TUTTO QUELLO CHE C'È DA SAPERE SUL VIRUS SARS-COV-2 - LICEO ...

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Tutto quello che c’è da sapere
sul virus SARS-CoV-2
Lara Rossi
SPECIALE CORONAVIRUS
27 Gennaio 2020

               Questo articolo è stato aggiornato in data    12 marzo 2020 .

A 17 anni dall’epidemia di SARS, un nuovo coronavirus tiene le autorità sanitarie di tutto il
mondo con il fiato sospeso: si tratta del coronavirus SARS-CoV-2 (inizialmente indicato
con il nome 2019-nCoV), responsabile di una sindrome denominata dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) COVID-19 (da CO per corona, VI per virus, D per disease e 19
per l’anno in cui si è manifestata).

Con l’aiuto del virologo Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di Genetica Molecolare del CNR
di Pavia, cerchiamo di seguire l’evoluzione dell’emergenza coronavirus in Italia e nel resto del
mondo rispondendo ad alcune delle domande sull’epidemia di COVID-19.
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Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di Genetica Molecolare del CNR di Pavia.

Indice dei contenuti
1. Come ha avuto origine l’epidemia di COVID-19?
2. Come ha avuto origine il coronavirus SARS-CoV-2? (Aggiornato al 12 marzo)
3. Quali condizioni possono aver favorito il salto di specie e la diffusione dell’infezione?
4. Che cosa ha innescato l’emergenza in Italia?
5. Come si diffonde il virus e qual è il periodo di incubazione? (Aggiornato al 12 marzo)
6. Come si stabilisce se una persona è stata contagiata dal coronavirus SARS-CoV-2? (NEW)
7. Quali sono i rischi per la salute? (Aggiornato al 12 marzo)
8. Che cosa si può fare per limitare il rischio di contagio?
9. Quanto sopravvive il virus nell’ambiente? (NEW)
10. Perché alcune persone sembrano essere più vulnerabili agli effetti del coronavirus?
11. Quali farmaci abbiamo a disposizione per contrastare l’epidemia di COVID-19?
(Aggiornato al 12 marzo)
12. Qual è la situazione attuale nel nostro Paese? (Aggiornato al 12 marzo)
13. Come evolverà l’emergenza coronavirus? (Aggiornato al 12 marzo)

1. Come ha avuto origine l’epidemia di COVID-19?
I primi casi di COVID-19 sono stati registrati il 31 dicembre 2019 a Wuhan, in Cina, dove il
focolaio ha probabilmente avuto origine nel mercato cittadino. A fine gennaio non era ancora
chiaro come si fosse evoluto questo nuovo coronavirus (probabilmente da un serbatoio
animale), ma i dati epidemiologici delle autorità sanitarie cinesi confermavano la
trasmissione diretta da uomo a uomo. Questo ha spinto il governo cinese ad avviare
misure straordinarie di contenimento dell’infezione, ponendo sotto quarantena Wuhan e
altre città in cui il focolaio stava prendendo piede.
Grazie a queste misure, fino alla fine di gennaio la maggior parte dei casi è rimasta confinata
al territorio cinese. I casi registrati in altri Paesi erano tutti “casi importati“, cioè
riguardavano persone che erano transitate per la Cina, dove avevano ragionevolmente
contratto l’infezione. L’andamento iniziale dell’epidemia sembrava quindi far scongiurare il
rischio di una disseminazione al di fuori della Cina o dei Paesi limitrofi. Tuttavia, dopo una
serie di riunioni straordinarie indette dall’OMS, il 30 gennaio 2020 l’infezione da SARS-CoV-2
è stata dichiarata dall’OMS un’emergenza di pubblica sicurezza di rilevanza
internazionale (indicata con l’acronimo inglese PHEIC).
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Diffusione del virus 2019-nCoV da gennaio a marzo 2020: la mappa in alto mostra i dati di
   diffusione al 27 gennaio 2020, la mappa in basso si riferisce al 4 marzo 2020 (Fonte immagine:
                                              CSSE ).

