DELLA VENDITA DEI BENI MOBILI - Articolo 106 Vendita dei crediti, dei diritti e delle quote, delle azioni, mandato a riscuotere

Pagina creata da Filippo Tosi
 
CONTINUA A LEGGERE
SEZIONE II
                           DELLA VENDITA DEI BENI MOBILI

                                      Articolo 106
                Vendita dei crediti, dei diritti e delle quote, delle azioni,
                                mandato a riscuotere*
[1] Il curatore può cedere i crediti, compresi quelli di natura fiscale o futuri, anche se og-
getto di contestazione; può altresì cedere le azioni revocatorie concorsuali, se i relativi
giudizi sono già pendenti.
[2] Per la vendita della quota di società a responsabilità limitata si applica l'art. 2471 del
codice civile.
[3] In alternativa alla cessione di cui al primo comma, il curatore può stipulare contratti di
mandato per la riscossione dei crediti.

                Commento di PASQUALE LICCARDO e GUIDO FEDERICO

                                                   Sommario

1. La cessione dei crediti e delle azioni revocatorie - 2. La cessione delle partecipazioni in società di
capitali

1. La cessione dei crediti e delle azioni revocatorie

Nonostante la rubrica delia Sezione II, composta dal solo art. 106 1. fall., faccia
pensare ad una disciplina generale della vendita dei beni mobili il contenuto
dell'art. 106 si riferisce in realtà alla liquidazione di beni caratterizzati da ele-
menti di specialità, che derogano per profili strutturali al regime generale di
circolazione dei beni mobili.
    Non è il caso di soffermarsi troppo sull'imprecisione terminologica del legi-
slatore che colloca poi nella Sezione III intitolata alla vendita dei beni immo-
bili, beni mobili registrati quali navi, galleggianti ed aeromobili (art. 108 bis) e
beni immateriali quali marchi, opere dell'ingegno, invenzioni industriali tradi-
zionalmente equiparati ai beni mobili. La norma in commento disciplina la
cessione di crediti, delle azioni revocatorie e delle quote di società a responsa-
bilità limitata.

* Disciplina precedente: Art. 106. Modalità della vendita dei beni mobili [1] Per i beni mobili, com-
presi i frutti naturali degli immobili, il giudice delegato, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, sta-
bilisce il tempo della vendita, disponendo se questa debba essere fatta ad offerte private o all'incan-
to, e determinando le modalità relative, sentito, ove occorra, uno stimatore. [2] In caso di necessità o
di utilità evidente può autorizzare la vendita in massa delle attività mobiliari, in tutto o in parte, pre-
scrivendo speciali misure di pubblicità.
Conviene analizzare separatamente tali fattispecie.
    Colmando una lacuna1 della precedente disciplina, l'art. 106 1. fall, com-
prende espressamente nella liquidazione dell'attivo l'alienazione dei crediti,
compresi i crediti futuri e quelli contestati, prevedendo in alternativa la stipula
da parte del curatore di un mandato alla riscossione.
    Tale disposizione, secondo il già menzionato rapporto di subalternità della
liquidazione atomistica rispetto al prioritario criterio della cessione unitaria
del complesso aziendale, ha peraltro carattere residuale, in quanto nella pro-
spettazione del legislatore la cessione dei crediti viene essenzialmente conce-
pita nell'ambito della vendita dell'azienda, di suoi rami, di beni e rapporti giu-
ridici in blocco (art. 105, 5° e 6° co.): deve quindi ritenersi legislativamente re-
cepita l'opinione assolutamente prevalente in dottrina circa la piena ammissi-
bilità della vendita in massa dei crediti2.
    Venuto meno il presupposto della necessità o utilità evidente previsto dal
vecchio art. 106 per la ed. vendita in massa, il legislatore della riforma attua un
vero e proprio rovesciamento di prospettiva rispetto al sistema precedente: la
cessione unitaria di rapporti giuridici non ha più carattere eccezionale e sem-
bra anzi costituire il criterio prioritario della liquidazione pur nei casi in cui
non sia possibile la cessione dell'intera azienda.
    È quindi certamente ammissibile ed anzi tendenzialmente preferibile, ri-
spetto alla alienazione parcellizzata, la vendita in massa dei crediti da parte del
curatore, anche al di fuori della cessione di azienda o di suoi rami, purché pre-
vista nel programma di liquidazione e secondo le modalità ivi indicate.
    Ed anzi, alla luce del su menzionato rovesciamento di prospettiva appare
forse superata l'opinione prevalente nel vigore della previgente normativa se-
condo cui all'alienazione coattiva dei crediti dovesse ritenersi preferibile la ri-
scossione diretta da parte del curatore3.
    L'espressa menzione della cessione dei crediti nell'ampia formulazione
prevista dall'art. 106 induce infatti a ritenere che, con evidente mutamento di
indirizzo, l'alienazione dei crediti non abbia più carattere eccezionale rispetto
alla riscossione diretta da parte del curatore, ma costituisca l'ordinaria forma
di liquidazione per tale particolare categoria di beni.
    L'aleatorietà e l'alto tasso di litigiosità che caratterizza solitamente il por-
tafoglio dei crediti dell'impresa fallita rende invero solitamente onerosa la ri-
scossione diretta da parte del curatore, con insostenibile allungamento dei

     1
       Così BONSIGNORI, Liquidazione dell'attivo, in Comm. I. fall. Scialoja Branca, sub art. 104-
117, Bologna-Roma, 1976, 108: si era peraltro correttamente ritenuta la sostanziale irrilevanza
dell'omissione, attesa la pacifica riconducibilità della cessione dei crediti alla disciplina della
vendita delle attività mobiliari, così RIVOLTA, L'affitto e la vendita d'azienda nel fallimento,
Milano, 1973, 64; BOZZA. La vendita dell'azienda nelle procedure concorsuali, Milano, 1988, 31.
     2
       Cfr. PROVINCIALI. Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974.1597; CUNEO, Le procedu-
re concorsuali, Milano, 1988,1260;Bozza.op. cit.,3\;contra BONSIGNORI. Liquidazione dell'attivo,
cit.. 108.
      * Per più diffusi rilievi sul punto cfr. CUNEO, op. cit.. 1250 ss.
tempi della procedura, ponendosi quindi in netto contrasto con l'esigenza as-
solutamente primaria del più celere compimento della procedura4.
    Sulla base dell'ampia formulazione normativa ogni tipologia di credito può
formare oggetto della cessione, sempre che sia possibile, lecito nonché deter-
minato o determinabile nel titolo costitutivo5: possono in particolare essere ce-
duti, come del resto già largamente praticato presso tutti i tribunali fallimenta-
ri, anche i crediti fiscali6, e segnatamente il credito IVA7, i cui tempi di realizzo
sono di fatto incompatibili con le esigenze di speditezza della procedura, non-
ché i crediti futuri.
    Si osserva al riguardo che, superando il precedente orientamento più re-
strittivo8, la più recente giurisprudenza afferma che per la validità della cessio-
ne dei crediti futuri è sufficiente che sia individuata, e cioè sia determinata o
determinabile, la fonte dei crediti stessi, e ciò sia che si tratti di un singolo cre-
dito, che di una pluralità di crediti9.
    Nella cessione di crediti futuri il trasferimento si attuerà, secondo i principi
generali, solo quando il credito verrà ad esistenza, avendo il contratto prima di
tale momento efficacia meramente obbligatoria tra le parti10.
    Per effetto della cessione al cessionario sono trasferiti i privilegi, le garan-
zie personali e reali e gli altri accessori, quali ad esempio il già maturato diritto
al risarcimento del maggior danno da inadempimento'1, nonché le azioni con
cui il credito può essere tutelato.

