RIFLESSIONE ETICA Serie di pubblicazioni COVID-19 Esperienze, classificazioni e raccomandazioni nella cura stazionaria

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RIFLESSIONE ETICA Serie di pubblicazioni COVID-19 Esperienze, classificazioni e raccomandazioni nella cura stazionaria
Serie di pubblicazioni COVID-19
                              Esperienze, classificazioni e raccomandazioni nella cura stazionaria

                                                           RIFLESSIONE ETICA
   Anna Jörger, collaboratrice scientifica del Settore specializzato persone anziane, CURAVIVA Svizzera

Gli interrogativi etici fanno da sempre parte della vita quotidiana dei team degli istituti di cura,
non solo da quando ha fatto la sua comparsa il COVID-19: ogni giorno, le collaboratrici e i
collaboratori che si prendono cura della salute, dell’integrità fisica, ma anche della protezione e
della promozione dell’autonomia dei loro residenti, devono prendere delle decisioni difficili e
impegnative (in merito all’ethos professionale del personale curante vedi ICN, 2014, AEM
2020). Tra queste vi sono anche decisioni che – proprio considerando l’età e la vulnerabilità –
non di rado richiedono una ponderazione di più benefici valutati di pari grado. Questo può
causare uno stress morale, in particolare quando si sviluppano situazioni che presentano
alternative nell’ambito delle quali ogni decisione ha come conseguenza almeno un altro dovere
morale violato. Riflessioni etiche sulla base di principi morali e tenendo conto del singolo caso
concreto e del contesto generale possono, però, supportare il processo decisionale e aiutare a
ridurne l’aggravio morale. Molte istituzioni riconoscono perciò il colloquio etico dei singoli casi
come parte integrante fissa del loro lavoro.

COVID-19: una dura prova, anche dal punto di vista etico
La pandemia di coronavirus ha posto e pone gli istituti di cura di lunga durata davanti a una
dura prova, anche dal punto di vista etico. La protezione dei gruppi ad alto rischio e l’attuazione
in pratica delle misure di protezione nella quotidianità danno origine, a diversi livelli, a conflitti di
obiettivi eticamente rilevanti. Così la protezione delle e dei residenti da possibili infezioni si
contrappone, per esempio, alla preoccupazione per il benessere globale delle e dei residenti o
la responsabilità delle istituzioni per la sicurezza giuridica si contrappone alla realizzazione delle
rivendicazioni individuali (cfr. AEM, 2020, pag. 2). Ma anche questioni relative all’equità nella
distribuzione dei mezzi e delle risorse (p.es. materiali di protezione, trattamento) tra le diverse
strutture sanitarie e alle e ai pazienti non rappresentano solo una sfida per gli istituti di cura ma
anche per l’intera società. In particolare sono necessari adeguati processi politici di ripartizione
e di accessibilità ai materiali di protezione (cfr. AEM, 2020, pag. 5)

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Questo articolo è dedicato al tema etico nel contesto del COVID-19: basandosi su una
esposizione degli aspetti specifici della cura di lunga durata vengono abbozzati, per esempio,
due punti di cristallizzazione tematica concernenti questioni e problemi etici, con cui gli istituti di
cura si vedono sovente confrontati, particolarmente durante la condizione di pandemia messa in
moto dal COVID-19. L’articolo si concluderà con considerazioni e idee sullo sviluppo di un
«modus vivendi» negli istituti di cura, che si basa sulle esperienze fatte nei mesi passati e può
perciò essere considerato anche come il risultato di un «imparare dalla crisi».