2. Come ha avuto origine il coronavirus SARS-CoV-2?
Il virus SARS-CoV-2 appartiene al genere dei Coronavirus , un gruppo di virus a RNA di cui
fanno parte anche il virus della SARS e della MERS, rispettivamente responsabili nel recente
passato di epidemie in Cina (nel 2003) e in Medio Oriente (nel 2012). I coronavirus sono
naturalmente presenti nei pipistrelli, dai quali il virus può passare anche ad altri mammiferi (lo
zibetto nel caso della SARS e il dromedario nel caso della MERS). Questo «salto di specie»
avviene grazie a una modifica nel patrimonio genetico del virus che lo rende in grado di
infettare nuove specie animali, tra cui anche gli esseri umani.
Questo tipo di eventi è particolarmente comune nel caso dei virus a RNA (come i
coronavirus), che hanno un tasso di mutazione molto elevato: quando duplica il suo
genoma, il virus commette numerosi errori, producendo così genomi altamente variabili.
All’interno della popolazione di nuovi virioni, alcuni possono avere caratteristiche molto
diverse, che li rendono in grado di infettare cellule di specie diverse rispetto a quella di
origine.
Nel caso del virus SARS-CoV-2, uno studio pubblicato a gennaio da un gruppo di ricercatori
cinesi sembrava aver identificato l’origine del virus in un evento naturale di
ricombinazione tra un coronavirus dei pipistrelli e un virus dei serpenti (evento che può
essere favorito quando i due virus vengono a trovarsi contemporaneamente nella stessa
specie). Da questo scambio di materiale genetico tra i due ceppi virali sarebbe derivato un
nuovo virus in grado di infettare anche le cellule umane. Tuttavia, i risultati di questo studio
sono stati messi in discussione da altri ricercatori e, al momento, rimangono incerti il
percorso evolutivo del coronavirus SARS-CoV-2 e la specie animale che ha fatto da “ponte”
tra i pipistrelli e l’uomo.
Aumentano, invece, di giorno in giorno gli studi di sequenziamento dei genomi di SARS-CoV-
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2 isolati in diverse parti del mondo. Questi dati aiutano a monitorare la diffusione del
virus e a capire se sta evolvendo o accumulando mutazioni che lo rendono più
virulento. Si tratta però di dati provvisori, che vanno valutati alla luce dell’evoluzione
dell’epidemia e che forse richiederanno la conclusione di questa ondata di infezioni prima
che si possa tracciare un quadro definitivo. Una di queste indagini, per esempio, ha
riscontrato una correlazione tra il ceppo virale rinvenuto in Italia e uno riscontrato in Germania
un mese prima: entrambi presentavano tre mutazioni assenti dai primi genomi sequenziati in
Cina. In un primo tempo questo ha fatto supporre che l’epidemia di COVID-19 in Italia sia
derivata dalla Germania, ma al momento è difficile trarre conclusioni definitive. I dati
suggeriscono che il virus è in circolazione in Europa da molto prima dell’esplosione
dell’emergenza italiana; non possiamo quindi escludere che un genoma con le mutazioni
trovate sia giunto dalla Cina parallelamente sia in Italia sia in Germania attraverso percorsi al
momento non noti.

3. Quali condizioni possono aver favorito il salto di specie e la
diffusione dell’infezione?
Il focolaio dell’infezione sembra essere stato il mercato del pesce di Wuhan. Il mercato di
animali vivi è un classico moltiplicatore di infezioni per diversi motivi: la presenza di un alto
numero di persone, la vicinanza con animali selvatici e le pratiche di macellazione degli
animali vivi che richiedono la manipolazione e il contatto diretto con gli animali. Il consumo di
carne cruda può contribuire ulteriormente ad aumentare il rischio (la cottura della carne è
infatti una misura sufficiente a uccidere gli eventuali virus presenti nell’animale). Questo,
tuttavia non è l’unico fattore. Come dimostrano anche altre epidemie virali del recente
passato, nel territorio cinese convergono anche altre condizioni che favoriscono
l’insorgenza e la diffusione di nuove infezioni. Oltre alla presenza di mercati di animali
vivi, su cui si basa l’economia di molti centri, in Cina sono presenti numerosi allevamenti
intensivi di animali: tutto questo favorisce la presenza ravvicinata di esseri umani e animali
(selvatici e non), a cui si aggiunge anche il fatto che la Cina si trova al centro di molte rotte
migratorie di uccelli che possono trasferire e diffondere i virus attraverso il territorio.
Nel caso del virus SARS-CoV-2, la preoccupazione è legata anche al fatto che il focolaio
epidemico è sorto a Wuhan, una metropoli di 11 milioni di abitanti, il cui aeroporto ha
collegamenti giornalieri con l’estero: una condizione che potrebbe aver fornito al virus un
corridoio di diffusione anche in altri Paesi. Tuttavia, anche se il sovraffollamento può
contribuire alla rapida diffusione dell’infezione, è importante sottolineare che non è l’unico
fattore responsabile. Per evitare che in futuro simili casi diventino sempre più frequenti, è
importante agire sul fronte della prevenzione e adottare misure che agiscano anche sulle
tradizioni culturali e sociali che favoriscono l’insorgenza di nuove infezioni.

