Peter Behrens educatore e Gestalter del XX secolo - la rivista di engramma aprile 2019
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
la rivista di engramma aprile 2019 164 Peter Behrens educatore e Gestalter del XX secolo edizioniengramma
Peter Behrens educatore e Gestalter del XX secolo a cura di Giacomo Calandra di Roccolino e Christian Toson edizioniengramma
direttore monica centanni redazione sara agnoletto, mariaclara alemanni, maddalena bassani, elisa bastianello, maria bergamo, emily verla bovino, giacomo calandra di roccolino, olivia sara carli, silvia de laude, francesca romana dell’aglio, simona dolari, emma filipponi, francesca filisetti, anna fressola, anna ghiraldini, laura leuzzi, michela maguolo, matias julian nativo, nicola noro, marco paronuzzi, alessandra pedersoli, marina pellanda, daniele pisani, alessia prati, stefania rimini, daniela sacco, cesare sartori, antonella sbrilli, elizabeth enrica thomson, christian toson comitato scientifico lorenzo braccesi, maria grazia ciani, victoria cirlot, georges didi-huberman, alberto ferlenga, kurt w. forster, hartmut frank, maurizio ghelardi, fabrizio lollini, paolo morachiello, oliver taplin, mario torelli La Rivista di Engramma a peer-reviewed journal 164 aprile 2019 www.engramma.it sede legale Engramma Castello 6634 | 30122 Venezia edizioni@engramma.it redazione Centro studi classicA Iuav San Polo 2468 | 30125 Venezia +39 041 257 14 61 © 2019 edizioniengramma ISBN carta 978-88-94840-88-9 ISBN digitale 978-88-94840-59-9 L’editore dichiara di avere posto in essere le dovute attività di ricerca delle titolarità dei diritti sui contenuti qui pubblicati e di aver impegnato ogni ragionevole sforzo per tale finalità, come richiesto dalla prassi e dalle normative di settore.
Sommario 7 Peter Behrens educatore e Gestalter del XX secolo. Editoriale Giacomo Calandra di Roccolino e Christian Toson 11 Behrens als Erzieher Hartmut Frank 35 Sull’attualità di Peter Behrens Pierre-Alain Croset 43 On the Continued Relevance of Peter Behrens Pierre-Alain Croset 53 Theater des Lebens Marco De Michelis 67 Collaboratori, allievi ed epigoni di Peter Behrens Giacomo Calandra di Roccolino 89 Un incontro incisivo Monika Isler Binz 103 Peter Behrens alla V Triennale di Milano, 1933 Silvia Malcovati 131 Der „Geist des Archimedes“ Herman van Bergeijk
Sull’attualità di Peter Behrens Pierre-Alain Croset Non da specialista di Behrens, ma da architetto interessato a riflettere sulla sua attualità mi chiedo: perché ancora oggi, a 150 anni dalla sua nascita, ci interessiamo alla sua figura di artista e di intellettuale, e non solo alle sue opere? Cosa possiamo imparare da Behrens, oggi? Come docente di progettazione architettonica insisto molto sui modi con i quali noi architetti impariamo dalle idee architettoniche espresse da altri architetti, nei loro progetti ed edifici. Ho iniziato a riflettere sistematicamente su questo metodo di apprendimento negli anni in cui La Rivista di Engramma 164 aprile 2019 35
insegnavo alla TU Graz (1997-2002), ed ero responsabile, come Professor für Baukunst, dell’insegnamento sia di storia dell’architettura, sia di progettazione. Il piano degli studi mi obbligava a tenere nel primo anno lezioni dedicate sia alla storia antica dagli Egizi ai Greci e ai Romani, sia alla storia moderna e contemporanea – da Brunelleschi a Le Corbusier. Come selezionare gli argomenti? Per fortuna, insegnava a Graz negli stessi anni Karin Wilhelm, un’eccellente storica dell’arte, esperta delle avanguardie e della Bauhaus, che dedicava il suo corso alla storia dei contesti culturali generali nei quali si erano sviluppate le principali correnti della modernità architettonica. Il mio insegnamento poteva quindi essere complementare del suo, e decisi di associare nelle mie lezioni la lettura storiografica di una serie di ‘grandi edifici’ (i cosiddetti ‘capolavori’) della storia alle interpretazioni elaborate dagli architetti contemporanei. In