TAR Lombardia-Milano- sez. II- sentenza del 12 maggio 2020 797 - " L'onere della prova in ambito urbanistico ed edilizio"

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TAR Lombardia- Milano- sez. II- sentenza del
12 maggio 2020 – 797 – “ L’onere della prova
in ambito urbanistico ed edilizio”

      In ambito urbanistico ed edilizio, incombe sulla parte che adduce un rilievo a sé favorevole
l’onere di fornire adeguata dimostrazione del proprio assunto, con la conseguenza che laddove ciò
non avvenga il fatto non si può ritenere provato.

      Ai possibili legittimi destinatari di un’ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva, vi si
ricomprende anche il proprietario attuale, sebbene non responsabile dell’abuso, considerato che
l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l’ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e
non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione.

     Pubblicato il 12/05/2020
     N. 00797/2020 REG.PROV.COLL.
     N. 00833/2019 REG.RIC.

     SENTENZA

     FATTO

       Con ricorso notificato in data 22 marzo 2019 e depositato il 15 aprile successivo, i ricorrenti
hanno impugnato il diniego alla richiesta di autorizzazione paesaggistica in “procedura ordinaria”
(Pratica Edilizia 98/PAE/2017), protocollato al numero 866 del 22 gennaio 2019, e l’ordinanza di
demolizione n. 13/2019 del 5 marzo 2019, conseguente al diniego alla Pratica Edilizia 98/PAE/2017,
protocollata al n. G. 2575, entrambi adottati dal Comune di Cassolnovo.
       I ricorrenti, in data 31 marzo 2017, con riguardo ad immobili di loro proprietà – Fg. 21, mapp.
2921, 1088, 2569, 1030 e 2580 – hanno presentato al Comune di Cassolnovo una richiesta di
autorizzazione paesaggistica, finalizzata alla sistemazione di rustici esistenti mediante
trasformazione di portico in box, di recupero di vecchi pollai per usufruirne come portico, oltre alla
sistemazione della recinzione (richiesta n. 61/PAE/2017). In data 6 aprile 2017, la Commissione
Paesaggio del Comune ha espresso parere negativo in ordine alla predetta richiesta, in ragione della
“pessima qualità tecnologica e architettonica” del portico di cui si proponeva il recupero e
dell’insussistenza delle “condizioni di carattere edilizio-urbanistico per la realizzazione delle opere
progettate” con riguardo al recupero dei rustici ex pollai. In data 7 giugno 2017, il ricorrente
Stagnoli, previa richiesta al Comune di annullamento della pratica n. 61/PAE/2017, ha presentato,
per i medesimi interventi di manutenzione straordinaria, una nuova istanza di autorizzazione
paesaggistica (n. 98/PAE/2017). Dopo un inziale parere sospensivo, la Commissione Paesaggio, in
data 18 ottobre 2018, ha espresso parere negativo sull’istanza n. 98/PAE/2017, evidenziando che
“dalla documentazione grafica e fotografica agli atti, non emergono elementi che possano garantire
la liceità del volume edilizio realizzato con lamiere precarie e vetuste. Né a questo proposito può far
testo la denuncia catastale del 1997 allegata alla documentazione. Può essere valutata positivamente
eventuale richiesta di trasformazione del vecchio pollaio in portico”. Nella stessa data è stata
trasmessa dal Comune la richiesta alla Soprintendenza ai fini del rilascio del parere di competenza,
senza tuttavia ottenere alcun tipo di riscontro; pertanto, trascorsi i termini di cui all’art. 146, commi
8 e 9, del D. Lgs. n. 42 del 2004 e comunicato agli istanti il preavviso di rigetto rispetto all’istanza di
autorizzazione paesaggistica, il Comune, in data 18 gennaio 2019, ha adottato il provvedimento
definitivo di diniego, prot. n. 866/2019. Parallelamente, con ordinanza n. 13 del 5 marzo 2019, il
Comune ha altresì ingiunto ai ricorrenti la demolizione del portico insistente sul mappale 2580 (da
trasformare in box), in quanto realizzato in assenza di titoli abilitativi.
      Assumendo l’illegittimità dei predetti provvedimenti, i ricorrenti ne hanno chiesto
l’annullamento, in primo luogo, per errata valutazione ed interpretazione della documentazione
amministrativa dagli stessi prodotta.
      Poi è stata dedotta l’illegittimità degli atti impugnati in quanto, con l’accoglimento della
richiesta in sanatoria che aveva condizionato la sospensione della PAE n. 98/2017, si sarebbe dovuto
concludere favorevolmente anche quest’ultimo procedimento.
      Infine, è stata dedotta la violazione dell’art. 146 del D. Lgs. n. 42 del 2004.
      Si è costituito in giudizio il Comune di Cassolnovo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
      Con l’ordinanza n. 503/2019 è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione dei
provvedimenti impugnati; con l’ordinanza n. 3922/2019 la Sesta Sezione del Consiglio di Stato,
riformando la pronuncia cautelare di primo grado, ha accolto l’istanza di sospensione formulata dai
ricorrenti.
      In prossimità dell’udienza di merito, i difensori delle parti hanno depositato memorie e
documentazione a sostegno delle rispettive posizioni; la difesa del Comune, in relazione alla
memoria depositata in data 27 marzo 2020, ha chiesto la rimessione in termini, ai sensi dell’art. 54,
comma 1, cod. proc. amm. e ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto legge n. 18 del 2020.
      All’udienza del 28 aprile 2020, svoltasi senza discussione orale e mediante collegamento da
remoto in audioconferenza, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, la
causa è stata trattenuta in decisione.