4. Che cosa ha innescato l’emergenza in Italia?
I primi due casi di coronavirus in Italia risalgono al 30 gennaio, quando una coppia di turisti
cinesi è stata trovata positiva per il virus e ricoverata all’Istituto Spallanzani di Roma. Questi
due pazienti rappresentavano però «casi importati», cioè si trattava di persone che avevano
contratto l’infezione al di fuori dell’Italia. Il primo caso di trasmissione secondaria in
Italia (cioè il primo trasferimento da persona a persona), registrato a Codogno il 18
febbraio, riguarda invece un 38enne italiano che non ha viaggiato in Asia. Questo paziente ha
segnato una svolta significativa, perché costituisce il primo caso di una persona che abbia
contratto il virus in territorio italiano: questo ci dice che il virus è ora in circolazione anche nel
nostro Paese e che la sua trasmissione può quindi avvenire molto più rapidamente.
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Come previsto dai protocolli sanitari, dopo aver individuato il primo caso italiano a Codogno (a
cui i media iniziano ora a riferirsi come «paziente 1») si è cercato di tracciare i contatti
precedenti del 38enne risultato infetto per risalire al «paziente 0», ovvero la persona che
avrebbe trasmesso per primo il virus. Questo tipo di indagine non vuole essere una caccia
alle streghe, in cerca di un responsabile da additare, ma, in caso di un’epidemia, è
un’informazione fondamentale per aiutare a capire i percorsi e le zone in cui potrebbe
diffondersi il virus e per attuare le misure preventive più opportune per arginarlo.
La persona che inizialmente si pensava potesse essere il paziente 0, un manager rientrato
dalla Cina, è tuttavia risultata negativo ai test e non presenta anticorpi anti-coronavirus
(quindi, non si tratta nemmeno di un portatore asintomatico del virus). Nel momento in cui
pubblichiamo questo aggiornamento, non è ancora stato identificato in Italia il paziente 0. In
attesa di ulteriori sviluppi, e nella consapevolezza che il paziente 0 potrebbe non venire mai
identificato, le autorità sanitarie hanno quindi messo in atto in questi giorni misure preventive
straordinarie per contenere la diffusione del virus.

5. Come si diffonde il virus e qual è il periodo di incubazione?
Come avviene per la maggior parte delle infezioni respiratorie, anche il virus SARS-CoV-2 si
trasmette attraverso colpi di tosse e starnuti, che spargono nelle zone vicine goccioline
che veicolano il virus. Nonostante alcuni casi di trasmissione da parte di persone
asintomatiche (ancora in via di accertamento) al momento sembra comunque che il virus
venga trasmesso da persone che presentano sintomi evidenti (mal di gola, raffreddore,
tosse, starnuti, febbre o, nei casi più gravi, difficoltà respiratorie e polmonite). Il periodo di
incubazione del virus SARS-CoV-2 (cioè il tempo che passa dal momento dell’infezione alla
comparsa dei sintomi) è stato stimato tra 2 e un massimo di 14 giorni (il periodo più comune,
secondo l’OMS, è di circa cinque giorni).
Tra gli aspetti che gli scienziati stanno indagando c’è anche la presunta capacità del virus
di tramettersi molto facilmente da persona a persona rispetto a quanto facesse, per
esempio, il virus della SARS. Questa particolarità, se confermata, potrebbe dipendere dalle
caratteristiche di una proteina presente sulla superficie del virus che media l’interazione con
le cellule umane. Le analisi genomiche del nuovo coronavirus suggeriscono che questa
proteina abbia un sito di attivazione sensibile alla furina, un enzima presente in molti
tessuti umani (tra cui polmoni, intestino, fegato). Questo particolare sito di attivazione è
assente nel virus della SARS, così come in altri coronavirus, ma è presente in altri virus che
hanno la tendenza a diffondersi facilmente. Al momento si tratta solo di una ipotesi ma, se
confermata, la furina potrebbe diventare un valido bersaglio terapeutico per rallentare la
diffusione del virus.

