SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA
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Sommario ● «Una vita che non pare bella» (3-13) ● Nascere a Trieste (14-19) ● Una vita (20-26) ● Senilità (27-36) ● La coscienza di Zeno (37-54) ● La (s)fortuna di Svevo (55-58)
• 1861, 19 LA VITA dicembre: • Ettore Schmitz, nasce a Trieste, importante porto sul Mediterraneo dell’Impero austro-ungarico.
TRIESTE • Trieste, città di commerci, di società d’assicurazioni, di banche, di etnie diverse. • Primato del Ingresso della commercio e Banca Intesa della finanza.
• Nel 1719 Carlo VI d’Austria dichiarò TRIESTE: PORTO FRANCO Trieste porto franco, ne seguirono benessere economico e culturale, che continuarono ancor più sotto Maria Teresa d’Austria, richiamando da tutta l’Europa mercanti e imprenditori. • Il 5 Novembre 1918, dopo la Prima Guerra Mondiale, Trieste passa all’Italia. Trieste, piazza dell’Unità d’Italia
• Di famiglia ebraica, compie studi commerciali in Germania (Baviera) • 1879: si iscrive all’Istituto Commerciale di Trieste • 1880: entra come impiegato nella succursale triestina della banca Union di Vienna • 1880-1890: collabora all’«Indipendente» di Trieste • 1892: primo romanzo, Una vita • 1896: matrimonio con Livia Veneziani, figlia di un ricco industriale di vernici sottomarine.
• 1897: nasce l’unica figlia, Letizia • 1898: secondo romanzo, Senilità • 1899, luglio: lascia la banca (stipendio ultimo 120 fiorini al mese) e entra nella ditta del suocero (stipendio iniziale 300 fiorini al mese) e diventa industriale • 1923: terzo romanzo, La coscienza di Zeno • 1928, 13 settembre: muore per un incidente automobilistico a Motta di Livenza (Treviso).
• Il 12 settembre 1928 un incidente costa a Svevo la vita LA MORTE • Una morte imprevista, beffarda, a tradimento, per chi tanto ossessivamente ha vigilato sul nesso inscindibile tra «malattia» e «salute» • per chi ha coltivato un’acuta percezione della malattia (da frequentatore appassionato e assiduo di luoghi curativi: Salsomaggiore, Montecatini, San Pellegrino e, da ultimo, le terme di Bormio, Sondrio). Terme di Bormio
Mentre rientra in auto a Trieste, in compagnia della moglie e del nipotino Paolo Fonda (di sette anni, figlio di Letizia e del medico Antonio Fonda-Savio), da un soggiorno alle terme di Bormio (Sondrio) − dove s’è recato per curare la pressione alta −, sulla strada bagnata dalla pioggia l'autista perde il controllo della vettura che urta con violenza contro un albero. Busto di Letizia, a Trieste
Nel settembre 1927, tirando il bilancio dei pochi dati essenziali della sua vita, lo scrittore così conclude: «Ecco tutto. Una vita che non pare bella ma fu adornata da tanti fortunati affetti che accetterei di riviverla» (lett. a B. Crémieux, s. d. [settembre 1927], Benjamin Crémieux (1888-1944) Epist., p. 855).
• Non «bella», certo antieroica e antiavventurosa, antiestetizzante e antiletteraria, operosa e appartata, eppure protetta e salvaguardata, nella sua serena rispettabilità borghese, con acuta saggezza e autoironia. • Italo Svevo ha avuto bisogno di Ettore Schmitz, di questa sua «vita che non pare bella», così come questa «vita che non pare bella» ha avuto bisogno, per essere felicemente vissuta, del contrappunto dissacrante e del controcanto umoristico intonati dalla coscienza critica di Italo Svevo. • Svevo ha avuto bisogno di Schmitz e Schmitz ha avuto bisogno di Svevo. Italo Svevo (1861-1928)
Nascere a Trieste
• Trieste: etnie diverse, banche, commerci. E LETTERATURA A TRIESTE nevrosi (la città in Europa con il più alto numero di suicidi nel primo Novecento). • Il fatto di essere città empirica, pragmatica, commerciale, finanziaria, fa sì che la letteratura sia considerata un «ozio» vacuo (la tradizione umanistica italiana a Trieste è molto secondaria). • Chi esercita la letteratura, lo fa per necessità (come bisogno interiore), non per professione, non per moda, non per interesse pratico.