    4
        Già nel sistema previgente pertanto la best practice conosceva la cessione del portafoglio
crediti per evitare la inevitabile dilatazione dei tempi della procedura.
     I
        Cfr. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939.
     6
        Sulla cessione dei crediti d'imposta vedi art. 1, d.m. 30 settembre 1997, n. 384.
     7
        Cfr. al riguardo Comm. Trib. Prov. Distr. Padova, 2 dicembre 1995, in Fisco, 1996. 6063, se-
condo cui in caso di fallimento e di cessione del credito verso lo stato in materia di IVA, il cessio-
nario subentra nella posizione del fallito. Tale cessione ha l'esclusivo scopo di concludere solleci-
tamente la procedura fallimentare, tanto più che nel caso di credito verso lo stato non vi sono
problemi circa la solvibilità del debitore.
     s
        Secondo l'iniziale e superato orientamento giurisprudenziale si riteneva che potessero esse-
re oggetto della cessione i crediti futuri solo se al momento della conclusione della cessione sus-
sistesse già il rapporto giuridico di base fonte di tali crediti, e ciò in quanto solo in tal caso i credi-
ti futuri oggetto della cessione avrebbero potuto qualificarsi come determinabili, ex multis, Cass..
2 agosto 1977, n. 3421, in Rep. Foro it., 1977, voce «Cessione dei crediti», n. 3.
     9
        Cfr. DOLMETTA, voce «Cessione dei crediti», in Digesto/civ., II,Torino, 1988,313 ss.
     10
         È stato al riguardo affermato che «la natura consensuale del contratto di cessione di credi-
to comporta che il relativo perfezionamento consegua al solo scambio del consenso tra i con-
traenti, ma non importa, altresì, che al perfezionamento del contratto consegua, ipso facto, il tra-
sferimento del credito dal cedente al cessionario. Nel caso di cessione di un credito futuro, per-
tanto, il trasferimento del credito al cessionario si verifica soltanto nel momento in cui il credito
viene ad esistenza, mentre, prima di tale data, la cessione, pur perfetta, è destinata ad esplicare.
interpartes, efficacia meramente obbligatoria, Cass., 19 giugno 2001, n. 8333, in Giusi av., 2002,1,
2875; negli stessi termini, Cass., 22 aprile 2003, n. 6422, in Mass. Foro it., 2003.
     II
         Cfr. GAZZONI. Manuale di diritto privato. Napoli. 2004,608: in giurisprudenza, cfr. Cass.. 15
settembre 1999, n. 9823, in Giusi, eh:. 2000,1,3273.
Fermo il principio della libera cedibilità dei crediti12, oltre ai divieti di ces-
sione previsti dall'art. 1261 ce.13, devono ritenersi non cedibili, in forza del di-
sposto dell'art. 46 1. fall., al cui commento si rinvia, i crediti di natura stretta-
mente personale del fallito.
    A norma dell'art. 1266 ce. il curatore è tenuto, come effetto naturale del
contratto, a garantire l'esistenza del credito (cessione prò soluto)14, ma la ga-
ranzia potrà essere convenzionalmente esclusa, restando il cedente peraltro
sempre obbligato per fatto proprio15.
    L'art. 1267 ce statuisce inoltre che il cedente non risponde della solvibili-
tà del debitore salvo che abbia assunto la relativa garanzia (cessione prò sol-
vendo)10.
    Sulla base di quanto sopra esposto deve ritenersi la tendenziale incompati-
bilità della cessione prò solvendo con i caratteri della procedura fallimentare,
avuto riguardo soprattutto all'esigenza di celerità che la caratterizza.
    Sempre in relazione a tale esigenza deve altresì ritenersi normalmente pre-
feribile l'esclusione convenzionale della garanzia sull'esistenza del credito ex
art. 1266 ce, considerata l'incertezza tuttora ravvisabile sull'esatta portata
della nozione17 ed il conseguente rischio di onerose chiamate in garanzia della
curatela fallimentare.

    12
       Si afferma pertanto, tra gli altri, la cedibilità del credito per risarcimento da inadempi-
mento contrattuale ed il credito alla restituzione di quanto indebitamente pagato, cfr. Cass., 21
aprile 1986, n. 2812, in Mass. Foro it.. 1986, nonché il credito relativo ad obbligazioni naturali,
pur non acquistando in tal caso il cessionario una pretesa azionabile all'adempimento.
    13
       Cfr. PANUCCIO, voce «Cessione dei crediti», in Enc. Dir., VI, Milano. 1960,855.
    14
       Secondo la tesi prevalente la garanzia in esame è disciplinata allo stesso modo della garan-
zia per evizione onde il cedente è comunque tenuto a risarcire il danno (comprensivo di perdita
subita e mancato guadagno).Tale norma costituirebbe pertanto un'eccezione al principio genera-
le per cui un contratto avente ad oggetto un bene inesistente è nullo: su questi aspetti v. ZACCA-
RIA, La garanzia dell'esistenza del credito, in Riv. dir. civ., 1982,1,364 ss; contro per la non configu-
rabitità di una deroga ai principi della nullità, DOLMETTA, op. cit., 291 ss.; secondo la tesi di PER-
LINGIERI. Cessione dei crediti, in Comm. ce. Scialoja Branca, sub art. 1260-1267, Bologna-Roma,
1982.263 ss. nei casi in cui il credito è obiettivamente ed assolutamente inesistente la cessione do-
vrebbe considerarsi nulla.
    15
       La garanzia riguarda sia il caso di credito mai esistito sia quello di credito venuto ad esi-
stenza ed ormai estinto ed è altresì ritenuta comunemente applicabile anche alle ipotesi in cui un
credito venga meno con efficacia retroattiva p.e. per annullamento o per il verificarsi di una con-
dizione risolutiva ed in generale in tutte le ipotesi in cui non si realizza l'effetto traslativo; cfr.
C.M. BIANCA. Diritto civile. IV. L'obbligazione, Milano. 1990,598.
    16
       In caso di cessione prò solvendo il cedente risponde nei limiti dì quanto abbia eventual-
mente ricevuto e dovrà inoltre corrispondere gli interessi, rimborsare le spese di cessione, quelle
che il cessionario abbia sopportato per escutere il debitore, risarcire il danno. La garanzia co-
munque viene meno se la mancata realizzazione del credito è dipesa da negligenza del cessiona-
rio nell'iniziare o proseguire le istanze contro lo stesso debitore, potendo il cessionario rivolgersi
al cedente nei limiti in cui dimostri di aver escusso inutilmente il patrimonio del debitore ceduto.
Cfr. al riguardo. Cass., 6 luglio 1999. n. 7018, in Mass. Foro it.. 1999.
    17
       Su cui v. il contrasto menzionato alla nota 14.
Altra rilevante novità della novella è la possibilità per la curatela di cedere
le azioni revocatorie a condizione che le stesse siano già pendenti.
    A differenza della cessione dei crediti, pacificamente ammissibile e larga-
mente praticata già sotto la precedente disciplina, la previsione legislativa del-
la cessione delle azioni revocatorie fallimentari, vale a dire di un'azione tipica-
mente fallimentare e che non può concepirsi al di fuori del fallimento, consen-
te l'applicazione generalizzata di uno strumento che era, com'è noto, unica-
mente riservato al concordato fallimentare con assunzione.
    La cessione delle azioni revocatorie è inquadrata dalla prevalente dottrina
e giurisprudenza come una fattispecie di cessione anticipata del bene, o meglio
del risultato utile oggetto dell'azione18: la cessione della revocatoria non ha
funzione strumentale ma liquidatoria19 e comporta l'alienazione anticipata del
bene oggetto dell'azione, subordinatamente all'esito positivo dell'azione.
    Il cessionario, pertanto, ottenuta la sentenza di revoca acquisterà definiti-
vamente la titolarità del bene oggetto dell'atto impugnato e sarà legittimato
ad agire nei confronti del convenuto soccombente per l'esecuzione della sen-
tenza.
    Deve altresì ritenersi che il convenuto in revocatoria possa far valere la ca-
renza del presupposto oggettivo, vale a dire la mancanza di eventus damni, nei
confronti dell'acquirente e che in caso di soccombenza potrà insinuarsi al pas-
sivo fallimentare in chirografo per quanto versato al cessionario dell'azione ex
art. 70,2° co., 1. fall.
    La cessione delle azioni revocatorie in sede di liquidazione fallimentare è
subordinata alla pendenza della relativa azione: non possono quindi essere ce-
dute le azioni revocatorie, seppur indicate nel programma di liquidazione ap-
provato, non ancora proposte20, mentre sono cedibili le azioni per le quali sia
stata disposta la cancellazione, l'interruzione o la sospensione, in quanto devo-
no ritenersi comunque pendenti21.
    Sarà pertanto normalmente necessario, ai fini di tale cessione l'approvazio-
ne del supplemento del piano di liquidazione ex art. 104 ter, 6° co., 1. fall., atte-
so che nella sua originaria stesura il piano si limiterà, verosimilmente, ad indi-
care le azioni revocatorie da esercitare ai sensi dell'art. 104 ter, lett. e).

