si svolge in secondo piano, parzialmente rivelata da una tenda scostata: nell'intimità di una camera da letto, un manichino vestito da cameriere sveglia il dormiente, probabilmente per trasmettergli una notizia che non può attendere la luce del giorno. I dettagli sono troppo esigui per poter dare un’interpretazione, ma alcuni particolari ( lo scheletro, i toni cupi, l'agitazione dei personaggi ) inducono a pensare al peggio.
La grande traversata difficile, 1926, olio su tela, Collezione privata Nell’opera, il bastone bianco in mezzo alla scena (necessario per il gioco del bilboquet) ha assunto un occhio che tiene spalancato su una scena drammatica, per quanto palesemente fittizia. Al centro di una stanza arredata da una tenda scostata e alcuni scenari teatrali, l'alieno si fa palese figura dello spettatore che guarda, a distanza protetta e consapevole della finzione, un film d'avventura o il sipario di una tragedia. In un primo piano, a fianco dell'automa, un tavolo con tre gambe normali e una umana regge il calco in gesso di una mano, da cui spunta una colomba color rosso scuro.
Il matrimonio di mezzanotte, 1926, olio su tela, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts L’opera sembra svolgersi nel castello della Bella addormentata, un luogo ordinato trasformato in prigione da una cortina disordinata e impenetrabile fatta di alberi capovolti. Come molti dei successivi uomini con la bombetta, il principe ci volge le spalle, sprofondando lo sguardo nel mistero; la principessa, invece, guarda verso di noi, ma il suo sguardo è assente e il suo volto ha perso improvvisamente qualsiasi attributo umano. Il tema sembra essere quello del matrimonio come fusione di due mondi inconciliabili, eppure in grado di raggiungere una misteriosa, inspiegabile unità: ma, come accade sempre in Magritte, più che un tema esiste un'immagine inquietante impossibile da tradurre ( e spiegare ) con altri linguaggi.
Nel 1926 prende contatto con André Breton, leader del movimento surrealista, che lo colpì al punto di affermare "I miei occhi hanno visto il pensiero per la prima volta", e l'anno successivo si tiene la sua prima mostra personale, presso la galleria Le Centaure di Bruxelles, nella quale Magritte espone ben sessanta opere; successivamente si trasferisce con la moglie a Perreux-sur-Marne, nei pressi di Parigi nel 1927. Nel 1930, dopo l'esperienza parigina, Magritte decide di tornare a Bruxelles insieme con Georgette. I due si trasferiscono al 135 della rue Esseghem di Jette (nel nord di Bruxelles), in cui Magritte ha vissuto il suo periodo più prospero per 24 anni e creando circa la metà di tutte le sue opere (800 in totale tra tele e disegni). Inoltre è qui che si sviluppano i più importanti momenti del surrealismo belga, poiché l'appartamento di Magritte fungeva da punto d'incontro del gruppo surrealista bruxellese e fu anche il teatro di numerosi eventi (feste in maschera). Paul Nougé, Louis Scutenaire, Irène Hamoir, Marcel Mariën, André Souris e altri si riunivano qui ogni sabato sera. Dal 1999 questo appartamento è stato trasformato nella casa museo dedicata al celebre artista belga.
Il doppio segreto, 1927, olio su tela, Parigi, Centre Georges Pompidou Nell’opera le due immagini vengono interpretate come frammenti di uno stesso puzzle, che un minimo sforzo basta a ricomporre. In realtà, l'occhio ci mostra due immagini distinte, e solo un atto forzato può permettere di ricondurre a una unità; un'immagine è qualcosa di concreto, indipendente da ciò che rappresenta e dai nostri meccanismi di comprensione, e questo è il primo segreto che quest'opera ci svela. Un analogo atto di forza ci induce a ritenere che un'immagine condivida la stessa natura dell'oggetto cui fa riferimento. Così, se a un volto umano togliamo un frammento di pelle, o a un manichino parte del volto, ci aspetteremo di trovare sotto di esso sangue, ossa e fasci muscolari, o la superficie liscia della plastica. Da qui l'effetto conturbante dell'immagine di Magritte, che sotto la pelle rivela la corteccia di un albero adorna di sonagli.
