Una lettera per il Partito Democratico

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Una lettera per il Partito Democratico

LA CRISI DELLA POLITICA

Della crisi delle istituzioni e della necessità di una loro riforma si parla da decenni, con
scarsissimi risultati dal punto di vista del miglioramento del funzionamento delle stesse e
del recupero del rapporto con gli elettori (i quali – va ricordato – hanno bocciato l’ultimo
tentativo di ampia riforma costituzionale compiuto dalla destra nel 2006).
Per quanto le istituzioni abbiano bisogno - in alcuni casi - di essere riformate, la crisi ad
esse imputata è, in realtà, soprattutto una crisi della politica, che riguarda in larga parte i
partiti, incapaci di farsi tramite tra le istanze popolari e le sedi istituzionali. In questo ambito
si possono ricercare le ragioni dell'inefficienza e della marginalità dei Parlamenti,
dell'instabilità dei governi, dell'inadeguatezza delle istituzioni locali, dell'incapacità di
decidere e attuare politiche che trovino il pieno sostegno dei cittadini. E anche della
corruzione diffusa, purtroppo, a tutti i livelli di governo, senza che la politica reagisca con
adeguata capacità di indignazione e condanna adottando le necessarie contromisure. I
partiti sono diventati, più che luoghi di discussione e di confronto a servizio dell'interesse
pubblico, luoghi di affiliazione in vista di interessi più immediati e personali. A fronte di ciò,
la ricostruzione del rapporto tra i cittadini e la politica che, in realtà, non può conoscere
divaricazione (se consideriamo la politica come partecipazione attiva alla vita pubblica),
non passa tanto dalle grandi riforme istituzionali, quanto da un recupero della capacità dei
cittadini di incidere sulle scelte politiche, a partire dal loro impegno nei partiti politici, che –
secondo quanto affermato dalla Costituzione – rappresentano gli strumenti per concorrere
alla determinazione della politica nazionale. Ecco, quindi, che il recupero del ruolo dei
partiti politici risulta fondamentale. Perché il potere deve essere reso più orizzontale e non
più verticale come troppe riforme hanno fatto o tentato di fare.

LA PARTECIPAZIONE CON METODO DEMOCRATICO

Ripartiamo quindi proprio dall’articolo 49 della Costituzione, a mente del quale «Tutti i
cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale».
In questo modo la Costituzione presuppone una partecipazione permanente dei cittadini
alla determinazione della politica nazionale, che non può, infatti, esaurirsi nel momento
elettorale. Attraverso il partito, per riprendere Rousseau, i cittadini non saranno più liberi
solo nel giorno delle elezioni, ma tutti i giorni. Tutti i giorni in cui vorranno partecipare,
quantomeno.
E questa libertà è assicurata dal “metodo democratico”, appunto. Che non ha solo una
rilevanza esterna - la quale implica la necessità che la sua azione avvenga nel rispetto dei
principi della democrazia e secondo gli istituti da questa previsti, sulla base di un confronto
con gli altri competitori in condizioni di parità - ma anche e soprattutto una rilevanza
interna. Da questo punto di vista risulta perciò fondamentale l’organizzazione interna: lo
spazio per un autentico confronto tra tutti i militanti e gli elettori del partito, il
riconoscimento del pluralismo delle posizioni, la formazione di organismi dirigenti snelli,
flessibili e aperti. Aperti soprattutto al contributo dei militanti e delle diverse posizioni
interne. Il tutto garantito da regole – che possono (e dovrebbero) trovare spazio in una
legge – idonee e a disciplinare la formazione (plurale) degli organi operativi (più aperti e
contendibili possibile), la presenza di organi di garanzia (in cui maggiore dovrebbe essere
il peso delle minoranze), la previsione di strumenti di effettiva partecipazione, resi sempre
più ampi e efficaci anche dall’evoluzione tecnologica.
In questo modo i partiti possono davvero rappresentare il necessario anello di
congiunzione tra i cittadini e le istituzioni, nelle quali saranno eletti propri esponenti al fine
di portare avanti quelle istanze maturate con il lavoro comune.
Le istituzioni non possono diventare “dei partiti” (come talvolta è stato ritenuto), nella
misura in cui la dirigenza di questi non potrà imporre una linea, la quale continuerà a
emergere nel rapporto con gli elettori, attraverso le elezioni ma anche attraverso forme di
consultazione. Gli eletti risponderanno soltanto ai propri elettori – come garantisce
l’articolo 67 della Costituzione il quale, escludendo il vincolo di mandato, integra e non si
contrappone all'art. 49 – che certo saranno in gran parte i militanti del partito, e
risponderanno sia alla fine (come sempre si dice) che durante il proprio mandato. In
questo modo si mantiene un legame di responsabilità, presupposto perché il
rappresentante politico – e quindi la politica stessa – possano rimanere credibili.

