Realizzazione di un chip microfluidico per lo studio della termoforesi
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FACOLTA’ DI SCIENZE MM.FF.NN. DIPARTIMENTO DI SCIENZE CHIMICHE CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN SCIENZA DEI MATERIALI ELABORATO FINALE DI LAUREA Realizzazione di un chip microfluidico per lo studio della termoforesi Tutore: Prof. Giampaolo Mistura Co-tutore: Dott. Matteo Pierno LAUREANDO: Giorgio Carraro ANNO ACCADEMICO 2007-2008
iii Alla mia famiglia A Rita
iv
v Non eum appellamus beatum cui sunt maxime divitiae, sed eum qui sorte sua contentus sit Marcus Tullius Cicero
Indice Introduzione ix 1 Termoforesi 1 1.1 Descrizione fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.2 Metodi di Misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1.3 Risultati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1.4 Prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 2 Progettazione e caratterizzazione del dispositivo 7 2.1 Progettazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2.2 Fabbricazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 2.2.1 Resist . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 2.2.2 Maschera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 2.2.3 Preparazione substrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 2.2.4 Fotolitografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 2.2.5 Chiusura del dispositivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 2.2.6 Caratterizzazione del filo e collegamenti elettrici . . . . . . 12 2.3 Caratterizzazione del dispositivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 3 Misure ottiche 17 3.1 Strumentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 3.2 Raccolta ed elaborazione dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 3.2.1 Parametri di acquisizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 3.2.2 Elaborazione delle Immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 3.2.3 Risultati ottenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 3.2.4 Problemi riscontrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Conclusioni 25 Bibliografia 27 Ringraziamenti 29 vii
Dal più antico degli argomenti, trarremo la più nuova delle scienze Hermann Ebbinghaus Introduzione La microfluidica è un campo scientifico e tecnologico interdisciplinare di recente interesse, ma che sta avendo un rapido sviluppo con grandi potenzialità future. La miniaturizzazione e l’integrazione di vari componenti e processi ha significativi vantaggi, rispetto ai tradizionali processi macroscopici riguardanti i fluidi. La relativa facilità e rapidità di creazione dei dispositivi, simili a dei micro- chip, ha stimolato molto interesse; la possibilità di integrare vari componenti, che eseguono un elevato numero di operazioni, impiegando una modesta quantità di fluido, apre infatti nuovi scenari di sviluppo. Evidenti sono quindi anche le poten- zialità economiche che ne derivano, essendo le materie prime facilmente accessibili e le possibili applicazioni decisamente innovative[1]. Figura 1: Dimensione dispositivi microfludici Sarebbe errato pensare che la miniaturizzazione dei canali comporti esclusi- vamente la riduzione in scala delle dimensioni. Le dimensioni ridotte accentuano i fenomeni interfacciali, trascurabili o assenti in canali più grandi; ogni aspetto costruttivo deve quindi essere rivisto e ricalcolata l’influenza dei vari parametri. Ad esempio nei canali micrometrici il flusso è laminare, caratterizzato da linee di flusso parallele e mai incidenti[2]. ix
x Introduzione Figura 2: Differenza fra flusso laminare (a) e vorticoso(b) Sono assenti quindi i fenomeni di mescolamento e i moti convettivi, permet- tendo un controllo dei parametri più preciso. Lo sviluppo di tali dispositivi è particolarmente apprezzato per i seguenti vantaggi: • Controllo della velocità di reazione e mescolamento di fluidi; • Metodi attivi per la separazione e il trasporto di particelle; • Maggiori aree di contatto e quindi maggiore resa delle reazioni; • Possibilità di raggiungere alti livelli di integrazione ponendo in serie o in parallelo i vari dispositivi; • Quantità di prodotti in larga scala ponendo in parallelo i reattori. Le possibili applicazioni spaziano quindi in diversi campi, quali: analisi mole- colare, biodifesa, biologia molecolare e chimica analitica L’obiettivo più ambizioso di tale ricerca è la creazione del Lab on a Chip[3], cioè il condensare in un di- spositivo, di ridotte dimensioni, le funzioni di un normale laboratorio chimico o biologico. Figura 3: Laboratorio condensato in un solo Chip Essendoci in ogni laboratorio chimico un filtro, o un separatore, è indispensa- bile progettarne anche per chip microfluidici. La realizzazione di filtri per separare
xi i prodotti desiderati è quindi decisiva per lo sviluppo di questi dispositivi; negli ultimi anni vari filtri sono stati progettati e prodotti, ma tutt’ora tali componenti risultano avere delle criticità e per questo motivo un nuovo filtro, con un principio di funzionamento innovativo, è sicuramente di grande interesse. Per questo motivo in questa tesi si studierà la termoforesi[4] [5], cioè il flusso di particelle indotto da un gradiente di temperatura, in un canale microfluidico. Tale fenomeno manca tutt’ora di una trattazione teorica esauriente, e nei canali microfluidici la ricerca è ancora in uno stadio embrionale. L’analisi di questo fenomeno, in situazioni così particolari, è di di fondamentale importanza, non solo per la conoscenza di base, ma anche per l’ applicazione nella creazione di un separatore. In questo lavoro sarà discussa la fase di progettazione e caratterizzazione di un dispositivo microfluidico per lo studio della termoforesi in un microcanale. Vista la quasi totale assenza di riferimenti bibliografici, la prima parte del lavoro è stata dedicata alla progettazione di un chip sul quale eseguire delle misure qualitative. Questo prototipo poi servirà da base di partenza per le successive ottimizzazioni per eseguire analisi quantitative. La tecnica impiegata per la fabbricazione del dispositivo è la fotolitografia, utilizzando come resist il fotopolimero NOA61. Con un microscopio a fluorescenza è stato analizzato il moto di traccianti fluo- rescenti [2], individuandone la posizione e i relativi spostamenti, potendo quindi verificare i moti indotti dalla presenza del gradiente di temperatura. In partico- lare si vuole capire come vari la distribuzione delle particelle nel canale una volta applicato il gradiente termico. Il primo capitolo tratta il fenomeno della termoforesi, il secondo illustra il metodo di fabbricazione, mentre il terzo è dedicato all’analisi dei dati ottenuti.