    lN
        DEVOTO, L'assuntore e la cessione delle revocatorie, Milano, 1980, 37; in giurisprudenza,
Cass., 24 novembre 1981, n. 6229, in Dir. fall. 1982, IT, 291; Di SABATO, L'assuntore del concor-
dato fallimentare, Napoli, 1960, 23.
     19
        Cfr. Cass.. 22 novembre 1979. n. 6073, in Foro it., 1980,1. 2254 e Id., 24 novembre 1981, n.
6230, in Giur. comm., 1982, II, 269.
    :
      " È stato al riguardo affermato che la cessione delle azioni revocatorie in favore dell'assun-
tore del concordato fallimentare è ammissibile limitatamente a quelle già iniziate dal curatore al-
la data della presentazione della proposta; al contrario quelle già autorizzate ma non ancora pro-
poste non possono essere cedute. Cfr. Cass., 9 ottobre 1998, n. 10013. in Giusi civ., 1999,1,735.
    21
        Relativamente ai limiti oggettivi della cessione, si è ritenuta sufficiente, al fine di ritenere la
pendenza dell'azione la notificazione ad uno solo dei legittimati nell'ipotesi di litisconsorzio ne-
cessario (Cass.,28 luglio 1965, n. 1808, in Giur. «.,1966,1,1,590).
La ratio della su menzionata limitazione oggettiva, che è stata mantenuta
nell'attuale applicazione generalizzata dell'istituto, va individuata, secondo il
prevalente orientamento, nell'opportunità di assicurare un certo controllo su
iniziative potenzialmente ricattatorie e temerarie dell'acquirente22, nonché
nella necessità di valutare concretamente opportunità e convenienza della ces-
sione e congruità del corrispettivo, valutazioni compiutamente esperibili solo a
seguito dell'esercizio dell'azione e della conseguente estrinsecazione dei suoi
elementi essenziali23.
    Con riguardo alla posizione processuale del cessionario è stato corretta-
mente affermato che questi non è un sostituto processuale del curatore, in
quanto agisce in nome proprio e per un diritto proprio24; il trasferimento del-
l'azione inoltre ai sensi dell'art. Ili c.p.c, non comporterà l'interruzione del
processo che proseguirà tra le parti originarie, salva la possibilità per l'assun-
tore di intervenirvi con la eventuale estromissione del curatore.
    L'art. 106, ult. co., prevede infine che in alternativa alla cessione il curatore
possa stipulare contratto di mandato per la riscossione del credito: a differen-
za della cessione che produce l'immediato trasferimento del credito al cessio-
nario, il mandato conferisce al mandatario solo la legittimazione a riscuotere
il credito in nome e per conto del mandante, che ne conserva la titolarità
esclusiva25.
    Il conferimento di mandato all'incasso non ha efficacia traslativa e non
sembra pertanto ostativo alla successiva cessione del credito da parte della cu-
ratela allo stesso mandatario o ad un terzo, al fine, per esempio, di una solleci-
ta chiusura della procedura, sempre che, prima della cessione, il mandatario
non abbia già incassato le somme relative, atteso che tale evento, determinan-
do l'estinzione del credito, ne renderebbe impossibile la cessione.

    22
        Così Cass., 13 giugno 1969, n. 2097, in Dir. fall, 1970, II, 104.
    23
        Per la valorizzazione del requisito della previa instaurazione dell'azione anche ai fini del
giudizio di convenienza del concordato ex art. 125 1. fall., cfr. BONSIGNORI, Cessazione della
procedura fallimentare, in TEDESCHI, BONSIGNORI, SANTARELLI, Chiusura del fallimento. Con-
cordato. Riabilitazione civile, in Comm. I. fall. Scialoja Branca, sub art. 118-145, Bologna-Roma,
1977,208.
     24
        Cfr. BONSIGNORI, Cessazione della procedura fallimentare, in TEDESCHI, BONSIGNORI, SAN-
TARELLI, op. cit,210.
     :s
        Sulla natura giuridica del mandato all'incasso e sulla distinzione tra detto istituto e la ces-
sione del credito, si è formata copiosa giurisprudenza in relazione alla revocabilità ex art. 67 1.
fall, del mandato irrevocabile all'incasso in rem propriam conferito dal debitore poi fallito alla
banca: v., ex multis, Cass., 16 luglio 2004, n. 13165, in Mass. Foro il, 2004; Id., 12 dicembre 2003, n.
19054, ivi, 2003; Id., 30 gennaio 2003, n. 1391. in Fall, 2003,1187.
2. La cessione delle partecipazioni in società di capitali