      DIRITTO

       1. In via preliminare, si deve dare atto dell’ammissibilità della memoria depositata in data 27
marzo 2020 dalla difesa del Comune, essendo stata prodotta nel rispetto del termine di trenta giorni
liberi prima dell’udienza di trattazione della controversia (fissata al 28 aprile 2020), secondo il
disposto dell’art. 73, comma 1, cod. proc. amm.
       E’ vero che, a norma dell’art. 84, comma 1, del decreto legge n. 18 del 2020, tutti i termini
processuali sono sospesi dall’8 marzo al 15 aprile 2020, e che la suindicata memoria difensiva è
stata quindi prodotta nel periodo di sospensione; tuttavia, il legislatore (art. 84, comma 5) ha inteso
riservare alle parti l’iniziativa del rinvio della trattazione della causa per l’impossibilità di svolgere le
loro difese nell’arco temporale considerato dalla normativa emergenziale (“Il giudice, su istanza
proposta entro lo stesso termine dalla parte che non si sia avvalsa della facoltà di presentare le note,
dispone la rimessione in termini in relazione a quelli che, per effetto del secondo periodo del comma
1, non sia stato possibile osservare e adotta ogni conseguente provvedimento per l’ulteriore e più
sollecito svolgimento del processo”), nell’evidente presupposto che la “sospensione dei termini” in
tal modo introdotta risponde solo e soltanto all’esigenza di tutela di quanti sono stati gravemente
ostacolati nel loro agire dall’epidemia sanitaria in atto. Pertanto, se tutte le parti costituite sono
state in grado di presentare memorie e di replicare a quelle avversarie – anche con le «brevi note»
depositabili fino a due giorni liberi prima dell’udienza –, o hanno liberamente scelto di non produrre
ulteriori memorie o documenti, senza chiedere la rimessione in termini, ne deriva che la rinuncia a
fruire del beneficio della “sospensione dei termini” risulta insita nella loro condotta e, di
conseguenza, non sussistono ostacoli giuridici alla regolare celebrazione dell’udienza “sulla base
degli atti depositati”.
       Ciò posto, la circostanza che entrambe le parti del giudizio abbiano prodotto memoria
(rispettivamente il 26 e il 27 marzo) e nulla abbiano obiettato circa limitazioni alle loro prerogative
difensive, seppur in assenza delle «brevi note» di cui all’art. 84, comma 5, secondo periodo, del
decreto legge n. 18 del 2020, rende esaminabili gli atti depositati senza necessità di autorizzazione
del Collegio.
       2. Passando all’esame del merito del ricorso, lo stesso non è fondato.
       3. Con la prima doglianza si assume l’illegittimità del diniego di autorizzazione paesaggistica
adottato dal Comune sul presupposto della non liceità edilizia dei manufatti da trasformare,
considerato che le parti richiedenti avrebbero dimostrato la risalente realizzazione dei predetti
manufatti e la loro non precarietà strutturale, attestata anche dalla consistenza delle opere murarie,
non assumendo rilievo determinante, in senso contrario, la circostanza che alcuni interventi di
tamponamento sarebbero stati effettuati con l’utilizzazione di materiale in lamiera, da eliminare
proprio attraverso la realizzazione dell’intervento negato con gli atti impugnati.
       3.1. La doglianza è infondata.
       Il diniego di autorizzazione paesaggistica opposto ai ricorrenti è stato motivato richiamando il
presupposto parere della Commissione per il paesaggio reso il 18 ottobre 2018, nel quale è stato
evidenziato che “dalla documentazione grafica e fotografica agli atti, non emergono elementi che