Il processo di una scoperta scientifica è, in effetti, un continuo conflitto di meraviglie. Albert Einstein Capitolo 1 Termoforesi Il fenomeno della termoforesi, chiamato anche termodiffusione o effetto Ludwig- Soret, consiste nella migrazione di particelle, immerse in un fluido, indotta da un gradiente di temperatura. Il fenomeno, pur essendo noto da tempo, risulta aver ancora aspetti non completamente compresi, e manca di una esauriente trattazione teorica. Sono quasi assenti le pubblicazioni in canali microfluidici e i pochi dati speri- mentali, spesso, si discostano dalle previsioni basate sulle leggi empiriche fin qui note. Questo capitolo descrive il fenomeno in generale e poi riporta i risultati della ricerca bibliografia eseguita, con particolare attenzione alle pubblicazioni in canali microfluidici. 1.1 Descrizione fisica La termoforesi è stata per la prima volta osservata da Ludwig nel 1856, e poi stu- diata da Soret nel 1897. Il fenomeno è chiamato anche termodiffusione, per ana- logia con i processi diffusivi, solo che è dovuto ad un gradiente di temperatura[5], piuttosto che ad un gradiente di concentrazione. La termodiffusione avviene in ambiente gassoso o liquido, anche se in mo- dalità diverse. Recenti analisi hanno dimostrato nei liquidi dipendenze, spesso sorprendenti, da parametri quali la salinità, la superficie, la concentrazione e il peso molecolare[4]. Le analogie con l’elettroforesi suggeriscono l’influenza delle forze superficiali e la necessità di un trattamento idrodinamico. L’applicazione di piccole forze, sia che derivino da campi elettrici che da gra- dienti di temperatura, può essere descritta da relazioni lineari, anche per soluzioni complesse[4], potendo descrivere il flusso di massa j~m come: ~ − cDT ∇T j~m = −D∇c ~ (1.1) 1
2 Termoforesi Tale relazione considera sia il contributo dovuto alla diffusione, espresso dalla legge di Fick, che quello della termodiffusione; c è la concentrazione, D il coef- ficiente di diffusione e DT il coefficiente di diffusione termica. Tuttavia, anche dimensionalmente, esso non è propriamente un coefficiente di diffusione, ma è la mobilità termoforetica, in quanto la velocità di un particella è semplicemente: ~ v~T = −DT ∇T (1.2) Assumendo inoltre un gradiente termico uniforme diretto lungo z, il flusso di massa dovuto alla termoforesi risulta avere il seguente profilo: dc dT = −cST (1.3) dz dz dove ST = DDT = − 1c ( dT dc ) è chiamato coefficiente di Soret. Se positivo indica un movimento verso il lato freddo, detto termofobico. Il coefficiente di Soret intro- duce una lunghezza caratterisca lT , oltre la quale il moto dovuto alla termoforesi diventa predominante rispetto a quello Browniano.[4] D lT = (ST ∇T )−1 = (1.4) vT Si nota inoltre che nel caso in cui ∇T sia costante, la soluzione dell’equazione è un profilo esponenziale: c(z) = c0 exp(−z/lT ) (1.5) Il fenomeno è studiato in quanto ha influenze importanti nei moti convettivi all’interno delle miscele. Inoltre la scala dei tempi della diffusione di massa è mag- giore di quella della termodiffusione. Per questo motivo la termoforesi influenza drammaticamente tutti i processi convettivi: solidificazione in leghe metalliche, nelle lave vulcaniche, nei moti convettivi nel mantello terrestre e nella crescita dei cristalli. Una descrizione microscopica dettagliata del fenomeno non è ancora stata proposta. Per le miscele gassose la teoria cinetica fornisce alcune indicazioni, ma non può essere applicata efficacemente ai liquidi. Inoltre la complessità del sistema non rende ancora possibile uno studio con modelli statistici, anche con simulazioni numeriche. La maggior parte degli studi si sono concentrati nel tentativo di validare le evidenze sperimentali, in particolare lo spostamento delle specie pesanti verso il lato freddo. Inoltre molti esperimenti mostrano che DT dipende esclusivamente da quantità locali e microscopiche della regione interessata.
1.2 Metodi di Misura 3 1.2 Metodi di Misura I metodi di misura consistono nel determinare il gradiente di concentrazione in- dotto da un gradiente di temperatura. Vi sono esperimenti diretti con la creazione ai lati di un canale di un gradiente di temperatura costante, andando a misurare con tecniche ottiche il profilo di concentrazione. Tali tecniche sono standarizzate e permettono di ricavare, per la sostanza analizzata, il coefficiente di diffusione termica. Un’altra possibilità è quella di osservare la competizione fra moti convettivi (o indotti in altro modo) e termoforetici, analizzando la perturbazione introdot- ta. Una tecnica standarizzata di questo tipo usa le colonne termogravitaziona- li [6]: due tubi concentrici verticali a diversa temperatura, per creare un gradiente di temperatura orizzontale; tramite considerazioni fisiche sul sistema è possibile determinare il coefficiente di Soret. Il gradiente di temperatura è stato creato in vari modi, dal semplice riscalda- tore elettrico a sistemi ad infrarossi. Per determinare il gradiente di concentra- zione ∇c, si possono misurare le variazioni dell’indice di rifrazione correlate alla concentrazione o altri metodi analitici. Recentemente, con l’utilizzo di traccianti fluorescenti in soluzione colloidali, con una semplice apparecchiatura video microscopica, è possibile individuare la posizione e lo spostamento di questi. I vantaggi di tale tecnica sono molteplici: dalla possibilità di osservare anche modeste concentrazioni alla relativa sempli- cità dell’apparato strumentale. Inoltre si stima direttamente vT , avendo quindi immediatamente anche il valore di DT . Rimangono alcuni problemi, legati alla ne- cessità di utilizzare traccianti fluorescenti e la difficoltà di conoscere esattamente il profilo di temperatura nel canale. Tale problema può essere risolto utilizzando sostanze che presentino una dipendenza dell’intensità del segnale di fluorescenza in funzione della temperatura; ciò comunque richiede una curva di calibrazione e comunque spesso tale rilevazione può essere imprecisa. 1.3 Risultati sperimentali Da un punto di vista teorico, il sistema più adatto per uno studio di base del fenomeno è quello di una sospensione colloidale monodispersa di particelle sferiche rigide. Tuttavia i risultati fin qui ottenuti mostrano una influenza decisiva delle proprietà chimiche superficiali[4]. Prendendo infatti particelle di polistirene e di silice, di dimensioni e carica superficiale simili, in condizioni ioniche in cui esse possono essere approssimate a hard spheres, per quanto riguarda le proprietà colligative, si trovano due coefficienti di Soret con segno opposto. Assorbendo poi un piccolo strato di surfattante, ST cambia drammaticamente.
