Università degli Studi di Siena Dipartimento di Economia politica e Statistica Complementi di Economia internazionale Sergio Cesaratto Anno ...

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Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

 Università degli Studi di Siena

 Dipartimento di Economia politica e Statistica
 Complementi di Economia internazionale

 Sergio Cesaratto

 Anno accademico 2019-20

 Capitolo 2

 1
Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

 Capitolo 2
 Teoria del sovrappiù, mercantilismo, economisti classici e teoria dei vantaggi
 comparati di Ricardo
Indice
 1. Il concetto d sovrappiù
 2. Come emerge il sovrappiù nella storia del pensiero economico: il mercantilismo
 3. Adam Smith, la divisione del lavoro e la teoria dei vantaggi assoluti nel commercio internazionale
 4. La teoria del sovrappiù in David Ricardo
 5. La teoria dei vantaggi comparati di Ricardo
 6. Friedrich List versus Adam Smith

1. Il concetto di sovrappiù
 Per sovrappiù sociale si intende quella quantità di beni di cui la società può liberamente disporre
senza compromettere la riproduzione, di periodo in periodo, del processo produttivo sociale su scala
immutata. E' in altre parole ciò che avanza dal processo produttivo (che si può supporre cominci al
principio dell'anno e termini alla fine) una volta messo da parte ciò che è necessario per ricominciare il
medesimo processo l'anno successivo. La teoria del sovrappiù è propria agli economisti classici e a
Marx, e modernamente ripresa da Piero Sraffa, Pierangelo Garegnani, Luigi Pasinetti e altri. Facciamo
tre ipotesi:
 (a) ciclo produttivo annuale;
 (b) mezzi di produzione interamente consumati nel corso dell'anno (cioè tutto il capitale è
circolante);
 (c) che i mezzi di produzione siano interamente riprodotti.
 Supponiamo ora noti
 1) il salario reale espresso come aggregato di merci;
 2) il prodotto sociale annuo P pure espresso come aggregato di merci
 3) le tecniche di produzione (in particolare il prodotto per lavoratore)
 Conoscendo 2) e 3) possiamo ricavare il numero di lavoratori impiegato, e sulla base di 1)
possiamo ottenere N o CONSUMO NECESSARIO, ovvero le anticipazioni che vanno assegnate ai
lavoratori all'inizio del ciclo produttivo annuale (è la parte di P che va ai lavoratori).
 Sottraendo N da P otteniamo il sovrappiù sociale (= quota del prodotto sociale diverso dai salari)
come differenza fra quantità di merci.
 P-N=S (I)

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 Il sovrappiù è dunque quella parte del prodotto sociale liberamente disponibile per l’economia,
o per le classi sociali che hanno il controllo, ad essere consumata o investita (in questo caso occupando
ulteriori lavoratori e dotandoli dei necessari beni capitali) senza mettere in discussione la riproduzione
del sistema su scala almeno immutata. Laddove parte del sovrappiù fosse investita, l’economia
crescerebbe, si riprodurrebbe cioè su scala allargata.
 Come vedremo il concetto di sovrappiù sociale è proprio all’economia politica Classica che si
sviluppa in Europa fra il XVII° e il principio del XIX° secolo.
Per saperne di più: P. Garegnani, Valore e distribuzione in Marx e negli economisti classici, in ID, Marx
e gli economisti classici, Einaudi 1981, in particolare pp. 8-16.
E’ interessante come tale concetto sia centrale in un recente libro sullo sviluppo economico che ha avuto
notevole successo fra gli intellettuali e il grande pubblico: Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie
(Einaudi, 1998). In molti studi di antropologia economica l’emergere del sovrappiù col passaggio
all’agricoltura e all’allevamento ha posto le basi della civilizzazione, ma anche dell’ingiustizia sociale.
Infatti il sovrappiù consente che una parte della popolazione possa svolgere attività “superiori” senza
l’affanno del procacciarsi la sussistenza. In tal modo può svilupparsi una classe politica, militare,
sacerdotale, intellettuale e così via. Col sovrappiù sorgono le istituzioni, Stato e diritti di proprietà, per
esempio. Sorge anche il commercio fra le diverse comunità, il commercio estero, insomma. Sorge anche,
per evidenti motivi, l’ingiustizia sociale.

2. Come emerge il sovrappiù nella storia del pensiero economico: il mercantilismo
 Il concetto di sovrappiù viene generalmente attribuito a William Petty (1623-1687) che può
essere anche considerato come uno dei fondatori della moderna scienza economica, forse il primo
ricercatore sistematico, teorico e pratico, sui temi dell’economia politica. Marx lo considerò il fondatore
dell’economia politica classica. Tracce del concetto di sovrappiù si ritrovano tuttavia anche nella scuola
Mercantilista, cui lo stesso Petty peraltro apparteneva, che fiorì in Europa nei secoli XVI° e XVII° sino
a metà del XVIII°.1
2.1. Il sovrappiù nel Mercantilismo
 La letteratura mercantilista si sviluppa in secoli caratterizzati dalla rivalità fra le potenze
economiche europee emergenti nel controllo dei commerci internazionali. Il Mercantilismo non è una
scuola sistematica, ma la maggior parte degli studiosi ritiene che vi sia in questa letteratura una quantità

