SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA

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SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA
SVEVO
      ROMANZIERE
GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA

         GINO TELLINI
SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA
Sommario

● «Una vita che non pare bella» (3-13)
● Nascere a Trieste (14-19)
● Una vita (20-26)
● Senilità (27-36)
● La coscienza di Zeno (37-54)
● La (s)fortuna di Svevo (55-58)
SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA
«Una vita che
non pare bella»
SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA
ITALO SVEVO
(TRIESTE, 1861 – MOTTA DI LIVENZA,
                    TREVISO, 1928)
SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA
• 1861, 19           LA VITA
  dicembre:
• Ettore Schmitz,
  nasce a Trieste,
  importante porto
  sul Mediterraneo
  dell’Impero
  austro-ungarico.
SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA
TRIESTE

• Trieste, città di
  commerci, di
  società
  d’assicurazioni,
  di banche, di
  etnie diverse.
• Primato del         Ingresso
                      della
  commercio e         Banca
                      Intesa
  della finanza.
SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA
• Nel 1719 Carlo VI
  d’Austria dichiarò         TRIESTE: PORTO FRANCO
  Trieste porto franco, ne
  seguirono benessere
  economico e culturale,
  che continuarono
  ancor più sotto Maria
  Teresa d’Austria,
  richiamando da tutta
  l’Europa mercanti e
  imprenditori.
• Il 5 Novembre 1918,
  dopo la Prima Guerra
  Mondiale, Trieste passa
  all’Italia.
                             Trieste, piazza dell’Unità d’Italia
SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA
• Di famiglia ebraica,
  compie studi
  commerciali in
  Germania (Baviera)
• 1879: si iscrive all’Istituto
  Commerciale di Trieste
• 1880: entra come
  impiegato nella
  succursale triestina della
  banca Union di Vienna
• 1880-1890: collabora
  all’«Indipendente» di
  Trieste
• 1892: primo romanzo,
  Una vita
• 1896: matrimonio con
  Livia Veneziani, figlia di
  un ricco industriale di
  vernici sottomarine.
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• 1897: nasce l’unica figlia,
  Letizia
• 1898: secondo romanzo,
  Senilità
• 1899, luglio: lascia la
  banca (stipendio ultimo
  120 fiorini al mese) e
  entra nella ditta del
  suocero (stipendio iniziale
  300 fiorini al mese) e
  diventa industriale
• 1923: terzo romanzo, La
  coscienza di Zeno
• 1928, 13 settembre:
  muore per un incidente
  automobilistico a Motta di
  Livenza (Treviso).
SVEVO ROMANZIERE GINO TELLINI - GLI ALIBI DELLA CATTIVA COSCIENZA
• Il 12 settembre 1928 un
  incidente costa a Svevo la
  vita                              LA MORTE
• Una morte imprevista,
  beffarda, a tradimento, per
  chi tanto ossessivamente ha
  vigilato sul nesso inscindibile
  tra «malattia» e «salute»
• per chi ha coltivato un’acuta
  percezione della malattia (da
  frequentatore appassionato e
  assiduo di luoghi curativi:
  Salsomaggiore, Montecatini,
  San Pellegrino e, da ultimo, le
  terme di Bormio, Sondrio).

                                    Terme di Bormio
Mentre rientra in auto a
Trieste,
in compagnia della moglie
e del nipotino Paolo Fonda
(di sette anni, figlio di Letizia
e del medico Antonio
Fonda-Savio),
da un soggiorno alle terme
di Bormio (Sondrio) − dove
s’è recato per curare la
pressione alta −, sulla strada
bagnata dalla pioggia
l'autista perde il controllo
della vettura che urta con
violenza contro un albero.
                                    Busto di Letizia, a Trieste
Nel settembre 1927,
tirando il bilancio dei
pochi dati essenziali
della sua vita, lo
scrittore così conclude:

«Ecco tutto. Una vita
che non pare bella ma
fu adornata da tanti
fortunati affetti che
accetterei di riviverla»
(lett. a B. Crémieux, s.
d. [settembre 1927],       Benjamin Crémieux (1888-1944)
Epist., p. 855).
• Non «bella», certo antieroica e
  antiavventurosa, antiestetizzante
  e antiletteraria, operosa e
  appartata, eppure protetta e
  salvaguardata, nella sua serena
  rispettabilità borghese, con
  acuta saggezza e autoironia.
• Italo Svevo ha avuto bisogno di
  Ettore Schmitz, di questa sua «vita
  che non pare bella», così come
  questa «vita che non pare bella»
  ha avuto bisogno, per essere
  felicemente vissuta, del
  contrappunto dissacrante e del
  controcanto umoristico intonati
  dalla coscienza critica di Italo
  Svevo.
• Svevo ha avuto bisogno di
  Schmitz e Schmitz ha avuto
  bisogno di Svevo.                     Italo Svevo
                                        (1861-1928)
Nascere a Trieste
• Trieste: etnie diverse,
  banche, commerci. E               LETTERATURA A TRIESTE
  nevrosi (la città in Europa
  con il più alto numero di
  suicidi nel primo
  Novecento).
• Il fatto di essere città
  empirica, pragmatica,
  commerciale, finanziaria, fa
  sì che la letteratura sia
  considerata un «ozio»
  vacuo (la tradizione
  umanistica italiana a Trieste
  è molto secondaria).
• Chi esercita la letteratura, lo
  fa per necessità (come
  bisogno interiore), non per
  professione, non per moda,
  non per interesse pratico.
FORMAZIONE DI SVEVO
• Gli autori che in
  Svevo, nella sua
  disorganica
  formazione di
  autodidatta, hanno
  lasciato il segno − da
  Machiavelli e
  Guicciardini a Balzac
  e Flaubert, da
  Boccaccio a
  Dostoevskij − sono i
  grandi maestri della
  realtà.
• La matrice autobiografica è in
  Svevo costante, ma egli riesce
  a uscire fuori di sé e a
  guardarsi in controluce. Riesce
  a spezzare il cerchio del culto
  di sé caro alla tradizione lirica
  italiana (tradizione
  petrarchesca, soggettiva,
  individualizzante).
• Riesce a spezzare la mania
  dell’autocelebrazione che è
  tipica (ahimè) dell’intellettuale
  italiano.
• Riesce a vincere l’ossessivo
  «egotismo del letterato», di cui
  Svevo parla nell’incompiuto
  racconto Incontro di vecchi
  amici (ca. 1900).
• Svevo si forma fuori dai
  canoni della tradizione
  italiana, eppure alla sua
  idea di letteratura l’autore
  dei Promessi sposi avrebbe
  potuto offrire utile materia
  di riflessione.
• Il riferimento va in
  particolare alla celebre
  lettera inviata da Manzoni
  al giovane veneziano
  Marco Coen, da Milano, il
  2 giugno 1832, nella quale
  è introdotta la distinzione
  tra due diversi tipi di
  letteratura, la «bella» e la       Giuseppe Molteni,
  «buona».                            Manzoni (1835)
                                 Pinacoteca di Brera, Milano
La «buona» letteratura,
afferma Manzoni, «s’apprende
per via delle cose» e consiste,
non nel «giocar colla
fantasia», ma nella cognizione
critica degli uomini e delle
cose, che si apprende con
l’esperienza

Capitale, in questa
prospettiva, è il primato
dell'antiretorica.

Rinvio per il testo a Romanzi, a
cura di P. Sarzana , intr. di F.
Gavazzeni, Mi, Mondadori, 1985.
Una vita
• Alfonso Nitti: protagonista,     UNA VITA (1892)
  inurbato a Trieste dalla
  campagna, impiegato
  nella Banca Maller.
• Il romanzo, che doveva
  intitolarsi Un inetto, è la
  storia di un uomo solo,
  scisso dalla società ed
  incapace di accettarne le
  regole. Il tentativo di uscire
  dal proprio isolamento si
  rivela fallimentare.
• Il romanzo si conclude con
  il suicidio di Alfonso.
UNA VITA (1892)
INIZIO DEL ROMANZO