questo modo, intendevo trasmettere agli studenti la passione per lo studio della storia, illustrando per esempio come Le Corbusier avesse studiato le domus di Pompei per fondare le proprie teorie dello spazio moderno esplicitate in Vers une architecture, oppure come Louis Kahn fosse stato ispirato dall’osservazione della cattedrale di Albi, trascritta in memorabili schizzi. In questo contesto, la figura di Peter Behrens compariva solo una volta, con l’AEG Turbinenfabrik (1909), che analizzavo secondo l’interpretazione canonica di un moderno ‘Tempio dell’industria’. Alla domanda del perché egli avesse voluto connotare la fabbrica con l’immagine sacrale di un tempio, la mia collega Karin Wilhelm poteva aiutare gli studenti a rispondere con le sue lezioni sul contesto culturale-politico di Berlino e sui dibattiti interni al Deutscher Werkbund. La mia lezione era invece focalizzata sul come Behrens fosse riuscito a ottenere una nuova, diversa e originale, forma architettonica, capace di evocare un tempio senza rinunciare alle necessità di funzionalità e razionalità costruttiva proprie di un moderno edificio industriale. La mia priorità era di far prendere coscienza agli studenti di quale fosse la strategia progettuale di Behrens: con quali procedimenti compositivi riusciva a creare nell’osservatore una sensazione di massa, di possente corporeità in un edificio in acciaio e ferro? È ben noto come Behrens attribuisse un ruolo decisivo al pesante angolo reclinato in muratura, che non ha funzione portante ed è 36 La Rivista di Engramma 164 aprile 2019
quindi un falso in termini di razionalità costruttiva: un falso, ma del tutto necessario per poter ottenere la caratteristica immagine di forza per la quale l’edificio è diventato famoso. Nel suo eccellente studio critico Peter Behrens and a New Architecture for the 20th Century, pubblicato nel 2000, Stanford Anderson discute la ricezione critica della AEG Turbinenfabrik. Partendo dall’opinione corrente che questo famoso edificio sia “opera paradigmatica”, Anderson si chiede in cosa consista questa paradigmaticità, evidenziando quanto contraddittorie risultino le diverse opinioni. Mentre Nikolaus Pevsner, nel 1936, afferma che “il risultato è un’opera di pura architettura”, Henry- Russell Hitchcock nel 1960 interpreta l’edificio come “un capolavoro di schietta architettura industriale”. James Maude Richards nel 1953 considera la fabbrica come il primo esempio di architettura autenticamente moderna, perché “offre una soluzione razionale al problema tipico dell’industria moderna e fa un uso appropriato di materiali come acciaio e vetro”. Sigfried Giedion nel 1949 si pone sulla stessa linea di Pevsner, ma aggiunge un’osservazione sul ruolo sociale della fabbrica: “Behrens consapevolmente trasformò lo stabilimento in una dignitosa sede dell’attività umana”. All’opposto, in seguito alla crisi della modernità emersa con la seconda Guerra Mondiale, il critico svizzero Peter Meyer, direttore della rivista “Das Werk”, attaccò violentemente nel 1940 l’espressione artistica della Turbinenfabrik: Die Turbinenhalle der AEG in Berlin-Moabit wurde zu ihrer Zeit als epochemachend empfunden, man sah in ihr den Inbegriff einer modernen Zweckarchitektur des Maschinenzeitalters. Gebrannte Kinder, sind wir heute hellhöriger für Schlagwörter geworden, und wir fühlen das falsche Pathos der ägyptisch-wuchtigen Stilisierung selbst noch in der scheinbaren «Schlichtheit» dieser Maschinenhalle. Oder genauer gesagt: es ist echtes Pathos am falschen Ort, sakrale Verherrlichung der Maschine – also Götzendienst. Ai suoi tempi, la fabbrica di turbine della AEG era considerata un’opera epocale: in essa si vedeva l’epitome di un’architettura funzionale moderna dell’età della macchina. Oggi, con le dita bruciate, abbiamo orecchie più affilate per gli slogan; percepiamo il falso pathos della ponderosa La Rivista di Engramma 164 aprile 2019 37