1
 La letteratura mercantilista è sterminata, e in genere con un inglese piuttosto ostico per noi stranieri
(come vedrete da alcune citazioni). Ecco alcune fonti secondarie: Heckscher, E. (1955) Mercantilism,
2nd end, London George Allen & Unwin; Furniss, E. (1920) The Position of the Laborer in a System of
Nationalism: a Study in the Labor Theories of the later English Mercantilists, Boston: Houghton Mifflin
Company; Suviranta B. 1923 The Theory of Balance of Trade in England – A Study in Mercantilism,
Annales Academiae Scientiarum Fennicae, B-XVII, Helsinki; Johnson, E.A.J. (1937) Predecessors of
Adam Smith, London: P.S.King & Son.
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di nozioni uniformi tali da far pensare a un filo rosso che lega i diversi autori. Semplificando molto,
l’obiettivo dominante della politica economica e commerciale mercantilista è il perseguimento
dell’avanzo o surplus commerciale (o sovrappiù esterno), X-M, cioè dell’eccedenza delle esportazioni
X sulle importazioni M. L’idea di sovrappiù inteso come eccedenza del prodotto sociale rispetto alle
sussistenze e ai capitali impiegati (o sovrappiù interno S), quale introdotto nella sezione 1, non è invece
presente in maniera limpida nei mercantilisti, che però lo intravedono
2.2. Un surplus commerciale è un obiettivo importante?
 In genere si ritiene che l’ossessione (o presunta tale) dei mercantilisti riguardo all’ottenimento
di un surplus commerciale sia oggi un’idea priva di fondamento. In genere questa ossessione è stata
giustificata con l’idea che un surplus commerciale avrebbe consentito un accumulo di ricchezze sotto
forma di oro e metalli preziosi che avrebbero a sua volta garantito sicurezza al paese, per esempio in
caso di conflitto, potendo essere impiegate per acquistare armi e derrate alimentari necessari a sostenerlo
più a lungo dell’avversario.
 La critica che viene avanzata è che in tal modo il paese sacrifica il proprio benessere,
consumando e investendo meno di quanto possibile al fine di realizzare un surplus esportabile e
accumulare ricchezze. Se prendiamo l’equazione del reddito nazionale P = C + I + G + X –M, otteniamo
P – (C + I + G) = X – M, in cui si vede che dato il prodotto lordo X, l’ammontare di surplus esportabile
varia a seconda degli impieghi interni (che includono i consumi e gli investimenti). Muovendo da una
situazione di avanzo commerciale, un paese potrebbe ad esempio voler aumentare la crescita e lo stock
di capitale investendo di più (quindi aumentando I) o investendo di più in istruzione pubblica (per cui
aumenta G), azzerando in tal modo il surplus commerciale. La critica è corretta nel senso che la potenza
di un paese certamente aumenta di più accumulando capitale o diffondendo l’istruzione piuttosto che
accumulando ricchezze.
 Implicitamente i mercantilisti ci possono star segnalando un problema opposto: è bene che un
paese non abbia disavanzi commerciali pena un indebitamento crescente. Un paese che avesse una
bilancia commerciale in disavanzo potrebbe alternativamente: a) diminuire i consumi e investimenti
interni, ma questo nuocerebbe alla crescita, o b) cercare di aumentare le esportazioni e diminuire le
importazioni. Quest’ultima strategia è certamente preferibile, anche se impervia. In questo senso i
mercantilisti pongono quello che definiremo “vincolo esterno” al centro dell’attenzione: la necessità di
mantenere nel lungo periodo la bilancia commerciale almeno in pareggio vincola l’ammontare di
consumi e investimenti interni, e può dunque condizionare la crescita.
 Nel tardo mercantilismo l’idea dell’importanza del sovrappiù commerciale è anche legata
all’idea che quando importiamo beni stiamo pagando lavoro agli stranieri, mentre quando esportiamo
sono loro a sostenere il nostro lavoro. E’ stata dunque attribuita ai mercantiisti una “balance of labour”
che può esser definita come: L X  L M  surplus-labour, dove LX e L M sono, rispettivamente, le

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quantità di lavoro complessivamente impiegate nella produzione (verticalmente integrata) 2 delle merci
esportate e importate.
 L’idea attribuita ai mercantilisti delle esportazioni come lavoro che gli stranieri ci pagano e delle
importazioni come lavoro che noi paghiamo agli stranieri – un’idea di qualche popolarità – è in parte
giusta e in parte sbagliata. Di giusto c’è che le esportazioni sono una componente della domanda
aggregata (AD) e sostengono dunque output e occupazione – mentre viceversa le importazioni sono una
sottrazione di AD ed è dunque domanda nazionale che si rivolge a merci e lavoro straniero. Di errato
c’è che AD e occupazione possono essere sostenute anche consumando di più all’interno, dunque non
esclusivamente importando di meno o esportando di più.
 Riprendendo quanto già detto sopra, la questione può essere più correttamente così posta: le
esportazioni hanno la doppia virtù di sostenere la AD e di finanziare il pagamento delle importazioni
necessarie per la produzione nazionale. Esportare oltre quanto necessario per finanziare le importazioni
relative alla produzione nazionale obiettivo (per esempio quella di piena occupazione) sarebbe però uno
spreco e una sottrazione ai consumi interni. Se P* è il prodotto di piena occupazione, m la propensione
marginale a importare, le importazioni corrispondenti alla piena occupazione saranno M* = mP*. Il
livello necessario di esportazioni è dunque X = M*. Esportare di più non avrebbe senso, almeno dal
punto di vista della piena occupazione.Vale a dire, perseguire surplus commerciali per accumulare
crediti verso l’estero equivarrebbe alla strategia dell’avaro che vive in maniera grama per accumulare
ricchezza.
 Un esempio può aiutare. Supponiamo che il reddito di piena occupazione di un paese sia X =
1000. Assumendo una propensione a importare m = 0,2, tale reddito potrebbe essere conseguito con le
seguenti grandezze:
 (1) P = C + I + G + (X – M) = 600 + 200 + 200 + (200 – 200) = 1000.
 La bilancia commerciale sarebbe in equilibrio. Un paese mercantilista preferirebbe invece
ottenere quel reddito con grandezze del tipo:
 (2) P = 500 + 150 + 150 + (400 – 200) = 1000,
dunque con un avanzo commerciale di 200. In tal modo esso sacrifica il benessere interno diminuendo
consumi, investimenti e spesa pubblica.
 Come vedremo più avanti, la strategia mercantilista del surplus commerciale ha, tuttavia, un
senso in una economia capitalistica in cui è conveniente per i capitalisti tenere bassi salari e consumi
interni, realizzare un ampio surplus e, non potendolo consumare tutto in investimenti e beni di lusso,

2
 Verticalmente integrata significa che la quantità di lavoro considerata include oltre che quella usata
nella produzione diretta delle merci esportate, anche quella utilizzata indirettamente nella riproduzione
dei beni capitali impiegati. In verità i beni esportati (importati) possono aver richiesto anche lavoro
straniero (nazionale), per cui la quantità di lavoro richiesta direttamente e indirettamente per produrre i
beni esportati (importati) dovrebbe essere al netto del lavoro straniero (nazionale) impiegato.
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venderlo nei mercati esteri. Supponiamo che i capitalisti riducano i salari e che questo incida
negativamente sui consumi poiché i capitalisti risparmiano gran parte dei maggiori profitti. Il
mantenimento del reddito di piena occupazione P* implica ora che esportazioni superino le importazioni
necessarie (X’ > M*) in modo che le maggiori vendite all’estero compensino la minore domanda di beni
di consumo all’interno (riprendendo l’esempio si è passati dall’equazione 1 all’equazione 2). In questo
senso più complesso i mercantilisti avevano ragione a identificare il surplus commerciale come creatore
di lavoro.
 Nel nostro esempio, se partendo dall’equilibrio descritto dall’equazione (1) si verificasse, per
esempio attraverso “riforme” del mercato del lavoro, un calo dei salari e dei consumi a 400, i profitti
aumenterebbero ovviamente a 200, ma chi acquisterebbe la corrispondente parte di produzione
nell’ipotesi che i capitalisti consumino solo in piccola parte i propri profitti? La collocazione all’estero
attraverso 200 di maggiori esportazioni, se riesce, sarebbe l’unica via alternativa, sicché un nuovo
equilibrio sarebbe:
 (3) P = C + I + G + (X – M) = 400 + 200 + 200 + (400 – 200) = 1000
con un surplus commerciale di 200. Tale surplus corrisponde ai maggiori profitti dei capitalisti che in
tal modo li “realizzano”. Al surplus corrisponde un maggior credito netto verso l’estero ovvero
l’importazione netta di oro o valuta pregiata (tecnicamente si verifica un miglioramento della posizione
netta sull’estero del paese).
2.3. Il coordinamento fra i due surplus
 Il coordinamento fra i due surplus può essere così sintetizzato (NB: talvolta il prodotto lordo è
indicato con X altre volte con P). Come sappiamo da sopra: P  N  S (N si ricordi rappresenta le
necessities). Poiché inoltre: P = N + C c + I + (X – M), dove C c sono i consumi dei capitalisti e I

l’accumulazione di capitale, si ha S = C c + I + (X – M), e se C c e I sono zero, per semplicità, S = X -

