Sulla Lingua di Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo - Università degli Studi di Messina

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Università degli Studi di Messina

            Facoltà di Lettere e Filosofia
     CdL in Scienze della Mediazione Linguistica

 Sulla Lingua di Horcynus Orca di
         Stefano D'Arrigo

                  Tesi di Claudia Diano

      Relatore:
Prof. Carmelo Scavuzzo

                         a.a. 2010-11
Introduzione

Horcynus Orca è uno dei più bei romanzi che la tradizione sicula abbia

avuto tra i suoi archivi. Già dal titolo si evince come questo sia un

romanzo non comune e di difficile lettura. Il linguaggio, come è stato

definito da molti, horcynuso è ancora oggi, dopo tanti anni, studiato ed

analizzato. Quali procedimenti mentali, sintattici e lessicali hanno

portato   il genio di D’Arrigo    alla creazione di un romanzo di tale

bellezza?. Dopo aver attentamente letto il libro tutto d’un fiato, dopo

aver cercato di cogliere, da lettrice, la sfumatura di ogni parola, in

questo breve saggio, oltre ad analizzare stilisticamente l’autore, mi sono

proposta di analizzare la struttura sintattica e lessicale isolando alcuni

dei più significativi stralci d’opera. Ad incuriosirmi, di primo acchito, è

stato proprio il titolo. Orcinus Orca è il nome latino che scientificamente
denomina la volgare orca. Ma nel romanzo del D’Arrigo, seppur

l’animale sia lo stesso, compaiono una H ed una Y in più. Varie sono le

teorie   avanzate,    ma,    quella       sicuramente   più   curiosa   e

straordinariamente intuitiva è dello scrittore-giornalista Walter Pedullà.

Egli, infatti, crede che le due sillabe iniziali del romanzo siano

riconducibili alla formula chimica parziale dell’acqua (H2O) elemento

predominante nel romanzo e, da sempre binomio di vita-morte; e la Y,

oltre ad essere un segno matematico di incognita, rappresenta, in

biologia, il cromosoma maschile. Con questa teoria si completerebbe il

cerchio della vita, della malattia, della morte. Una mia personale chiave

di lettura è stata quella associata le corrispondenze delle sillabe con

l’alfabeto greco-latino ed il suo antico significato. La lettera H posta

davanti alla parola “orcinus” ne rafforza la natura interiettiva, la

enfatizza poiché agisce emotivamente sul destinatario del messaggio.

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Analoga è la spiegazione per la lettera Y . Essa, infatti, veniva utilizzata

anticamente dai romani ,che la importarono dall’alfabeto greco, con la

precisa funzione di rafforzare la lettera V. Data la natura innovatrice di

D’Arrigo, quella V può legarsi al significato ultimo del romanzo: vittoria

della vita sulla morte? Della morte sulla vita?. Del caos primordiale dato

dall’incontro della H e della Y che traspare fin dal titolo del romanzo?

L’interpretazione del libro e della sua lingua è ovviamente lasciata alla

fantasia del lettore.

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Capitolo I

Autore del romanzo

       Nato ad Alì Terme (Me) il 15 ottobre del 1919, Stefano D’Arrigo

viene oggi ricordato per il moderno romanzo dal tono epico che tenne

col fiato sospeso milioni di italiani per ben quindici anni: Horcynus Orca.

Fu un progetto che ebbe inizio con la partecipazione del D’A. al Premio

Cino del Duca, un concorso letterario a cui prese parte nel lontano 1958

con il brano “la testa del delfino”. Tra i giurati fortuna volle ci fosse Elio

Vittorini, scrittore siciliano fondatore della rivista letteraria Il Menabò

che diresse insieme a Italo Calvino con l’intento di far conoscere autori

nuovi non soltanto italiani, ma anche di altri paesi. Il Vittorini,

affascinato dalla bellezza del brano scritto dal D’Arrigo, lo pubblicò e, nel

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1960, la terza uscita del Menabò portava come titolo “I giorni della

fera”.