Con la nuova formulazione dell'art. 106 1. fall, viene adesso espressamente di-
sciplinata la vendita della quota di s.r.l.26, mediante rinvio alla disciplina del-
l'art. 2471 ce, recentemente novellato dal d.lgs. 6/2003.
    Deve preliminarmente distinguersi la cessione di partecipazione in società
di capitali dalla vendita di quote in società personali per le quali l'art. 2288 ce,
la cui previsione va estesa alle società in nome collettivo ed a quelle in acco-
mandita semplice27, prevede che il socio dichiarato fallito è escluso di diritto
dalla società.
    Con riferimento alle s.r.l. l'art. 2471 ce. novellato distingue tra quote libera-
mente trasferibili e quote che invece non lo siano in base allo statuto o all'atto
costitutivo.
    Nel primo caso il curatore potrà procedere alla vendita ex artt. 2469 e 2470
ce. con la libertà di forme che caratterizza la nuova liquidazione fallimentare28
e l'adempimento degli oneri pubblicitari di cui all'art. 2470 ce. ai soli fini del-
I'opponibilità del trasferimento alla società ed ai terzi.
    Ove invece la quota non sia liberamente trasferibile, l'art. 2471, 3° co., ce
prevede il previo tentativo del curatore di accordarsi con la società: soltanto se
l'accordo non viene raggiunto la vendita avviene all'incanto ma è priva di ef-
fetto se entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la società presenta un altro ac-
quirente che offra lo stesso prezzo.
    La normativa dell'art. 2471 ce.29 è certamente ispirata all'intento di tutelare
la compagine societaria, favorendo il mantenimento dell'assetto originario: in
sede fallimentare pertanto il curatore non è vincolato ad un prezzo determinato,
ma. quale amministratore del patrimonio del fallito e nel contempo garante de-
gli interessi della massa dovrà preliminarmente tentare un accordo bonario con
la società, in mancanza del quale la vendita avrà luogo all'incanto30.
    Si osserva al riguardo che, curiosamente, e forse per difetto di coordina-
mento tra la nuova legge fallimentare e la riforma del diritto societario, si
mantiene la forma legislativamente vincolata della vendita all'incanto, e quin-

     :i
        ' Si registra al riguardo la solita imprecisione del legislatore che nella rubrica prevede la
vendita di quote ed azioni, mentre disciplina espressamente la sola vendita di quote di s.r.l.,
omettendo, nel corpo della norma ogni riferimento alle s.p.a.
     :7
         Cfr. FERRARA, Il fallimento, Milano, 1989,259.
     28
          Ai sensi dell'art. 2469 ce. «le partecipazioni di s.r.l. sono liberamente trasmissibili per atto
tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo».
     29
          L'art. 2471 ce. che dopo la novella della d.lgs. 6/2003 tiene luogo del vecchio art. 2480, 3°
co., ce. stabilisce che «Se la partecipazione di s.r.l. non è liberamente trasferibile e il creditore, il
debitore e la società non si accordano sulla vendita della quota stessa, la vendita ha luogo all'in-
canto: ma la vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la società presen-
ta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo. Le disposizioni del comma precedente si appli-
cano anche in caso di fallimento di un socio».
     -,0 Cfr. Cass., 14 marzo 2000. n. 2909, in Fall., 2001,568.
di necessariamente con procedimento di natura giurisdizionale secondo le mo-
dalità previste dagli artt. 576 ss. c.p.c. per la sola alienazione di quote societa-
rie non liberamente trasferibili, nonostante la limitata rilevanza della quota di
partecipazione di s.r.l. nell'ambito della liquidazione fallimentare31.
    D'altro canto lo specifico riferimento contenuto nell'art. 106 alla disposi-
zione codicistica impedisce di ritenere l'avvenuta abrogazione tacita di parte
dell'art. 2471 ce. per incompatibilità ex art. 15 prel., dovendo al contrario pre-
sumersi la consapevole deroga da parte del legislatore alle forme generali con
riferimento all'intero procedimento di vendita di quota di s.r.l.
    Si pone al riguardo il problema se l'accordo con la società debba o meno
essere specificamente inserito nel programma di liquidazione (nella sua for-
mulazione originaria o nel supplemento ex all'art. 104 ter, 5° co.) o comunque
autorizzato dal giudice delegato: ovvero se il rinvio all'art. 2471 ce. consenta di
prescindere del tutto dalle forme dell'art. 104 ss. 1. fall.
    Al riguardo, sembra preferibile ritenere che le disposizioni dell'art. 2471
ce debbano, in quanto compatibili, essere coordinate con i principi generali
della liquidazione fallimentare: di qui la necessità di approvazione dell'accor-
do tra curatore e società e quindi del suo inserimento nel programma di liqui-
dazione o quanto meno la soggezione di detto accordo al residuo potere di au-
torizzazione da parte del giudice delegato previsto dall'art. 104 ter.
    In questo caso l'inosservanza delle su menzionate modalità di vendita deve
ritenersi sanzionabile con la nullità dell'atto32.
    Avuto riguardo alla vendita di partecipazioni azionarie manca invece nel-
l'art. 106 ogni riferimento normativo espresso ad eccezione dell'indicazione
contenuta nella rubrica della norma.
    Tale labile indizio porta peraltro a ritenere che sia stato legislativamente
recepito l'orientamento prevalente33 secondo cui il principio sancito dall'at-
tuale art. 2471 ce avrebbe portata generale e dovrebbe pertanto analogica-
mente applicarsi anche alle società per azioni posto che la ratio legis di tale di-
sposizione dovrebbe rinvenirsi nella massima tutela, anche nella fase esecuti-
va, dell'elemento personalistico delle società di capitali che hanno statutaria-
mente prescelto di darsi tale regolamentazione.

    31
        È stato altresì affermato che la possibilità di indicare un diverso acquirente, evitando
così la vendita all'incanto della quota, postula che le limitazioni alla libera disponibilità siano
poste nell'interesse della società; di conseguenza la società non potrà rendere inefficace la ven-
dita coattiva effettuata pur in presenza di limitazioni poste invece nell'interesse dei soci, come
è il caso di una clausola statutaria attributiva di un diritto di prelazione in favore di taluno dei
soci medesimi o di tutti (Cass., 3 aprile 1991, n. 3482. in Foro il, 1992, I. 842).
    32
        Come meglio specificato infra, sub art. 108, par. 7.
     13
        Così BONSIGNORI, Liquidazione dell'attivo, eh., 116; G. PELLEGRINO. Vendita forzata delle
azioni concesse in pegno a terzi e diritto di prelazione, in Dir. fall., 1988, II. 815; contra, VANONI,
Clausola statutaria di prelazione e vendita forzata di azioni, in Banca borsa, 1999. II, 724 ss.
Mentre quindi l'alienazione coattiva delle normali azioni di società non
presenta particolari difficoltà rispetto ai titoli di credito nominativi, nel senso
dell'applicabilità delle ordinarie forme di liquidazione previste dalla legge fal-
limentare, la vendita fallimentare di azioni con valida clausola di gradimento o
di prelazione va analogicamente assoggettata al particolare regime di previo
tentativo di accordo e successiva alienazione all'asta, con ulteriore facoltà di
esercitare nei dieci giorni la prelazione prevista dall'art. 2471 ce. nuova formu-
lazione.
SEZIONE III
                        DELLA VENDITA DEI BENI IMMOBILI