M.3
 Più in generale vale, S = C c + I + (X – M), cioè il sovrappiù dei capitalisti trova impiego (viene

“realizzato”) nei consumi di lusso (Cc), nell’accumulazione di capitale (I) e nel surplus commerciale.
 3. Adam Smith, la divisione del lavoro e la teoria dei vantaggi assoluti nel cmmercio
internazionale
 3.1. Divisione del lavoro in un Paese e fra paesi
 Viene in genere attribuita a Smith la teoria dei vantaggi assoluti come spiegazione del
commercio internazionale. Ciascun paese si specializza in ciò che sa far meglio, e scambia il proprio

3
 Tali relazioni non possono non ricordarci quelle di Luxemburg-Kalecki, che studieremo più avanti, il
quale vede nel surplus esterno, nelle esportazioni nette, una maniera di realizzare il sovrappiù non
consumato dai capitalisti medesimi. Il lettore non confonda il simbolo S, qui rappresentante il sovrappiù,
con i risparmi, altrove indicati col medesimo simbolo.
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sovrappiù con gli altri. V’è dunque un reciproco vantaggio nello scambio e si supera l’idea mercantilista
del commercio come gioco a somma zero (se guadagni tu, perdo io). In verità Smith dà come fatto
naturale che ciascun paese troverà una propria nicchia di specializzazione. Dovremo attendere Ricardo
per una analisi più sofisticata. Ricardo, a ben vedere, non esclude il fatto che un paese sia avvantaggiato
in tutte le produzioni. Comunque sia, Ricardo si riferisce a Smith per ciò che riguarda la spiegazione
dei vantaggi che un paese acquisisce in una o più produzioni, e in particolare all’analisi smithiana della
divisione del lavoro. Non è quindi vero quanto scrivono i libri di testo convenzionali che i classici non
avessero un’analisi dell’origine dei vantaggi comparati, anzi, l’avevano e ben migliore di quella
marginalista.
 In Adam Smith l’esistenza di un sovrappiù nella produzione in cui ciascun individuo è
specializzato è la base materiale della tendenza a scambiare a cui peraltro porta, a suo avviso, la natura
umana. A sua volta la possibilità dello scambio consente una maggiore specializzazione e una maggiore
produttività.
 Smith pone la divisione del lavoro (DL), ovvero la specializzazione delle attività, alla base della
ricchezza delle nazioni, in ciò parzialmente riprendendo autori precedenti. La divisione del lavoro si
applica all’interno di uno stabilimento produttivo, come nel famoso esempio della fabbrica di chiodi
della Ricchezza delle Nazioni, e fra le imprese, in cui ciascuna si specializza in una produzione specifica
dando luogo alla formazione di differenti settori o industrie collegati fra loro in intense scambi.4 Smith
rintraccia i vantaggi della divisione del lavoro in tre circostanze: (i) la specializzazione delle mansioni
fa perder meno tempo nel cambiare gli attrezzi utilizzati; (ii) favorisce il processo di apprendimento di
una determinata mansione, (iii) la semplificazione dei movimenti facilita l’invenzione dei macchinari
che, almeno all’epoca di Smith, potevano compiere solo movimenti semplici (attualmente i robot
industriali possono compiere movimenti più elaborati). Vi sono diverse interessanti osservazioni da fare.
 (a) La DL è posta da Smith alla base del progresso tecnico, e in parte coincide con esso. A ben
vedere il procedere della DL è infatti una innovazione organizzativa: a parità di conoscenze tecniche
(attrezzature ecc.), il processo lavorativo viene organizzato in maniera più efficiente. Ciò a sua volta
facilità l’invenzione di nuove attrezzature. Per Smith, inoltre, le stesse attività inventive diventano
oggetto di una specializzazione produttiva, compito dei “filosofi”. Per Smith l’inventività umana è frutto
degli stimoli che provengono dall’ambiente esterno e relative, in particolare, al ruolo che si ricopre nella
divisione del lavoro. Questo ci conduce al punto successivo.

4
 I flussi inter-industriali sono studiati con l’ausilio delle tavole input-output introdotte dall’economista
russo, emigrato negli Stati Uniti, Wassily Leontief (1905-99). Tale impostazione ha una chiara origine
nella letteratura marxista, a sua volta di derivazione classica, anche se ciò non fu espressamente
riconosciuto da Leontief dato l’ostracismo a cui ciò avrebbe dato luogo. Nel 1973 fu attribuito a Leontief
il cosidetto premio Nobel per l’Economia (cosidetto perché non è attribuito dall’Accademia Reale delle
Scienze di Svezia, ma dalla Banca di Svezia ed è contestato da alcuni membri della famiglia Nobel).
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 (b) Smith ritiene che sebbene nelle fasi più semplici il progresso tecnico possa risultare anche
dalle invenzioni dei semplici operai, più avanti esso risulti dalle attività specializzate dei filosofi. Anzi,
Smith ritiene che sebbene la DL arrechi notevoli vantaggi materiali, essa sia negativa per le menti dei
lavoratori costretti a compiti ripetitivi e ossessivi. In tal senso Smith precede le analisi di Marx circa
l’espropriazione da parte dei capitalisti di ogni aspetto creativo del lavoro operaio (Rosenberg…). Un
moderno autore marxista, Henry Braverman (1920-76), ex operaio lui stesso e allievo del grande
economista marxista americano Paul Sweezy (1910-2004), mise in luce come tale espropriazione sia
funzionale a impedire il controllo operaio sui tempi di produzione. Un artigiano, infatti, ha tipicamente
il controllo pieno del processo produttivo e sa bene quanto tempo occorre per effettuare una produzione
(come ben sappiamo quando portiamo una autovettura da un meccanico). Tanto più la produzione
capitalistica conserva elementi artigianali, tanto più i lavoratori cercheranno di difendere la propria
salute fisica e mentale lavorando il meno possibile, o comunque con i tempi che riterranno più opportuni.
Il taylorismo, introdotto all’inizio dello scorso secolo si prefisse proprio lo scopo di studiare
scientificamente i processi lavorativi, separando minutamente tutti i passaggi e misurandone la durata
necessaria, affidandoli ciascuno a ciascun operaio, di modo che fosse possibile controllare facilmente
che ciascun lavoratore rispettasse la tabella di marcia prefissata. Il taylorismo, vera e propria
innovazione organizzativa, fu creato da Frederick Winslow Taylor manager della Ford nel 1911.
 (c) Smith ritiene che il progresso della DL dipenda dalla dimensione del mercato. In altri termini,
poiché la DL e il progresso tecnico ad essa collegato consentono un aumento del prodotto per occupato
(o produttività del lavoro), allora solo un mercato di sbocco più ampio la giustificano. Un esempio di
scuola è quello dell’emporio nei villaggi. Un tempo nei piccoli paesi esisteva un solo negozio che
fungeva da alimentari, merceria, tabacchino e quant’altro. La dimensione limitata del mercato non
rendeva infatti conveniente una scala più ampia dell’attività. Laddove il piccolo villaggio si è espanso,
e con l’accrescimento dei reddito pro-capite, è comparsa una differenziazione commerciale. La DL
appare dunque qui legata con la scala delle attività, e quest’ultima con la dimensione del mercato. Smith
suggerisce dunque che la crescita economica e l’ampliamento dei mercati sia di stimolo all’aumento
della produttività in un circolo virtuoso: l’aumento della produttività comporta infatti, se distribuito su
fasce ampie della popolazione, un aumento del reddito pro capite e dell’”ampiezza del mercato”. Questi
circoli virtuosi sono stati spesso definiti come “processi cumulativi” della crescita da studiosi come
Gunnar Myrdal e Nicholas Kaldor, e talvolta definiti come “legge di Verdoon”. Non tutte le innovazioni
sono, naturalmente, legate alla scala della produzione: gli imprenditori avranno sempre convenienza a
introdurre innovazioni che riducano i costi di produzione.
 Moderni studiosi del progresso tecnico hanno anche stabilito che le innovazioni sono spesso
stimolate da aspettative ottimistiche circa la crescita del mercato in quanto un mercato ampio consente
di recuperare più velocemente le ingenti spese di Ricerca e Sviluppo (ReS) occorse per generare