6. Come si stabilisce se una persona è stata contagiata dal
coronavirus SARS-CoV-2?
Per dimostrare che una persona è stata contagiata dal coronavirus SARS-CoV-2 è necessario
eseguire un tampone faringeo. Questa procedura consiste nel prelevare, con l’aiuto di un
tampone di cotone attaccato a un bastoncino (una sorta di cotton fioc), un campione di
muco dalla mucosa della faringe e viene eseguita generalmente solo alle persone che
presentano sintomi evidenti (febbre, tosse, difficoltà respiratorie).
Per verificare la presenza del virus, nel laboratorio di analisi il campione prelevato viene
trattato con detergenti per inattivare il virus ed evitare il contagio degli operatori. Si procede
poi all’estrazione del genoma virale (a RNA) e alla sua amplificazione mediante una tecnica
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chiamata RT-PCR (una versione modificata della PCR). Questa fase permette di amplificare
l’RNA eventualmente presente nel campione anche in piccole tracce.
Se il tampone è positivo, il laboratorio di analisi procede con ulteriori indagini molecolari,
per esempio per sequenziare il genoma virale e monitorare l’eventuale evoluzione di nuovi
ceppi. A seconda della gravità dei sintomi, i pazienti che risultano positivi possono rimanere
in quarantena nella propria abitazione oppure essere ricoverati in strutture ospedaliere.
Se il tampone è negativo, l’analisi viene comunque ripetuta su un secondo prelievo per
limitare il rischio di falsi negativi (cioè di pazienti risultati negativi al primo test ma in realtà
infetti e quindi potenzialmente contagiosi).
Il test del tampone è utile anche per distinguere l’infezione da coronavirus da altre infezioni
stagionali che in questo periodo dell’anno causano sintomi simili, come quella da virus
influenzale oppure del raffreddore.

7. Quali sono i rischi per la salute?
L’infezione da coronavirus 2019-nCoV causa sintomi respiratori che ricordano quelli di un
raffreddore o di un’influenza e che, nella maggior parte dei casi, decorrono senza
complicazioni. Tuttavia, rispetto alle consuete infezioni stagionali, l’epidemia di COVID-19 si
caratterizza per una maggiore percentuale (circa il 19% dei casi) di sintomi respiratori
gravi, fino all’insufficienza respiratoria e alla necessità di ricorrere a cure di terapia intensiva.
Come mostra la seguente infografica dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che riporta i dati
aggiornati al 9 marzo 2020, nel nostro Paese il tasso di letalità (proporzione di decessi
dovuti a una malattia sul totale di persone affette da quella malattia) aumenta con l’età: 0.1-
0.2% nella fascia di età 40-59 anni, del 2.5% tra 59 e 69 anni, del 6.4% tra 70 e 79 anni e del
13.2% per i pazienti con più di 80 anni.

            A questo link è possibile scaricare il pdf dell’infografica realizzata dall’ISS.
I dati di qualche settimana fa, relativi anche alla situazione cinese, facevano sperare in un
tasso di letalità di circa il 2,8%, molto più basso di quello registrato in passato per le infezioni
da SARS (con un tasso di letalità del 10%) e della MERS (circa 32%). Tuttavia, i dati attuali
dimostrano che per alcune persone (anziani, persone immunodepresse o affette da malattie
croniche respiratorie e cardiocircolatorie) il tasso di letalità è superiore. Questi dati sono in
continua evoluzione e questo aumento del tasso di letalità rispetto a quanto atteso potrebbe
essere in parte dovuto a due fattori. Primo, il tasso di letalità è calcolato sul totale dei casi
positivi, il cui dato reale potrebbe essere superiore a quello effettivamente rilevato; i tamponi
vengono oggi eseguiti solo su chi presenta sintomi evidenti, lasciando fuori da computo chi
è asintomatico (perché non ha sintomi o non li ha ancora sviluppati) o pauci-sintomatico
(cioè presenta sintomi in forma lieve e in una forma che può essere confusa con altre
infezioni stagionali). Secondo, l’età emerge come un fattore di rischio e nel 2019 la
popolazione italiana è risultata, in Europa, quella con la maggiore percentuale di persone al di
sopra dei 65 anni (22,7%); questo potrebbe porre in nostro Paese in una situazione di
maggiore “fragilità”. In ogni caso, il messaggio che deve passare è che, anche se la maggior
parte delle persone supera l’infezione senza sviluppare sintomi gravi, è necessario adottare
comportamenti che tutelino le fasce d’età più a rischio. I dati attuali indicano che l’età
mediana dei casi positivi è 65 anni, con il 22% dei positivi tra i 19 e i 50 anni e solo l’1.4% dei
casi al di sotto dei 19 anni. Questo dato non deve però far pensare che i giovani siano più
resistenti al contagio; come mostra una recente analisi condotta in Cina, non esistono
fasce d’età immuni all’infezione. Le minori percentuali rilevate tra i giovani potrebbero
essere dovute anche al fatto che i giovani sviluppano sintomi meno gravi e quindi non
vengono testati per il coronavirus; questo non significa però che non siano contagiosi. Le
raccomandazioni a diradare i contatti e mantenere le distanze di sicurezza valgono quindi
per chiunque, indipendentemente dall’età.
Oltre a proteggere le fasce più a rischio, il rispetto di queste indicazioni ha l’obiettivo di
evitare di mettere sotto pressione il sistema sanitario, già molto provato dalle ultime
settimane di emergenza. Da un lato, aumenta di giorno in giorno il numero di persone che
necessita di cure ospedaliere nei reparti di terapia intensiva, già sovraffollati dai pazienti
ricoverati nelle ultime settimane. Dall’altro, rischiano di diminuire le risorse umane che il
sistema sanitario può mettere in campo: alla data del 9 marzo, gli operatori sanitari
positivi all’infezione erano già 583. Queste sono le persone più esposte al rischio di
contagio e, allo stesso tempo, quelle su cui il sistema sanitario fa affidamento per arginare
l’emergenza.