Tentativo Impossibile, 1928, olio su tela, Toyota, Toyota Municipal Museum of Art Nel quadro Magritte non dipinge una copia tanto fedele al modello da simulare, o acquistare vita: dipinge letteralmente il modello. E' un tentativo impossibile che diventa possibile in pittura, dove l'artista è un' immagine allo stesso modo di ciò che dipinge. La riflessione di Magritte non si sofferma, banalmente, sulle capacità mimetiche della pittura, ma va oltre, indagando l'ambiguo rapporto esistente tra la realtà e la sua immagine, tra il mondo in cui viviamo e quello, assolutamente autonomo, cui può dare vita la pittura.
L'idea fissa, 1928, olio su tela, Berlino, Staatliche Museen Nei tardi anni Venti, nell’opera di Magritte compaiono i quadri divisi in settori. Qui la soluzione adottata è estremamente semplice: la superficie rettangolare del quadro è divisa in quattro settori uguali, che propongono, nell'ordine, una foresta impenetrabile, un cielo nuvoloso, la facciata di una casa, un cacciatore all'erta. Magritte rompe l'unità di senso interna al quadro. Lo spettatore tende istintivamente a cercare un legame di senso fra le immagini dei quattro riquadri, tentando sia la via del rebus, sia quella della narrazione. La chiave sta forse, nella figura del cacciatore, impegnato, come noi, in una ricerca che sembra portare la sua attenzione fuori dal quadro, a quella realtà cui ostinatamente cerchiamo di assimilare le tre immagini precedenti.
La speranza rapida, 1928, olio su tela, Amburgo, Kunsthalle Scrive Magritte: ''Qualsiasi forma può sostituire l'immagine di un oggetto...Le figure vaghe hanno un significato tanto necessario e tanto perfetto quanto quelle precise...A volte i nomi scritti in un dipinto designano cose precise, e le immagini cose vaghe‘’. Qui cinque forme vaghe popolano un paesaggio appena accennato su uno sfondo scuro. Che cosa rappresentino ce lo dicono i rispettivi nomi, affiancati a ogni forma e scritti in un corsivo elegante e lezioso. Allo spettatore non resta che attendere che quelle forme vaghe prendano a poco a poco la forma che suggerisce il loro nome, e avrà di fronte il quadro più ''normale'' di Magritte. Ancora una volta, l'artista belga si prende gioco delle convenzioni che condizionano il nostro linguaggio: e lo fa dipingendo un paesaggio convenzionale in modo non convenzionale.
Il falso specchio, 1929, olio su tela, New York, Museum of Modern Art Siccome il nostro occhio funziona un po’ come un sistema di specchi, e l'immagine inviata al cervello non è altro che quella porzione di mondo che viene riflessa sulla retina, Magritte punta l'attenzione proprio sulla retina, che viene ad assumere le sembianze di ciò che riflette. Tuttavia il cielo non costituisce una scelta casuale, che poteva benissimo essere sostituita da altro (una persona, o la facciata di una casa). Il cielo è reso necessario da una forma di rispecchiamento qui implicata, che non è relativa a una realtà esterna ma a un mondo tutto interiore: si pensi a due luoghi comuni come ''gli occhi sono specchio dell'anima'' e ''ha il cielo negli occhi''.
