Trauma della memoria per non dimenticare. Aquila, terremoto 2009
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Trauma della memoria per non dimenticare. taccuino Aquila, terremoto 2009 Annamaria Fantauzzi A un anno dal terribile sisma che ha distrutto il capoluogo abruzze- se e paesi limitrofi, stampa, media e persone parlano di quanto sia stato fatto e quanto ancora sia da fare, per costruire, riparare, ripartire. Per ricordare non ba- sta osservare la fiaccolata che ha percorso le strade della città, ancora gremita dal- le macerie, nella notte del 6 aprile scorso, né ascoltare la commemorazione dei no- taccuino mi dei 308 morti al triste rintocco delle campane della Chiesa delle Anime Sante o citare dati che sembrano voler testimoniare il buon funzionamento della macchi- na (statale) della ricostruzione1. A ricordare serve piuttosto osservare lo smarri- mento che i volti degli abitanti aquilani (“i sopravvissuti”, come qualcuno ironica- 147 mente si autodefinisce) comunicano in silenzio, ascoltare le intense testimonianze, spesso crudamente manipolate dai media: «Ieri nelle tende, oggi in albergo: la no- stra vita in attesa di tornare a casa»; «In un anno abbiamo capito di essere diven- tati persone inutili». La recensione che segue e la breve rassegna bibliografica su quanto finora scritto sull’avvenimento vogliono dare voce a chi vive, ogni giorno, il trauma della memoria, l’ansia del presente ma, soprattutto, l’incertezza del do- mani. Recensione a E. Dante, M. Laurenzi, V. Nanni, Terremoto zeronove. Diari da un sisma, Textus, L’Aquila, 2009 Archivio di Etnografia • n.s., a. IV, nn. 1-2 • 2009 • 00-00 «Le prime luci dell’alba. Comincio a scorgere il profilo delle macerie, su, in alto, sulla collinetta. Vedo l’ombra di un uomo che passa da un tetto all’altro, o meglio, da un monticello di macerie a quello accanto. Nient’altro. Ricordo un’alba nitida, impietosa. [...] Le scosse continuano sotto le macerie instabili, qualcuno, non ri- cordo chi, mi avverte di stare attenta perché potrebbe cadermi qualcosa addosso, o potrei scivolare. Sbucano ovunque fili e tubi. Grido che c’è da sbrigarsi, ma le 1 Si legge da “L’Aquila, la notte della memoria”, La Repubblica, 6 aprile 2010: 80mila sopralluoghi effettuati; il 31,2% degli edifici inagibili; 3,5 milioni di metri cubi di macerie; 4300 persone ancora oggi ospitate in alberghi; 19 new town; 4449 appartamenti costruiti dal governo; 1800 villette in legno (sulle 3535 previste) e 184 inchieste aperte (ma solo 30 daranno luogo a procedimenti; per le altre sarà chiesta l’archiviazione).
taccuino Fig. 1. Macerie nel centro dell’Aquila Fig. 2. Lavori in corso per la ricostruzione nel centro storico 148 dopo il terremoto. dell’Aquila. Fig. 3. Ciò che rimane di un’abitazione della zona “rossa” Fig. 4. Attività commerciali chiusi, centro storico nel centro dell’Aquila. dell’Aquila.
taccuino centro storico Fig. 5. Attività commerciali chiusi, centro storico dell’Aquila. 149 Fig. 6. Calcinacci nel centro storico dell’Aquila.
taccuino Fig. 7. Onna: abitazioni distrutte. 150 Figg. 8-9. Campo Globo (Aq): tendopoli che accolgono malati del centro di salute mentale.
taccuino Fig. 10 Tendopoli di Campo Globo (Aq): momento mattutino dell’alzabandiera (Esercito, Alpini, Marina, Volontari AVIS). 151 Fig. 11. Tendopoli di Campo Globo (Aq): attività didattica organizzata da volontari AVIS per bambini e adolescenti “terremotati”.
taccuino Fig. 12. Tendopoli di Campo Globo (Aq): momento ludico serale organizzato 152 dalla direzione del campo e dalla Protezione Civile Nazionale. Fig. 13 Tendopoli di Campo Globo (Aq): “Viale degli Figg. 14 e (a fronte) 15-16. Tendopoli di Campo Angeli” dedicato ai bambini vittime del terremoto. Globo (Aq): l’alba di un nuovo giorno.