8. Che cosa si può fare per limitare il rischio di contagio?
La modalità di trasmissione del virus SARS-CoV-2 suggerisce che il passaggio del virus
avviene tanto più facilmente quanto più ci troviamo a contatto ravvicinato con una persona
che è stata infettata. Per questo motivo, gli operatori sanitari che hanno in cura pazienti
infetti devono utilizzare opportune barriere fisiche come mascherine, guanti, camici
monouso. Per le persone sane e prive di sintomi, l’OMS sconsiglia invece l’uso di
mascherine, che iniziano a scarseggiare e sono quindi da riservare agli operatori sanitari e a
chi deve assistere persone infette. Le misure straordinarie varate nel nostro e in altri Paesi
mirano quindi a ridurre i contatti ravvicinati, evitando gli assembramenti di persone e gli
spostamenti non indispensabili. Nei viaggi in aereo, per esempio, il passaggio del virus
potrebbe essere favorito dai contatti ravvicinati tra passeggeri al momento dell’imbarco
oppure, una volta preso posto in aereo, se ci si trova a poche file di distanza da una persona
infettata che tossisce o starnutisce.

Le misure più efficaci rimangono quindi quelle di evitare contatti ravvicinati, di lavarsi spesso
e in modo accurato le mani, e di evitare di toccarsi la bocca, gli occhi e il naso con le mani
sporche. Per completezza, è utile tenere consultare i consigli del Ministero della Salute sui
dieci comportamenti da seguire, molti dei quali validi per limitare la diffusione di qualsiasi
infezione virale.

9. Quanto sopravvive il virus nell’ambiente?
Tutti i virus, per sopravvivere, hanno bisogno di un organismo in cui riprodursi. Questo non
significa, però, che le particelle virali non siano in grado di sopravvivere e rimanere infettive
anche quando sono rilasciate nell’ambiente (per esempio, attraverso uno starnuto o un
colpo di tosse). Il periodo di sopravvivenza sulle superfici o sugli abiti dipende dal tipo di virus
e dalle condizioni ambientali. Nel caso del coronavirus SARS-CoV-2 sono in corso diversi studi
per capire il tempo di permanenza sulle superfici contagiate ma una risposta definitiva
non è ancora disponibile. Studi precedenti, eseguiti su altri ceppi di coronavirus,
suggeriscono che questi tipi di virus possano mantenersi attivi anche fino a 9 giorni. Tuttavia,
come molti altri virus, anche i coronavirus sono sensibili all’azione dei disinfettanti a base di
etanolo (soluzioni al 60-70%) o di ipoclorito di sodio (0,1%). In attesa di sapere qualcosa di
più sulla resistenza dei virioni di SARS-CoV-2 su superfici, abiti, maniglie, banchi di scuola o
rubinetti, le autorità sanitarie consigliano di lavarsi spesso le mani e di eseguire
interventi di sanificazione come quelli previsti per i mezzi pubblici o le scuole
(nonostante il periodo di chiusura).
Per quanto riguarda la durata stagionale di questa infezione, i dati non permettono al
momento di fare previsioni. Nonostante il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, abbia
dichiarato in un tweet che il virus se ne andrà con l’arrivo della bella stagione, in realtà non
sappiamo per certo se SARS-CoV-2 si comporterà come altri virus stagionali, per esempio
quello dell’influenza. Guardando alle epidemie da coronavirus del passato, la SARS si è
esaurita con l’arrivo dell’estate ma la MERS non ha mostrato lo stesso comportamento e
alcuni casi continuano ad apparire saltuariamente. Per SARS-CoV-2 è quindi difficile fare
previsioni e, sulla base dei dati attuali, è sconsigliabile trasmettere messaggi rassicuranti
sulla scomparsa dell’epidemia con l’aumento delle temperature stagionali. Questo è un virus
nuovo, mai comparso prima, e semplicemente non sappiamo ancora come si comporterà
con l’aumento delle temperature: potrebbe scomparire oppure continuare a circolare.