4 Termoforesi Purtroppo la chimica superficiale delle particelle usate come standard non è ancora stata uniformata: la carica superficiale nuda delle particelle non può essere facilmente controllata, le proprietà delle particelle di silice dipendono dal pH, e dalla presenza di surfattanti residui; le particelle nanometriche hanno una distribuzione di dimensioni ampia. Anche in presenza di queste difficoltà tali particelle sono state usate, cercando di controllare tutti questi parametri, al fine di standarizzarle il più possibile. Molti studi sono stati svolti anche su sistemi micellari, biologici e polimerici. Anche in questi casi i dati sperimentali devono ancora essere organizzati in una trattazione esaustiva. Risultati generali Esistono comunque dei dati consolidati e validi per ogni sistema; l’ordine di grandezza di DT risulta essere: 10−8 < DT < 10−7 cm2 s−1 K −1 (1.6) Da notare inoltre che per colloidi grandi D˜T >> D, con D˜T = T DT , e quindi i fenomeni termoforetici sono predominanti rispetto a quelli diffusivi. Tuttavia il valore di DT non può essere efficacemente spiegato in base alle proprietà della superficie o del corpo; esperimenti di Putnam e Cahill [7] mostrano come il valore di ST vari, per le medesime particelle di PS, in base al gruppo superficiale carico e alla salinità. Dipendenza dalla temperatura La dipendenza dalla temperatura risulta es- sere molto forte: le particelle diffondono verso il caldo per temperature sufficiente- mente grandi con ST > O (comportamento termofilico), mentre sotto una deter- minata temperatura T ∗ , si trova un valore ST < 0 (comportamento termofobico). Esiste una efficace legge empirica che bene interpola i dati sperimentali[8]: T∗ − T ST (T ) = ST∞ 1 − exp( ) (1.7) T0 dove ST∞ rappresenta un valore asintotico per alte temperature e T0 un parametro che modula l’entità della crescita esponenziale, che rappresenta quindi l’intensità del fenomeno. Generalmente (ma non sempre) il valore di T ∗ è una proprietà intrinseca della particella (definita come atermica) e sembra non dipendere dalle forze intermolecolari. Esistono comunque particelle il cui valore di ST dipende dalle condizioni imposte dall’ambiente circostante. Dipendenza dalla dimensione delle particelle La dipendenza di ST e DT dalla dimensione a e dal peso delle particelle, nel limite quasi-idrodinamico, non
1.4 Prospettive 5 dovrebbe sussistere. Esperimenti su catene polimeriche colloidali diluite, soft globular colloids, hanno convalidato tale ipotesi. I risultati riguardanti colloidi rigidi sono invece contraddittori. Duhr e Braun [9], con particelle di PS, hanno evidenziato come DT ∝ a e ST ∝ a2 . Tale risultato è stato contestato da Putnam [7] che ha trovato che il limite superiore ad alte temperature ST∞ ∝ a. Questi risultati sono stati confermati recentemente da Braibanti [10] che ha analizzato un range di particelle, ben standarizzate, variando 20 < a < 500nm fra temperature di 5◦ C < T < 40◦ C. Queste significative discrepanze sperimentali, non ancora razionalizzate, mostrano come le cause del fenomeno siano ancora lungi dall’ essere bene comprese. Effetti collettivi Un modello per una singola particella colloidale, capace di spiegare tutte le evidenze sperimentali, è ancora molto lontano da essere formu- lato. Per questo motivo un approccio che coinvolga delle proprietà collettive può essere di grande aiuto. Si è notato come ST solitamente aumenti all’aumentare del grado di salini- tà, e come sia proporzionale al coefficiente di compressibilità osmotica, kT = [n(∂Π/∂n]−1 , con n densità numerica di particelle. Importanti sviluppi possono giungere dallo studio durante le transizioni di fase, dove gli effetti collettivi hanno maggiore importanza. Tali esperimenti però sono ancora in fase di svolgimento e non ci sono risultati definitivi; la speranza è che da questi studi escano dei risultati decisivi per meglio comprendere la termoforesi. 1.4 Prospettive La comprensione totale del fenomeno richiede nuovi esperimenti e contributi teori- ci. Le nuove tecniche di investigazione, che permettono di mappare il movimento delle singole particelle sono sicuramente le migliori. Se adesso, per limiti stru- mentali, è difficile risolvere il moto di una singola particella con ottiche ad elevata apertura numerica, è ragionevole pensare come tale problema potrà essere supera- to in futuro; vi è infatti un largo interesse su queste tecniche di analisi da parte di molte discipline. Anche la conoscenza dell’influenza dei surfattanti e polielettroliti deve essere ampliata[4]. La rapida crescita delle tecniche microfluidiche permetterà di studiare in vari modi la termoforesi. La microfluidica per sua natura permette infatti un controllo fine dei parametri, con la possibilità di individuare le effettive influenze delle grandezze fino ad ora ancora ignote. Le prime, e al momento uniche, evidenze sperimentali in canali microfluidici, mostrano una separazione dell’ 88% in 100s per canali con larghezza d = 70µm e particelle con diametro a = 1µm [5].