IL NOSTRO PARTITO

Da qui deve ripartire il Partito Democratico, a tutti i livelli in cui esso è presente: dai Circoli,
ai Consigli comunali al Parlamento Europeo.
In un periodo storico in cui la velocità d'azione e i dati percentuali fanno perdere di vista
l'importanza della profondità dell'azione e dei dati assoluti, questi ultimi ci restituiscono
l'immagine di un Paese in cui sono sempre meno le persone che partecipano alle scelte
pubbliche attraverso i partiti, perché rassegnate all'inutilità del proprio impegno in tali sedi,
percepite come luoghi di spartizione di poteri, poltrone, privilegi. Altri diventano i luoghi
della partecipazione: comitati, associazioni, liste civiche.

Perché l'impegno del singolo militante trovi corrispondenza nell'azione di eletti ed
amministratori abbiamo bisogno di costruire una perfetta sinergia tra i diversi livelli e le
diverse forme di impegno politico. Abbiamo bisogno di un partito che informa sulle sue
attività e che «forma», soprattutto. Che trasforma la discussione in cultura politica, perché
è solo da una comune cultura politica che può derivare un comune impegno, che significa
mobilitazione, da un lato, e iniziativa legislativa, dall'altro: ciascuno nelle sue possibilità.

DEMOCRATICI

Dalla doppia lettura - interna ed esterna - del "metodo democratico" discende la necessità
del più ampio riconoscimento dei diritti di iscritti ed elettori, che non devono essere limitati
al tesseramento e alla partecipazione alle varie tornate congressuali, ma devono potersi
tradurre nella «possibilità concreta di incidere continuativamente sulle determinazioni
adottate a tutti i livelli del partito» (così nella relazione al d.d.l. S. 42, Salvi, Villone
presentato nella XV legislatura) attraverso il riconoscimento di istituti partecipativi.

Un partito aperto

Il Partito Democratico dal momento della sua nascita sta subendo un costante calo di
iscritti, fenomeno che impone l'obbligo di ripensare le forme e gli strumenti di
partecipazione, di coinvolgimento degli iscritti, i militanti, i simpatizzanti, gli elettori. La
prima domanda da porsi riguarda il tesseramento: può essere questo l'unico strumento di
avvicinamento ai cittadini? Dobbiamo pensare a formule più flessibili, per organizzare la
partecipazione di coloro che hanno dimostrato la propria vicinanza al PD – partecipando
alle primarie, ad esempio: pur non essendo iscritti, si tratta di elettori che il partito deve
considerare una risorsa e che può coinvolgere nelle consultazioni e nel dibattito che un
partito deve sviluppare.
Alcuni strumenti funzionali a ciò esistono già, ma non sono utilizzati a dovere. Facciamo
riferimento all'istituto dei referendum interni (del tutto inapplicato), ma anche a sistemi
informatici come "Circoli in rete", un immenso database sottoutilizzato e bloccato. È quindi
necessario lavorare ad una vera e propria "anagrafe degli iscritti", la quale, oltre a
permettere la partecipazione attraverso i nuovi strumenti che la tecnologia mette a
disposizione, si configura come strumento di garanzia rispetto a tesseramenti gonfiati e
controllo del tesseramento, metodi che hanno caratterizzato anche l'ultimo congresso.