Istituti di cura: luoghi di vita, luoghi di morte
Gli istituti di cura presentano, rispetto ad altre strutture sanitarie quali p.es. ospedali o studi
medici, una caratteristica particolare: non assicurano solo le cure e l’assistenza di base delle
persone anziane con bisogno d’assistenza, ma sono anche la loro casa. Gli istituti di cura
perseguono un obiettivo primario: dare ai loro residenti la possibilità di trascorrere una buona
vita – e più precisamente la vita che corrisponde alle idee individuali delle e dei residenti. Si
tratta perciò di una qualità di vita che è inerente all’immagine multidimensionale dell’essere
umano: questa non dipende solo da fattori somatici ma anche da fattori psichici, cognitivi,
sociali, spirituali e culturali. L’attribuzione di pesi e valori diversi a questi fattori differisce da
individuo a individuo e anche da situazione a situazione. Di conseguenza – proprio con
l’avanzare della vecchiaia e in caso di malattie croniche e di multimorbidità – possono cambiare
le esigenze di guarigione e di trattamento in relazione alla richiesta di qualità di vita nel tempo.
Spesso ultima casa per i residenti, gli istituti di cura sono anche i luoghi in cui avviene la fase
terminale della vita. In questa fase della vita raggiunge il culmine la vulnerabilità delle e dei
residenti. Il personale curante ha il compito di assicurare che le esigenze delle persone
coinvolte siano anche in questa fase al centro dell‘attenzione.
Questa breve esposizione si riallaccia a un cambiamento culturale che le istituzioni hanno
compiuto negli ultimi decenni, da «via dal concetto di enti di custodia con criteri qualitativi
puramente medici» a «luoghi dell’ultima dimora con elementi della cultura dell’ospizio e delle
cure palliative» (AEM, 2020, pag. 3). Le istituzioni e i loro collaboratori si muovono in un ambito
conflittuale tra diversi obiettivi di cura, che sono inerenti al loro ethos professionale. Le esigenze
collegate a tutto ciò sono impegnative e complesse: alle istituzioni viene assegnato il difficile
compito di essere per le e i loro residenti sia luoghi di spazio libero sia di sicurezza e
protezione. Questo stato di cose ha in sé la potenzialità per avviare un conflitto di obiettivi.
Inoltre, le e i residenti hanno tra loro idee e aspettative diverse nel determinare in cosa consista
la «buona» vita nella vecchiaia. Le collaboratrici e i collaboratori negli istituti di cura sono
spesso sollecitati a fare da intermediari tra questi diversi interessi e desideri e a trovare risposte
e soluzioni a richieste e a problemi concreti.

«Così non vale più la pena di vivere»: la pandemia di coronavirus suscita numerose
domande che devono essere prese in considerazione non solo da una prospettiva medica e
giuridica ma anche etica. Particolarmente incisivi e adeguatamente ripresi dai media sono gli
interrogativi e i problemi etici in relazione alle regolamentazioni delle visite nelle istituzioni. Due
degli aspetti affini sono presi in considerazione separatamente nei capitoli concernenti i
cosiddetti punti di cristallizzazione riportati più avanti. Un obiettivo di questo articolo è quello di
richiamare l’attenzione sull’ampiezza della gamma di domande che si presentano in pratica

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nella vita quotidiana delle istituzioni e che mettono alla prova le collaboratrici e i collaboratori e
la loro consapevolezza di etica professionale. I seguenti rapporti esemplificativi tratti dalla
pratica danno un quadro d’assieme sulla molteplicità degli interrogativi, ma anche sugli elevati
requisiti richiesti alle istituzioni e ai collaboratori nella ricerca di decisioni.
-   Un residente affetto da demenza deve essere accompagnato e motivato per l’assunzione di
    cibo; rifiuta tuttavia di mangiare e bere da quando il personale di cura indossa una
    mascherina protettiva. L’assistente può togliersi la mascherina?
-   Una residente è affetta da un cancro. Le sue condizioni peggiorano sempre più ma non si
    trova ancora nella fase terminale della propria vita. La figlia può incontrare sua madre
    nell’apposito box per i visitatori. Ma questo non è un sostituto del contatto stretto che
    dovrebbe offrire a madre e figlia consolazione e intimità.
-   Si può abbracciare un congiunto la cui consorte è appena deceduta nell’istituzione?
-   Una residente affetta da demenza cerca il contatto fisico con le collaboratrici e i
    collaboratori. Nel periodo in cui i suoi congiunti non possono più venire a visitarla, questa
    necessità è diventata ancor più sentita. Se i collaboratori mantengono la distanza, la
    residente ne sarà particolarmente colpita, aggravando così il suo stato di salute.
-   La compagna di un residente si lamenta, dopo avergli fatto visita: «Si viene accompagnati
    passo per passo e su entrambi i lati della zona riservata alle visite c’era una persona
    addetta alla vigilanza. Dove resta un minimo di sfera privata? Mi sono sentita come se fossi
    in prigione.»
-   Un residente affetto da demenza è stato contagiato dal COVID-19. Ha un evidente, forte
    bisogno di movimento e soffre molto l’isolamento nella sua camera, il cui scopo non è più in
    grado di capire. In questo caso, l’immobilizzazione medicamentosa è un’opzione?
-   I congiunti descrivono come la loro mamma reagisce alla situazione: «Nostra mamma dice
    che è meglio morire, perché così non vale più la pena di vivere.»