stilizzazione egiziana anche nell’apparente ‘semplicità’ di questa officina meccanica. O, più precisamente: è pathos genuino nel posto sbagliato, sacra glorificazione della macchina; cioè, idolatria (Meyer 1940, 163). La conclusione di Anderson è che Behrens si preoccupò certamente più di “glorificazione della macchina” che di “franca architettura industriale”: La sua preoccupazione era piuttosto quella di elevare una forza sociale così dominante come la fabbrica al livello di standard culturali stabiliti. Ciò che rende il suo lavoro interessante e importante, indipendentemente dalla qualità della realizzazione effettiva, è che ha compreso che gli standard culturali stabiliti devono essere trasformati nel processo di assimilazione dell’industria moderna (Anderson 2002, 32). Riflettere sull’attualità del pensiero di Behrens significa in primo luogo riflettere sulla sua modernità, che non è quella di un pioniere radicale. Ci sono molti edifici, realizzati negli stessi anni, che appaiono più radicalmente moderni di quelli famosi realizzati da Behrens sotto diversi aspetti: nell’uso di nuovi materiali come il calcestruzzo e il vetro, nell’affermazione di un nuovo linguaggio astratto, nell’innovazione tipologica e distributiva, nella sperimentazione di nuove metodologie progettuali. Per esempio, le officine Fagus di Walter Gropius e Adolf Meyer (1911), in confronto alla Turbinenfabrik di Behrens, affermano valori di elegante leggerezza, grazie all’angolo svuotato, interamente vetrato. Altro esempio, l’edificio amministrativo Mannesmann a Düsseldorf (1910-12), interessante per la rigorosa e razionale organizzazione degli uffici, secondo una stretta logica modulare, appare tradizionalista se paragonato con gli innovativi spazi lavorativi open space del Larkin Building di Frank Lloyd Wright (1903-1905). Oppure la casa ad appartamenti nella Weissenhofsiedlung di Stoccarda (1927), poco innovativa tipologicamente se comparata con le rivoluzionarie soluzioni di pianta flessibile proposte da Le Corbusier e da Mies van der Rohe nello stesso contesto. La modernità di Behrens che più ci interessa oggi pone al centro della nostra attenzione le questioni della Forma e dello Spazio: A questi due aspetti sono dedicati alcuni studi critici recenti, in particolare quelli raccolti nel libro Peter Behrens maestro di maestri, pubblicato nel 2011. Nel saggio intitolato La giusta forma, Silvia Malcovati propone 38 La Rivista di Engramma 164 aprile 2019
un’interessante lettura incrociata di alcuni testi teorici di Behrens e di alcuni principi formali usati nella sua opera architettonica. L’attenzione di Behrens per la questione della Forma sembra riferirsi agli studi contemporanei di Erwin Panofsky, Henri Focillon o George Kubler, mentre in realtà, come ben precisa Silvia Malcovati, “Behrens non conosceva [questi studi] in termini scientifici […] ma di fatto [li] praticava apertamente” (Malcovati 2011, 77). È possibile riconoscere una chiara evoluzione della ricerca di Behrens sulla Forma, che la studiosa interpreta come […] passaggio dalla geometria piana a quella tridimensionale, dal problema del rivestimento a quello della costruzione dello spazio architettonico, dalla questione dell’edificio a quella della sua relazione con lo spazio urbano” (Malcovati 2011, 81). Questa interessante interpretazione è sviluppata ulteriormente da Hartmut Frank nel saggio intitolato Dal piano allo spazio, che apre con una citazione di Fritz Hoeber: “L’architettura è la ritmica incarnazione dello spirito del tempo. L’architettura è la filosofia sensoriale dello spazio” (Hoeber 1913, in Frank 2011, 131). Queste due frasi furono inserite da Hoeber come motto in apertura della monografia dedicata nel 1913 a Peter Behrens; Hartmut Frank dimostra in modo convincente come questa monografia abbia segnato in modo decisivo una trasformazione della posizione di Behrens: Da artista visivo, che lavora nelle due dimensioni, ad “artista dello spazio” […] ad architetto e