Il tradimento delle immagini, 1928-1929, olio su tela, Los Angeles, County Museum of Art
Si tratta di una delle numerose variazioni sul tema della pipa, dipinte da Magritte tra il 1928 e il 1966. Nelle prime versioni l'immagine è più semplice, con la pipa dipinta su uno sfondo uniforme, accompagnata dalla didascalia ( in un corsivo lezioso ed elegante ) ''Ceci n'est pas une pipe‘’. Le versioni che seguono tendono in genere ad aumentare gli elementi della finzione rappresentativa, facendo proiettare alla pipa un'ombra, o inserendola in una cornice dipinta e facendo in modo che il fumo sprigionato dal tabacco acceso passi davanti alla stessa, o dipingendola come sospesa davanti a un piano di legno con tante venature. Ma non c'è illusione che tenga: ''La pipa s'ostina a non essere una pipa, il che conferisce al sistema di Magritte una dimensione supplementare, aggiungendo alla contestazione passionale dell'immagine dipinta, la contestazione premeditata del linguaggio''. Una contestazione che parte da una riflessione molto semplice: ''Chi oserebbe pretendere che la RAPPRESENTAZIONE di una pipa E' una pipa ? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro ? Nessuno. Quindi questa NON E' UNA PIPA‘’. Tuttavia, una volta che l'idea si è trasformata in immagine, le cose si complicano. In questo quadro Magritte ''nomina ciò che non ha bisogno di essere nominato (perchè è già familiare ) e lo fa negando ciò che sia ciò che è...Per quanto l'immagine e il testo siano evidentemente correlati, è difficile dire se l'asserzione del testo è vera o falsa. Non è una contraddizione, nè una tautologia, nè una verità necessaria, poichè nulla può essere una pipa e una non pipa''.
Sulla soglia della libertà, 1930, olio su tela, Rotterdam, Un cannone sembra pronto a sparare Museum Boijmans contro il mondo di immagini cui Magritte ha dato vita fino a questo momento. L'impressione è di essere all'interno di una stanza – archivio, con le pareti divise in settori. La minaccia sembra evidente, eppure il titolo non rivela nulla della tensione interna all'immagine. Anzi, ''Sulla soglia della libertà'' sembra implicare che il botto possa portare a una liberazione, non certo a una tragedia. Qui il nucleo poetico è la riflessione, avviata da Magritte nei tardi anni Venti, sul rapporto esistente tra un oggetto e le sue rappresentazioni convenzionali nei linguaggi, iconico e verbale. Per Magritte, ''un oggetto non svolge mai la stessa funzione del suo nome e della sua immagine'' ed ecco allora, il senso del cannone: liberare, anzitutto, gli oggetti dalle immagini che convenzionalmente vengono loro assegnate, senza che vi sia un reale legame tra gli uni e le altre.
La voce del cielo, 1931, olio su tela, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim In questo dipinto sono raffigurate, fluttuanti in un cielo inverosimilmente azzurro, tre sfere gigantesche. Sfere di color bianco sporco che, a prima vista, fanno pensare ad un’entità sovrannaturale o comunque “extraterrestre”. Il paesaggio, composto da una distesa prateria sul cui orizzonte si distingue una stretta striscia di mare, è dipinto in maniera quasi naturalistica e ancora una volta con colori molto chiari e vivi; tutto o quasi è raffigurato in maniera pressoché fotografica e dà una sensazione di estrema tranquillità, e di un equilibrio rotto in parte, solo da quei tre strani oggetti fluttuanti. Sembra di trovarsi in una località irreale in cui tranquillità, calore del sole e lucentezza dei prati verdi sono, tipici di un sogno o di una realtà che ormai non ci appartiene più.
La condizione umana, 1933, olio su tela, Washigton, National Gallery of Art Il quadro illustra il paradosso della rappresentazione, di una rappresentazione così fedele da ambire a sostituirsi al reale. L'opera nasce come soluzione al problema della finestra: ''Misi di fronte a una finestra, vista dall'interno di una stanza, un quadro che rappresentava esattamente la parte di paesaggio nascosta alla vista dal quadro. Quindi l'albero rappresentato nel quadro nascondeva alla vista l'albero vero dietro di esso, fuori dalla stanza. Esso esisteva per lo spettatore, per così dire, simultaneamente nella sua mente, come dentro la stanza nel quadro, e fuori nel paesaggio reale. Ed è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d'una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi''. Questo implica anche un'altra conseguenza: che ciò che è rappresentato sul quadro non corrisponda necessariamente a quello che nasconde. Se così fosse, infatti, la parte di tenda nascosta dalla tela sul cavalletto avrebbe dovuto essere riprodotta sullo stesso, mentre invece il quadro prosegue la descrizione del paesaggio che si presuppone ci sia dietro.