10. Perché alcune persone sembrano essere più vulnerabili
agli effetti del coronavirus?
Gli studi epidemiologici condotti finora (e che, lo ricordiamo, sono in costante aggiornamento
e basati ancora su numeri piuttosto ristretti) sembrano suggerire una maggiore
vulnerabilità in alcuni gruppi di persone. Le persone anziane, con patologie croniche o
immunocompromesse sono, proprio come nel caso dell’influenza, le più a rischio. Ma nel
caso dell’infezione da coronavirus potrebbero entrare in gioco anche altri fattori, come
dimostrato dal fatto che, sporadicamente, anche giovani adulti in salute possono sviluppare
gravi sintomi respiratori e polmoniti. Inoltre, sebbene uomini e donne contraggano l’infezione
con uguale probabilità, alcuni studi (in riferimento anche alla passata epidemia di SARS)
sembrano suggerire che un peggioramento dei sintomi si riscontri soprattutto negli uomini.
Queste osservazioni potrebbero dipendere da fattori ambientali e comportamentali
(come l’abitudine al fumo, mediamente più diffusa tra i maschi) o genetici (per un eventuale
effetto protettivo degli estrogeni). Un dato interessante emerge da un’analisi pubblicata in
questi giorni sulla rivista Nature e riguarda il recettore ACE-2, ritenuto responsabile
dell’ingresso nel corpo umano sia del virus SARS-CoV-2 sia di quello della SARS. Il gene che
codifica per il recettore ACE-2 si trova sul cromosoma X; nel caso in cui un polimorfismo in
particolare sia responsabile di un’aumentata vulnerabilità all’infezione, le donne eterozigoti
potrebbero essere più protette, perché presentano due copie del gene, anziché una sola
come avviene nei maschi.
Ricordiamo che quelli citati rappresentano dati preliminari che richiederanno, per essere
confermati, casistiche più ampie e statisticamente rilevanti, abbinate a valutazioni prolungate
nel tempo. Per accelerare la raccolta di informazioni, il 31 gennaio di quest’anno,
subito dopo che la Covid-19 è stata riconosciuta dall’OMS come un’emergenza sanitaria
pubblica di interesse globale, 94 riviste accademiche, società, istituti e aziende del settore
biomedico, si sono impegnate a rendere liberamente disponibili studi e dati sulla malattia,
almeno per la durata dell’epidemia attualmente in corso.

11. Quali farmaci abbiamo a disposizione per contrastare
l’epidemia di COVID-19?
Al momento non esistono farmaci specifici per il trattamento e le infezioni da coronavirus
vengono trattate con farmaci antivirali attivi contro i virus a RNA in generale, interferone-alfa
per stimolare la risposta immunitaria e farmaci antinfiammatori per sostenere le funzioni vitali
dei pazienti colpiti. Tuttavia, alcuni farmaci antivirali, sviluppati in passato per altri tipi di
infezioni, sembrano in grado di alleviare i sintomi. Nel corso dell’emergenza coronavirus, i
medici cinesi hanno per esempio somministrato ai pazienti farmaci antivirali usati per l’HIV o
Ebola, ma non è ancora chiaro se questi farmaci siano efficaci contro SARS-VoV-2.