creatore di forma, che si è aperto alla terza dimensione e progetta in questo senso volumi architettonici e spazi interni, mobili, utensili per la casa e prodotti industriali, nonché parchi ed ensemble urbani (Frank 2011, 132). Behrens è ricordato come uno dei primi industrial designer, capace di progettare a tutte le scale, dedito a “dare forma” (gestalten in tedesco) a oggetti e spazi. In questo concentrarsi sul ruolo di “ideatore di forma”, Behrens è estraneo a ogni ruolo messianico o rivoluzionario, non si impegna a favore di nuovi programmi, nuovi contenuti, nuovi stili di vita. La Rivista di Engramma 164 aprile 2019 39
Offre l’immagine di un artista che volutamente limita il campo della sua azione. È ancora una figura attuale quella di architetto che riduce il suo ruolo a questioni di Forma e Spazio? Anche l’immagine di Behrens come maestro, oggi è letta in termini diversi rispetto ai tempi in cui Gropius, Mies e Charles-Edouard Jeanneret (il futuro Le Corbusier) erano i suoi diretti collaboratori nello studio di Neubabelsberg. Tutti e tre hanno riconosciuto in varie testimonianze (citate in Anderson 2011; Cohen 2011; Neumeyer 2011) la loro grande ammirazione per Behrens come Maestro, ma anche il fatto che fosse odioso come uomo. Il giovane Jeanneret lo chiamava “l’orso Behrens” (Cohen 2011), descrivendolo nei seguenti termini in una lettera ai suoi genitori dell’11 novembre 1910: Un colosso, grande statura. Autocrate terribile, regime di terrorismo. Manifestazioni di brutalità. Tutto sommato, un tipo. Che io ammiro, del resto. Il mio masochismo si esalta a subire il morso, quando il capo ha questa levatura (Cohen 2011, 110). In un’altra lettera ai suoi genitori, del 25 novembre 1910, evidenzia la sua profonda frustrazione: Avevo sperato in un contatto frequente e fecondo con Behrens. Ma questo uomo è un orso malato perché scorbutico, collerico senza ragione, ed è così dalla mattina alla sera (Cohen 2011, 111). Molti anni dopo aver collaborato con lui, Mies van der Rohe riconobbe, invece, in un’intervista del 1961 con Peter Carter, di essergli debitore del modo di concepire il “senso della forma”: Peter Behrens aveva un formidabile senso della forma. Era il suo più importante interesse, e da lui ho imparato a conoscere e capire questo senso della forma (Neumeyer 2011, 124). Già nel suo illuminante saggio del 1960, Vittorio Gregotti si poneva la domanda: 40 La Rivista di Engramma 164 aprile 2019
Che cosa ci ripromettiamo dalla nostra ricerca (che insegnamento per l’oggi, voglio dire) quando studiamo una figura come quella di Behrens tentando di portarne alla luce tutti gli aspetti anche i meno coerenti, anche i più contraddittori? (Gregotti 1960, 8). Interessarsi a “tutti gli aspetti” di Behrens rimane forse oggi una chiave di lettura fondamentale, se vogliamo tentare di interpretare la sua attualità e la sua eredità. Behrens come “artista totale” dimostrò un’abilità unica nel lavorare come pittore, grafico, tipografo, architetto, industrial designer, ma anche come urbanista e come paesaggista. Oggi, di fronte alle questioni drammatiche e urgenti legate alla sopravvivenza del pianeta, per le quali architetti e designer sono chiamati ad agire in condizioni radicalmente cambiate, ha senso citare Behrens come un possibile modello? Probabilmente non servono più “artisti totali”, capaci di esercitare da soli un’attività multiforme, mentre più che mai può essere utile la lezione di Behrens sulla necessità di un approccio multidisciplinare e aperto per “dare forma”: non più legato a una figura di autore individuale, bensì motore di un lavoro di gruppo e di un’azione necessariamente collettiva. Bibliografia Anderson [2000] 2002 S. Anderson, Peter Behrens 1868-1940 [Peter Behrens and a New Architecture for the 20th Century, Cambridge MA 2000], MIlano 2002. Anderson 2011 S. Anderson, Riflessioni su Peter Behrens. Interviste con Ludwig Mies van der Rohe e Walter Gropius, in Malcovati, Moro 2011, 101-108. Carter 1961 P. Carter, Mies van der Rohe. Auszugsweise Wiedergabe des Interviews, “Bauen und Wohnen”, 16 (1961), 229-45. Cohen 2011 J-L. Cohen, Le Corbusier di fronte all’“orso Behrens”, in Malcovati, Moro 2011, 109-116. Frank 2011 H. Frank, Dal piano allo spazio, in Malcovati, Moro 2011, 131-142. La Rivista di Engramma 164 aprile 2019 41