possano garantire la liceità del volume edilizio realizzato con lamiere precarie e vetuste. Né a questo
proposito può far testo la denuncia catastale del 1997 allegata alla documentazione” (all. 11 e 14 del
Comune).
       Secondo gli Uffici comunali non sarebbe stata dimostrata la regolarità edilizia del manufatto
oggetto di richiesta di trasformazione e quindi, in presenza di opere abusive, alcuna autorizzazione
paesaggistica avrebbe potuto essere rilasciata per interventi manutentivi sulle stesse; avuto
riguardo all’abusività del manufatto – peraltro rilevata in occasione di un sopralluogo della Polizia
locale in data 28 aprile 2017 (all. 7 del Comune) – è stata ordinata poi la demolizione dello stesso.
Né le parti private hanno fornito prova in ordine alla regolarità edilizia del manufatto, non potendo
ritenersi sufficiente una dichiarazione catastale del 1997, stante il suo valore meramente indiziario
(Consiglio di Stato, II, 14 gennaio 2020, n. 359), e in assenza della documentazione di natura
edilizio-urbanistica all’uopo necessaria.
       Difatti, in ambito urbanistico ed edilizio, incombe sulla parte che adduce un rilievo a sé
favorevole l’onere di fornire adeguata dimostrazione del proprio assunto, con la conseguenza che
laddove ciò non avvenga il fatto non si può ritenere provato (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 11 giugno
2019, n. 1320). In particolare, con riguardo all’effettiva epoca di realizzazione del manufatto
(secondo le parti ricorrenti in data antecedente all’anno 1967), non assumono rilievo decisivo la
tecnica costruttiva e il materiale utilizzato per realizzare l’intervento edilizio, trattandosi di elementi
secondari e accidentali, peraltro non incontestabili (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18 settembre
2018, n. 2098); del resto, secondo una consolidata giurisprudenza, “ricade sul privato l’onere della
prova rigorosa in ordine alla ultimazione (…) delle opere edilizie, dal momento che solo l’interessato
può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la
ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta
integro il potere dell’amministrazione (…) di irrogare la sanzione demolitoria” (Consiglio di Stato, IV,
3 febbraio 2017, n. 463; altresì, II, 18 marzo 2020, n. 1929; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 febbraio
2018, n. 574).
       Quanto ai possibili legittimi destinatari di un’ordinanza di demolizione di una costruzione
abusiva, vi si ricomprende anche il proprietario attuale, sebbene non responsabile dell’abuso,
considerato che l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l’ordinanza stessa ha carattere
ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la
trasgressione (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18 settembre 2018, n. 2098; 3 maggio 2018, n. 1198; 27
febbraio 2018, n. 574). Del resto, il proprietario del compendio immobiliare dove si collocano gli
abusi è il soggetto che ha sicuramente l’obbligo di eseguire l’ordine di demolizione, al fine di
ripristinare lo stato dei luoghi in cui è stato commesso l’abuso, trovandosi nella possibilità giuridica
e materiale di reintegrare l’assetto urbanistico ed edilizio originario (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano,
II, 18 gennaio 2019, n. 106; 3 maggio 2018, n. 1198; 3 novembre 2016, n. 2013; T.A.R. Lazio, Roma,
I quater, 24 febbraio 2016, n. 2588).