         Nello stesso tempo la nota casa editrice Mondadori stringeva

contratto con D’Arrigo per la pubblicazione integrale dei suoi racconti.

Era il 1958 e da questa data passeranno ben quindici anni prima che

l’Italia possa avere nelle sue librerie il romanzo ultimato e re intitolato

Horcynus Orca (marzo 1975). In quei lunghi 15 anni il D’Arrigo lavorò

giorno e notte al suo romanzo leggendo e rileggendo i brani,

aggiungendo particolari, parole, paragrafi, affinando la tecnica narrativa

che raggiunse così il suo perfetto equilibrio.

         Nell’intervista rilasciata a Cristiana De Santis, Giuseppe Pontiggia

(giornalista ed autore dell’introduzione di Horcynus Orca nell’edizione

pubblicata nel 1975 dalla casa editrice Mondadori), racconta come

cominciò il processo di revisione del manoscritto dello scrittore

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messinese. Il Pontiggia, infatti, leggendo le bozze dell’ Horcynus Orca

che D’Arrigo inviava alla Mondadori, scriveva dei giudizi sul materiale

che gli veniva sottoposto. In maniera molto precisa sottolineava ciò che

per lui “lettore” risultava bello, pesante o ripetitivo. La Mondadori

rispediva i commenti/suggerimenti al D’Arrigo che si prodigava alla

correzione delle parti segnate. Ovviamente se i commenti positivi per il

D’Arrigo erano esaltanti, quelli negativi risultavano avvilenti. Solo in

seguito, quando uscì definitivamente il romanzo, il D’Arrigo confessò al

Pontiggia quanto quei suoi commenti ne avessero influenzato la stesura.

       Fin dalle prime righe dell’ Horcynus Orca il lettore si accorge di

avere di fronte un testo di non semplice lettura, bensì una straordinaria

metamorfosi linguistica, uno sconvolgimento della lingua che viene

inondata ed arricchita di vocaboli nuovi, una sorta di “scrittura

rivoluzionaria” formata da suoni e fonemi apparentemente “in libertà”.

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Fino a che non sopraggiunse la morte, il 2.5.1982, il D’Arrigo continuò la

revisione del suo romanzo nonostante fosse già stato pubblicato nel

1975.

        E’ come se l’autore avesse voluto fare un lavoro di revisione e di

aggiornamento dell’opera. Tutto questo potrebbe essere ricondotto, per

certi versi, alla sua appartenenza al Gruppo 631. Erano degli scrittori

sperimentalisti all’avanguardia che rifiutavano gli schemi di scrittura

tradizionali e prediligevano uno stile libero da qualsiasi vincolo letterario

e modaiolo degli scrittori italiani del ‘900.

        Una parte della critica si schierò a favore dello scrittore: Consolo

scrisse ne L’Ora del 22.2.1975 un articolo in cui definiva Ndrja, il

protagonista dell’epopea darrighiana, un “Moderno Ulisse tra Scilla e

Cariddi”.

1
  Citazione tratta da Wikipedia, enciclopedia virtuale. A Stefano D’Arrigo, per il
linguaggio “rivoluzionario”, si attribuisce l’appartenenza al Gruppo 63.

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Ancora P. Milano ne L’Espresso scrisse “Dovrebbe essere un

capolavoro” (2.3.1975).

Di contro, alcuni esperti accolsero il romanzo con ostilità critica come

P. Siciliano che ne Il Mondo intitolò un articolo “Quest’orca me la cucino

in fritto misto”. (13.3.1975)

Dare un giudizio sull’ Horcynus Orca non è facile, sappiamo solo che il

D’Arrigo fu posseduto dal demone dell’arte per ben 15 anni. Il 2 maggio

insieme allo scrittore, però, non morì il mito dell’Orca, signora del mare

tra Scilla e Cariddi.

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