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l’innovazione, recupero veloce tanto più necessario in quanto l’innovazione potrebbe essere imitata e
perfezionata dai concorrenti.
 3.2. Visioni armoniche e disarmoniche del mercato e delle relazioni economiche
internazionali: conclusioni su mercantilismo e Smith.
 Smith appare presentarci una visione armonica del mercato, la mano invisibile, sebbene si deve
osservare che nell’apparato teorico dell’economista scozzese non vi siano forze naturali tali da condurre
al pieno impiego (che il più tardo marginalismo ritenne di poter identificare). I vantaggi del laissez-faire
si estendono per Smith anche al commercio internazionale. Qui, come nel mercato interno, il commercio
fra paesi consente la divisione internazionale del lavoro e la possibilità di smerciare il sovrappiù relativo
alle produzioni in cui ci si è specializzati, quelle per le quali si ha un vantaggio assoluto di costo di
produzione.
 Smith accused the mercantile doctrine of looking after the interests of merchants and producers,
while sacrificing those of consumers (1776: 661-2) and asserted the advantages of international trade
for all participating nations through exchange of surplus products, market expansion and thereby
extension of the division of labour (1776: 446-7). Ecco alcuni famosi passi di Smith (Book IV, Chapter
VIII: Conclusion of the Mercantile System):
 IV.8.49 “Consumption is the sole end and purpose of all production; and the interest of the
producer ought to be attended to only so far as it may be necessary for promoting that of the consumer.
The maxim is so perfectly self-evident that it would be absurd to attempt to prove it. But in the
mercantile system the interest of the consumer is almost constantly sacrificed to that of the producer;
and it seems to consider production, and not consumption, as the ultimate end and object of all industry
and commerce.
 IV.8.50 In the restraints upon the importation of all foreign commodities which can come into
competition with those of our own growth or manufacture, the interest of the home-consumer is
evidently sacrificed to that of the producer. It is altogether for the benefit of the latter that the former is
obliged to pay that enhancement of price which this monopoly almost always occasions.
 IV.8.51 It is altogether for the benefit of the producer that bounties are granted upon the
exportation of some of his productions. The home-consumer is obliged to pay, first, the tax which is
necessary for paying the bounty, and secondly, the still greater tax which necessarily arises from the
enhancement of the price of the commodity in the home market.
 IV.8.54 It cannot be very difficult to determine who have been the contrivers of this whole
mercantile system; not the consumers, we may believe, whose interest has been entirely neglected; but
the producers, whose interest has been so carefully attended to; and among this latter class our merchants
and manufacturers have been by far the principal architects. In the mercantile regulations, which have
been taken notice of in this chapter, the interest of our manufacturers has been most peculiarly attended

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to; and the interest, not so much of the consumers, as that of some other sets of producers, has been
sacrificed to it.”
 Smith held a theory of absolute advantages from trade which is very different from the later
theory of comparative advantages attributed to David Ricardo. A theory of absolute advantages is in
principle consistent with the pursuit of mercantilist policies, e.g. trade policies aimed at developing and
safeguarding national absolute advantages. In other words, despite his attack on mercantilism, his theory
of international trade is not inconsistent with a disharmonic view of international political relations. Su
questo torneremo.
 Smith pare aver tuttavia condiviso l’argomento attribuito ai mercantilisti della “industria
nascente” (infant industry) (Heckscher: 113).5 L’idea è che la protezione della propria industria nei paesi
a più tarda industrializzazione, e per il tempo necessario a ricuperare gli svantaggi competitivi, non
costituirebbe una violazione piena dei principi del laissez-faire.

4. La teoria del sovrappiù in David Ricardo
 In Ricardo (1772-1823) troviamo una compiuta formulazione della teoria dei profitti e della
rendita basata sul concetto di sovrappiù. Trascuriamo per ora la rendita.
4.1. Il Saggio sui profitti
 La formulazione più immediata è quella che si ritrova nel Saggio sui profitti (1815) in cui egli
fa l’ipotesi che i salari consistano di solo grano (nell’eccezione classica dell’insieme dei prodotti
agricoli). Facendo l’ulteriore ipotesi che il capitale anticipato in agricoltura consista di solo grano, ne
deriva che in quest’ultimo settore si determina il saggio del profitto per l’intera economia. Supponendo
infatti che Lg sia il numero di lavoratori impiegato in agricoltura, w il loro salario reale misurato in

grano, Pg il prodotto agricolo netto dei capitali anticipati, il sovrappiù è misurabile come: S  Pg  wLg

. Tale sovrappiù coincide con i profitti dei capitalisti del settore agricolo. Il saggio del profitto è
calcolabile come rapporto fra S e i capitali anticipati che consistono del grano impiegato per la semina,
Cg e dei salari-grano:

 S
 r [1]
 C g  wL g

 Una volta calcolato il saggio del profitto del settore agricolo sulla base dell’equazione [1], si
dimostra che questo prevarrà anche come saggio del profitto dell’intera economia (dunque anche nel
settore manifatturiero). Se infatti il saggio del profitto in quest’ultimo settore fosse più elevato di quello
agricolo, si può supporre che dei capitali si sposteranno dall’agricoltura all’industria, che dunque
l’offerta dei prodotti industriali aumenti e, con la diminuzione del loro prezzo, anche il saggio del

5
 Eli Filip Heckscher (Stoccolma, 1879 –1952) è stato il maggiore storico del mercantilismo, v. sopra nota 2.
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profitto del’industria diminuisca convergendo progressivamente verso quello determinato attraverso
l’equazione [1].
 E’ importante osservare che r risulta da un rapporto fra grandezze omogenee, tutte consistenti di
grano (com’è ovvio non ha senso una operazione aritmetica fra grandezze disomogenee). Se ad esempio
fra i capitali utilizzati vi fossero dei fertilizzanti prodotti nell’industria, un calcolo così semplice di r
non sarebbe possibile. Così anche se i salari consistessero di grano e tela, w non sarebbe più misurabile
come quantità di grano. In ambedue i casi, grano e fertilizzanti che compongono Cg , e grano e tela che

entrano in w, vanno sommati moltiplicando le loro quantità per i rispettivi prezzi, vanno cioè ridotti a
valori omogenei, vanno cioè sommati in valore. Peraltro lo stesso prodotto sociale (lordo e netto) e il
sovrappiù consisterebbero di beni eterogenei6 Non casualmente Ricardo nella sua opera successiva, i
Principi di Economia (1817), considera una economia dove i capitali anticipati e i salari consistono di
beni eterogenei.
 Il modello con solo grano mantiene tuttavia un suo interesse in quanto mette in luce in maniera
assai chiara il significato delle teorie del sovrappiù. Nell’ambito delle ipotesi semplificate del Saggio, il
settore del grano coincide infatti col settore dei beni-salario, e il sovrappiù è la quantità di grano
disponibile per sostenere il “surplus labour”, dunque quella parte della popolazione che può dedicarsi
ad attività superflue dal punto di vista della mera riproduzione materiale della società, dunque alla
guerra, alla ricerca filosofica, alle attività politico-istituzionali, alle pratiche magiche e religiose, alla
produzione dei beni di lusso, alla esportazioni nette. In modelli ispirati alla teoria del sovrappiù un
settore dei beni salario è sempre in via di principio identificabile: si tratterà del settore integrato dei beni
salario. Questa particolare sezione dell’economia include la produzione dei beni salario e di tutti gli altri
beni utilizzati direttamente e indirettamente nella produzione di beni salario. Impiegando le tavole
input/output (che purtroppo non vi fanno più studiare) esso è persino identificabile empiricamente. Il
tasso del profitto dell’economia verrà calcolato in quel settore.

4.2. La teoria del valore lavoro
 Entro limiti assai severi, Ricardo ritenne di poter determinare il saggio del profitto entro uno
schema di sovrappiù pur in presenza di beni salario e capitali eterogenei. A questo scopo egli propose
di misurare il valore delle merci attraverso la quantità di lavoro occorsa direttamente e indirettamente
per produrle, la cosiddetta teoria del valore lavoro. La quantità di lavoro diretta si riferisce al lavoro
direttamente impiegato per produrre un bene, ad esempio la tela, mentre quella indiretta si riferisce al
lavoro incorporato nei beni capitali impiegati nella produzione della tela, ad es. nei filati ecc. Le merci

6
 Il prodotto sociale lordo consiste di grano, fertilizzanti e tela, il prodotto sociale netto e il sovrappiù di
grano e tela, cioè dei soli prodotti finali.
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si scambieranno dunque secondo le rispettive quantità di lavoro, dirette e indirette, che incorporano. Per
esempio se:
 1 unità di grano  1 ora di lavoro diretto (bracciante) + 1 ora di lavoro indiretto (incorporato
nella zappa)
 1 unità di tela  ½ ora di lavoro diretto (operaio) + 1/2 ora di lavoro indiretto (incorporato nei
filati)
 Ci vorranno due unità di tela per acquistare 1 unità di grano in quanto il grano incorpora il doppio
di lavoro della tela. Se fissassimo il prezzo del grano pari a 1, il prezzo della tela sarebbe 0,5.
 A questo punto tutte le grandezze che ci occorrono per calcolare il saggio del profitto attraverso
l’equazione del sovrappiù:
 
sono misurabili in maniera omogenea anche se consistenti di merci eterogenee, basti misurarne il valore
attraverso le quantità rispettive di lavoro incorporato. (Si osservi che nel calcolo del saggio del profitto,
il capitale anticipato consiste solo dei salari anticipati ai lavoratori N, e non anche i mezzi di produzione,
capitali circolanti e fissi anticipati dal capitalista. Questo nella nella presunzione che tali salari
ricomprendano anche quelli anticipati alle lavoratrici che han prodotti i mezzi di produzione. Questo
non è strettamente corretto (si veda la prima delle Sei lezioni), ma accettiamo questa approssimazione
che non inficia i risultati di Ricardo.

5. La teoria dei vantaggi comparati di Ricardo
5.1. Il capitolo VII “Del commercio estero” dei Principi
 Ricardo misura dunque il valore delle merci attraverso il lavoro contenuto.
 Per il grande economista inglese l’apertura al commercio estero può avere la stessa natura
dell’introduzione di nuovo macchinario (progresso tecnico). Supponiamo, per esempio, che un paese
consumi una botte di vino del valore di 100 ore lavoro e 900 metri di tela del valore di 900 ore lavoro.
Se importando una botte di vino in cambio di tela esso spendesse solo l’equivalente di 50 ore lavoro, 50
ore lavoro – resterebbero a disposizione per l’accumulazione di capitale o altri scopi. E’ implicito in ciò
che abbiamo detto che 50 ore lavoro delle 100 precedentemente destinate a produrre vino debbano essere
ora destinate a produrre tela per l’esportazione da dare in cambio del vino.
 Con la sua consueta precisione, Ricardo precisa che se l’importazione di merci a più buon
mercato, o l’introduzione di macchinario migliore, riguarda beni di lusso – quelli consumati dai soli
capitalisti – aumenterà il reddito reale di questi ultimi, ma non aumenterà il saggio del profitto.
Quest’ultimo dipende, come sappiamo, dai salari – date le condizioni tecniche di produzione dei beni
salario:

 12
Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

 “Ho costantemente cercato di mostrare, in tutta quest’opera, che il saggio del profitto può essere
aumentato solo con una diminuzione dei salari, e che non vi può essere diminuzione permanente dei
salari se non in seguito a una diminuzione dei prezzi dei beni di prima necessità in cui i salari vengono
spesi [poiché i salari sono già al livello di sussistenza storicamente determinato e sono dunque
incomprimibili]. Se, perciò, per l’ampliamento del commercio con l’estero, o per i progressi delle
macchine, i viveri e i beni di prima necessità del lavoratore possono essere portati al mercato a prezzi
ridotti, i profitti aumenteranno. Se, invece di coltivare il nostro grano, o di produrre vestiario e gli altri
beni di prima necessità del lavoratore, scopriamo un nuovo mercato dal quale possiamo procurarci
queste merci a condizioni migliori, i salari diminuiranno e i profitti aumenteranno; ma se le merci
ottenute a prezzi più bassi in seguito all’ampliamento del commercio con l’estero o per i progressi delle
macchine, sono merci consumate esclusivamente dai ricchi, non si avrà nessuna modificazione nel
saggio del profitto” (p. 91).
 Ricardo fa poi un’affermazione impegnativa: “La stessa norma che regola il valore relativo delle
merci all’interno di un paese non si applica al valore relativo delle merci scambiate tra due o più paesi”
(p. 92). Nonostante questa apparente violazione del principio della concorrenza che suggerisce che le
merci sia scambino al loro costo di produzione (che include il saggio normale del profitto), costo di
produzione che per Ricardo è dato dal lavoro contenuto, egli passa a un elogio della concorrenza come
guida alla divisione internazionale del lavoro che ci fa rammentare l’elogio Smithiano della mano
invisibile:
 “In un sistema di perfetta libertà di commercio, ogni paese rivolge naturalmente il capitale e il
lavoro agli impieghi che gli sono maggiormente vantaggiosi. Questo perseguimento del vantaggio
individuale si accorda mirabilmente con il bene universale della società. Stimolando l’operosità,
ricompensando l’ingegnosità, usando nel modo più efficace le particolari capacità elargite dalla natura,
esso distribuisce il lavoro nel modo più efficace ed economico; mentre, accrescendo la massa generale
dei prodotti, diffonde il benessere generale e lega con il vincolo comune dell’interesse e dello scambio
reciproco la società universale delle nazioni di tutto il mondo civile. E’ questo principio che fa sì che il
vino venga prodotto in Francia e in Portogallo, che il grano venga coltivato in America e in Polonia, e
che ferramenta e altre merci vengano manifatturate in Inghilterra” (p. 93)
 La differenza fra commercio all’interno di un paese e quello fra paesi consiste in questo: “Nello
stesso identico paese, i profitti [saggio dei profitti], parlando in generale, stanno sempre allo stesso
livello… Lo stesso non avviene nei rapporti fra paesi differenti” (p. 93 mio corsivo). Ricardo introduce
dunque l’ipotesi di immobilità nei movimenti di capitale fra Paesi (infatti se fossero mobili, essi si
sposterebbero nei Paesi dove il saggio del profitto è maggiore, livellandone il livello). Questa ipotesi
viene giustificata successivamente in questo modo: “L’esperienza mostra…che l’insicurezza
immaginaria o reale del capitale, quando questo non sia sotto l’immediato controllo del proprietario,
insieme alla riluttanza naturale che ognuno prova all’idea di abbandonare il paese dov’è nato e ha le sue
 13
Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

relazioni e affidare se stesso, con tutte le sue abitudini consolidate, a un governo estraneo e a leggi
nuove, sono di ostacolo all’emigrazione del capitale. Questi sentimenti…inducono la maggior parte
delle persone abbienti a contentarsi di un basso saggio di profitto nel proprio paese piuttosto che cercare
in altre nazioni un più vantaggioso impiego per la propria ricchezza” (p. 95).
 Come vedremo, le conclusioni che Ricardo trae nei riguardi del commercio internazionale
dipendono fortemente dall’ipotesi di immobilità dei capitali, sebbene questo non venga specificato nelle
presentazioni manualistiche della teoria Ricardiana del commercio internazionale, sì da falsarne
completamente la natura (se, infatti, rimuovessimo quella ipotesi, com’è lecito ritenere debba farsi con
riguardo all’epoca attuale, le conclusioni sarebbero ben diverse, come lo stesso Ricardo, vedremo, ci
avverte).

5.2. L’esempio di Ricardo sui vantaggi comparati (con immobilità dei capitali)
 Esaminiamo dunque ora il famoso esempio di Ricardo attraverso cui egli espone la teoria dei
vantaggi comparati. Egli suppone che in Inghilterra per produrre una certa quantità (un’unità) di stoffa
occorrano 100 lavoratrici per un anno, mentre per produrre una certa quantità(un’unità) di vino ne
occorrano 120. In Portogallo, invece, le analoghe grandezze sono 90 e 80 lavoratori, rispettivamente.
La tabella 1 riassume l’esempio:

 Il Portogallo ha vantaggi sia nella stoffa che nel vino
 Tabella 1
Per esempio, se la distribuzione dei costi di produzione fosse quella della tabella 2, non ci
sorprenderemmo a constatare una specializzazione dell’Inghilterra nella stoffa e del Portogallo nel vino.

 14
Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

 STOFFA VINO

INGHILTERRA 70 120

PORTOGALLO 90 80

 L’Inghilterra ha qui un vantaggio assoluto nella stoffa e il Portogallo nel vino (caso di Smith).
 Tabella 2
 Ciò che tuttavia Ricardo vuole dimostrare è che vi sarà commercio internazionale e reciproco
vantaggio anche se un paese è svantaggiato nella produzione di ambedue le merci. Torniamo dunque
alla tabella 1.
 Ricardo suppone dunque che un’unità di stoffa si scambi internazionalmente con un’unità di
vino. Appare a questo punto chiaro che al Portogallo converrà produrre vino; infatti spostando 90 L.
dalla produzione di stoffa a quella di vino, rinunciando dunque a ottenere internamente 1 quantità di
stoffa, esso produrrà 90/80 = 1,125 di vino con cui otterrà dall’Inghilterra 1,125 di stoffa, più di quanto
avrebbe ottenuto all’interno. Così l’Inghilterra spostando 120 L. dalla produzione di vino a quella di
stoffa, da un lato rinuncia a produrre internamente 1 di vino, ma producendo 120/100 = 1,2 unità in più
di stoffa e scambiandole con vino portoghese, ottiene 1,2 di vino, più di quanto avrebbe ottenuto
all’interno. V’è dunque un vantaggio reciproco dallo scambio. Osserviamo:
 - ciascun paese si è specializzato nella produzione della merce in cui ha lo svantaggio
(vantaggio) relativo minore (maggiore). Per esempio il Portogallo pur possedendo vantaggi assoluti in
ambedue le merci, ha un vantaggio comparato superiore nel vino: esso può infatti produrre stoffa a un
costo inferiore del 10% rispetto all’Inghilterra ((90-100)/100), ma del 33% nel caso del vino ((120-
80/120). Discorso simmetrico per l’Inghilterra: essa ha uno svantaggio comparato minore nella stoffa
rispetto al vino.
 - Naturalmente il prezzo internazionale deve rendere conveniente lo scambio.
Esaminiamo un momento la situazione del Portogallo Se esso non commerciasse, i due beni si
scambierebbero al suo interno secondo il lavoro incorporato (in generale ai propri costi di produzione),
il prezzo del vino in termini di stoffa sarebbe 80/90 = 0,89 ( p vP  0,89 , p sP  1 , dove l’apice si riferisce
al paese, e il pedice alla merce),7 dunque 1 unità di vino acquista 0,89 unità di stoffa.8 Se il prezzo