La condizione umana II, 1935, olio su tela, collezione privata
Lo stupro, 1934, olio su tela, Houston, The Menil Collection L'idea alla base di questo quadro, più volte replicato, è di una semplicità disarmante, eppure sarebbe difficile pensare a una raffigurazione più efficace della violenza che lo sguardo di un uomo infligge quotidianamente al corpo di una donna. L’opera, quindi, ha due attributi principali: 1. I tratti del viso della donna sono sostituiti dal busto e il bacino di una donna nuda è indicativo in primo luogo del modo in cui i maschi vedono la donna. L'idea è di creare un'immagine sessuale dal viso della donna, la prima cosa che di solito si vedrebbe. 2. In secondo luogo, è un ovvio riferimento alla morte della madre e al modo in cui è morta, con il viso coperto e il corpo nudo.
Lo stupro, 1945, olio su tela, collezione privata
Il ritratto, 1935, olio su tela, New York, MoMA L’arte di Magritte non ha mai desiderato proporsi come fantastica, e l'occhio che si apre in questa banale fetta di prosciutto, al centro di un'altrettanto banale natura morta, sembra solo uno scherzo di cattivo gusto, e, peraltro, molto elementare. Del resto, una volta superato lo shock iniziale, quello che rimane è una denuncia della fondamentale mostruosità dell'atto quotidiano di mangiare, realizzata nella più grande economia di mezzi. L'occhio, che ci scruta dalla tavola imbandita, accusa la nostra animalità di esseri umani e trasforma le posate che affiancano il piatto in armi vagamente minacciose, strumenti di un rituale che anche nella sua versione più formalizzata ed educatamente ''borghese'' rimane comunque sanguinario e violento. E dato che si tratta di un rito che tutti consumano quotidianamente, il ''Ritratto'', non rappresenta più, come accade di solito, un singolo uomo, ma ogni uomo.
La Chiaroveggenza- Autoritratto, 1936, olio su tela, collezione privata L’opera rappresenta una realtà come senso del presagio. Infatti Magritte rappresenta non solo se stesso nell’atto di dipingere ma anche il processo spirituale intrinseco all’arte: un processo di trasformazione oltre il vincolante e l’apparente staticità delle cose. L'uovo è il soggetto, ma l’opera dell'artista fa sì che sulla tela sia già un uccello.
Il Modello Rosso, 1937, olio su tela, L'Invenzione Collettiva, 1934, olio su Rotterdam, Museum Boijmans tela, Düsseldorf, Kunstsammlung
La durata pugnalata, 1938, olio su tela, Chicago, The Art Institute Spiega Magritte in una lettera: ''L'immagine di una locomotiva è immediatamente familiare, ma il suo messaggio non è percepito. Perchè il suo mistero sia evocato, un'altra immagine immediatamente familiare - priva di mistero - l'immagine di un caminetto da sala da pranzo è stata unita all'immagine della locomotiva...Ho pensato di unire l'immagine di una locomotiva all'immagine di un caminetto da sala da pranzo in un momento di 'presenza di spirito'. Intendo con questo un momento di lucidità che nessun metodo può far comparire. Si manifesta allora soltanto la potenza del pensiero‘’. L'elemento non dichiarato, che accomuna il treno e il caminetto è il fumo, che esce dalla locomotiva e sale lungo la canna fumaria del camino: ma l'accostamento fa emergere anche una dialettica più profonda, che oppone il viaggio e l'ambiente domestico, la casa e l'avventura, la novità e l'abitudine.
La Scala di Fuoco, 1939, olio su tela, La Nostalgia, 1940, olio su tela, Collezione Privata Collezione Privata
La Calma, 1941, olio su tela, Bruxelles, Galerie Isy Brachot Nel 1940 Magritte scappò dal Belgio per l’invasione delle truppe tedesche e trascorse un periodo al confine francese, a Carcassonne. In questo sperimentò prima una pennellata pseudo-impressionista e poi la tecnica fauvista, tecnica molto differente dalla sua, precisa e scrupolosamente banale (forse in ricordo dei primi tempi nei quali si era guadagnato da vivere lavorando in un'industria di carta da parati), sempre fedele al surrealismo. A parte questa brevissima fase intorno al 1940 Magritte lavorò sempre rimanendo fedele al surrealismo.