FORMAZIONE DI SVEVO • Gli autori che in Svevo, nella sua disorganica formazione di autodidatta, hanno lasciato il segno − da Machiavelli e Guicciardini a Balzac e Flaubert, da Boccaccio a Dostoevskij − sono i grandi maestri della realtà.
• La matrice autobiografica è in Svevo costante, ma egli riesce a uscire fuori di sé e a guardarsi in controluce. Riesce a spezzare il cerchio del culto di sé caro alla tradizione lirica italiana (tradizione petrarchesca, soggettiva, individualizzante). • Riesce a spezzare la mania dell’autocelebrazione che è tipica (ahimè) dell’intellettuale italiano. • Riesce a vincere l’ossessivo «egotismo del letterato», di cui Svevo parla nell’incompiuto racconto Incontro di vecchi amici (ca. 1900).
• Svevo si forma fuori dai canoni della tradizione italiana, eppure alla sua idea di letteratura l’autore dei Promessi sposi avrebbe potuto offrire utile materia di riflessione. • Il riferimento va in particolare alla celebre lettera inviata da Manzoni al giovane veneziano Marco Coen, da Milano, il 2 giugno 1832, nella quale è introdotta la distinzione tra due diversi tipi di letteratura, la «bella» e la Giuseppe Molteni, «buona». Manzoni (1835) Pinacoteca di Brera, Milano
La «buona» letteratura, afferma Manzoni, «s’apprende per via delle cose» e consiste, non nel «giocar colla fantasia», ma nella cognizione critica degli uomini e delle cose, che si apprende con l’esperienza Capitale, in questa prospettiva, è il primato dell'antiretorica. Rinvio per il testo a Romanzi, a cura di P. Sarzana , intr. di F. Gavazzeni, Mi, Mondadori, 1985.
Una vita
• Alfonso Nitti: protagonista, UNA VITA (1892) inurbato a Trieste dalla campagna, impiegato nella Banca Maller. • Il romanzo, che doveva intitolarsi Un inetto, è la storia di un uomo solo, scisso dalla società ed incapace di accettarne le regole. Il tentativo di uscire dal proprio isolamento si rivela fallimentare. • Il romanzo si conclude con il suicidio di Alfonso.
UNA VITA (1892) INIZIO DEL ROMANZO «Mamma mia, «Iersera, appena, ricevetti la tua buona e bella lettera. «Non dubitarne, per me il tuo grande carattere non ha segreti; anche quando non so decifrare una parola, comprendo o mi pare di comprendere ciò che tu volesti facendo camminare a quel modo la penna. Rileggo molte volte le tue lettere; tanto semplici, tanto buone, somigliano a te; sono tue fotografie. «Amo la carta persino sulla quale tu scrivi!
• Il libro si apre con la lettera che Alfonso invia alla madre rimasta al villaggio. • Il testo offre un autoritratto del personaggio che scrive: sono credenziali espresse in prima persona e in buona fede, ma si rivelano, nel corso dell’opera, inattendibili e insincere (senza che il protagonista se ne renda conto). • Alfonso nella missiva alla madre si dichiara come crede di essere: affezionatissimo a lei, nostalgico del paese, amante dell’idillio campestre, devoto agli ideali etici e virtuosi che la campagna gli ispira, disinteressato d’ogni profitto materiale, dedito al culto umanistico degli studi classici. • Ma non è necessario continuare nella lettura del romanzo per avvedersi, in pratica, dell’inattendibilità di simili credenziali. Già il tono artificiosamente lezioso della missiva rivela che chi l'ha scritta si abbandona a effusioni emotive, ma non conosce se stesso
• La lettera non dice apertamente il falso, bensì con accoratezza dice cose false ritenute vere da chi le scrive. Infatti Alfonso nei suoi comportamenti, nel corso dell'opera, si mostra opportunista e volubile, indifferente alla madre, disposto senza indugio ai compromessi morali e pronto a servirsi delle sue attitudini di studioso dilettante per sedurre Annetta. • Se nel romanzo naturalistico, la lettera riveste un credito documentario e oggettivo, qui la lettera comunica, a leggerla con attenzione, le involontarie mistificazioni di chi l’ha composta. • Rientrato per alcuni giorni al villaggio, Alfonso trova la madre inferma. E al letto di lei piange di commozione, ma non perché affranto per le sofferenze della madre, bensì si piange addosso e pensa ai casi propri, «commosso» soltanto all’idea delle «persecuzioni» che immagina in città ordite a suo danno (cap. XVI).