7
 Il prezzo del vino è 8/9 quello della stoffa.
8
 Sulla base della teoria del valore-lavoro, se una quantità di stoffa incorpora 90 unità di lavoro e una quantità di
vino 80 unità, se la prima vale 1, la seconda vale 0,89 (ovvero 80/90).
 15
Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

internazionale fosse pari a quello interno, non vi sarebbe convenienza per i portoghesi ad acquistare
stoffa inglese (all’interno dobbiamo dare più di una unità di vino per una di stoffa). Al prezzo
internazionale ( p vi  p si  1 ), invece, 1 unità di vino acquista 1 unità di stoffa e vi sarebbe convenienza

allo scambio. Così in Inghilterra, se vi fosse chiusura allo scambio internazionale, il prezzo del vino in
termini di stoffa sarebbe 120/100 = 1,2 ( p vI  1,2 , p sI  1 ), dunque 1 unità di stoffa che vale 1 acquista
0,83 di vino (1/1,2 = 0,83), mentre al prezzo internazionale 1 quantità di stoffa otterrebbe 1 quantità di
vino. Se però, anche nel caso dell’Inghilterra, i prezzi internazionali fossero uguali a quelli interni,
scomparirebbe la convenienza allo scambio fra i due paesi Ne ricaviamo che esiste una forbice di prezzi
relativi entro cui lo scambio è conveniente. Nell’esempio: 0,89 < p v / p s < 1,2, ovvero il rapporto di

scambio internazionale deve essere ricompreso fra i costi relativi rispettivi nei due paesi (ovvero fra il
prezzo del vino in termini di stoffa nei due paesi, rispettivamente).
 Commenta Ricardo: “Così, l’Inghilterra darebbe il prodotto del lavoro di 100 uomini in cambio
del prodotto del lavoro di 80. Tale scambio non potrebbe aver luogo tra individui dello stesso paese. Il
lavoro di 100 Inglesi non può essere dato in cambio di quello di 80 Inglesi, ma il prodotto del lavoro di
100 Inglesi può esser dato in cambio del prodotto del lavoro di 100 Portoghesi, di 60 Russi o di 120
Indù. La differenza da questo punto di vista, tra un singolo paese e molti paesi, è facilmente spiegata,
se si considera la difficoltà con cui il capitale si muove da un paese all’altro alla ricerca di un impiego
più vantaggioso, e la frequenza con cui passa costantemente da una provincia all’altra dello stesso
paese” (p. 94, miei corsivi).
 E, continua Ricardo, “Per i capitalisti inglesi e per i consumatori di entrambi i paesi sarebbe
indubbiamente vantaggioso che in tali circostanze il vino e la stoffa venissero prodotti entrambe in
Portogallo, e che a questo scopo venissero trasferiti in Portogallo il capitale e il lavoro impiegati
dall’Inghilterra nella produzione di stoffe. In tal caso, il valore relativo di queste merci verrebbe
regolato dallo stesso principio che vige quando l’una è prodotta nello Yorkshire e l’altra a Londra; e,
in ogni caso, se il capitale affluisce liberamente verso i paesi dove si può impiegare con più profitto,
non ci potrebbe essere nessuna differenza nel saggio del profitto, né altra differenza nel prezzo reale,
o in lavoro, delle merci, che non sia la quantità supplementare di lavoro richiesta per trasportarle nei
vari mercati dove si devono vendere” (pp. 94-95, mio corsivo).

5.3. I saggi di profitto con mobilità e immobilità dei capitali
 Per comprendere bene questi passi facciamo un esempio. Sempre con riferimento alla tabella 1
supponiamo che la quantità unitaria di tela a cui si riferisce la tabella sia 1000 metri, e quella di vino
1000 litri. Il salario di un lavoratore sia di 5 metri di tela per ora lavorata (per semplicità il medesimo in
entrambi i paesi). Dunque r è determinato, come suggerito da Ricardo, nel solo settore dell’unico bene

 16
Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

salario, quello della tela, mentre il vino è bene di lusso e il suo saggio di profitto dipende da quello della
tela. Il saggio del profitto nei due paesi prima dell’apertura al commercio è dunque, rispettivamente:
 P  W (  wL ) 1000  5 x 90
 rP    122 % P  W 1000  5 x100
 W 5 x 90 ; rI    100 % .9
 W 5 x100

 Dove W sono le “necessities” sopra denotate con la lettera N.
 Il saggio di profitto in Inghilterra è chiaramente più basso poiché il settore dei beni-salario
inglese adotta una tecnologia inferiore.10 E’ anche chiaro che se vi fosse mobilità di capitali tutta la
produzione, di tela e di vino, verrebbe portata in Portogallo (assumendo che lì vi sia sufficiente lavoro
disoccupato). Questo comporterebbe la desertificazione produttiva dell’Inghilterra
(deindustrializzazione).
 Con immobilità dei capitali, in seguito all’apertura al commercio l’Inghilterra si specializza,
come sappiamo, nella produzione di stoffa e il Portogallo in quella di vino. La tabella 3 esemplifica la
situazione dopo l’apertura.

 Nei due paesi tutto il lavoro precedentemente suddiviso sulle due produzioni è concentrato su una (es.
 in Inghilterra 220 = 100 + 120)

9
 Abbiamo calcolato il saggio del profitto misurando le grandezze in tela. Misurandole in lavoro, i salari anticipati
in Portogallo nel settore della tela incorporano (450/1000)x90 = 40,5 anni lavoro: infatti 90*5 = 450 è monte
salari in tela. Quanto lavoro incorpora? 90 L  1000 m tela, allora 450/1000 = 40,5 è il lavoro incorporato in
450 metri. Applicando l’equazione del sovrappiù con le grandezze misurate in lavoro incorporato otteniamo:
 90  40,5
rP   122%.
 40,5
Per esercizio la lettrice svolga gli analoghi calcoli per l’Inghilterra.
10
 Si osservi che oltre all’immobilità dei capitali stiamo assumendo che anche le tecnologie siano “immobili” fra
paesi, vale a dire non facilmente imitabili o coperte da diritti di proprietà intellettuale.
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Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