Giedion [1949] 1954 S. Giedion, Spazio tempo architettura. Lo sviluppo di una nuova tradizione [Space, Time and Architecture, 2d ed., Cambridge MA 1949], Milano 1954. Gregotti 1960 V. Gregotti, Peter Behrens 1868-1940, “Casabella-continuità” 240 (1960), 5-8. Hitchcock 1960 H-R. Hitchcock, Peter Behrens, in Encyclopedia of World Art, New York 1960, 2: col. 413. Hoeber 1913 F. Hoeber, Peter Behrens, München 1913. Malcovati, Moro 2011 S. Malcovati, A. Moro (a cura di), Peter Behrens maestro di maestri, Milano 2011, Malcovati 2011 S. Malcovati, La giusta forma, in Malcovati, Moro 2011, 77-84. Meyer 1940 P. Meyer, Architektur als Ausdruck der Gewalt, “Das Werk”, 27 (1940), 160-164. Neumeyer 2011 F. Neumeyer, Peter Behrens, Mies van der Rohe e la “grande forma”, in Malcovati, Moro 2011, 117-129. Pevsner [1936] 1999 N. Pevsner, I pionieri dell’architettura moderna [Pioneers of Modern Design (1936), Harmondsworth 1960], Milano 1999. Richards [1940] 1960 J.M. Richards, Introduzione all’architettura moderna [An Introduction to Modern Architecture, Harmondsworth 1940], Milano, 1960. English abstract Does it make sense to cite Behrens as a possible model, today? What can we learn from him? Through the analysis of past and recent interpretations of his work in all its aspects, from Pevsner to Richards, from Giedion and Hitchcock to Meyer, from Gregotti to Cohen, Anderson, Frank and Malcovati, this essay aims at focusing on Behrens’ relationship with issues like Modernity, Form, Shape and suggests that the lesson of a multidisciplinary approach to “giving shape” is the most useful one in an age, like ours, of group work and collective action. 42 La Rivista di Engramma 164 aprile 2019
On the Continued Relevance of Peter Behrens Pierre-Alain Croset Though not an expert on Peter Behrens, as an architect, I am interested in reflecting on his continued relevance and wonder why, even today, 150 years after his birth, we continue to be interested, not only in his works, but in the model of artist and intellectual his figure poses. What can we learn from Behrens today? In my teaching of architectural design, I emphasize the way that architects learn from each other in their projects and buildings. I began to reflect systematically on this process of learning during my teaching years at the La Rivista di Engramma 164 aprile 2019 43
Graz University of Technology (TU Graz, 1997-2002), where I was responsible, as Professor für Baukunst (Professor of Architectural History and Theory), for both teaching history of architecture and for leading design studios. The study plan for students required that, in the first year, I gave lectures dedicated to both ancient history, from Egyptian to Greco- Roman, and to modern and contemporary history, from Filippo Brunelleschi to Le Corbusier. It was, as one can imagine, a challenge to select topics. Fortunately Karin Wilhelm, an excellent art historian and expert on the historical avant-gardes and the Bauhaus, was teaching in Graz at the same time, and had dedicated her teaching to the general cultural contexts in which the main currents of architectural modernity had developed. My teaching could therefore be complementary to hers and I decided to associate my lectures on the historiographical reading of a series of “famous buildings” (the so-called “masterpieces”) with the interpretations elaborated by contemporary architects. In this way, I intended to instill passion for the study of history in Graz students, illustrating, for example, how Le Corbusier had studied the domus of Pompeii as a reference for his own theories