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I Trauma della memoria per non dimenticare. Aquila, terremoto 2009 parole mi si strozzano in gola» (pp.112-113). Così Valentina Nanni descrive sensa- zioni, impressioni, emozioni della notte del 6 aprile 2009, quando un terribile ter- remoto ha distrutto la città dell’Aquila, vite e memorie dei suoi abitanti. Questo li- bro è il racconto, il diario di tre di loro che, quella notte, come nei giorni precedenti, vissero e sopravvissero alla tragedia. La descrizione di un fenomeno naturale di tale portata e i suoi effetti sul terri- torio e sugli individui che lo popolano non ammette l’abuso di soggettivismi: que- sto rischio è schivato da una narrazione condotta in forma di diario e non di sem- plice descrizione. I fatti sono esposti in modo chiaro e poco o nulla è lasciato alla libera interpretazione del lettore. L’esposizione dei fatti fa emergere una realtà comprendente sia la realtà interiore dei singoli sia la situazione concreta relativa al- le condizioni di paesi parzialmente distrutti o totalmente rasi al suolo. In essa si al- ternano stati d’animo differenti, che spaziano dal dolore all’ironia, dalla speranza alla disillusione, senza che il passaggio dall’uno all’altro risulti netto, ma in modo tale che sia evidente la loro coesistenza. Così si descrive il giorno dei funerali di Sta- to: «Ho l’impressione che molti prendano tutto ciò per i funerali della città. Chiun- que ha da piangere. Chiunque ha perso qualcosa. [...] Bare piccole, bare grandi. taccuino Parenti delle vittime. E forse anche qualche carnefice. Chissà. [...] Ognuno ha por- tato con sé la propria storia. Centinaia di storie riunite in un piazzale. Tante storie 154 le conoscevo, tante me le hanno raccontate, tante altre ancora non le saprò mai. [...] Non sappiamo il numero della bara di Pass’ammè, ma non m’importa. Ogni bara è Pasquale Alti, detto Pass’ammè. Ogni bara è un neonato, e un vecchio, ed uno studente. Ogni bara è un nostro caro caduto. Ogni bara siamo noi, che stiamo qui, in piedi, solo perché più fortunati. Ma al loro posto saremmo potuti essere noi. E bara è questo piazzale, questi edifici. Bara, in fondo, è la nostra città» (p.83). Tut- to ciò è favorito dalla scelta di un registro lessicale appropriato che, con l’ulterio- re apporto di termini propriamente tecnici affiancati da espressioni dialettali, si adatta alle esigenze dei narratori. Emiliano Dante è docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione del- l’Aquila e, oltre ad aver collaborato alla stesura di “Terremoto zeronove”, ha pub- blicato “Breve saggio sulla storia e sulla natura degli audiovisivi” e “Merda d’arti- sta”. Massimiliano Laurenzi studia e lavora e ha già pubblicato “Il paradiso dei Polli” e alcune piéce teatrali. Valentina Nanni è specializzanda in neuropsichiatria infantile ed è alla sua prima esperienza in veste di scrittrice. Armati di uno stile sobrio, i tre giovani si rivelano ciascuno in un diario, che rappresenta uno scritto libero da vincoli tematici e stilistici. Ogni commento, ogni sensazione aggiunge un tassello alla realtà di questo evento drammatico, troppo spesso deformata dalla televisione e dalle parole dei giornalisti. Ma è l’aspetto uma- no, quello più intimo che a volte i media stessi trascurano ad emergere dalle pagi- ne, talora incomprensibilmente ironiche, di queste pagine: camminare tra i corpi morti, prima che vengano rimossi, e scavare tra le macerie alla ricerca di un po’ di sé e della propria storia; condividere con persone mai prima conosciute una tenda ma, soprattutto, l’intimità delle lunghe notti fredde ai piedi del Gran Sasso e del-
I Annamaria Fantauzzi le interminabili giornate gremite da volontari venuti da ogni parte d’Italia, che of- frono cibo, coperte, vestiti, pur risultando sempre estranei, intrusi, angeli custodi a volte demonizzati. Nessuno restituirà l’Aquila, la casa, la domesticità a chi l’ha persa in quella notte del 6 aprile, costretto ora a convivere con un’identità in fran- tumi che ha visto crollare non solo mura di cemento. «Questo libro –scritto in presa diretta con drammatica passione e col linguag- gio crudo delle emozioni vere– serve a ricordare a tutti noi che sotto quelle mace- rie, accanto a trecento morti, c’è carne viva. Serve a ricordare che cosa accadde davvero quella notte del 6 aprile 2009 e nei giorni successivi. Serve a non dimenti- care. Per ricostruire. Per resuscitare», come si legge dalla prefazione di Bruno Ve- spa. “Terremoto zeronove” ha lo scopo di mantenere vivo il ricordo di un’esperien- za che ha lasciato un segno indelebile in migliaia di persone, cambiando drastica- mente il loro presente. È una testimonianza che costringe a comprendere quanto l’uomo non possa nulla contro la matrigna natura di leopardiana memoria, come non possa sottrarsi al proprio destino ma decidere, lui come individuo e membro di una società, di ripartire da un nuovo presente, costruendo il domani. taccuino 155 BIBLIOGRAFIA BONACINA R.(a cura di) 2009 L’Aquila 09, «Communitas», 36, settembre 2009. CAPORALE G. 2009 L’Aquila non è Kabul: cronaca di una tragedia annunciata, Castelvecchi, Roma, CENTOFANTI E. 2009 La gran cornata. Il terremoto dell’Aquila. Quello del 6 Aprile 2009 e quello del dopo, Tracce, Pescara. CIAMBOTTI S. 2009 Il terremoto di Sara: l’Aquila, 6 aprile, ore 3.32, Rizzoli, Milano. COSTANTINO F. 2010 Le trappole dell’identità. L’Abruzzo, le catastrofi, l’Italia di oggi, Donzelli, Ro- ma. CRISTINI A. 2009 L’Aquila rinasce, Edizioni Lavoro, Roma. D’ALESSANDRO G., SCHIRATO S. 2009 Sulle rovine di noi. Parole e immagini dedicata all’Aquila, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo. DE NICOLA A. 2009 Il nostro terremoto, One Group Edizioni, L’Aquila (con un saggio di A.M. Cec- chini) DI PERSIO S. 2009 Ju Tarramuto. La vera storia del terremoto in Abruzzo, Casalleggio Associati, (con la prefazione di B. Grillo)
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