       Tanto premesso, va poi ulteriormente specificato che la situazione di fatto di un immobile non
è mai idonea a fondare un titolo che possa legittimarne l’assetto anche da un punto di vista
giuridico. Anzi, a fronte di un abuso, pur sussistente da lungo tempo, non residua altro che il
potere/dovere dell’Amministrazione di ripristinare lo stato legittimo, senza necessità di alcuna
motivazione particolare, anche relativamente all’affidamento della parte privata. Nelle ipotesi di
interventi edilizi abusivi, del resto, il carattere sanzionatorio e doveroso del provvedimento esclude
la pertinenza del richiamo alla motivazione dell’interesse pubblico e «la selezione e ponderazione dei
sottesi interessi risulta compiuta – per così dire – ‘a monte’ dallo stesso legislatore (il quale ha
sancito in via indefettibile l’onere di demolizione al comma 2 dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del
2001), in tal modo esentando l’amministrazione dall’onere di svolgere – in modo esplicito o implicito
– una siffatta ponderazione di interessi in sede di adozione dei propri provvedimenti» (Consiglio di
Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 6 maggio 2019, n. 1020).
       Oltretutto, a fronte di un immobile abusivo non si può ammettere sullo stesso la realizzazione
di ulteriori interventi, poiché gli stessi ripetono le caratteristiche di abusività dell’opera principale
(Consiglio di Stato, II, 18 marzo 2020, n. 1929; VI, 29 gennaio 2020, n. 711; T.A.R. Campania,
Napoli, VI, 30 aprile 2018, n. 2881). Pertanto, correttamente il Comune ha, dapprima, negato il
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in favore dei ricorrenti e, successivamente, ha ordinato la
demolizione del manufatto abusivo.
       Nemmeno può assumere rilievo l’eccepita disparità di trattamento con altra fattispecie,
asserendone l’identità con quella di cui al presente giudizio, in quanto non è stata dimostrata la
sostanziale corrispondenza delle posizioni poste a confronto (cfr. Consiglio di Stato, VI, 11 dicembre
2017, n. 5798); in ogni caso, l’eventuale mancata repressione di una parte degli illeciti non potrebbe
essere di ostacolo all’applicazione della potestà sanzionatoria in casi identici, trattandosi di attività
vincolata e non discrezionale, e soprattutto non potendo il trasgressore trarre un beneficio da
un’illegittima omissione dell’Amministrazione (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, III, 6 aprile 2020, n.
1330).
       3.2. Ciò determina il rigetto della prima doglianza di ricorso.
       4. Con la seconda censura si assume la mancata valorizzazione della circostanza che la
compatibilità paesaggistica rilasciata dalla Soprintendenza con riguardo alla pratica n. 146/CP/2017
avrebbe dovuto determinare un esito positivo anche per la pratica n. 98/PAE/2017, sicuramente
connessa con la precedente, visto che il Comune, proprio in ragione di tale stretta connessione,
aveva sospeso l’esame della citata pratica n. 98/PAE/2017 in attesa dell’esito della precedente.
       4.1. La doglianza è infondata.
       Come evidenziato dalla difesa comunale, sebbene la situazione degli immobili di cui alle
pratiche n. 146/CP/2017 e n. 98/PAE/2017 fosse accomunata dall’originaria contestazione di
abusività formulata dagli Uffici con un unico provvedimento, successivamente si è differenziata
poiché con riguardo agli immobili di cui alla pratica n. 146/CP/2017 si è avviato un procedimento di