of modern space explained in Vers une architecture (Towards an Architecture, 1923), or how Louis Kahn was inspired by his observations of the Albi Cathedral, transcribed in memorable sketches. In this context, the figure of Behrens appeared only once, with the AEG Turbine Factory (Berlin, 1909) which I analyzed as a canonical interpretation of a modern “temple of industry”. Asked why Behrens would have wanted to connote the factory with the sacred image of a temple, my colleague Karin Wilhelm helped students respond by teaching them Berlin’s cultural-political context and the internal debates within the Deutscher Werkbund. My lecture was instead focused on how Behrens managed to obtain an original architectural form capable of evoking a temple without renouncing the need for functionality and constructive rationality in a modern industrial building. My priority was to make students aware of Behrens’ design strategy: which compositional procedures can create a sensation of mass and powerful corporeality in a steel and iron building? It is well known that Behrens attributes a decisive role to the ‘heavy’ reclined corner in masonry, one which has no 44 La Rivista di Engramma 164 aprile 2019
supporting function and is therefore a ‘fake’ in terms of constructive rationality: this ‘forgery’ was nonetheless necessary to obtain the characteristic image of strength for which the building is known. In his excellent critical study Peter Behrens and a New Architecture for the 20th Century (2000), Stanford Anderson discusses the critical reception of the AEG Turbine Factory. Starting from current opinion that this famous building is a “paradigmatic work,” Anderson asks “paradigm[atic] of what?” highlighting how contradictory the different opinions on Behrens are (Anderson 2000, 27). While Nikolaus Pevsner states in 1936 that “the result [of Behrens’ approach] is a pure work of architecture” (Pevsner [1936] 1960, 203, as quoted in Anderson 2000, 27), in 1960, Henry- Russell Hitchcock interprets the building as “a masterpiece of frank industrial architecture” (Hitchcock 1960, as quoted in Anderson 2000, 27). In 1953, J.M. Richards considers the factory the first example of authentically modern architecture, “provid[ing] a rational solution to a typically modern industrial problem; it makes logical use of modern materials” (Richards 1953, 76, as quoted in Anderson 2000, 27) while in 1949, Sigfried Giedion had presented the same opinion as Pevsner, adding insights about the social role of the factory: “Behrens consciously transformed the factory into a dignified place of work” (Giedion 19492, 410, as quoted in Anderson 2000, 27). Following the crisis of modernity that emerged with the Second World War, in 1940 the Swiss critic Peter Meyer, editor of Das Werk magazine, violently attacked the artistic expression of the Turbine Factory: Die Turbinenhalle der AEG in Berlin-Moabit wurde zu ihrer Zeit als epochemachend empfunden, man sah in ihr den Inbegriff einer modernen Zweckarchitektur des Maschinenzeitalters. Gebrannte Kinder, sind wir heute hellhöriger für Schlagwörter geworden, und wir fühlen das falsche Pathos der ägyptisch-wuchtigen Stilisierung selbst noch in der scheinbaren «Schlichtheit» dieser Maschinenhalle. Oder genauer gesagt: es ist echtes Pathos am falschen Ort, sakrale Verherrlichung der Maschine - also Götzendienst. La Rivista di Engramma 164 aprile 2019 45