                                         Articolo 107
                                     Modalità delle vendite*
[1] Le vendite e gli altri atti di liquidazione sono effettuati dal curatore, tramite procedure
competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, sal-
vo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con ade-
guate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati.
[2] Per i beni immobili, prima del completamento delle operazioni di vendita, è data notizia
mediante notificazione da parte del curatore, a ciascuno dei creditori ipotecari o comun-
que muniti di privilegio.
[3] Il curatore può sospendere la vendita ove pervenga offerta irrevocabile d'acquisto mi-
gliorativa per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto.
[4] Degli esiti delle procedure, il curatore informa il giudice delegato ed il comitato dei cre-
ditori, depositando in cancelleria la relativa documentazione.
[5] Se alla data di dichiarazione di fallimento sono pendenti procedure esecutive, il cura-
tore può subentrarvi; in tal caso si applicano le disposizioni del codice di procedure civile;
altrimenti su istanza del curatore il giudice dell'esecuzione dichiara l'improcedibilità dell'
esecuzione, salvi i casi di deroga di cui all'art. 51.
[6] Con regolamento del Ministro della giustizia da adottare ai sensi dell'art. 17, comma 3,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabiliti requisiti di onorabilità e professionalità dei
soggetti specializzati e degli operatori esperti dei quali il curatore può avvalersi ai sensi del
primo comma, nonché i mezzi di pubblicità e trasparenza delle operazioni di vendita.

               Commento di PASQUALE LICCARDO e GUIDO FEDERICO

                                                Sommario

1. Le procedure competitive: introduzione - 2. Le modalità competitive della liquidazione concorsua-
le - 3. Subentro del curatore nelle procedure esecutive pendenti - 4. Potere di sospensione del cu-
ratore

* Disciplina precedente: Art. 107. Espropriazioni in corso [1] Se prima della dichiarazione di falli-
mento è stata iniziata da un creditore l'espropriazione di uno o più immobili del fallito, il curatore si
sostituisce nella procedura al creditore stante. [2] In caso d'ingiustificato ritardo da parte del curatore
il creditore procedente, il fallito e ogni altro interessato possono reclamare, a norma dell'art. 36, al
giudice delegato. [3] Se era in corso il procedimento di distribuzione del prezzo, il procedimento deve
essere integrato con l'intervento del curatore. [A] Il curatore deve tenere un conto speciale delle ven-
dite dei singoli immobili e dei frutti percepiti sui medesimi dalla data della dichiarazione di fallimento.
La somma ricavata dalla vendita dei frutti è distribuita col prezzo degli immobili relativi.
1. Le procedure competitive: introduzione

I! commento alla disciplina delle Sezioni II e III del Capo VI della nuova legge
fallimentare deve muovere da una lettura attenta del contenuto delle varie di-
sposizioni normative, superando in primis ogni indicazione orientativa propo-
sta dalla suddivisione in sezioni in favore di un'operazione rivolta alla rico-
struzione delle innovazioni operate e degli intenti perseguiti.
    Ed invero, contrariamente alla disciplina di cui alle Sezioni II e III del Capo
VI del r.d. 16 marzo 1942, n. 267. la riforma della liquidazione operata con il d.lgs.
9 gennaio 2006, n. 5 appare animata da una connotazione di asistematicità de-
scrittiva subito evidente nella caduta di valore semantico dei titoli delle Sezioni
II e III e delle rubriche degli artt. 106 e 107: laddove nella legge fallimentare del
'42, la diversità naturalistica dei beni1 produceva - al pari del diritto sostanziale e
del correlato modello esecutivo - una diversa struttura procedimentale della
vendita, incisivamente consacrata nell'autonomia delle relative sezioni, nella
riforma operata dal legislatore della competitività, si procede ad una regolamen-
tazione votata a profili di semplificazione unitaria dei modelli di liquidazione,
con evidente caduta del significato orientativo assunto dalle sezioni, nominal-
mente rimaste legate alla tradizionale distinzione dei beni in immobili e mobili.
    Nel sistema fallimentare delineato dal legislatore del '42, il paradigma pro-
cessuale della vendita fallimentare era per intero mutuato dall'esecuzione in-
dividuale di cui riproduceva, pur con alcune differenziazioni, dimensioni fon-
dative e dinamiche relazionali con il mercato.
    In particolare, l'art. 104 statuiva al 1° co. che alla vendita dei beni compresi
nel fallimento non si poteva procedere se non dopo l'avvenuto deposito del de-
creto di esecutività dello stato passivo ex art. 97 1. fall.: la successione cronologi-
ca delle attività di verifica dello stato passivo e di liquidazione dell'attivo non
era frutto di un disegno meramente sistematico, di una razionalità processuale
votata a momenti di linerarismo sequenziale2, ma rimandava ad un nesso causa-
le più profondo, ad una relazione genetica tra attività di liquidazione e decreto
di esecutività dello stato passivo che aveva i suoi capisaldi teorici nel valore as-
segnato al titolo esecutivo all'interno delle procedure esecutive e alla sua capa-
cità regolativa del conflitto da esecuzione nelle procedure di vendita3. La succes-

    1
       Cfr. M. COSTANTINO, Beni immobili e beni mobili. La disciplina dei beni, in Tratt. Rescigno,
Torino, 1985.36 ss.; in generale si veda, SCOZZAFAVA. / beni e le forme giuridiche di appartenenza,
Milano, 1982; ID., Dei beni, in Comm. Schlesinger, Milano, 1999.
    2
       Cfr. ANDOLINA, «Liquidazione dell'attivo» ed «esercizio provvisorio dell'impresa nel falli-
mento», in Dir. fall., 1978,1, 188 e 191.
    3
       Nella Relazione illustrativa del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, il Guardasigilli evidenziava come
«la liquidazione dell'attivo del fallimento ha richiesto poche disposizioni poiché la riforma già in
atto dell'espropriazione individuale ha reso tanto semplice e snella la procedura che l'art. 105 della
legge ha potuto rinviare puramente e semplicemente ad essa per quel che concerne la vendita dei
beni mobili ed immobili del fallito» . Sulle tematiche più rilevanti in materia di liquidazione dell'at-
tivo, cfr. Lo CASCIO, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 1995.389 ss.
sione cronologica rigidamente disegnata tra verifica dello stato passivo e liqui-
dazione dell'attivo demandava alla prima il compito di definire i confini della
seconda, quali le condizioni di ingresso4, i limiti quantitativi5 e qualitativi6, cui la
stessa soggiaceva. La vendita anticipata prevista dal 2° co. dell'art. 104 ribadiva,
nella sua eccezionalità, il valore assegnato dal legislatore al paradigma generale
delincatela cui interruzione imponeva un onere motivazionale esteso ed artico-
lato, per alcuni possibile solo con riferimento ai beni mobili7.
    Quanto alle dinamiche relazionali con il mercato, l'art. 105 sanciva il princi-
pio della soggezione delle vendite fallimentari alle disposizioni dettate dal co-
dice di procedura civile in materia di vendite forzate, con il solo limite della
compatibilità con le disposizioni specifiche previste dalla stessa legge fallimen-
tare nelle sezioni successive del medesimo capo, ed in particolare, con le dispo-
sizioni di cui agli artt. 106 e 1088, norme queste che avevano espressamente ad
oggetto le modalità della vendita dei beni mobili ed immobili9. Del pari, seb-
bene l'art. 105 non contenesse alcun rinvio alla normativa relativa alla discipli-
na degli effetti sostanziali della vendita forzata, quale contenuta negli artt.
2919-2929 ce, se ne predicava comunemente la ricorrenza sul presupposto