 Tabella 3

Suponiamo che i due prezzi internazionali siano pv = ps = 1.
Il saggio del profitto in Inghilterra, calcolato nel settore dei beni salario (peraltro l’unico) è dato da:
 2200  5 x 220
 rI   100 % .
 5 x 220
 In Inghilterra il saggio del profitto non muta, e ciò non sorprende in quanto per questo paese il
prezzo dei beni salario non è mutato (anzi ora è l’Inghilterra a produrre beni-salario per tutta l’economia
globale alle medesime condizioni tecniche di produzione che precedevano la globalizzazione).
 Di qui la conclusione di Ricardo: “Il commercio estero, perciò, pur essendo altamente
vantaggioso per un paese, in quanto aumenta la quantità e la varietà degli oggetti in cui è possibile
spendere il reddito, e stimola il risparmio e l’accumulazione del capitale rendendo abbondanti e a buon
mercato le merci, non tende minimamente ad aumentare i profitti [il saggio dei profitti], salvo che le
merci importate siano quelle di cui vengono spesi i salari dei lavoratori” (p. 92). (Si rilegga a tal riguardo
anche il passo di Ricardo sopra riportato: “Ho costantemente cercato di mostrare…”).
 Dunque, dice Ricardo, nella nuova situazione un vantaggio per i capitalisti c’è, in quanto ora
potranno consumare, a parità di stoffa esportata, una quantità maggiore di vino, oppure consumare la
medesima quantità di vino e impiegare la stoffa “risparmiata” per accumulare capitale, impiegando
nuovi lavoratori. In Portogallo il settore dei beni-salario sembra invece scomparso. Potremmo tuttavia
facilmente calcolare il saggio del profitto in questo paese sfruttando la conoscenza dei prezzi
internazionali, ciò che ci permette di calcolare il valore della produzione di vino e il valore dei beni-
salario anticipati:11
 PvP pvi  w( 5 xpsi ) LPv 2125  5 x170
 rP    150%
 wLPv 5 x170
 Il saggio del profitto in Portogallo è aumentato in quanto il commercio estero consente
l’importazione di beni-salario a termini più convenienti (all’interno, come visto, si doveva cedere una
unità di vino per ottenerne 0,89 di stoffa, col commercio estero si ottiene invece una unità di stoffa).
Come spiegato da Ricardo, in assenza di mobilità dei capitali è possibile che la remunerazione del
capitale sia diversa nei due paesi.

5.4. Perché tendono a prevalere prezzi internazionali che rendono conveniente lo scambio

11
 La quantità di vino prodotta in Portogallo è facilmente calcolabile risolvendo la proporzione: se 80 L producono
1000 litri, 170 L producono?
 18
Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

 Ci dobbiamo ora domandare come il processo concorrenziale faccia tendere l’economia a un
esito di apertura al commercio internazionale. Supponiamo di essere in un sistema aureo e di partire da
una situazione quale dipinta nella tabella 4, in cui i prezzi pre-apertura sono espressi in unità auree tali
da riflettere il rapporto di scambio in lavoro contenuto:

 19
Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

 Prezzi in oro proporzionali al lavoro contenuto
 Tabella 4

 All’inizio il Portogallo è avvantaggiato in ambedue le produzioni ed è perciò esportatore netto
verso l’Inghilterra la quale deve regolare il disavanzo commerciale pagando in oro. Questo implica una
fuoriuscita di oro dall’Inghilterra e un suo aumento nel Portogallo. Secondo i canoni della teoria
quantitativa della moneta i prezzi diminuiranno in Inghilterra e aumenteranno in Portogallo. Questo
implica però assumere la piena occupazione delle risorse in Portogallo (e che la banca centrale
portoghese non “sterilizzi” la maggiore quantità di moneta). Sebbene non sia dunque detto che la
maggiore disponibilità monetaria nel Portogallo generi un processo di aumento di prezzi e salari, è pur
plausibile che in Inghilterra la crescente disoccupazione generi un processo deflativo di prezzi e salari.
Ad un certo punto uno dei due prezzi inglesi scenderà sotto quello portoghese, e l’Inghilterra comincerà
a esportare il bene in oggetto mentre il Portogallo smetterà di esportarlo. Questo accadrà plausibilmente
per la stoffa il cui prezzo aureo di partenza è più vicino a quello portoghese (1 e 0,9 rispettivamente). Il
processo continuerà sino a quando le bilance commerciali non si riequilibrano e si annullano i flussi
netti di oro fra i due paesi.

5.5. Mobilità dei capitali
 Torniamo infine su cosa accadrebbe se vi fosse mobilità dei capitali (quale quella esistente fra
regioni di un medesimo paese). Ricardo ci ha anticipato che in questo caso i capitali muoveranno verso
la regione dove vi sono costi assoluti più bassi, dall’Inghilterra al Portogallo nell’esempio. La
deindustrializzazione dell’Inghilterra è l’unico esito?
 Nel paese dagli svantaggi assoluti la disoccupazione potrebbe invero generare una caduta dei
salari reali tale da rendere competitivo il paese in almeno qualche produzione (ciò richiede naturalmente
che i salari, tuttavia, non siano già a livello di sussistenza storicamente determinato, sotto al quale non
possono scendere). Se per esempio i salari reali cadessero in Inghilterra a w = 4,5 misure di stoffa
 1000 4,5x100
(rimanendo al di sopra della sussistenza), il saggio di profitto diventerebbe rI   122%
 4,5x100
, precisamente pari a quello portoghese, arrestando in tal modo la fuoriuscita di capitali e la de-
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Economia internazionale Cesaratto Materiali integrativi: Ricardo

industrializzazione. Se i salari cadessero di più, l’Inghilterra potrebbe addirittura diventare più
competitiva del Portogallo e i capitali cominciare a fluire da questo paese verso l’Inghilterra. Questo ci
suggerisce un’importante constatazione, che la competitività dipende non solo dai vantaggi tecnologici,
ma anche dal salario reale. Un paese emergente con uno svantaggio tecnologico, ma con bassi salari,
potrebbe dunque spiazzare un paese industrializzato.
 Concludiamo dunque come sia errato ritenere che Ricardo abbia sostenuto la validità generale
dei vantaggi reciproci dell’apertura al commercio estero: lo ha fatto solo nei limiti, che egli riteneva
plausibili alla sua epoca, di scarsa mobilità internazionale dei capitali. In presenza di mobilità dei
capitali, il commercio internazionale può implicare la perdita di competitività e il declino economico di
un paese, oppure una caduta dei suoi salari reali, dunque del tenore di vita della popolazione.
 La discussione condotta sinora è stata basata sulla teoria del valore lavoro. Ma i risultati di
Ricardo rimangono validi (e dunque rafforzati) una volta che si adotti una teoria classica dei prezzi più
fondata? La risposta è positiva (si rimanda alla prima delle Sei lezioni).

Bibliografia
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Parrinello S., National Competitiveness and Absolute Advantage in a Global Economy”, Working
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Parrinello S. “The notion of national competitiveness in a global economy”, in Economic Theory
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Parrinello S., l’Unità, “La fine dell’industria”; 8 giugno 2007, titolo originario: “In tema di
globalizzazione: quando l’economista è fuori strada ed il non addetto ai lavori coglie nel segno”
Ricardo, D. Sui principi dell’economia politica e della tassazione, Oscar Studio Mondadori, 1979

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