Punto di cristallizzazione: autodeterminazione vs. protezione contro il contagio
All’inizio della fase pandemica, l’aspetto focale delle disposizioni messe in atto dalla
Confederazione e dai Cantoni è stata la protezione contro i contagi, soprattutto per i gruppi ad
alto rischio. Oltre all’Ordinanza sulle misure igieniche e sul divieto di visita ai residenti in case
per anziani e istituti di cura, ai residenti è stato espressamente raccomandato di non lasciare gli
istituti. Nel caso in cui il contagio con il COVID-19 fosse stato confermato da un esame di
laboratorio, i residenti contagiati venivano, e vengono tuttora, isolati e nei casi sospetti ordinata
la quarantena.
Ogni volta che il diritto di decidere della propria vita viene limitato od ostacolato, si rende
necessaria una motivazione responsabile, in particolare nei confronti delle e dei residenti
nonché dei congiunti. I diritti di libertà e i diritti della personalità sono in questo caso lesi: diritti
che non possono mai essere limitati in modo sconsiderato ma solo per motivi gravi. La
proporzionalità degli interventi deve essere sempre tutelata. Il diritto di autodeterminazione
comprende in definitiva anche il diritto di fare qualcosa che danneggia sé stessi, anche di
esporsi al pericolo di un contagio con COVID-19. Limitazioni dei diritti fondamentali non
possono perciò essere giustificate con la motivazione di proteggere una o un residente da sé
stessa o da sé stesso. Nel contesto degli istituti di cura, però, c’è un altro, importante punto di
partenza per la giustificazione delle limitazioni dei diritti fondamentali: la messa in pericolo di

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altre persone a causa di un contagio che può verificarsi quando le e i residenti si infettano
incontrando visitatrici e visitatori o durante le gite.
Proprio le discussioni a livello dell’intera società in merito alle regolamentazioni delle visite
hanno dimostrato quanto carente sia l’unanimità quando si tratta della protezione dalla malattia
o della protezione della vita e quanto le conseguenze economiche, sociali e psichiche siano da
subordinare a questa protezione. Nelle istituzioni si tratta sostanzialmente dello stesso conflitto.
Dovrebbero perciò esserci anche in quest’ambito diverse interpretazioni, fino a che punto cioè
siano ammissibili delle limitazioni individuali dei diritti di libertà a favore della protezione di altre
persone. Non ci si può perciò attendere delle soluzioni che soddisfino tutti gli interessati. Quali
riflessioni ci siano però dietro quando, per esempio, viene negata una festa di compleanno, si
possono spiegare, motivandole, nell’ambito di una ponderazione etica degli interessi. I dinamici
avvenimenti della pandemia richiedono permanenti controlli e revisioni della proporzionalità dei
divieti e delle restrizioni.

Punto di cristallizzazione: bisogno di vicinanza sociale vs. protezione contro il contagio
Il distanziamento sociale così come determinate regolamentazioni delle visite (p.es. limitazione
del tempo di visita, locali separati), sono stati per le e i residenti estremamente gravosi in
rapporto al loro bisogno di vicinanza e di contatto fisico. La cura dei contatti sociali con la
famiglia, gli amici, ma anche con gli altri residenti e i collaboratori, è un elemento costitutivo del
margine di manovra individuale, decisivo per molti residenti per il benessere e la qualità di vita –
presumibilmente tanto più forte quanto più il raggio di movimento individuale diminuisce a causa
delle limitazioni fisiche dovute all’età. I contatti fisici costituiscono inoltre una forma di
comunicazione non verbale. Contengono una dimensione dell’intimità e possono dispensare
comprensione, consolazione e calma. Con i contatti fisici si esprimono l’affetto, la stima e
l’interessamento. In questo modo si può influire positivamente sul benessere fisico e psichico.
Dover rinunciare ai contatti fisici al di fuori di quelli per la cura della funzionalità del corpo, può
avere gravi ripercussioni sulla salute psichica, ma anche su quella fisica. Oggi sono disponibili
numerosi rapporti su singoli casi redatti da diverse istituzioni. Una considerevole parte di questi
rapporti trattano casi di persone affette da demenza, con limitazioni della comprensione verbale
e della loro capacità espressiva e che dipendono in modo più o meno rilevante dalla possibilità
di avere contatti fisici. A tutto ciò si aggiunge il fatto che spesso reagiscono in modo confuso
quando la persona che hanno di fronte indossa una mascherina protettiva. Evitare i contatti
fisici influisce negativamente anche sulla qualità delle cure, un aspetto questo che può indurre
uno stress morale nel personale.
Per contro, le limitazioni alla vicinanza fisica servono a proteggere le e i residenti, il personale
curante e i congiunti. Per il personale curante, ma anche per i congiunti, può essere molto
gravoso percepire sé stessi come un fattore di rischio di contagio per le persone di cui si
prendono cura. Nello stesso tempo, anche loro sono esposti al pericolo di contagio e hanno il
diritto e il dovere di proteggersi. L’attuazione delle misure di protezione è per le istituzioni un
compito impegnativo e complesso. Devono decidere sia come possono soddisfare la necessità
dei residenti e dei loro congiunti di avere dei contatti fisici sia assicurare la protezione da un
contagio di tutti i residenti.