«Mamma mia,
«Iersera, appena, ricevetti la tua buona e bella
lettera.
«Non dubitarne, per me il tuo grande carattere
non ha segreti; anche quando non so decifrare
una parola, comprendo o mi pare di
comprendere ciò che tu volesti facendo
camminare a quel modo la penna. Rileggo
molte volte le tue lettere; tanto semplici, tanto
buone, somigliano a te; sono tue fotografie.
«Amo la carta persino sulla quale tu scrivi!
• Il libro si apre con la lettera che Alfonso invia alla madre
  rimasta al villaggio.
• Il testo offre un autoritratto del personaggio che scrive: sono
  credenziali espresse in prima persona e in buona fede, ma si
  rivelano, nel corso dell’opera, inattendibili e insincere (senza
  che il protagonista se ne renda conto).
• Alfonso nella missiva alla madre si dichiara come crede di
  essere: affezionatissimo a lei, nostalgico del paese, amante
  dell’idillio campestre, devoto agli ideali etici e virtuosi che la
  campagna gli ispira, disinteressato d’ogni profitto materiale,
  dedito al culto umanistico degli studi classici.
• Ma non è necessario continuare nella lettura del romanzo
  per avvedersi, in pratica, dell’inattendibilità di simili
  credenziali. Già il tono artificiosamente lezioso della missiva
  rivela che chi l'ha scritta si abbandona a effusioni emotive,
  ma non conosce se stesso
• La lettera non dice apertamente il falso, bensì con
  accoratezza dice cose false ritenute vere da chi le scrive.
  Infatti Alfonso nei suoi comportamenti, nel corso dell'opera,
  si mostra opportunista e volubile, indifferente alla madre,
  disposto senza indugio ai compromessi morali e pronto a
  servirsi delle sue attitudini di studioso dilettante per sedurre
  Annetta.
• Se nel romanzo naturalistico, la lettera riveste un credito
  documentario e oggettivo, qui la lettera comunica, a
  leggerla con attenzione, le involontarie mistificazioni di chi
  l’ha composta.
• Rientrato per alcuni giorni al villaggio, Alfonso trova la
  madre inferma. E al letto di lei piange di commozione, ma
  non perché affranto per le sofferenze della madre, bensì si
  piange addosso e pensa ai casi propri, «commosso»
  soltanto all’idea delle «persecuzioni» che immagina in città
  ordite a suo danno (cap. XVI).
• L'ultimo capitolo del romanzo termina con una lettera
  burocratica, spedita dalla direzione della banca per dare
  notizia, con indifferenza cancelleresca, del suicidio di
  Alfonso. È l'antitesi della prima lettera: là parla la voce
  distorta dei sentimenti, qui parla, brusca e impietosa, la
  voce della realtà, di questa aspra realtà mercantile.
• Due stili si fronteggiano: quello dell’involontaria
  mistificazione, dell'involontario artificio retorico, e quello
  delle cose, nude e dure come uno scoglio.
• L'antitesi è violenta, come la fine di Alfonso, che si è trovato
  a colluttare con un mondo spietato, senza avere nozione
  delle proprie modeste forze, né dell'ambiente con il quale
  ha scelto di misurarsi. L'inconsapevolezza si paga.
DALLE ULTIME LETTERE DI
                          JACOPO ORTIS A UNA VITA
• L’Ottocento si apre con il
  romanzo epistolare Le ultime
  lettere di Jacopo Ortis (1802)
  di Ugo Foscolo e si conclude
  con Una vita (1892) di
  Svevo: entrambi i romanzi
  terminano con il suicidio del
  protagonista (Jacopo Ortis e
  Alfonso Nitti).
• Ma si tratta di due suicidi
  antitetici.