La scienza è il capitano, e la pratica i soldati Leonardo da Vinci Capitolo 2 Progettazione e caratterizzazione del dispositivo Come già citato nel precedente capitolo la microfluidica può dare un grande aiuto alla comprensione del fenomeno termoforetico, sfruttandolo poi anche per applicazioni pratiche. In questo capitolo si descriverà quindi la progettazione e la realizzazione con tecniche fotolitografiche di un prototipo di chip microfluidico, per lo studio in canali microfluidici del fenomento. 2.1 Progettazione Lo scopo del dispositivo è quello di poter osservare il fenomeno della termoforesi in un canale microfluidico. Essenziale è quindi la presenza di un canale micrometrico contenente la soluzione colloidale e di una sorgente di calore. Come sorgente di calore si utilizza un filo resistivo con un diametro di 60µm, e quindi facilmente inseribile nel dispositivo. Inizialmente, il chip prevedeva un canale centrale di larghezza nominale pari a 400µ m e 200µm di altezza, con affiancato un altro canale per alloggiare il filo. Successivamente, si è preferito eliminare il canale per il filo preferendo lasciar- lo immerso nel resist, sia per facilitare la realizzazione che per diminuire l’aria (ottimo isolante termico) all’interno del chip. Il canale centrale per il tracciante è quindi poi stato progressivamente ridotto, passando a dimensioni nominali di 200µm × 100µm. Al fine di stabilizzare il gradiente termico si è predisposto un ulteriore canale, parallelo a quello contenente la soluzione colloidale, nel quale far passare un liquido refrigerante, con la funzione di pozzo di calore. La nuova geometria, con gli ingressi per l’iniezione defilati, ha il pregio di avvicinare il canale al filo a 2mm, mentre prima era pari a 5mm. 7
8 Progettazione e caratterizzazione del dispositivo Progetto iniziale vetrino canale con il tracciante fori per inizione liquido Filo inserito in un canale apposito Progetto attuale vetrino fori per inizione liquido canale per il liquido refrigerante canale con il tracciante Filo immerso nel polimero Figura 2.1: Evoluzione progetto La geometria del chip è il frutto di una continua evoluzione del progetto ini- ziale, al fine di risolvere i problemi riscontrati e di ottimizzare i parametri in gioco: • dimensione e definizione del canale; • distanza fra il filo e il canale; • numero, metodo di alloggiamento e collegamento del filo resistivo; • dissipazione del calore, per stabilizzare il gradiente termico; • costruzione di un appoggio che permetta l’alloggiamento nella strumenta- zione per la caratterizzazione del flusso. 2.2 Fabbricazione La tecnica usata per la fabbricazione del dispositivo è la fotolitografia. Tale tecnica consiste nel sottoporre un fotopolimero, detto resist, a una sorgente di radiazione UV che ne causa la reticolazione. Se vengono oscurate alcune zone, utilizzando una maschera, il resist di tipo negativo reticola nelle zone non coperte, rimanendo liquido dove la radiazione è stata assorbita dalla maschera; liquido che può essere facilmente rimosso lasciando libero il canale. Il risultato finale è uno strato di resist solido nel quale è impresso
2.2 Fabbricazione 9 il disegno presente nella maschera. Il chip può quindi essere chiuso apponendo un altro vetrino al di sopra del resist ed esponendo ulteriormente a radiazione. Tale processo è possibile per le ottime caratteristiche adesive del resist scelto, commercializzato proprio come un adesivo. Di seguito sono descritte nel dettaglio le varie fasi di costruzione del disposi- tivo. 2.2.1 Resist Il resist utilizzato è il polimero commerciale NOA 61; la sigla NOA 61 è l’acronimo di Norland Optical Adhesive 61, un fotopolimero, liquido ed incolore, che esposto a radiazione UV reticola. La formula chimica del composto non è disponibile, essendo sottoposta a brevetto. L’utilizzo di questo tipo di polimero evita le procedure di premescolamento, essicazione e trattamento termico tipici di altri polimeri. La polimerizzazione avviene preferenzialmente nella direzione parallela a quella della radiazione inci- dente, condizione essenziale per l’utilizzo in applicazioni fotolitografiche, per avere una buona definizione dei canali ed evitarne la chiusura. La reticolazione del polimero avviene per esposizione a radiazione UV, con i tempi di indurimento che dipendono dall’intensità della radiazione. L’intervallo di lunghezze d’onda utili al processo di reticolazione è compreso fra 320 − 380nm con un picco a 365nm. Figura 2.2: spettro di assorbimento del NOA 61 Essendo inoltre l’ossigeno ininfluente per la reticolazione del polimero, è pos- sibile lavorare all’aria senza l’utilizzo di atmosfere inerti. Gli eccessi di NOA 61 rimanenti dopo il trattamento radiativo e ancora liquidi possono essere rimossi facilmente utilizzando prima acqua calda, poi una miscela di acetone e etanolo.