Il Primo Giorno, 1943, olio su tela, collezione privata I Presagi Felici, 1944, olio su tela, Bruxelles, Collezione Berger-Hoyez
La Quinta Stagione, 1943, olio su tela, Lascito di Irène Scutenaire- Hamoir, Bruxelles
La Dialettica applicata, 1944-1945,olio su tela, collezione privata
Nel 1948 Magritte eseguì un gruppo di dipinti e acquerelli chiaramente diversi dal resto della sua produzione, in particolare per una mostra personale a Parigi. Sulla base di uno stile nuovo, rapido e aggressivo particolarmente ispirato a spunti popolari come le caricature e i fumetti, Magritte realizzò in poche settimane una serie completa di circa trenta opere che causarono indignazione a Parigi. L’artista concepì deliberatamente la mostra come una provocazione rivolta al pubblico parigino, dipingendo in modo intenzionatamente crudo, scherzoso e persino “cattivo”. I lavori di questo periodo sono solo sporadicamente inclusi nelle retrospettive dell’opera dell’artista. Il termine “vache” usato dallo stesso Magritte per questo nuovo gruppo di opere viene generalmente inteso come un’allusione ironica al movimento storico dei “Fauves”, dei quali le esageratamente colorate opere di Magritte erano una parodia. Inoltre, “vache”, in francese, non significa soltanto “mucca”, ma anche “malvagio” o “schifoso”: ad ogni modo, il termine allude chiaramente all’essenza aggressiva e deliberatamente cruda che caratterizza tutta quanta questa particolare produzione. Considerando sia i soggetti che lo stile, le opere del Période vache non costituiscono un insieme consistente, ma piuttosto una specie di “patchwork” di diversi pseudo-stili. Questi elementi diventano qualcosa di comico, di triviale o grottesco che si mescola ad aspetti della cultura popolare visiva. Con numerosi riferimenti storici – a James Ensor, Henri Matisse o Joan Miró – Magritte ridicolizza i tradizionali valori culturali e le norme estetiche. Contrariamente a quanto accade con le sue opere dal taglio più “classico” dove primeggiano la precisione e l’aspetto concettuale, le opere del Périodo vache ci sorprendono per la loro esplosione cromatica, la loro bidimensionalità, la velocità di realizzazione e l’assoluta, raggiante, diretta spontaneità.
Pom'po Pon Po Pon Pon Pom Po Pon, 1948, L'Omissione, 1948, olio su tela, Bruxelles, olio su tela, Francoforte, Schirn Kunsthalle Royal Museum of Fine Arts
La Carestia, 1948, olio su tela, Bruxelles, Lo Storpio, 1948, olio su tela, Parigi, Centre Musées Royaux des BeauxArts Pompidou
Abbandonati il neoimpressionismo e il fauvismo, Magritte riprese la propria andatura ripartendo daccapo e fu un susseguirsi fino alla morte di quadri splendidi, mettendo da parte questi due periodi senza lasciare traccia. Se ce ne furono, sono impercettibili; la scelta dei colori, spesso più generosa di prima, può essere una di queste. Nei nuovi lavori vediamo persistere e fortificarsi sempre di più, le idee fondamentali, la scelta del dizionario degli oggetti preferiti e il vocabolario originale degli inizi. E' all'interno di questi principi che si colloca la maggior parte dei quadri nati tra il 1948 e il 1967. La maggior parte della sua opera forma un tutto inalterabile. Dal momento in cui nel 1925, ruppe con l'arte convenzionale, fino alla sua morte, i quadri da lui dipinti si articolarono intorno allo stesso concetto: tutto è oggetto, tutto è cosa, a qualsiasi genere appartenga; bisogna dipingere gli oggetti soltanto nei loro dettagli apparenti e combinandoli tra loro secondo similitudine insolite, si ottiene un 'immagine sorprendente. In termini pittorici si può dire che non esiste differenza di genere tra il vivente e lo stereotipo: le cose devo essere rappresentate in modo realistico, persino anonimo e la sorpresa deve nascere da questo realismo e anonimato e da accostamenti inusuali. L'opera di Magritte si fonda su questi principi: rifiuto della pittura emotiva. La non pittura in contrapposizione alla pittografia.