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Vivere con il COVID-19: dal lockdown a un «modus vivendi»
La speranza che la pandemia di COVID-19 sarebbe finita nell’arco di pochi mesi, si è dissolta
nell’aria già nel corso dell’estate successiva alla prima ondata. L’esperienza ha dimostrato
quanto profonda ed esistenziale sia stata la limitazione dei diritti di libertà e del contatto sociale
per le persone negli istituti di cura e quali ricadute possa avere sulla loro qualità di vita. In
questo contesto, è urgentemente necessario lo sviluppo di un «modus vivendi» nel senso di
una convenzione interna agli istituti che consenta, nonostante il rischio del COVID-19,
un’accettabile convivenza a lungo termine. Sulla base delle nuove conoscenze sulle vie di
trasmissione dell’infezione e sul suo decorso, ma anche delle ricadute negative fisiche e
psichiche delle misure di protezione sui residenti, l’idoneità e la proporzionalità delle misure
devono essere oggetto di continue verifiche e adeguamenti. All’accurata ponderazione di
elementi quali la qualità di vita, la protezione, i bisogni e i diritti fondamentali dei singoli residenti
va data una particolare attenzione (AEM, 2020, pag. 5).
   È necessaria una continua verifica dei divieti, delle restrizioni e della loro proporzionalità in
    relazione alla situazione individuale e ai rischi (rispetto al COVID-19 ma anche rispetto alle
    conseguenze negative delle restrizioni).
   Nell’attuazione delle istruzioni cantonali dovrebbe essere utilizzato il margine di manovra
    disponibile; le regolamentazioni delle visite vanno strutturate in modo differenziato (cfr. p.es.
    ASI, 2020, pag. 2f.).
   Vanno verificati la composizione e l’impiego dei gruppi di esperti interdisciplinari che
    potrebbero, in caso di questioni urgenti, essere consultati a livello cantonale.
   Una comunicazione costante e trasparente per residenti e congiunti promuove la fiducia
    nell’istituzione.
   Vanno sviluppati e implementati appropriati processi politici per quanto riguarda la
    distribuzione e l’accessibilità dei materiali di protezione.

Fonti e letteratura supplementare
Akademie für Ethik in der Medizin (AEM) (2020). Documento di lavoro della Akademie für Ethik in der
Medizin. Riflessione sull’etica curativa delle misure per il contenimento del Covid-19 (stato 12.05.2020).
Visto il 16.9.2020 su
https://www.aemonline.de/fileadmin/user_upload/2020_05_12_Pflegeethische_Reflexion_Papier.pdf

Associazione svizzera infermiere e infermieri (ASI) (2020). Pandemia Covid-19. Presa di posizione della
commissione etica dell’ASI sulle misure e le sfide etiche nel contesto della pandemia di Covid-19 (8
maggio 2020). Visto il 16.9.2020 su
https://www.sbk.ch/files/sbk/Aktuell/covid_19/2020_05_08_Eth_Herausforderungen_SARS
CoV2_def_f.pdf

International Council of Nurses (ICN) (2014). ICN-Codice etico per il personale curante. Berlino.
Rüegger, H. (2015). Prospettive etiche nella cura e assistenza medica e terapeutica nelle strutture socio-
sanitarie. Ed. CURAVIVA Svizzera, Settore specializzato persone anziane. Berna. Visto il 18.9.2020 su
https://www.curaviva.ch/files/I68T57F/perspectives_ethiques__publication__curaviva_suisse__2015.pdf

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Editore
CURAVIVA Svizzera – Zieglerstrasse 53 – 3000 Berna 14

Autore
Anna Jörger, collaboratrice scientifica del Settore specializzato persone anziane

Modo d’impostazione delle citazioni
CURAVIVA Svizzera (2020). Serie di pubblicazioni COVID-19: Riflessione etica. Editore: CURAVIVA
Svizzera. online: curaviva.ch.

© CURAVIVA Svizzera, 2020

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