10 Progettazione e caratterizzazione del dispositivo Il NOA 61 risulta essere particolarmente efficace nell’adesione al vetro, rag- giungendo l’adesione massima dopo una settimana di invecchiamento. E’ possibi- le accelerare questo processo sottoponendolo a trattamento termico per 12 ore a 50◦ C. Dopo tale trattamento resiste a temperature comprese fra −150◦ C e 125◦ C senza alterazione delle caratteristiche del materiale. [11] 2.2.2 Maschera La tecnica usata prevede la presenza di un maschera, sulla quale è stampato il cir- cuito scelto. Reticolando il NOA per esposizione alla radiazione UV, è necessaria una maschera con i circuiti di colore nero, che assorbono la radiazione impeden- dole di arrivare al polimero, facendolo reticolare invece nelle parti non coperte dal tracciato. Il circuito viene disegnato con il programma per la grafica Canvas. Essen- do importante la precisione dei canali, la maschera viene stampata su pellicola trasparente di acetato di cellulosa dello spessore di 100µm, in alta risoluzione (1250dpi) e con colori in modalità CMYK presso la copisteria Cleup. 400/200_2mm_600refr Figura 2.3: Circuito stampato sulla maschera 2.2.3 Preparazione substrato I vetrini da laboratorio sono puliti prima con etanolo ed acetone, e quindi sot- toposti ad un trattamento di pulizia in un UVO cleaner per trenta minuti: si eliminano eventuali impurezze organiche rimaste tramite un trattamento con l’o- zono. Tale apparecchiatura è costituita da una camera in acciaio, che mediante l’emissione di radiazione UV produce ozono, che induce un processo di ossidazione e dissociazione delle molecole organiche eventualmente presenti nel vetrino. Ciò è reso necessario in quanto il supporto deve essere il più pulito possibile, al fine di ottenere una buona aderenza del resist, l’omogeneità del canale e il mantenimento dello spessore. Il supporto per il processo litografico è formato da una lastra di vetro, sulla quala viene fatto aderire un foglio di polietilene. Su questo foglio vengono quindi
2.2 Fabbricazione 11 Lampada UV Radiazione UV Maschera Vetrino Filo Resist Spessore Foglio PE Supporto di vetro Figura 2.4: Fotolitografia messi dei distanziatori, che hanno la funzione di determinare lo spessore nominale dello strato di polimero e quindi dei canali. I distanziatori sono stati ricavati da un foglio per trasparenze da 100µm. Viene inoltre teso il filo in modo che una volta reticolato il NOA esso sia ben fisso nel dispositivo. Nella maschera sono presenti delle tracce che permettono di metterlo parallelo al canale. Sul PE viene steso il NOA 61 con una pipetta in plastica, avendo la precauzione di evitare la formazione di bolle, che potrebbero poi danneggiare i canali. A questo punto si preleva dall’UVO cleaner il vetrino precedentemente pulito e lo si pone sopra lo strato di NOA 61 prima deposto, appoggiandolo sui distanziatori e facendo fuoriuscire lateralmente l’eventuale NOA in eccesso. Anche questa operazione deve essere eseguita con molta perizia, onde evitare la formazione di bolle[12]. 2.2.4 Fotolitografia Sopra il vetrino si pone la maschera e il tutto viene esposto sotto la lampada UV per due minuti. Il tempo di esposizione è stato calcolato dopo aver eseguito varie prove, dalle quali si è dedotto che un tempo di esposizione troppo breve lascia parzialmente liquido il polimero; tempi troppo lunghi provocano un inizio di polimerizzazione anche all’interno dei canali, con conseguente chiusura degli stessi. Al termine di tale trattamento viene quindi levato lentamente il foglio di po- lietilene e i distanziatori; rimane quindi solamente lo strato di NOA incollato al vetrino, con impresso il circuito. Si lava ripetutamente con acqua bollente, poi con acetone e etanolo in modo da rimuovere parte del polimero non polimerizzato e meglio definire i canali, liberandoli da eventuali impurezze
12 Progettazione e caratterizzazione del dispositivo 2.2.5 Chiusura del dispositivo Si prende un altro vetrino e lo si fora con l’utilizzo di un trapano in corrispondenza dei punti nei quali il fluido entra nei canali; successivamente viene pulito nel medesimo modo del precedente. I due vetrini vengono quindi sovrapposti in modo da chiudere il circuito. Sopra di loro viene quindi posto un peso, con un foro centrale per far passare la radiazione; si mette il tutto sotto la lampada UV e si lascia il polimero a reticolare per altri 45 minuti (processo di Hard Curing). In questo modo il NOA aderisce ai due vetri, chiudendo di fatto il chip. In principio sopra i fori venivano applicati dei coni di plastica, fissati prima con una colla cianoacrilica, quindi resi impermeabili con l’applicazione ai bordi di uno strato di NOA esposto alla lampada UV per alcuni minuti. Tali coni sono forati sia alla base che all’estremità: è quindi possibile, collegandoli con dei tubi, iniettare il liquido all’interno dei microcanali. Si è notato come questa soluzione, a causa della diversa sezione del cono rispetto al foro, dà origine a delle bolle che falsano il flusso all’interno del microcanale. Si è quindi preferito collegare direttamente ai fori (diametro di 2mm) dei tubi di silicone, con un diametro interno di 1mm. Il processo di adesione dei tubi al chip e lo stesso del precedente. Tale soluzione ha permesso di migliorare il com- portamento del dispositivo con il liquido, anche se non ha ancora completamente eliminato il problema delle bolle. 1 Al fine di raggiungere una buona adesione fra NOA e vetro si lascia riposare il chip per qualche giorno. In alcuni dispositivi si sono infatti riscontrate delle perdite o deformazioni dei canali; se sottoposti invece ad invecchiamento si rag- giunge una resistenza ottimale. Per migliorare l’aderenza al vetro di chiusura è decisivo non esporre troppo il polimero nel primo trattamento, lasciandolo suf- ficientemente tenero, e quindi ancora reattivo anche per il secondo processo di Hard Curing. Con tale procedura si raggiunge un adesione così elevata che è di fatto impossibile aprire il chip senza rompere il vetro. 2.2.6 Caratterizzazione del filo e collegamenti elettrici Il filo utilizzato è un filo del diametro di 60µm (diametro che comprende anche lo spessore di isolante), isolato con nylon e poliuretano, di una lega detta moleculoy, composta da nichel e cromo, con un coefficiente di temperatura molto basso. La ridotta sezione e i materiali utilizzati, danno al filo un carattere resistivo, dissipando molta energia sotto forma di calore. Per determinare la caratteristica elettrica del filo si esegue una caratterizzazio- ne prendendone una lunghezza definita, pari a (10.5 ± 0.1)cm e predisponendo un 1 vedi 3.2.4
2.2 Fabbricazione 13 circuito, la voltamperometrica, che permette di leggere simultaneamente l’intensità di corrente e la differenza di potenziale. Di seguito si riporta il grafico ottenuto, con un fit lineare per determinare la resistenza. Essendo maggiore l’errore sulle intensità, sono state poste in or- dinata; il valore della resistenza sarà quindi il reciproco del coefficiente angolare determinato con il fit. Figura 2.5: grafico I in funzione di V Dall’ interpolazione si trova un valore di resistenza pari a (73 ± 1)Ω, pari ad una resistenza specifica di (6.9 ± 0.4)Ω/cm. Si nota come a tensioni superiori 20V il filo cominci a deteriorarsi fino a giungere a fusione (T>300◦ C) a tensioni superiori a 24V . L’andamento lineare fino a 20V , ci permette di considerare la resistenza indipendente dalla temperatura (che sarebbe errato assumere a prio- ri). La potenza dissipata può essere determinata semplicemente conoscendo la differenza di potenziale applicata. Per poter dare corrente al filo durante le misure con il microscopio a fluorescen- za, senza interferire con i dispositivi ottici di questo, è stato necessario costruire un supporto con dei connettori, nel quale fosse possibile poi alloggiare il prototipo.