• L'ultimo capitolo del romanzo termina con una lettera burocratica, spedita dalla direzione della banca per dare notizia, con indifferenza cancelleresca, del suicidio di Alfonso. È l'antitesi della prima lettera: là parla la voce distorta dei sentimenti, qui parla, brusca e impietosa, la voce della realtà, di questa aspra realtà mercantile. • Due stili si fronteggiano: quello dell’involontaria mistificazione, dell'involontario artificio retorico, e quello delle cose, nude e dure come uno scoglio. • L'antitesi è violenta, come la fine di Alfonso, che si è trovato a colluttare con un mondo spietato, senza avere nozione delle proprie modeste forze, né dell'ambiente con il quale ha scelto di misurarsi. L'inconsapevolezza si paga.
DALLE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS A UNA VITA • L’Ottocento si apre con il romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802) di Ugo Foscolo e si conclude con Una vita (1892) di Svevo: entrambi i romanzi terminano con il suicidio del protagonista (Jacopo Ortis e Alfonso Nitti). • Ma si tratta di due suicidi antitetici. Ugo Foscolo (1778-1827)
Senilità
Con la scomparsa di Alfonso s’è chiusa la partita dello SENILITÀ (1898) scontro individuo-società. Senilità, il secondo tempo della trilogia, sposta l'obiettivo su rapporti privati e personali, intersoggettivi: tra coloro che subiscono la vita (Emilio Brentani e sua sorella Amalia, affetti da «senilità» come condizione esistenziale, inerzia, strozzatura, ripiegamento interiore) e coloro invece che la vita sanno godersela, voraci, espansivi, contenti di se stessi (Angiolina Zarri e Stefano Balli).
• Quattro protagonisti, dai destini incrociati, due coppie antitetiche, su uno sfondo cittadino ridotto a didascalie asciutte e scheletriche, funzionali allo scavo dentro il modo di essere del personaggio. Esemplare con dedica a Elda Gianelli (1856-1921), scrittrice triestina
• Anche il “senile” Emilio, al pari di Alfonso, parla molto di sé e tra sé, loquacissimo pur nei silenzi («verboso chiacchierone come sempre», p. 526). Si considera un artista incompreso, timido, sensibile, dolce, ma pratico della vita, gravato da impegni di lavoro e di famiglia («Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia», S, p. 403). • È convinto di essere un idealista disinteressato; un intellettuale che dà lustro alla sua città e che quindi pretende riguardo. Di fatto, è titolare di «un impieguccio di poca importanza presso una società di assicurazioni» (S, p. 403) e insieme un letterato inerte ma vanitoso, superbo di «una riputazioncella» – soddisfazione di vanità più che d’ambizione – che «non gli rendeva nulla, ma lo affaticava ancor meno» (S, p. 404).
• La cultura è per Emilio, come per Alfonso, non uno strumento di conoscenza e di comprensione della realtà, ma un intrattenimento, un addobbo, un’evasione. Quanto alla famiglia, non ha che una sorella, «non ingombrante né fisicamente né moralmente» (S, p. 403), e non se ne cura. • Passa i giorni in casa insieme a lei «con l’incuria di chi sta in un albergo» (p. 579). • Discorre a parole sempre d’amore, ma lo agita la voglia di sesso e si dimostra un maldestro dongiovanni della domenica, spinto da «brama insoddisfatta di piaceri» (p. 403), ossessionato dalle belle gambe, dalle «gengive rosse» (p. 415), dalla carne liscia e fresca di Angiolina, una creatura disponibile al gioco disinibito dell’eros e prodigiosamente inafferrabile, ch’egli vorrebbe sottomettere e dominare, ridurre a proprio oggetto di svago, maneggiare a suo uso e consumo, come un «giocattolo» (p. 403).
• Angiolina racconta balle a Emilio, ma sa di mentire: è se stessa e ne è consapevole, dice il falso con lucidità. È lui invece a trovarsi involto nella menzogna, senza rendersene conto. • E lo tortura la gelosia, per questa calda femmina-oggetto nella quale ha riversato le proprie fantasie oniriche accese da vanità di letterato inconcludente, le proprie attese deluse, il proprio vischioso bisogno di possesso, il proprio sterminato amor di sé.
• Di fronte a Emilio e alle sue insicurezze, l'amico scultore Stefano Balli incarna, dietro la facciata d’una simpatica giovialità, la salute feroce dell'«uomo superiore» e spregiudicato che (dannunzianamente) ama «soltanto le cose belle e disoneste» (S, p. 457), che cerca la vicinanza dei remissivi per assoggettarli a sé e sentirsene ammirato, pronto a esaltarsi per il mito della forza e del dominio.