                                       Ugo Foscolo
                                       (1778-1827)
Senilità
Con la scomparsa di Alfonso
s’è chiusa la partita dello         SENILITÀ (1898)
scontro individuo-società.
Senilità, il secondo tempo
della trilogia, sposta
l'obiettivo su rapporti privati e
personali, intersoggettivi:
tra coloro che subiscono la
vita (Emilio Brentani e sua
sorella Amalia, affetti da
«senilità» come condizione
esistenziale, inerzia,
strozzatura, ripiegamento
interiore)
e coloro invece che la vita
sanno godersela, voraci,
espansivi, contenti di se stessi
(Angiolina Zarri e Stefano
Balli).
• Quattro protagonisti,
  dai destini incrociati,
  due coppie
  antitetiche, su uno
  sfondo cittadino
  ridotto a didascalie
  asciutte e
  scheletriche,
  funzionali allo scavo
  dentro il modo di
  essere del
  personaggio.
                            Esemplare con dedica a
                            Elda Gianelli (1856-1921),
                               scrittrice triestina
• Anche il “senile” Emilio, al pari di Alfonso, parla molto di sé e
  tra sé, loquacissimo pur nei silenzi («verboso chiacchierone
  come sempre», p. 526). Si considera un artista incompreso,
  timido, sensibile, dolce, ma pratico della vita, gravato da
  impegni di lavoro e di famiglia («Ho altri doveri io, la mia
  carriera, la mia famiglia», S, p. 403).
• È convinto di essere un idealista disinteressato; un
  intellettuale che dà lustro alla sua città e che quindi
  pretende riguardo. Di fatto, è titolare di «un impieguccio di
  poca importanza presso una società di assicurazioni» (S, p.
  403) e insieme un letterato inerte ma vanitoso, superbo di
  «una riputazioncella» – soddisfazione di vanità più che
  d’ambizione – che «non gli rendeva nulla, ma lo affaticava
  ancor meno» (S, p. 404).
• La cultura è per Emilio, come per Alfonso, non uno strumento
  di conoscenza e di comprensione della realtà, ma un
  intrattenimento, un addobbo, un’evasione. Quanto alla
  famiglia, non ha che una sorella, «non ingombrante né
  fisicamente né moralmente» (S, p. 403), e non se ne cura.
• Passa i giorni in casa insieme a lei «con l’incuria di chi sta in
  un albergo» (p. 579).
• Discorre a parole sempre d’amore, ma lo agita la voglia di
  sesso e si dimostra un maldestro dongiovanni della
  domenica, spinto da «brama insoddisfatta di piaceri» (p.
  403), ossessionato dalle belle gambe, dalle «gengive rosse»
  (p. 415), dalla carne liscia e fresca di Angiolina, una creatura
  disponibile al gioco disinibito dell’eros e prodigiosamente
  inafferrabile, ch’egli vorrebbe sottomettere e dominare,
  ridurre a proprio oggetto di svago, maneggiare a suo uso e
  consumo, come un «giocattolo» (p. 403).
• Angiolina racconta balle a Emilio, ma sa di
  mentire: è se stessa e ne è consapevole, dice il
  falso con lucidità. È lui invece a trovarsi involto
  nella menzogna, senza rendersene conto.

• E lo tortura la gelosia, per questa calda
  femmina-oggetto nella quale ha riversato le
  proprie fantasie oniriche accese da vanità di
  letterato inconcludente, le proprie attese
  deluse, il proprio vischioso bisogno di possesso,
  il proprio sterminato amor di sé.
• Di fronte a Emilio e alle sue insicurezze,
  l'amico scultore Stefano Balli incarna, dietro la
  facciata d’una simpatica giovialità, la salute
  feroce dell'«uomo superiore» e spregiudicato
  che (dannunzianamente) ama «soltanto le
  cose belle e disoneste» (S, p. 457), che cerca
  la vicinanza dei remissivi per assoggettarli a
  sé e sentirsene ammirato, pronto a esaltarsi
  per il mito della forza e del dominio.
• L’unico personaggio autentico è Amalia:
  l'unico radicato nella integrità degli affetti
  (sintomatiche le sue «mani bianche, sottili,
  tornite meravigliosamente») e perciò
  condannato a una solitudine tragica, tra le
  mistificazioni del fratello e la violenza di
  Stefano: e anche condannato al silenzio, al
  mutismo, in mezzo allo scialo di parole
  artefatte, deviate, inautentiche.
Diversamente da Alfonso, Emilio non si uccide. S’è iniettato
una dose di cinismo che gli funziona da antidoto.
In uno dei momenti più tesi del romanzo, quando Amalia sta
male, il fratello, uscito in fretta di casa per incontrarsi con
l’amante, esclama tra sé: «Oh, il male avveniva, non veniva
commesso» (S, p. 598).
Saldo nella voglia di vivere, Emilio fa morire gli altri che gli
stanno vicino e gli vogliono bene.
Angiolina se ne libera infine, con la disinvoltura della sua
naturalezza.
Lui si convince di averla abbandonata (come Alfonso Nitti,
che si convince di tante cose…), e vorrebbe convincere
anche il lettore.
Coriaceo come ogni mediocre, resiste a tutto e riesce anche
a dimenticare le proprie nefandezze
• Morta la sorella e abbandonato dall’amante, Emilio trova
  appagamento nell'egoismo della propria immaginazione.
  Sopravvive nel culto d'una figura femminile ch’egli s’è
  modellata su misura, mettendo insieme la bellezza di
  Angiolina e le qualità morali di Amalia.