14 Progettazione e caratterizzazione del dispositivo 2.3 Caratterizzazione del dispositivo Si esegue prima di tutto una prova con un liquido colorato, che viene lasciato flus- sare all’interno dei canali, al fine di osservare eventuali perdite o malfunzionamenti del chip. Successivamente, si osserva il canale per tutta la sua lunghezza al microscopio ottico, osservandone l’omogeneità e la forma. Si nota in quasi tutti i campioni come le pareti non siano perfettamente ortogonali, ma con una sezione del canale trapezoidale. Tali ipotesi è avvalorata anche dall’analisi svolta con il profilometro su en- trambi i canali, sia quello di raffreddamento che quello per le misure: 2 0 0 -2 0 a l t e z z a [ µm ] -4 0 -6 0 -8 0 -1 0 0 0 2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 x [ µm ] Figura 2.6: Profilo del canale per le misure Il profilo del canale è evidentemente trapezoidale. In particolare nella parte superiore è largo più di 300µm, mentre nel fondo è di circa 150µm. Inoltre non è perfettamente simmetrico, essendo più inclinato nel lato destro. La profondità del canale è effettivamente di 100µm. La larghezza del canale vista con il microscopio ottico era di poco più di 150µm, che indica un piano focale nella parte bassa del canale. Ciò è frutto del set up con il quale si esegue la fotolitografia, ed è dovuto alla distanza fra resist e NOA, alla luce non perfettamente collimata della lampada e, soprattutto, al contrasto del NOA.
2.3 Caratterizzazione del dispositivo 15 Durante la fase di progettazione tali parametri sono stati progressivamente ottimizzati, anche se esistono dei vincoli intrinseci che possono essere superati solo con un radicale ripensamento di tutto il processo e dei materiali impiegati. Tuttavia per i nostri studi possiamo considerare sufficiente questa definizione, in quanto non altera le considerazioni fatte in seguito.
Misura ciò che è misurabile, e rendi misurabile ciò che non lo è Galileo Galilei Capitolo 3 Misure ottiche Per osservare il fenomeno della termoforesi, si riempie il canale con del tracciante fluorescente e, con una strumentazione ottica, si monitora lo spostamento delle particelle in seguito all’applicazione di un gradiente di temperatura. Le immagini ottenute sono elaborate per ottenere la variazione della distri- buzione delle particelle in funzione del tempo di applicazione del gradiente di temperatura, per stimare l’entità del fenomeno e la scala dei tempi. Sarà quindi descritta la strumentazione utilizzata, il metodo di elaborazione dei dati e i risultati preliminari ottenuti. 3.1 Strumentazione La strumentazione utilizzata è quella per misure di velocimetria µ − P IV . Consta in un laser, di un microscopio e di una EMCCD-camera interfacciata ad un cal- colatore. Il software per l’acquisizione dei dati permette di regolare i parametri della EMCCD-camera e i tempi di acquisizione delle immagini. Tracciante Al fine di conoscere la posizione delle particelle all’interno del canale e gli eventuali spostamenti, si usano dei traccianti fluorescenti. Sono state quindi utilizzate delle particelle di dimensioni di 1µm di diametro, commercializzate dalla Invitrogen c , con un picco di assorbimento a λabs = 625nm e un massimo di emissione a λemi = 645nm. Si riporta lo spettro di fluorescenza dei traccianti[2] in figura 3.1. Per evitare la formazione delle bolle, il tracciante, disperso in soluzione acquo- sa, è stato immesso nel canale in aspirazione con un siringa. Microscopio a fluorescenza Per eccitare il tracciante si usa un Laser He-Ne, con λlaser = 632, 8nm. Tramite alcuni specchi il segnale viene fatto convogliare 17
18 Misure ottiche eccitazione laser assorbimento emissione % intensità lunghezza d’onda [nm] Figura 3.1: spettro del tracciante nel canale. Il segnale di emissione viene raccolto con un obiettivo da 20×, che permette di ben visualizzare un tratto del canale da parete a parete. Il segnale viene quindi filtrato con componenti ottici, in modo che alla EMCCD- camera arrivi solo il segnale di emissione del tracciante.[2] EMCCD filtro laser pompa obiettivo peristaltica campione liquido refrigerante calcolatore generatore Figura 3.2: Schema apparato di misura Muovendo verticalmente l’obiettivo è possibile focalizzare un piano in partico- lare del canale. Si è scelto un piano centrale al canale, evitando le zone più vicine alla superficie di vetro, dove si notano dei traccianti depositati, che avrebbero quindi falsato le misure. A questo punto si sono impostati i parametri di tempo di esposizione e lumi- nosità per cercare di ottenere delle buone immagini. Oltre al laser, è stata utilizzata anche la luce bianca in modo da vedere anche i bordi del canale, utili come riferimento nella successiva elaborazione dati.