sanatoria che ha seguito un suo iter, mentre con riferimento al manufatto di cui alla pratica n.
98/PAE/2017 nessuna domanda di sanatoria è stata formulata; peraltro va segnalato che l’originaria
pratica n. 146/CP/2017 è stata poi ritirata dal ricorrente Stagnoli e sostituita con la pratica n.
222/CP/2018, che ha ricevuto parere negativo dalla Soprintendenza (all. 18 del Comune).
       Ne discende che, allo stato, nessun manufatto o intervento edilizio posto sul compendio di
proprietà dei ricorrenti risulta munito di autorizzazione paesaggistica favorevole.
       4.2. Quindi anche la predetta censura va respinta.
       5. Con la terza e ultima doglianza si deduce la violazione del termine di 45 giorni previsto
dall’art. 146, comma 8, del D. Lgs. n. 42 del 2004 e la mancata convocazione della Conferenza di
servizi di cui al successivo comma 9, che probabilmente avrebbero consentito di ottenere parere
favorevole alla richiesta dei ricorrenti.
       5.1. La doglianza è infondata.
       Il Comune ha trasmesso alla Soprintendenza, per ottenerne il relativo parere, la
documentazione afferente alla pratica n. 98/PAE/2017 in data 18 ottobre 2018 (all. 12 del Comune); i
45 giorni per l’espressione del parere da parte della Soprintendenza, di cui all’art. 146, comma 8,
del D. Lgs. n. 42 del 2004, sono scaduti in data 8 dicembre 2018 (essendo pervenuta la
documentazione in data 23 ottobre 2018: all. 12 del Comune). Essendo stato adottato il preavviso di
rigetto in data 7 gennaio 2019, lo stesso si colloca oltre la fascia temporale riservata all’intervento
della Soprintendenza, ossia i 60 giorni previsti dall’art. 146, comma 9, del D. Lgs. n. 42 del 2004,
trascorsi i quali sorge l’obbligo per l’Amministrazione procedente di provvedere a prescindere dal
predetto parere.
      In senso contrario non assume rilievo la comunicazione del Comune alla Soprintendenza in
data 18 settembre 2017, poiché la stessa si riferisce alla diversa pratica n. 146/CP/2017, la cui
estraneità all’attuale contesto è già stata rilevata in precedenza.
      Quanto, infine, alla mancata convocazione della Conferenza di servizi, va evidenziato che l’art.
146, comma 9, del D. Lgs. n. 42 del 2004, nel testo vigente a far data dal mese di settembre 2014,
non prevede affatto la possibilità di indire la predetta Conferenza, obbligando l’Amministrazione
procedente a provvedere in via autonoma, laddove la Soprintendenza non esprima tempestivamente
il proprio parere.
      5.2. Pertanto, anche la predetta doglianza va respinta.
      6. In conclusione, all’infondatezza delle scrutinate censure segue il rigetto del ricorso.
      7. Le peculiarità della controversia e il suo complessivo andamento giustificano la
compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

     P.Q.M.

      Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente
pronunciando, respinge il ricorso indicato in epigrafe.
      Spese compensate.
      Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
      Così deciso in Milano nella camera di consiglio del 28 aprile 2020, tenutasi mediante
collegamento da remoto in audioconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84, comma 6, del
decreto legge n. 18 del 2020 e dal decreto n. 6 del 19 marzo 2020 del Presidente del T.A.R. per la
Lombardia, sede di Milano, con l’intervento dei magistrati:

     Italo Caso, Presidente
     Antonio De Vita, Consigliere, Estensore
     Lorenzo Cordi’, Referendario
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