• Così le due donne reali sono cancellate dal ricordo di lui e
  la sorella è uccisa due volte: «Nella sua mente di letterato
  ozioso, Angiolina subì una metamorfosi strana. Conservò
  inalterata la sua bellezza, ma acquistò anche tutte le
  qualità d’Amalia che morì in lei una seconda volta» (S, p.
  620).
La coscienza di Zeno
LA COSCIENZA DI ZENO (1923)

La coscienza di Zeno
rinnova la tradizione del
romanzo italiano:

è la confessione
autobiografica di Zeno
Cosini, scritta su consiglio
dello psicoterapeuta, il
dottor S., il quale - come
afferma nella Prefazione del
romanzo - decide di
pubblicare il memoriale per
vendicarsi del paziente che
ha interrotto
improvvisamente la cura.
COMMENTO ALLA
                                    PREFAZIONE
La Prefazione è l’unica pagina
in cui il lettore ascolta una
voce diversa dalla voce di
Zeno.
S’intitola Prefazione, ma è
numerata come primo
capitolo, ovvero è parte
integrante del racconto.
Ne giustifica la genesi
occasionale e la finalità:
l’intero racconto è costituito
non da una confessione
autonomamente destinata alla
stampa, ma da una serie di
sequenze memoriali che
devono servire a scopo
terapeutico, come «preludio» a
una cura.
E invece queste sequenze
memoriali sono state edite a
tradimento: come dire che il
romanzo è involontario e per
di più estorto, nato da un
rapporto d’«antipatia» e
pubblicato per malevolenza
verso l’autore, per
«vendetta», da un medico
irascibile, adirato, venale.
Ce n’è abbastanza per
allertare i sospetti di chi
legge e aguzzarne la
curiosità.
• Il topos classico del
  manoscritto ritrovato
  ribalta il suo obiettivo
  originario, che intende
  certificare la veridicità
  dei fatti riferiti.
• Qui si tratta invece di una
  preliminare
  accorgimento che
  garantisce l’intenzionale
  ambiguità del testo
  (scrutare dentro l’io è
  problematico).
• Infatti non sappiamo in che
  misura Zeno sia attendibile
  nella sua autoanalisi,
  perché destinatario è il
  medico, che Zeno
  disprezza e desidera
  ingannare.
• Il lettore non può che
  addentrarsi con mille
  cautele in questo
  avvolgente labirinto della
  memoria.
• L’investigazione dell’io è
  impresa difficile, rischiosa,
  enigmatica.
I fatti non si susseguono
cronologicamente, né
secondo uno schema lineare:
spesso il passato si confonde
col presente nell'esposizione
frantumata della memoria,
attraverso esperienze cruciali
che danno il titolo alle sei
sezioni del romanzo:
Il fumo, La morte di mio
padre, Storia del mio
matrimonio, La moglie e
l’amante, Storia di
un’associazione
commerciale, Psico-Analisi.
Sigmund Freud (1856-1939)

• Primo romanzo
  fondato sulla
  psicoanalisi: ma il
  trattamento
  psicanalitico è
  considerato con
  molta ironia.
• Svevo ritiene Freud
  molto importante per i
  letterati, non per i
  pazienti.

• «Grande uomo quel
  nostro Freud ma più per i
  romanzieri che per gli
  ammalati. Un mio
  congiunto uscì dalla
  cura durata per varii
  anni addirittura distrutto»
                                Sigmund Freud
• (lettera a Valerio Jahier,      (1856-1939)
  10 dicembre 1927, in
  Epistolario, Milano,
  dall’Oglio, 1966, pp. 857-
  858).
• L'incontro con le opere di         SVEVO E FREUD
  Freud (che è quasi coetaneo
  di Ettore, essendo nato nel
  1856) risponde alla costante
  inclinazione sveviana per la
  scienza psicologica.
• La lettura dei testi freudiani
  risale al 1908 (stando a quanto
  dichiara lo scrittore), ovvero
  alcuni decenni in anticipo
  rispetto all’affermazione della
  psicanalisi nella cultura
  italiana, refrattaria alla nuova
  terapia nel vigente clima
  idealistico, cattolico e poi
  fascista.