In its time the Turbine Factory of the AEG was felt to be epoch-making: one saw in it the epitome of a modern functional architecture of the Machine Age. Today, with our fingers burned, we have sharper ears for slogans; we feel the false pathos of the ponderous Egyptian-like stylization even in the apparent ‘simplicity’ of this machine shop. Or, more specifically: it is genuine pathos in the wrong place, sacred glorification of the machine; that is, idolatry (Meyer 1940, 163, as quoted in Anderson 2000, 28). Anderson’s conclusion is that Behrens was more concerned with “glorification of the machine” than with “frank industrial architecture,” or as he writes: His concern was rather with elevating so dominant a societal force as the factory to the level of established cultural standards. What makes his work interesting and important, independent of the quality of the actual achievement, is that he understood that the established cultural standards must be transformed in the process of assimilating modern industry (Anderson 2000, 28). Reflecting on the continued relevance of Behrens means reflecting on the particular kind of modernity his approach proposed, one that was not that of a radical pioneer. There are many buildings, made in the same years as Behrens’ projects, that appear more radically modern whether in the use of new materials such as concrete and glass, in the affirmation of a new abstract language, in typological and distributive innovation, or in experimentation with new design methodologies. For example, when compared to Behrens’ Turbine Factory, the Fagus Factory (1911) by Walter Gropius and Adolf Meyer affirms values of elegant lightness thanks to its hollowed-out, fully glazed corner. Behrens’ Mannesmann administrative building in Düsseldorf (1910-12) is interesting for the rigorous and rational organization of its offices according to a strict modular logic, but it appears traditional if compared with the innovative work spaces of Frank Lloyd Wright’s Larkin Building (1903-1905). Similarly, Behrens’ apartment house in the Weissenhofsiedlung (Weissenhof Estate) in Stuttgart (1927) pales as a case of typological innovation when compared with the revolutionary flexible plans proposed by Le Corbusier and Mies van der Rohe. 46 La Rivista di Engramma 164 aprile 2019
Rather than focusing us on radical innovation, the modernity of Behrens that most interests us today places the issues of form and space at the center of our attention. Several recent critical studies have been dedicated to this observation, in particular, a series of essays collected in the book Peter Behrens, Maestro di Maestri (Peter Behrens: Master of Masters, 2011). In “La giusta forma,” Silvia Malcovati proposes an interesting cross- reading of some theoretical texts by Behrens with some of the formal principles used in his architectural work. Behrens’ attention to the question of form seems to refer to the contemporary studies of Erwin Panofsky, Henri Focillon or George Kubler, though in reality, as Malcovati points out: “Behrens non conosceva [questi studi] in termini scientifici […] ma di fatto [li] praticava apertamente” (Malcovati 2011, 77; “Behrens did not know [these studies] in scientific terms [...] but as a matter of fact practiced [them] openly”). It is possible to recognize a clear evolution of Behrens’ research on form, which Malcovati interprets as: [un] passaggio dalla geometria piana a quella tridimensionale, dal problema del rivestimento a quello della costruzione dello spazio architettonico, dalla questione dell’edificio a quella della sua relazione con lo spazio urbano. a transition from plane geometry to a three-dimensional one, from the problem of the cladding to the construction of architectural space, from the question of the building to that of its relationship with the urban space (Malcovati 2011, 81). This interesting interpretation is further developed by Hartmut Frank in his essay “Dal piano allo spazio,” which opens with a quote by Fritz Hoeber: “Architecture is the rhythmic incarnation of the spirit of the time. Architecture is the sensory philosophy of space” (Hoeber 1913). These two sentences were used by Hoeber as a motto at the beginning of his study dedicated to Peter Behrens in 1913. Frank convincingly demonstrates how Hoeber’s monograph decisively marked a shift in Behrens’ position: Da artista visivo, che lavora nelle due dimensioni, ad “artista dello spazio” […] ad architetto e creatore di forma, che si è aperto alla terza dimensione e progetta in questo senso volumi architettonici e spazi interni, mobili, utensili per la casa e prodotti industriali, nonché parchi ed ensemble urbani. La Rivista di Engramma 164 aprile 2019 47