La deliberazione, però, deve essere preceduta da una discussione consapevole e che
segua processi decisionali chiari. Il primo requisito si realizza mettendo a disposizione di
iscritti e simpatizzanti proposte, dati e documenti, in forme accessibili a tutti, e spiegando.
Il secondo requisito necessita, invece, di sedi opportune, ripensate non come assemblee
pletoriche o organismi ristretti e apicali, ma come funzionali al coinvolgimento della base
del partito. Al momento, Assemblea e Direzione nazionale vengono utilizzate come palco
per rivolgersi ai media, mentre abbiamo bisogno di un unico organismo che sia
responsabile della linea politica, affiancato da un organismo in cui siano presenti i
segretari di Circolo e che perciò faccia da collegamento tra i dirigenti nazionali ed elettori e
iscritti.

Il risveglio delle competenze

Quel che da sempre manca al PD è la capacità di riempire lo spazio tra una primaria e
l'altra, di concentrarsi, in sostanza, più sui temi che su i nomi. In questi anni sono stati
milioni i cittadini che si sono recati presso i nostri gazebo, tutti registrati uno per uno. Si
tratta del più grande capitale di cui il PD dispone, che non è mai stato valorizzato. Al
contrario, si tratta di un capitale da conoscere meglio e da "mobilitare". Un caso di scuola
riguarda i referendum sull'acqua pubblica: se avessimo saputo l'orientamento dei nostri
elettori probabilmente il partito non avrebbe negato la loro esistenza fino a poche ore dal
voto, ma avrebbe sostenuto i militanti che già presidiavano i banchetti per la raccolta delle
firme. Se avessimo potuto sondare l'orientamento dei nostri elettori sulla riforma del
Senato avremmo avuto una riforma migliore e più condivisa. Invece si è ritenuto – come
sempre – che un voto alle primarie potesse considerarsi “tutto incluso”, secondo un
sistema di delega totale, proprio mentre i cittadini vogliono sempre meno delegare (perché
non si fidano. Non a caso).
Le nuove forme di partecipazione, però, sembrano trovare sempre meno compimento
nelle cosiddette piattaforme digitali, che si sono rivelate spazi chiusi e "iperpoliticizzati",
ma poveri di competenze. La sfida, al contrario, è credere nelle competenze: un dirigente
di partito deve ricercarle, valorizzarle, metterle in rete e porle nelle condizioni di produrre
documentazione che raggiunga davvero tutti i nostri elettori, mettendo quest'ultimo nella
possibilità di potersi impegnare sul suo territorio, secondo le sue possibilità. Perché non ci
servono centomila iscritti da far votare al prossimo Congresso, ma centomila cittadini che
vogliano fare una battaglia per l'acqua pubblica, sui rifiuti, per i diritti civili, e che la
facciano con la costanza e la determinazione di chi ci crede fino in fondo, anche se in quel
momento quella determinata battaglia potrebbe non essere popolare. Il rilancio della
partecipazione all'interno del Partito, così facendo, sarà solo il naturale passo successivo.

Contendibile e competitivo

Un partito contendibile è un partito competitivo, perché strutturalmente in grado di
affrontare sfide nuove, originali, scenari che cambiano rapidamente. La contendibilità non
deve essere riferita solamente alla leadership, ma deve essere estesa ai contenuti e ai
diversi orientamenti sulle questioni politiche. Nel momento in cui non esiste alcuna -
neppure minuscola - possibilità che le proposte della maggioranza del partito vengano
modificate dagli organi dirigenti del partito stesso, la contendibilità della linea politica viene
del tutto a mancare. È questo il rischio che si corre nel momento in cui la discussione
degenera dal merito delle proposte all'appartenenza correntizia, fatta di posizioni
preordinate e chiuse al reale confronto. Infatti, la decisione della maggioranza risulta molto
più accettabile se essa è stata assunta con l’effettivo concorso (almeno alla discussione)
anche di chi è rimasto in minoranza, essendo auspicabile che i blocchi non siano sempre
monolitici, a conferma che il confronto è davvero libero. Da ciò la necessità di introdurre
forme di garanzia delle minoranze, perché le loro posizioni vengano rispettate, discusse e
rappresentante.. Tali garanzie passano dalla previsione di sedi e strumenti di discussione
da una adeguata rappresentanza negli organi di direzione politica e – soprattutto – in
quelli di garanzia (con la attribuzione di ruoli di presidenza e una presenza debitamente
ponderata), e ancora ndal riconoscimento di ruoli nelle istituzioni (anche attraverso i gruppi
parlamentari). Ma ancora perché il partito sia effettivamente contendibile (anche questo
essendo, in effetti, un aspetto del “metodo democratico” previsto in Costituzione) deve
essere prevista la temporaneità delle cariche, la limitazione del numero di mandati alla
medesima carica, il rispetto dei quorum richiesti per le deliberazioni degli organi collegiali.
Ma proprio perché il partito non deve vivere riverso al proprio interno, ma aprirsi ai cittadini
per costituire quella fondamentale cinghia di trasmissione con le istituzioni, il pluralismo
del partito deve essere garantito anche nei momenti di confronto con l'elettorato,
garantendone la presenza di tutte le posizioni tra le candidature del partito nelle
competizioni elettorali.