Non sono disponibili vaccini contro nessuno dei coronavirus che infettano gli esseri
umani. Dall’esordio della SARS nel 2003 sono stati fatti numerosi tentativi per mettere a
punto un vaccino efficace, sia ricorrendo a virus inattivati sia cercando di sviluppare vaccini
ricombinanti. Nel primo caso gli studi sono stati ostacolati dalla pericolosità del virus della
SARS, la cui alta infettività costituisce un grande problema per la sicurezza degli operatori
che devono maneggiarlo e impone misure di sicurezza che rallentano l’intera filiera di
sviluppo. In casi simili è senz’altro più agevole ricorrere a vaccini ricombinanti, in cui non
viene maneggiato il virus ma solo l’antigene verso cui si intente scatenare la risposta
immunitaria. I test negli animali hanno dimostrato la sicurezza di questi vaccini, ma al
momento nessuno di essi è stato ancora sperimentato negli esseri umani.

Con il progredire dell’emergenza di queste settimane, diversi laboratori in tutto il mondo si
sono attivati per sviluppare farmaci e vaccini specifici per il virus SARS-VoV-2. È di
pochi giorni fa la notizia che l’azienda statunitense Moderna sia in procinto di avviare uno
studio di fase 1 per un vaccino a mRNA sviluppato in queste settimane. I National Institutes
of Health (NIH) statunitensi prevedono di iniziare ad aprile un test su circa 20-25 volontari
sani e di ottenere i primi risultati entro l’estate. Un vaccino efficace – sebbene difficilmente
impiegabile per l’attuale epidemia, visti i tempi necessari per la sperimentazione – sarebbe
comunque fondamentale per evitare epidemie future, anche in considerazione del fatto che
le infezioni da coronavirus (stando almeno ai dati raccolti sulle passate epidemie di SARS e
MERS) difficilmente inducono un’immunità duratura anche in chi ha contratto l’infezione.
In attesa di un vaccino, altri laboratori si dedicano alla ricerca di farmaci anti-virali in grado di
interferire con la progressione dell’infezione in chi l’abbia già contratta. Una ricerca alla quale
può contribuire chiunque, anche dal computer di casa: il software Fold.it, basato sui
meccanismi di ripiegamento delle proteine (il cosiddetto folding proteico), è una sorta di
videogame che permette di vagliare il potenziale terapeutico di molecole anti-coronavirus. Le
soluzioni più promettenti verranno poi valutate e testate presso i laboratori dell’Università di
Washington.

12. Qual è la situazione attuale nel nostro Paese?
Dopo la chiusura di scuole e Università in tutto il territorio nazionale, entrato in vigore lo
scorso 5 marzo, nell’ultima settimana abbiamo assistito a tre ulteriori giri di vite delle
misure di contenimento, il cui scopo è quello di rallentare un’infezione che ormai,
seppure con percentuali di diffusione diversificate, interessa tutto il nostro Paese.

   Il primo passo è stato fatto nella serata di sabato 7 marzo, quando il governo italiano ha
   emesso un decreto per estendere a tutta la Lombardia e ad altre 14 province del Nord
   molti dei divieti già in vigore nella precedente “zona rossa” (che, nella prima fase
   dell’emergenza, interessavano 10 comuni in Lombardia e un comune in Veneto).
   Nell’arco di appena 48 ore, il governo ha poi deciso di estendere le misure precauzionali
   a tutto il Paese e nella serata di lunedì 9 marzo il Premier Giuseppe Conte ha
   comunicato in conferenza stampa il contenuto del Dpcm nominato «Io resto a casa»:
   dalla mezzanotte del 10 marzo e fino al 3 aprile, in tutta Italia sono in vigore misure
   restrittive che limitano i contatti, gli assembramenti e gli spostamenti sul territorio
   nazionale.
   Infine, nella serata di ieri, martedì 11 marzo, è giunto un ultimo aggiornamento: il
   Premier Conte ha comunicato la chiusura di locali e negozi su tutto il territorio, con alcune
eccezioni, come farmacie e negozi di alimentari. Il provvedimento entra in vigore già da
   oggi, 12 marzo, e rimarrà valido fino al 25 marzo; il Premier ha infatti spiegato che sarà
   necessario aspettare almeno 15 giorni perché queste restrizioni inizino a dare i risultati
   sperati.