La memoria, 1948, olio su tela, Bruxelles, Collezione dello Stato belga L'immagine sembrerebbe nascere da una riflessione sulla questione della statua; qualcosa di inanimato che copia le sembianze di qualcuno che ha avuto una vita, una storia, una durata nel tempo. Così il volto in gesso di un personaggio femminile, con gli occhi chiusi e un sorriso discreto tra le labbra, non conserva della vita di un tempo se non una macchia di sangue. Di fianco sullo stesso ripiano, una foglia accartocciata e un sonaglio bianco. Nelle diverse versioni dello stesso tema, la testa in gesso compare sempre affiancata a un altro elemento, quasi sempre a formare una natura morta. Resta da capire se la macchia di sangue provenga dalla statua - segno evidente di una piaga che non riesce a rimarginarsi - o se si tratti, come lascia supporre la sua conformazione, di uno schizzo proveniente da un fatto di sangue di cui la statua è stata testimone silenziosa.
Canzone d’amore, 1648-1649, olio su Il dominio di Arnheim, 1949, olio su tela, collezione privata tela, Collezione Privata
Le manie di grandezza, 1948, olio su tela, Washington, Hirshhorn Museum Al di qua di una muraglia che si affaccia sul mare compare una figura femminile molto particolare.I tagli alle braccia e al capo farebbero pensare a una statua di marmo o in gesso, ma la sua epidermide, invece di essere candida, è del colore ambrato della carne. Inoltre non si tratta di una figura unitaria, ma di tre moduli di scala sempre più ridotta che si incastrano l'uno all'altro. Di fianco una candela accesa che però essendo giorno fatto non emette luce alcuna; nel cielo le consuete nuvole bianche si incastrano fra volumi celesti, curiosi parallelepipedi fatti d'aria e di cielo che si appoggiano l'uno sull'altro. Le questioni implicate sono numerose, ma tutte legate in maniera diversa alla messa in discussione delle proporzioni: i cubi celesti compaiono all'inizio degli anni Trenta, in opere che hanno sempre a che vedere con una riflessione sull'universo, la sua natura e la sua scala.
L'arte della Conversazione ,1950, olio Sheherazade, 1950, olio su tela, su tela, New Orleans, Museum of Art Collezione Privata
Il balcone di Manet, 1950, olio su tela, Gand, S.M.A.K. Lo spettatore ricorda il quadro di Manet, con i suoi impettiti gentiluomini e le due belle signore in abito bianco, e vedendo le bare non si può non cogliere il ridicolo di questi curiosi bozzoli di legno che della persona che imprigionano conservano posizione e proporzioni. Di questi quadri, scriverà Foucalt ''...il vuoto invisibilmente contenuto tra le assi di quercia laccata dissolve lo spazio che era composto dal volume dei corpi vivi, dall'espansione degli abiti, dalla direzione dello sguardo e da tutti quei volti pronti a parlare: il 'non luogo' sorge 'in persona', al posto delle persone e là dove non c'è più persona
Édouard Manet, Il balcone,1868, olio su tela, Parigi, Museo d'Orsay
I valori personali, 1952, olio su tela, San Francisco, Museum of Art Non è necessario pensare che gli oggetti qui rappresentati si siano ingranditi a dismisura: è sufficiente che siano stati posti in una casa in miniatura. Ma l'effetto spiazzante rimane, e il dubbio sulle dimensioni, grazie anche all'estrema verità del quadro, si estende ben al di fuori della camera da letto del quadro. ''Il valori personali'' sono oggetti così quotidiani che difficilmente ne notiamo l'esistenza. Qui le loro dimensioni sembrano però sottolineare la falsità di questa indifferenza: in realtà questi oggetti ci dominano, a tal punto che non possiamo farne a meno; il pettine, il fiammifero, il pennello da barba, il bicchiere sono oggetti che definiscono il perfetto borghese, condizionano la sua vita e ne delimitano gli orizzonti. Forse per Magritte erano più familiari le nature morte fiamminghe e gli interni di Vermeer, ma è chiaro che se un omaggio c'è, è puramente funzionale, teso a conferire normalità a un'immagine impossibile.