                                     Sigmund Freud
                                       (1856-1939)
• La famiglia Veneziani ha
  avuto drammatica
  esperienza diretta della
  terapia psicanalitica, in
  anni precedenti: dal
  1911, quando il
  ventunenne Bruno
  Veneziani (fratello
  minore di Livia),
  omosessuale e
  tossicomane affetto da
  gravi disturbi nevrotici,
  entrato in analisi dallo
  stesso Freud a Vienna, è    L’ingresso di casa Freud a Vienna
  sottoposto a un
  trattamento logorante,
  dispendioso e senza
  risultati.
• Anche nella
  vicenda
  biografica non
  mancano le
  premesse per la
  corrosiva ironia
  di Zeno verso la
  terapia
  psicanalitica.
                     Bruno Veneziani (1890-1953)
• Spese
  vertiginose e
  risultati zero.
• Nel suo ultimo
  consulto, nel
  1920, Freud
  chiede 100 lire
  di parcella e
  certifica che
  per il paziente
  non c’è niente
  da fare.
• Una vita e Senilità: romanzi
  in terza persona, con
  narratore onnisciente, che
  prende le distanze dal
  protagonista e ne mostra le
  velleità, le ipocrisie, la
  cattiva coscienza.

• La coscienza di Zeno:
  nel terzo romanzo è il
  personaggio che
  racconta se stesso.
  Non c’è più il narratore
  esterno che aiuta il
  lettore a capire la vera
  natura del
  personaggio.
LA COSCIENZA DI ZENO
           IMPIANTO E STRUTTURA DEL ROMANZO

• Il romanzo si
  compone di otto
  capitoli (compresi
  Prefazione e
  Preambolo, numerati
  come capitoli I e II).
  Nel cap. III (Il fumo),
  il protagonista-
  paziente descrive il
  suo vizio del fumo,
  nonché i molti e
  inutili tentativi che
  ha fatto per
  liberarsene.
• Il capitolo IV (La morte di
  mio padre) rende conto          • Nel capitolo VI (La
  della lunga agonia che ha         moglie e l’amante),
  preceduto la morte del
  padre e dei sensi di colpa        spiega come
  che Zeno ha maturato              l’amore per la
  dentro di sé.                     moglie sia diventato
                                    lo strumento per
                                    procurarsi
• Nel capitolo V (La storia del     un’amante, Carla,
  mio matrimonio), narra la         utile per la serena
  sua disavventura di
  corteggiatore sprovveduto         sopravvivenza del
  che, respinto da due sorelle      matrimonio.
  (Ada e Alberta), ha finito
  con lo sposare la terza che
  non ama (Augusta), poi
  rivelatasi moglie ideale.
• Nel capitolo VII (Storia di
  un’associazione
  commerciale), racconta        • Nell’ultimo capitolo
  la storia d’una sua             (Psico-analisi), Zeno
  relazione d’affari con il       manifesta
  cognato Guido (marito di        l’intenzione di
  Ada), uno scioperato            interrompere la cura
  che giunge a fingere il         e con essa le sue
  suicidio,                       memorie: «L’ho finita
  imprevedibilmente               con la psico-analisi.
  andato a effetto: Zeno
  (che nutre cordiale             Dopo averla
  disistima verso il              praticata
  cognato), per un lapsus,        assiduamente per
  segue invece del                sei mesi interi sto
  funerale di Guido quello        peggio di prima».
  di un altro defunto.
• L'inettitudine, da
  presunzione velleitaria e
  impotente, da paralisi
  vitale (Alfonso) o da
  rovinoso doppiogioco
  con se stessi e da inerzia
  dell'anima (Emilio), è
  diventata (Zeno) senso
  del limite, persuasione
  della irrazionalità del
  mondo, sentimento del
  casuale e della
  provvisorietà, saggezza
  autoironica.
                               Piatto pubblicitario della
                                    Ditta Veneziani
La (s)fortuna di Svevo
• I libri di Svevo escono e      LA (S)FORTUNA
  nessuno se ne accorge.

• Il primo a parlare di lui in
  Italia è Eugenio Montale
  nel 1925, con un articolo
  Omaggio a Italo Svevo,
  apparso nella rivista
  milanese «L’Esame»
  (novembre-dicembre).

• Il 1925 (giugno) è anche
  l’anno di Ossi di seppia.
• Accuse frequenti      LO SCRIVER MALE
  a Svevo di «scriver
  male», in clima di
  prosa estetizzante
  e dannunziana e
  di prosa d’arte!
• Svevo non scrive
  né bene né male:
  scrive giusto...
GIUDIZIO DI EUGENIO MONTALE
ITALO SVEVO NEL CENTENARIO DELLA
                    NASCITA (1962)
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