Come le misure eccezionali adottate nei precedenti Dpcm, anche in questo caso lo scopo è
di limitare i casi di coronavirus ed evitare un’impennata improvvisa delle persone infette.
Anche se solo una piccola percentuale di persone infettate svilupperà sintomi gravi tali da
richiedere il ricovero in terapia intensiva, se il numero totale di infetti aumenta
vertiginosamente, allora potrebbe diventare impegnativo gestire in modo adeguato i pazienti
che hanno bisogno di ricovero ospedaliero e rianimazione, soprattutto in un periodo
dell’anno in cui le strutture ospedaliere sono già impegnate a far fronte ai numerosi casi di
influenza stagionale.

    Per la rapidità con cui sta evolvendo la situazione, consigliamo di consultare i
    seguenti siti per un aggiornamento in tempo reale:
        Decreto dell’11 marzo 2020
        Decreto #IoRestoaCasa domande frequenti sulle misure adottate dal Governo:
        sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri sulle misure previste dal Dpcm «Io
        resto a casa».
        WHO: Novel Coronavirus (COVID-19) Situation: questa mappa dell’OMS mostra
        la distribuzione dei casi nel mondo)
        Ministero della Salute: situazione in Italia
        Ministero della Salute: situazione nel mondo
        Epicentro: il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica a cura dell’Istituto
        superiore di sanità
        Protezione Civile
        World Health Organization (Organizzazione Mondiale della Sanità)
        Coronavirus COVID-19 Global Cases by Johns Hopkins CSSE

    Per informazioni specifiche su situazioni territoriali o personali, rimandiamo ai servizi
    messi a disposizione dal Ministero della Salute:
        Norme, circolari e ordinanze
        Numero di pubblica utilità 1500 – Covid-19
        Covid-19 – Numeri verdi regionali

13. Come evolverà l’emergenza coronavirus?
Allo stato attuale, è ancora difficile prevedere quale strada seguirà l’epidemia: con l’entrata in
vigore del Dpcm emanato nella serata dell’11 marzo, le autorità sanitarie sperano di rallentare
la diffusione del contagio entro i prossimi 15 giorni: questo l’arco temporale entro cui le
misure di contenimento dovrebbero mostrare se sono state efficaci o meno. Non c’è
dubbio, tuttavia, che la COVID-19 sia ormai in rapida diffusione in diversi Paesi europei e nel
resto del mondo. Nel pomeriggio dell’11 marzo 2020 l’OMS ha dichiarato ufficialmente la
COVID-19 una pandemia, ovvero un’infezione che si diffonde rapidamente in diverse regioni
del mondo. Da pochi giorni il numero di individui positivi al coronavirus ha infatti raggiunto
quota 10000 casi in Italia (nella giornata del 9 marzo) e 100000 casi nel mondo.
Il tweet con cui Tedros Adhanom    Ghebreyesus , direttore dell’OMS, annuncia la pandemia da
                                      coronavirus SARS-CoV-2.

La dichiarazione dell’OMS non giunge però inattesa. Anche se fino alla settimana scorsa
Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore dell’OMS, ricordava che un uso non ponderato
della parola “pandemia” avrebbe potuto creare allarmismi, in un comunicato del 9
marzo Ghebreyesus aveva già affermato che il rischio di pandemia si stava facendo sempre
più concreto, aggiungendo però che questa può essere «la prima pandemia nella storia
che può essere tenuta sotto controllo». Nel suo messaggio, Ghebreyesus ha
sottolineato l’importanza di adeguarsi alle misure di contenimento e di agire in anticipo sulla
diffusione del virus. E se, da un lato, tutti i Paesi devono avere come obiettivo primario quello
di fermare la trasmissione e prevenire l’ulteriore diffusione del virus, è evidente che ogni
Paese deve affrontare questa epidemia in funzione della propria situazione. Di tutti i casi al
momento riportati, circa il 93% è concentrato infatti in soli quattro Paesi, cioè la Cina, l’Italia,
l’Iran e la Corea del Sud.

L’OMS ha di recente pubblicato in un report i risultati della missione compiuta dagli
operatori OMS in Cina; i dati riportati saranno di grande aiuto per capire come gestire al
meglio il diffondersi dell’epidemia negli altri Paesi. È di questi giorni la notizia che il numero di
nuovi casi positivi in Cina, il cui totale ammonta a oltre 80000, sia ora dell’ordine di poche
decine al giorno e per lo più concentrati nella regione dello Hubei, focolaio dell’infezione. Se
persistente nel tempo, questo miglioramento confermerebbe che le ferree misure di
contenimento messe in campo dal governo cinese hanno funzionato e sono un valido
mezzo per rallentare e azzerare i nuovi casi.

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