Trasparente e consolidato

Sulla trasparenza dei partiti si gioca una parte consistente della loro residua credibilità agli
occhi dei cittadini. Per questo motivo proponiamo strumenti che, dal punto di vista
contabile e finanziario, facciano del PD una “casa di vetro”, rendendo possibile un
controllo diffuso.
Come primo strumento proponiamo la definizione e impostazione del «Bilancio
consolidato del PD». Mantenendo la totale autonomia di spesa delle articolazioni
territoriali, una rendicontazione uniforme permetterebbe al Tesoriere nazionale di
"consolidare" il bilancio, permettendo una "visione d'insieme" dei conti del PD, e non
visioni separate dei livelli nazionale, regionali e provinciali.
I dati relativi alle forme di finanziamento del PD sono "aperti" e accessibili. È necessario
che lo stesso trattamento venga riservato ai dati riguardanti le uscite, raggiungendo il
massimo livello di dettaglio sulle spese riguardanti il personale dipendente, le
collaborazioni e consulenze, i costi dei diversi servizi di cui il Partito si avvale.
Si rende inoltre sempre più urgente un'operazione di trasparenza che coinvolga le
fondazioni, enti ai quali la normativa nazionale non richiede alcun obbligo di trasparenza.
Per evitare che il "sistema delle fondazioni politiche" si sviluppi parallelamente al Partito, in
un'area grigia, queste dovrebbero impegnarsi per la massima trasparenza, comunicando il
proprio bilancio annuale, pena l'applicazione dell'art. 40 dello Statuto a dirigenti o eletti a
cui le fondazioni o associazioni fanno riferimento.
Infine, il nostro Statuto, all'art. 22, impegna i nostri eletti a contribuire all'attività del partito
(pena la non candidabilità) e a rendicontare la propria attività politica. Proponiamo di
integrare lo Statuto prevedendo che gli eletti effettuino annualmente un bilancio
economico della propria attività politica, indicando fonti di finanziamento e principali voci di
spesa, rendendo pubblico lo stato dei versamenti dovuti e realmente effettuati.
IN SINTESI

Una legge sui partiti, sul modello «Salvi e Villone».

Principio di coerenza: se il Pd dice a livello nazionale che le società partecipate sono
troppe, il Pd a tutti i livelli promuove, nell'autonomia funzionale, la soluzione del problema
indicato.

Principio di coerenza/2: il programma di governo, come già quello congressuale,
costituisce il fondamento dell'azione politica (art. 3 Statuto).

Primarie per legge: scelta consapevole degli eletti, rapporto diretto cittadini-eletti. Se si
vuole un partito all'americana, l'Italicum non va bene per niente.

Un regolamento interno per consultazioni e referendum, per un vero partito degli elettori
fondato sul dibattito e sul consenso informato (vedi anche alla voce formazione).

Bilancio consolidato: tutti i livelli del partito, non solo il partito centrale, sono tenuti a un
bilancio leggibile e consultabile.

Fondazioni trasparenti, con regole identiche a quelle osservate dal partito, per tutti i leader
e i rappresentanti che ne fanno parte.

Formazione politica come missione.

Carta di Pisa per tutti, contro la corruzione e il conflitto d'interessi a tutti i livelli: il Pd
esemplare.

Doppi incarichi da superare, separazione tra partito e istituzioni, se non per il premier,
almeno per gli altri.
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