      4
         Cfr. BONSIGNORI, Liquidazione dell'attivo, in Comm. I. fall. Scialoja Branca, sub art. 104-
 117. Bologna-Roma. 1976. 4, per il quale il differimento delle operazioni di liquidazione del-
 l'attivo alla chiusura della verifica risulta correlato sia all'intento di favorire la presentazione
 di una domanda di concordato, sia all'esigenza di verificare la sussistenza della condizione nega-
 tiva dell'art. 118, n. 1), 1. fall.
      s
        Cfr. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano. 1974,1574, nota 1; FERRARA,
 Il fallimento, Milano, 1989,580; SEMIANI BIGNARDI, Ritenzione nell'esecuzione singolare e nel fal-
 limento, Padova. 1960,355, nota 5.
      '' Con riferimento ai beni di terzi appresi all'atto dell'inventariazione, pregiudicati da una li-
 quidazione precipitosa, PAJARDI. Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1993,607.
        Cfr. M. MONTANARI, Iprocedimenti di liquidazione e ripartizione dell'attivo fallimentare, Pa-
 dova. 1995,13.
      s
         Cfr. BONSIGNORI, La liquidazione dell'attivo, cit, 40; ANDRIOLI. voce «Fallimento (diritto
 privato e processuale)», in Enc. Dir., XVI, Milano, 1967, 436, nota 426 per il quale «non si com-
 prendono tra i poli del contrasto l'art. 109. al quale meglio si addice la funzione di téte de chapitre
 del capo settimo, dedicato alla ripartizione dell'attivo, né l'art. 107, il quale trova più agevole col-
 locazione subito dopo l'art. 51».
     9
        II valore del rinvio era stato circoscritto alle norme relative alle sole vendite, con esclusione
della complessiva disciplina dell'esecuzione forzata: cfr. BONSIGNORI, La liquidazione dell'attivo,
'-'H-, 43 ss., ed esteso, salvo rare eccezioni, anche alle discipline derogatorie previste in varie nor-
mative speciali per l'alienazione forzata di beni determinati: si veda sul punto RAGUSA MAGGIO-
RE. voce «Fallimento (liquidazione e ripartizione dell'attivo)», in Enc. Giur., XIII, Roma, 1989,7;
•SAITA, Diritto fallimentare, 3a ed. aggiornata ed ampliata da Vaccarella e Luiso, Padova, 1996,
-i67: cantra BONSIGNORI, op. uh. cit, 112 per il quale «le specifiche norme sulle vendite forzate di
navi e di aeromobili non possono in questa sede essere utilizzate, se non come fonte terziaria, e
quindi per colmare lacune del codice di procedura civile, proprio per la carenza del rinvio effet-
tuato dal poc'anzi menzionato art. 105»; in senso conforme, BOZZA, La vendita dell'azienda nelle
Procedure concorsuali. Milano, 1988,140.
della identità del fenomeno normato e dell'incoerenza di ogni disallineamento
tra dimensione processuale ed effetti sostanziali connessi10.
    II legislatore della riforma non opera alcun richiamo al codice di rito per le
vendite dei beni di pertinenza fallimentare, nell'intento di definire un modello
del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello previgente: viene così ad essere
formalmente superata quella condizione di «reciprocità sistematica» esistente
per il legislatore del '42 tra esecuzione forzata e liquidazione fallimentare, im-
ponendo così all'interprete una riflessione attenta sul senso dell'interruzione
normativa realizzata, sulla sua ampiezza sistematica e sugli effetti dalla stessa
prodotti.
    In particolare, va osservato come soggetto deputato all'attività di liquida-
zione sia in via esclusiva il curatore che deve provvedere «alle vendite e agli
altri atti di liquidazione, tramite procedure competitive anche avvalendosi di
soggetti specializzati», di cui alla riserva di regolamento ministeriale prevista
all'ult. co. dell'art. 107.
    La novità di maggiore irruenza della novella, è l'assunzione a parametro di
legalità della vendita, delle «procedure competitive», individuate quale nuovo
modello relazionale tra fallimento e mercato senza che ne sia stata data alcuna
preventiva e sistematica definizione quanto a paradigmi formali e istituti di di-
ritto sostanziale interessati: anzi proprio l'assenza di ogni preventiva definizio-
ne rende evidente l'opzione del legislatore verso una norma cornice, volta più
che alla determinazione di dinamiche processuali, alla definizione di un mero
confine alla relazione intessuta con il mercato dalle procedure.
    Rispetto alla disciplina previgente, il richiamo alle procedure competitive ri-
sulta fortemente influenzato dall'assunzione a prioritario parametro d'azione
dell'attività liquidatoria della vendita «dell'intero complesso aziendale, dei
suoi rami, dei beni o rapporti giuridici individuabili in blocco» ex art. 105,1°
co., superando così ogni problematica relativa al procedimento concretamente
praticabile per la liquidazione dell'azienda di pertinenza fallimentare: il richia-
mo operato sotto la disciplina previgente ora alla vendita in massa per i com-
plessi di consistenza mobiliare11, ora alle forme della vendita con e senza in-

      III
          Cfr. ANDRIOLI, voce «Fallimento (diritto privato e processuale)», cit, 439; GARBAGNATI,
Fallimento ed azioni dei creditori, in AA.VV., Atti del quinto Convegno dell'Associazione fra
gli studiosi del processo civile su «Esecuzione individuale e fallimento. Bilancio della legge fal-
limentare», Pisa, 3-5 giugno 1960, Milano, 1961, 8; MICHELI, Esecuzione forzata, in NICOLÒ,
ANDRIOLI, SEGNI, MICHELI, AZZARITI, SCARPELLLO, Tutela dei diritti, in Comm. ce. Scialoja
Branca, sub art. 2900-2969, Bologna-Roma, 1953, 470; MAZZAMUTO, L'esecuzione forzata, in
Tran. Rescigno, Torino, 1988, 245; BOZZA, op. cit., 46.
      1
       Cfr. BONSIGNORI, La liquidazione dell'attivo, cit., 119; ANDRIOLI, voce «Fallimento (dirit-
to privato e processuale)», cit., 440; per la possibilità della vendita tanto a trattative private che
con incanto, si veda PROVINCIALI, op. cit., 1597; FERRARA, op. cit., 584; RAGUSA MAGGIORE, op.
cit., 9.
canto per i complessi di consistenza anche immobiliare12, la più volte afferma-
ta impossibilità di procedere alla vendita unitaria di beni gravati da ipoteca,
pegno, privilegio, ritenzione privilegiata13 erano indici evidenti di una diffi-
coltà sistematica e di un'inadeguatezza di ogni connesso paradigma processua-
le, difficoltà ed inadeguatezza superati in nuce dal legislatore della competiti-
vità con il rinvio ad un modello per sua natura aperto e per ciò stesso forte-
mente uniformante.
    Del resto, la rigidità del paradigma processuale risultava fortemente incri-
nata dalla diffusione di bestpractice sempre più propense all'utilizzo di model-
li decisionali di selezione dell'aggiudicatario caratterizzati dalla flessibilizza-
zione dell'iter procedimentale previsto dalle procedure esecutive e dall'esten-
sione «orizzontale» dei modelli decisionali originariamente tipici di una cate-
goria di beni, con il contestuale superamento dell'anacronistica distinzione
operata dal legislatore tra beni e regime di alienazione14.
    La nozione di procedure competitive appare il tratto di maggior difficoltà
ricostruttiva: in via di prima approssimazione, deve dirsi che con il termine
procedure competitive si deve intendere l'assunzione di un modello decisiona-
le di selezione dell'aggiudicatario che assuma a suo connotato intrinseco l'a-
pertura alla competizione tra gli offerenti. Tale modello non si innesta su un
quadro generalmente predisposto dal legislatore: in particolare, va osservato