3.2 Raccolta ed elaborazione dati 19 Generatore di corrente Per riscaldare il filo, una volta saldato ai pin della basetta, lo si collega ad un generatore di corrente. Si è impostata una tensio- ne di 14V che permette di scaldare il campione velocemente, senza per questo danneggiarlo. La tensione è stata mantenuta costante per tutta la durata delle misurazioni, verificando periodicamente la stabilità della stessa. 3.2 Raccolta ed elaborazione dati 3.2.1 Parametri di acquisizione Essendo scarsi i riferimenti bibliografici e non conoscendo bene il comportamento del chip, la scala dei tempi del fenomeno era inizialmente ignota. In un primo momento, ipotizzando dei tempi relativamente lunghi, si era scelto di acquisire una immagine ogni cinque minuti, per più di mezz’ora. Con questa modalità il fenomeno non risultava essere evidente. Per questo motivo si sono prese una serie di misure, acquisendo immagini ogni cinque secondi per alcuni minuti, ipotizzando tempi più brevi. In questo caso il fenomeno è evidente e su questa serie di dati sono state eseguite le successive considerazioni. Il riscaldatore è stato acceso contemporaneamente all’acquisizione della prima immagine, che quindi è considerata come quella a temperatura ambiente. 3.2.2 Elaborazione delle Immagini La EMCCD camera copre un area di 496 × 658 pixel. Utilizzando un obiettivo da 20× e sapendo che senza ingrandimenti un pixel corrisponde a una area di 10 × 10µm, si ricava come l’area delle immagini sia di 248 × 329µm. Di seguito riportiamo un immagine, senza elaborazioni, raccolta dalla EMCDD:
20 Misure ottiche Figura 3.3: Immagine non elaborata Illuminando anche con la luce bianca è possibile vedere le pareti del canale e quindi stimarne la larghezza. Dalle immagini ricavate si evince come il canale sia largo circa 150µm, quindi il 25% in meno della larghezza nominale. 1 Per elaborare le immagini si taglia una area di 140×329µm, che corrisponde al canale con l’eccezione dei bordi, dove vi sono dei traccianti depositati che possono inficiare i dati trovati. Le immagini quindi sono state elaborate utilizzando il programma Image J, per poter distinguere senza ambiguità i traccianti. Ogni immagine viene quindi filtrata e regolati i livelli di luminosità e contrasto, utilizzando sempre gli stessi parametri; di seguito si riporta il risultato dell’elaborazione per le immagini considerate(fig 3.4). Ovviamente le immagini acquisite sono molte di più di quelle considerate nel- l’elaborazione dati. Dopo una prima immagine a temperatura ambiente, si è scelta la prima immagine nel quale in fenomeno comincia a manifestarsi, dopo circa 150s. A questo punto si è proceduto a considerare una immagine ogni 50s. L’intervallo scelto permette comunque di comprendere la dinamica del fenomeno e il suo evolversi nel tempo. A questo punto è stata applicata una griglia sull’immagine, composta da cin- que colonne ciascuna di larghezza 28µm. Si procede quindi a contare il numero di particelle presenti in ogni colonna. 3.2.3 Risultati ottenuti I risultati ottenuti sono stati organizzati per ottenere un istogramma, che rap- presenta la percentuale di particelle in funzione della coordinata x ortogonale al canale, con un intervallo di campionamento di 28µm. 1 vedi capitolo 2.3
3.2 Raccolta ed elaborazione dati 21 Figura 3.4: Immagini elaborate con griglia Questa rappresentazione permette di visualizzare come varia la distribuzione delle particelle nella direzione parallela al gradiente di temperatura. Dopo circa 150s il fenomeno comincia a manifestarsi. Esso è continuo nel tempo; si riportano quindi le rilevazioni effettuate ogni 50s, mostrando come varia nel tempo la distribuzione delle particelle in funzione del tempo. Nelle ordinate è riportata la percentuale di particelle, come rapporto fra particelle nella colonna considerata e particelle totali della foto. Ciò si rende necessario per normalizzare i dati ottenuti, per i problemi sotto citati di presenza di un flusso, che implica una non perfetta conservazione del numero di particelle. Dal grafico si nota come il fenomeno sia rapido e sopprattutto vi è uno svuotamento del lato caldo del canale. Le prime variazioni si notano dopo circa 150s, che può essere pensato come il tempo necessario per l’instaurarsi di un gradiente termico sufficiente. Il fenomeno raggiunge il suo massimo dopo circa 350s. Dopo questo tempo infatti l’88% delle
22 Misure ottiche 60 caldo freddo t=0 t=150 t=200 t=250 t=300 t=350 t=400 40 % particelle 20 0 0 28 56 84 112 140 x [micron] Figura 3.5: Istogramma variazione distribuzione particelle in funzione del tempo particelle si trova negli ultimi due settori. L’evoluzione è quindi nell’ordine dei 200s, un tempo breve e comparabile con i risultati sperimentali riportati nell’unico precedente lavoro pubblicato in letteratura[5]. Dopo 400s il fenomeno comincia ad attenuarsi, segno che il vetro riscaldandosi tende a diminuire l’intensità del gradiente termico, agendo da termostato. 3.2.4 Problemi riscontrati Al fine di studiare efficacemente il fenomeno la situazione ideale è avere inizial- mente i traccianti praticamente fermi, per poi notare in seguito all’applicazione del gradiente di temperatura, il movimento degli stessi. Una volta riempito il canale non sono state applicate forze esterne, lasciando in quiete il tutto. Tuttavia anche dopo alcune ore, i traccianti continuavano a muoversi abbastanza velocemente da rendere impossibile seguire il moto del singolo tracciante. La principale causa del movimento delle particelle è stata attribuita alla pre- senza di bolle, formatesi all’ingresso dei canali. Per questo motivo sono stati studiati nuovi iniettori, che hanno permesso di ridurre tale effetto, senza tuttavia eliminarlo. Le immagini acquisite si riferiscono a traccianti diversi, essendoci di fatto un flusso all’interno del canale.