Golconda, 1953, olio su tela, Houston, Menil Colection Golconda raffigura una serie di uomini in bombetta che cadono giù dal cielo, come se si trattasse di una normale pioggia in una grande città. Magritte, come accade per altri dipinti, non dà una spiegazione tangibile del significato intrinseco dell'opera, ma rifacendoci alle basi della corrente surrealista possiamo dire che l'effetto di depaisement (spaesamento) è percepibile, per vari motivi. Una delle prime cose che ci rende straniti è l'idea prima del dipinto: uomini che cadono dal cielo, o uomini che si elevano da terra? E questo grazie a cosa? Il titolo inoltre aiuta l'osservatore: ricordiamo che Golconda fu una antica città dell'India, ricca e potente: ciò potrebbe essere visto come utopico, proprio come la presenza di uomini tutti uguali sospesi in un cielo senza nuvole e di un azzurro piatto ed inespressivo e che possono permettersi di "camminare" nel cielo senza bisogno di avere ali.
L'Abito da Sera, 1954, olio su tela, Il mondo invisibile, 1954, olio su tela, Collezione Privata Houston, The Menil Collection
La Rosa Reclusa, 1955, olio su tela, Ricordo di un viaggio, 1955, olio Collezione Privata su tela, Collezione Privata
Il Grande Secolo, 1954, olio su tela, Il Bouquet, 1956, olio su tela, Gelsenkirchen, Stadtisches Museum Collezione Privata
Il 16 settembre, 1957, olio su tela, Il Banchetto, 1958, olio su tela, Collezione Privata Chicago, The Art Institute of Chicago
Nel 1961 René Magritte era un artista di fama internazionale; identificato dai suoi dipinti più famosi, era ancora considerato un agente segreto, una misteriosa figura riconosciuta per l'abito scuro e la bombetta. I suoi hobby erano la cinematografia amatoriale e gli scacchi; gli piaceva fare passeggiate con la moglie e il suo cane. A 63 anni disse: "Sto invecchiando, ho mal di denti e mal di testa, e non c'è niente che io possa fare a riguardo". Magritte visse in una casa e in un ambiente confortevole nei pressi di Bruxelles, in un silenzio schiacciante e anche se famoso, i suoi dipinti non ebbero i prezzi elevati nel come alcuni altri importanti artisti surrealisti (ad esempio Dalì). Intorno al 1963 scoprì di essere malato e viaggiò alla ricerca di un clima più mite, trascorrendo del tempo in Italia a Ischia. Nonostante i suoi problemi di salute nel 1965, fece il primo viaggio negli Stati Uniti, in occasione della retrospettiva al Museum of Modern Art di New York. Magritte si riferì al lavoro di questo ultimo periodo come i suoi "figli" trovati. Nei primi mesi del 1967, dopo una mostra personale a Parigi, intraprese la realizzazione di otto sculture. Purtroppo non ebbe il tempo di vedere le sue opere in bronzo.
Il castello dei Pirenei, 1961, olio su tela, Gerusalemme, Israel Museum Il dipinto, ispirato ad un racconto di Edgar Allan Poe, appartiene ai soggetti, frequenti in Magritte, delle "pietrificazioni". Magritte si basa, come in molti dei suoi dipinti, su un paradosso visivo. Si riconoscono diversi elementi reali: un castello su un'inospitale sommità rocciosa, questa sospesa sul mare, un cielo chiaro abitato da bianche nuvole. Il mare, in basso, è agitato, come lo voleva il pittore: "Un mare tempestoso - egli scriveva - cupo come il Mare del Nord della mia gioventù". Tutto appare bloccato in una condizione di immobile irrealtà. Realtà e assurdo sono resi compatibili nello spazio virtuale del dipinto, grazie all'estremo realismo delle immagini, alla loro precisione quasi fotografica.