    12
        Cfr. Cass., 7 dicembre 1968, n. 3917, in Foro ìt, 1969,1,1215; contro BONSIGNORI, La liqui-
dazione dell'attivo, cit, 120 ss. per il quale «pare a noi che qualsiasi considerazione di natura
pratica si voglia addurre, non sono state finora apportate argomentazioni logiche sufficienti per
sostenere né che il solo 2° co. dell'articolo in esame, né che soltanto l'art. 108 1. fall., né che
una loro mescolanza si possa applicare a una vendita d'azienda composta anche di beni immo-
bili, oltreché di mobili»; ANDRIOLI, voce «Fallimento (diritto privato e processuale)», cit., 440,
nota 437.
     13
        Cfr. BONSIGNORI, Il fallimento delle società, in GALGANO (diretto da), Tratt. dir. comm. e dir.
ptibbl. ec, IX, Padova, 1986, 661; CUNEO, Le procedure concorsuali, Milano, 1988,1249; in favore
di una vendita in massa di beni gravati da privilegio, RIVOLTA, L'affitto e la vendita dell'azienda
nel fallimento, Milano, 1973,89 ss.; M; MONTANARI, op. cit., 166.
     14
        Cfr. M. COSTANTINO, op. cit., 36 ss.; BOZZA, op. cit., 46 per il quale «l'interesse pubblico che
informa la procedura fallimentare, l'impulso di ufficio e il carattere autoritativo che dominano la
procedura, la maggiore ampiezza dei poteri di conseguenza attribuiti al giudice sulla liquidazione
dell'attivo rispetto al giudice dell'esecuzione fanno ritenere che questi nell'ambito della tutela
delle posizioni soggettive stabilite dal codice di procedura, goda d'ampia discrezionalità nel di-
sporre i mezzi e le modalità di effettuazione del trasferimento coattivo». Si veda l'estensione del
modello di vendita senza incanto alla vendita di beni mobili e alla vendita d'azienda: tra gli altri,
CUNEO, op. cit., 1251, BONSIGNORI, La liquidazione dell'attivo, cit., 99; M. MONTANARI, op. cit.,
'51; Cass., 8 luglio 1968, n. 2399, in Giust. civ., 1969, II, 286; quanto alle prassi diverse, si veda
Cass., 22 novembre 1978, n. 5437, in Fall., 1979,733, con nota di LUGARO, Inapplicabilità della so-
spensione della vendita mobiliare(ex art. 108 legge fallimentare) dopo l'aggiudicazione del bene
«frenato;Trib. Vicenza, 11 febbraio 1984, in Fall., 1984,1045.
come la mancata adozione del modello di selezione dell'aggiudicatario pro-
prio delle procedure esecutive non ha significato per il legislatore l'abbandono
di ogni «evidenza pubblica» del sistema di selezione dell'aggiudicatario, in
quanto:
    - con riferimento alla vendita di beni immobili, il 2° co. dell'art. 107 espres-
samente impone al curatore di procedere alla notificazione a ciascuno dei cre-
ditori ipotecari, o comunque muniti di privilegio, della notizia relativa allo sta-
to delle operazioni di vendita, in corso di completamento;
    - con riferimento alla generalità delle vendite, il curatore ha facoltà di so-
spendere la vendita «ove pervenga offerta irrevocabile di acquisto migliorati-
va per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto»;
    - il giudice delegato ha un potere generale di sospendere per gravi e giusti-
ficati motivi su istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessa-
ti, ovvero di impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offer-
to «risulti notevolmente inferiore a quello giusto tenuto conto delle condizioni
di mercato».
     Al di là quindi di ogni iniziale interpretazione riduzionistica, pure in prima
lettura proposta da taluni autori, appare allora evidente come le modalità
«competitive» di vendita rimandino ad un modello non autoritativamente pro-
cedurale di selezione dell'aggiudicatario, che assuma della negozialità i tratti
di maggior speditezza, preservando nel contempo e per intero nella potestà tu-
toria del giudice le connotazioni di evidenza pubblicistica delle operazioni di
liquidazione concorsuale.
    Nel modello decisionale delineato, il curatore è tenuto quindi ad indicare
nel programma di liquidazione le condizioni di vendita, definendo in ordine ai
beni sia unitariamente che singolarmente considerati (art. 105,1° co.) le proce-
dure competitive che risultino più consone al valore reale dei beni di pertinen-
za fallimentare, con il solo onere di adeguate forme di pubblicità e con la sola
eccezione per i beni di modesto valore.
    Orbene, il modello decisionale della vendita fallimentare non sembra poter
prescindere da un nucleo essenziale di condizioni basilari, sulle quali possono
innestarsi ulteriori elementi di stretta derivazione processuale, al cui assorti-
mento dovrà provvedere il curatore nell'ambito dell'articolazione delle condi-
zioni di vendita operata nel programma di liquidazione.
    Quanto alle condizioni fondative, le stesse sono indicate con estrema gene-
ricità nell'art. 107 1. fall:
    - simmetria informativa garantita da adeguate forme di pubblicità (ult. par-
te del 1° co.). 11 legislatore recepisce il valore propulsivo riconosciuto dalle be-
st practice a forme di pubblicità adeguate per l'uso di strumenti anche infor-
matici: sul punto, l'osservazione critica possibile ha ad oggetto la devoluzione
alla sola pubblicità di un onere di generale trasparenza dell'operato delle pro-
cedure, laddove la prassi concreta ha avuto modo di dimostrare come la con-
correnza libera degli offerenti sia assicurata anche dal governo informativo
dei partecipanti agli incanti, da dimensioni procedurali nettamente votate alla
certezza dei comportamenti e dal ripudio e conseguente penalizzazione di
scelte opportunistiche15;
    - stima effettuata da parte di operatori esperti, in quanto la qualità delle
informazioni rese dal perito incaricato dalla procedura definisce gli estremi re-
lazionali di affidabilità e concretezza necessari ad una consapevole competi-
zione economica;
    - riduzione dei criteri selettivi degli offerenti ad un parametro economico
quale il maggior prezzo, la cui corresponsione (nelle forme dirette e/o indiret-
te consentite dalla stessa legge fallimentare nell'accollo di cui all'art. 105, 9°
co.) costituisce ragione prima dell'individuazione dell'aggiudicatario: la fina-
lità perseguita dalla procedura è pur sempre l'acquisizione del «giusto» prezzo
tenuto conto delle condizioni di mercato, finalità il cui mancato perseguimento
costituisce motivo per l'esercizio da parte del giudice delegato dei poteri auto-
ritativi di interruzione di ogni ulteriore attività di perfezionamento della ven-
dita (su cui vedi infra sub art. 108, par. 2). L'acquisizione del maggior prezzo
dovrà avvenire per il tramite di procedure che assicurino, in via potenziale, la
competizione degli interessati, sia nella formulazione delle offerte iniziali che
nella successione incrementale possibile in esito ad una gara, che assurge a
luogo primario di verifica della natura competitiva della procedura realizzata;
    - utilizzo di procedere competitive di selezione dell'acquirente anche nell'i-
potesi in cui il curatore si avvalga di soggetti specializzati per i singoli atti di ven-
dita. Sotto la vigenza della precedente disciplina si era discusso quale fosse la re-
lazione tra vendita tramite commissionario e vendita ad offerte private16, doven-
do per alcuni escludersi la possibilità per il commissionario di procedere alla
vendita a offerte private17. Il nuovo art. 107 provvede in primo luogo all'esten-