3.2 Raccolta ed elaborazione dati 23 In futuro si studieranno altri tipi di iniettori e si attuerà una procedura diversa per riempire il canale, per ridurre la probabilità di formazione delle bolle. Un altro problema è quello della non perfetta impermeabilità del NOA alle pareti. Infatti si nota come alcuni traccianti entrino in zone esterne al canale. Purtroppo in bibliografia non sono presenti dati su questo tipo di problematica. Sono quindi ancora allo studio delle soluzioni per ovviare a tale problema, che tuttavia è sicuramente meno rilevante del primo.
Conclusioni In questo lavoro si è progettato e realizzato un chip microfluidico per osservare il fenomeno della termoforesi in un microcanale. Il fenomeno studiato presenta tutt’ora degli aspetti non completamente razionalizzati, e lo studio in condizioni controllate, come nei canali micrometrici, è di grande interesse. I riferimenti bibliografici per sistemi simili sono praticamente assenti e quindi questo studio ha un carattere pionieristico, presentando tutte le difficoltà che ne conseguono. La prima parte del progetto è stata dedicata alla progettazione di un chip, con una geometria capace di applicare efficacemente il gradiente termico all’interno del canale. Il prototipo è stato realizzato con tecniche fotolitografiche utilizzando il fotopolimero NOA 61. Con un microscopio a fluorescenza è stato possibile analizzare il moto di trac- cianti fluorescenti all’interno dei canali, una volta applicato il gradiente termico; queste misure hanno mostrato come il fenomeno avvenga in tempi relativamente rapidi, alcuni minuti, e porti quasi ad un completo svuotamento del lato caldo del canale. I risultati ottenuti sono di notevole importanza in quanto innanzitutto confer- mano la validità del progetto fatto, capace di mostrare la termoforesi in microca- nali. E’ stata determinata inoltre la scala dei tempi del fenomeno per il chip, che risulta essere coerente con l’unico dato riportato in letteratura. Il fenomeno risulta essere particolarmente intenso (88% di separazione) e re- lativamente veloce (centinaia di secondi). Questi dati lasciano aperte le porte ad eventuali applicazioni della termoforesi nella realizzazione di separatore per chips microfluidici. Questi primi risultati ottenuti, seppur ancora qualitativi, sono molto promet- tenti e fondamentali per ottimizzare il chip, in modo da eseguire delle misure quantitative. Al posto del filo si utilizzerà una pista di metallo resistivo depositata con la tecnica dello sputtering. La precisione che tale tecnica consente permetterà di avvicinare ulteriormente il riscaldatore al canale, potendo ottenere lo stesso gradiente termico, con il riscaldatore a temperatura inferiore. Per conoscere il profilo di temperatura all’interno del canale, si utilizzerà un 25
26 Conclusioni sostanza, la rodamina-B la cui intensità del segnale di fluorescenza dipende dalla temperatura. Essendo quindi nota la geometria e il gradiente termico, si trarranno delle considerazioni quantitative del fenomeno, definendo l’influenza dei vari parametri nello svolgersi del fenomeno.
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Ringraziamenti Prima di tutto devo ringraziare la mia famiglia che ha creduto in me da sempre, dandomi la possibilità di arrivare fino a questo punto e sostenendomi in tutti i modi possibili. Penso anche a tutti i miei nonni e parenti che mi sono stati vicino in questi ventidue anni e con i quali ho condiviso dei bellissimi momenti. Un ringraziamento speciale va a Rita, che mi è stata vicina in questi ultimi tre anni, che mi ha dato la forza di andare avanti nei momenti più difficili, e tanta gioia nei più belli. Un pensiero va anche a tutti i miei amici sempre presenti ed indispensabili per staccare la spina e pensare a qualcosa d’altro o per qualche bella discussione. Fare l’elenco di tutti sarebbe troppo lungo, e rischierei di dimenticare qualcuno, con pessime conseguenze. Una grazie va anche ai miei compagni di corso Federico,Chiara, Alberto che hanno condiviso in questo lungo anno l’avventura dei laboratori e senza la loro collaborazione non avrei potuto laurearmi così rapidamente. Entrando più nello specifico del lavoro tesi, il primo pensiero va al prof.Mistura che mi ha subito ben accolto ed integrato nel suo gruppo di ricerca, il LaFSI, facendomi sentire come a casa. Per la realizzazione il principale aiuto è venuto da Andrea con il quale ho condiviso il progetto. Un grazie a David per avermi mostrato i segreti del laboratorio, mentre ad Alberto per la pulizia del medesi- mo. Un grazie a Giorgio per i numerosi caffè e per l’aiuto nella fabbricazione di alcuni strumenti. Sono in debito con Laura per tutto il tempo che mi ha dedicato al microscopio per raccogliere i dati (che all’inizio non sembravano così promettenti). Per i suggerimenti preziosi e la competenza un grazie a Matteo e Alessandro. Ovviamente i ringraziamenti sarebbero molti di più ma per esigenze di spazio sono costretto a limitarmi nello spazio, ma nel tempo spero di avere occasione di ringraziare tutti. 29
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