• L’unico personaggio autentico è Amalia: l'unico radicato nella integrità degli affetti (sintomatiche le sue «mani bianche, sottili, tornite meravigliosamente») e perciò condannato a una solitudine tragica, tra le mistificazioni del fratello e la violenza di Stefano: e anche condannato al silenzio, al mutismo, in mezzo allo scialo di parole artefatte, deviate, inautentiche.
Diversamente da Alfonso, Emilio non si uccide. S’è iniettato una dose di cinismo che gli funziona da antidoto. In uno dei momenti più tesi del romanzo, quando Amalia sta male, il fratello, uscito in fretta di casa per incontrarsi con l’amante, esclama tra sé: «Oh, il male avveniva, non veniva commesso» (S, p. 598). Saldo nella voglia di vivere, Emilio fa morire gli altri che gli stanno vicino e gli vogliono bene. Angiolina se ne libera infine, con la disinvoltura della sua naturalezza. Lui si convince di averla abbandonata (come Alfonso Nitti, che si convince di tante cose…), e vorrebbe convincere anche il lettore. Coriaceo come ogni mediocre, resiste a tutto e riesce anche a dimenticare le proprie nefandezze
• Morta la sorella e abbandonato dall’amante, Emilio trova appagamento nell'egoismo della propria immaginazione. Sopravvive nel culto d'una figura femminile ch’egli s’è modellata su misura, mettendo insieme la bellezza di Angiolina e le qualità morali di Amalia. • Così le due donne reali sono cancellate dal ricordo di lui e la sorella è uccisa due volte: «Nella sua mente di letterato ozioso, Angiolina subì una metamorfosi strana. Conservò inalterata la sua bellezza, ma acquistò anche tutte le qualità d’Amalia che morì in lei una seconda volta» (S, p. 620).
La coscienza di Zeno
LA COSCIENZA DI ZENO (1923) La coscienza di Zeno rinnova la tradizione del romanzo italiano: è la confessione autobiografica di Zeno Cosini, scritta su consiglio dello psicoterapeuta, il dottor S., il quale - come afferma nella Prefazione del romanzo - decide di pubblicare il memoriale per vendicarsi del paziente che ha interrotto improvvisamente la cura.
COMMENTO ALLA PREFAZIONE La Prefazione è l’unica pagina in cui il lettore ascolta una voce diversa dalla voce di Zeno. S’intitola Prefazione, ma è numerata come primo capitolo, ovvero è parte integrante del racconto. Ne giustifica la genesi occasionale e la finalità: l’intero racconto è costituito non da una confessione autonomamente destinata alla stampa, ma da una serie di sequenze memoriali che devono servire a scopo terapeutico, come «preludio» a una cura.
E invece queste sequenze memoriali sono state edite a tradimento: come dire che il romanzo è involontario e per di più estorto, nato da un rapporto d’«antipatia» e pubblicato per malevolenza verso l’autore, per «vendetta», da un medico irascibile, adirato, venale. Ce n’è abbastanza per allertare i sospetti di chi legge e aguzzarne la curiosità.
• Il topos classico del manoscritto ritrovato ribalta il suo obiettivo originario, che intende certificare la veridicità dei fatti riferiti. • Qui si tratta invece di una preliminare accorgimento che garantisce l’intenzionale ambiguità del testo (scrutare dentro l’io è problematico).
• Infatti non sappiamo in che misura Zeno sia attendibile nella sua autoanalisi, perché destinatario è il medico, che Zeno disprezza e desidera ingannare. • Il lettore non può che addentrarsi con mille cautele in questo avvolgente labirinto della memoria. • L’investigazione dell’io è impresa difficile, rischiosa, enigmatica.
I fatti non si susseguono cronologicamente, né secondo uno schema lineare: spesso il passato si confonde col presente nell'esposizione frantumata della memoria, attraverso esperienze cruciali che danno il titolo alle sei sezioni del romanzo: Il fumo, La morte di mio padre, Storia del mio matrimonio, La moglie e l’amante, Storia di un’associazione commerciale, Psico-Analisi.
Sigmund Freud (1856-1939) • Primo romanzo fondato sulla psicoanalisi: ma il trattamento psicanalitico è considerato con molta ironia.
• Svevo ritiene Freud molto importante per i letterati, non per i pazienti. • «Grande uomo quel nostro Freud ma più per i romanzieri che per gli ammalati. Un mio congiunto uscì dalla cura durata per varii anni addirittura distrutto» Sigmund Freud • (lettera a Valerio Jahier, (1856-1939) 10 dicembre 1927, in Epistolario, Milano, dall’Oglio, 1966, pp. 857- 858).