Il Mondo Meraviglioso, 1962, olio su tela, Collezione Privata Le Barricate Misteriose, 1961, olio su tela, collezione privata
La Grande Guerra, 1964, olio su tela, Collezione Privata L’opera è parte del ciclo di uomini con bombetta a mezzo busto sullo sfondo di un cielo grigio e una mela verde che sta davanti il volto dell'uomo, il punto dove lo sguardo di chi osserva si posa per prima. Il pittore ha dato lo stesso titolo ad un altro quadro che presenta una donna in abito bianco, con ombrello, borsetta e un cappello piumato, anche qui il volto è coperto, ma da un mazzo di fiori. "...abbiamo la faccia apparente, la mela, che nasconde ciò che è visibile ma nascosto, il volto della persona. E' qualcosa che accade in continuazione...C'è un interesse in ciò che è nascosto e che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra il visibile nascosto e il visibile apparente" R.Magritte.
Da questa affermazione del pittore il titolo prende un senso perchè si tratta di una guerra fra le immagini nata dalla rivolta di due oggetti insignificanti che si contendono la condizione di visibilità ai due volti dei due personaggi. Questo titolo però sarà dovuto anche in parte all'evento reale della Grande Guerra, composta da trincee e da uomini spazzati via a causa di oggetti ancora più insignificanti di una mela o di un mazzo di fiori, una guerra che ha annullato la personalità e dove la cancellazione del volto fa da metafora.
Il Figlio dell'Uomo, 1965, olio su tela, Collezione Privata
La Firma in Bianco, 1965, olio su tela, Washington, National Gallery of Art Quest'opera pone l'attenzione di chi osserva sulla frammentarietà della visione su due diversi livelli: la realtà e la rappresentazione. Nel reale una figura posta, in questo caso, dietro alberi si presenterà a frammenti, ma non avremmo dubbi sulla sua unità, mentre davanti ad una rappresentazione bidimensionale vedremo ciò che sta davanti dipinto sopra quello che sta dietro e viceversa. Il pittore in questo dipinto fonde i due livelli in un' unica immagine, violando le leggi su cui i due livelli si basano, inoltre con questa fusione la realtà risulterà un astrazione.
Decalcomania, 1966, olio su tela, Parigi, Centre Pompidou, Collection of Dr. Noémi Perelman Mattis and Dr. Daniel C. Mattis
Il Pellegrino, 1966, olio su tela, collezione privata Magritte desiderava coltivare un approccio che evitasse le distrazioni stilistiche della pittura più moderna. Mentre altri surrealisti come Max Ernst , Man Ray , Salvador Dalì hanno sperimentato nuove tecniche, Magritte ha optato per una tecnica illustrativa impassibile che articolava chiaramente il contenuto delle sue immagini. La ripetizione era una strategia importante per Magritte poiché lo incoraggiava a produrre più copie di alcune delle sue più grandi opere. Il suo interesse per l'idea potrebbe provenire in parte dalla psicoanalisi freudiana, per la quale la ripetizione è un segno di trauma. Ma il suo lavoro nell'arte commerciale potrebbe anche aver giocato un ruolo nello spingerlo a mettere in discussione la convinzione modernista convenzionale nell'opera d'arte unica e originale. La qualità illustrativa delle immagini di Magritte si traduce spesso in un potente paradosso: immagini belle nella loro chiarezza e semplicità, ma che provocano anche pensieri inquietanti. Sembrano dichiarare di non nascondere alcun mistero, eppure sono anche meravigliosamente strani.
Cicerone, 1965, olio su tela, Collezione Le Belle Relazioni, 1966, olio su tela, Privata Collezione Privata
Magritte ha continuato a dipingere fino al 1967, anno della sua morte; morì di cancro al pancreas nella sua casa il 15 agosto 1967, undici giorni dopo l'apertura di una retrospettiva delle sue opere presso il Boijmans-van Beuningen Museum di Rotterdam. Lasciò un dipinto incompiuto sul suo cavalletto. Il lavoro era stato commissionato da un giovane collezionista di Colonia, che voleva qualcosa sul genere dell' "Impero delle luci", ma il quadro rimase sul suo cavalletto fino alla morte di Georgette Magritte nel 1986. Venne sepolto nel cimitero di Schaerbeek.
L’impero delle luci, 1950, olio su tela, New York, MoMA
L’impero delle luci, 1953–54, olio su tela, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim
L’impero delle luci, 1967, olio su tela, collezione privata
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