     ls
        Si veda per tutti la vicenda dell'aumento di sesto, VACCARELLA, Orientamenti e diso-
rientamenti giurisprudenziali in tema di aumento di sesto, in nota a Cass., 12 aprile 1988, n. 2871,
in Foro il., 1989, I. 1923; la natura «aperta» della gara risulta affermata da ultimo dalla Cass..
Sez. Un., 24 luglio 1993, n. 8187. in Giusi, civ., 1993, I, 2032 e ivi, 1994, 1, 411, con nota con-
traria di A. SCHERMI, Legittimazione a partecipare alla gara conseguente all'offerta di aumento
di sesto nell'esecuzione immobiliare, e in Riv. dir. proc, 1994, 989 con nota di BIFFI, Revirement
della Suprema Corte di Cassazione in tema di legittimazione a partecipare alla gara a seguito
dì offerta dopo l'incanto; in Giur. it., 1994, I, 1, 873, con nota di NELA e in Nuova giur. comm..
1994, I, 512 nota di ATZORI: l'orientamento risulta confermato in numerose decisioni successi-
ve della Suprema Corte (cfr. Cass.. 26 febbraio 1998, n. 2122, in Mass. Foro it.. 1998; Id., 11
ottobre 1995, n. 10587, ivi, 1995 : Id., 30 maggio 1995, n. 6063, ibidem; Id., 26 maggio 1995, n.
5880, in Giur. it., 1996, I, 1, 634; Id., 26 febbraio 1998. n. 2122, in Giusi, civ., 1998, I, 2855 nota
di LEPRI e in Nuova giur. comm., 1998, I, 799. nota di BELLANI).
     u>
        Per una non perfetta corrispondenza, si veda FERRARA, op. cit., 582; contro BONSIGNORI, //
fallimento delle società, cit., 657; PROVINCIALI, op. cit., 1596; in giurisprudenza, si veda Cass., 29
aprile 1988, n. 3236. in Fall., 1988,766, con nota di BOZZA, La revoca dei provvedimenti del giudi-
ce delegato autorizzativi della vendita di beni mobili al miglior offerente, 958.
     17
        Cfr. ANDRIOLI, voce «Fallimento (diritto privato e processuale)», cit., 440, per il quale «si
'ratta di vedere se la vendita a mezzo commissionario sia incompatibile con quella a trattative
sione della possibilità del curatore di avvalersi di soggetti specializzati nella rea-
lizzazione delle procedure competitive con riferimento a qualsiasi bene, e non
solo ai beni mobili: tale estensione costituisce un elemento di significativa novità
laddove si abbia riguardo alla particolarità di alcuni beni e alla necessità di ausi-
lio di soggetti specializzati operanti in mercati ristretti, quali ad es. gli agenti di
borsa o in mercati caratterizzati dall'operatività di soggetti internazionali. Ai
soggetti specializzati introdotti in via generica dalla novella non appare ricondu-
cibile la disciplina del commissionario prevista dall'art. 532 c.p.c: militano a fa-
vore dell'indicazione interpretativa proposta, in primis la rescissione di ogni le-
game tra operazioni di liquidazione e procedure esecutive, e più in generale l'a-
pertura operata dal legislatore verso forme di alienazione più flessibili e meglio
regolamentate dall'autonomia privata, in cui la relazione tra curatore e soggetto
specializzato può trovare più facile esplicazione, con un chiaro rimando alla di-
sciplina generale di cui all'art 1731 ce.
    Di qui alcune conseguenze di non poco momento:
    - mentre a norma dell'art. 532 c.p.c. il commissionario deve procedere alla
vendita solo per contanti, il commissionario di diritto privato si presume auto-
rizzato a concedere dilazioni di pagamento in conformità degli usi del luogo in
cui compie l'operazione, salvo il divieto del curatore committente (art. 1732,1°
co., ce);
    - mentre il commissionario, qualora non provveda alla vendita nel termine
di un mese dal provvedimento di autorizzazione, ha l'obbligo di riconsegnare i
beni affinché siano venduti all'asta, salva l'ipotesi di una proroga, il commis-
sionario di diritto privato può provvedere alla vendita nel termine più congruo
dedotto in contratto, salvo la facoltà di revoca del curatore dell'ordine a con-
cludere l'affare fino a che egli non l'abbia concluso;
    - deve infine pacificamente riconoscersi l'applicabilità al commissionario
alla liquidazione di titoli, divise o merci aventi un prezzo corrente del ed. dirit-
to «all'entrata in proprio», salvo contraria disposizione del curatore18, e dello
star nel credere, con conseguente responsabilità per l'esecuzione dell'affare19.
    Quanto alle modalità di vendita, deve ritenersi in generale che il commis-
sionario sia tenuto alla vendita avvalendosi - al pari del curatore - di procedu-
re competitive, indicando condizioni minimali di selezione dell'acquirente, con
la sola eccezione del mandato a vendere titoli, divise o merci aventi un prezzo

private e la risposta deve essere affermativa se si muove dalla premessa, accolta su queste colon-
ne, dell'affidamento dell'incarico della vendita a trattative private [...] al curatore».
    18
       In favore. ANDRIOI.I, Commento al codice di procedura civile. III. Napoli, 1957,172; contro
D'ONOFRIO, Commento al codice di procedura civile, Torino, 1952,11,915.
    19
       Sulla commissione, si veda FORMIGGINI, voce «Commissione (contratto di)», in Enc. Dir.,
VII. Milano 1960, 862 ss.; COSTANZA, voce «Commissione (contratto di)», in Digesto/comm., Ili,
Torino, 1988, 167; LUMINOSO, Mandato. Commissione. Spedizione, in Tratt. Cicu-Messineo, Mila-
no, 1984; ID., La commissione, in Tratt. Rescigno,Torino, 1985.
Puoi anche leggere