• L'incontro con le opere di SVEVO E FREUD Freud (che è quasi coetaneo di Ettore, essendo nato nel 1856) risponde alla costante inclinazione sveviana per la scienza psicologica. • La lettura dei testi freudiani risale al 1908 (stando a quanto dichiara lo scrittore), ovvero alcuni decenni in anticipo rispetto all’affermazione della psicanalisi nella cultura italiana, refrattaria alla nuova terapia nel vigente clima idealistico, cattolico e poi fascista. Sigmund Freud (1856-1939)
• La famiglia Veneziani ha avuto drammatica esperienza diretta della terapia psicanalitica, in anni precedenti: dal 1911, quando il ventunenne Bruno Veneziani (fratello minore di Livia), omosessuale e tossicomane affetto da gravi disturbi nevrotici, entrato in analisi dallo stesso Freud a Vienna, è L’ingresso di casa Freud a Vienna sottoposto a un trattamento logorante, dispendioso e senza risultati.
• Anche nella vicenda biografica non mancano le premesse per la corrosiva ironia di Zeno verso la terapia psicanalitica. Bruno Veneziani (1890-1953)
• Spese vertiginose e risultati zero. • Nel suo ultimo consulto, nel 1920, Freud chiede 100 lire di parcella e certifica che per il paziente non c’è niente da fare.
• Una vita e Senilità: romanzi in terza persona, con narratore onnisciente, che prende le distanze dal protagonista e ne mostra le velleità, le ipocrisie, la cattiva coscienza. • La coscienza di Zeno: nel terzo romanzo è il personaggio che racconta se stesso. Non c’è più il narratore esterno che aiuta il lettore a capire la vera natura del personaggio.
LA COSCIENZA DI ZENO IMPIANTO E STRUTTURA DEL ROMANZO • Il romanzo si compone di otto capitoli (compresi Prefazione e Preambolo, numerati come capitoli I e II). Nel cap. III (Il fumo), il protagonista- paziente descrive il suo vizio del fumo, nonché i molti e inutili tentativi che ha fatto per liberarsene.
• Il capitolo IV (La morte di mio padre) rende conto • Nel capitolo VI (La della lunga agonia che ha moglie e l’amante), preceduto la morte del padre e dei sensi di colpa spiega come che Zeno ha maturato l’amore per la dentro di sé. moglie sia diventato lo strumento per procurarsi • Nel capitolo V (La storia del un’amante, Carla, mio matrimonio), narra la utile per la serena sua disavventura di corteggiatore sprovveduto sopravvivenza del che, respinto da due sorelle matrimonio. (Ada e Alberta), ha finito con lo sposare la terza che non ama (Augusta), poi rivelatasi moglie ideale.
• Nel capitolo VII (Storia di un’associazione commerciale), racconta • Nell’ultimo capitolo la storia d’una sua (Psico-analisi), Zeno relazione d’affari con il manifesta cognato Guido (marito di l’intenzione di Ada), uno scioperato interrompere la cura che giunge a fingere il e con essa le sue suicidio, memorie: «L’ho finita imprevedibilmente con la psico-analisi. andato a effetto: Zeno (che nutre cordiale Dopo averla disistima verso il praticata cognato), per un lapsus, assiduamente per segue invece del sei mesi interi sto funerale di Guido quello peggio di prima». di un altro defunto.
• L'inettitudine, da presunzione velleitaria e impotente, da paralisi vitale (Alfonso) o da rovinoso doppiogioco con se stessi e da inerzia dell'anima (Emilio), è diventata (Zeno) senso del limite, persuasione della irrazionalità del mondo, sentimento del casuale e della provvisorietà, saggezza autoironica. Piatto pubblicitario della Ditta Veneziani
La (s)fortuna di Svevo
• I libri di Svevo escono e LA (S)FORTUNA nessuno se ne accorge. • Il primo a parlare di lui in Italia è Eugenio Montale nel 1925, con un articolo Omaggio a Italo Svevo, apparso nella rivista milanese «L’Esame» (novembre-dicembre). • Il 1925 (giugno) è anche l’anno di Ossi di seppia.
• Accuse frequenti LO SCRIVER MALE a Svevo di «scriver male», in clima di prosa estetizzante e dannunziana e di prosa d’arte! • Svevo non scrive né bene né male: scrive giusto...
GIUDIZIO DI EUGENIO MONTALE ITALO SVEVO NEL CENTENARIO DELLA NASCITA (1962)
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