From a visual artist, who works in two dimensions, to an “artist of space” [...] to an architect and creator of form, who opened up to the third dimension and in this sense designs architectural volumes and interior spaces, furniture, household tools and industrial products, as well as parks and urban ensembles (Frank 2011, 132). Indeed, Behrens is remembered as one of the first industrial designers, able to design on all scales, dedicated to ‘giving shape’ (gestalten, in German) to objects and spaces. In this focus on the role of ‘creator of form,’ Behrens is far from any messianic or revolutionary role: he does not commit to new programs, to new contents, or to new lifestyles. He offers the image of an artist who deliberately limits the scope of his action. Is such a figure of an architect reducing his role to questions of form and space still a relevant one? The question of the lesson of Behrens returns presenting itself in terms different to when Gropius, Mies and Charles-Edouard Jeanneret (the future Le Corbusier) were his direct collaborators in the atelier of Neubabelsberg. In various testimonies, all three architects expressed their great admiration for Behrens as a master, while also acknowledging he was a ‘hateful’ person (quoted in Anderson 2011, Cohen 2011, Neumeyer 2011). The young Le Corbusier called him “the bear Behrens” (Cohen 2011), describing him in a letter to his parents as: Un colosso, grande statura. Autocrate terribile, regime di terrorismo. Manifestazioni di brutalità. Tutto sommato, un tipo. Che io ammiro, del resto. Il mio masochismo si esalta a subire il morso, quando il capo ha questa levatura. A giant, large stature. Terrible autocrat, regime of terrorism. Demonstrations of brutality. All in all, a type. Which I admire, moreover. My masochism is exalted to undergo the bite, when the boss has this stature (Letter dated November 11, 1910, as quoted in Cohen 2011, 110). In another letter to his parents dated several weeks later, Le Corbusier highlights his profound frustration: “Avevo sperato in un contatto frequente e fecondo con Behrens. Ma questo uomo è un orso malato perché scorbutico, collerico senza ragione, ed è così dalla mattina alla 48 La Rivista di Engramma 164 aprile 2019
sera”(“I had hoped for frequent and fruitful contact with Behrens. But this man is a sick bear because he is grumpy, angry with no reason, and he is like this from morning to night”, letter dated November 25, 1910 as quoted in Cohen 2011, 111). In a 1961 interview with Peter Carter given many years after his collaboration with Behrens, Mies van der Rohe acknowledged that he owed the ‘master’ his way of conceiving “sense of form”: “Peter Behrens aveva un formidabile senso della forma. Era il suo più importante interesse, e da lui ho imparato a conoscere e capire questo senso della forma” (“Peter Behrens had a formidable sense of form. It was his most important interest, and from him I learned to know and understand this sense of form”, Carter 1961, 240, as quoted in Neumeyer 2011, 124). In an insightful essay written in 1960, Vittorio Gregotti already asked himself the question: Che cosa ci ripromettiamo dalla nostra ricerca (che insegnamento per l’oggi, voglio dire) quando studiamo una figura come quella di Behrens tentando di portarne alla luce tutti gli aspetti anche i meno coerenti, anche i più contradditori? What do we promise ourselves from our research (which lesson for today, I mean) when we study a figure like Behrens trying to bring to light all the aspects, even the least coherent, even the most contradictory? (Gregotti 1960, 8). Taking an interest in “all the aspects” of Behrens is, in fact, a fundamental key to understanding his continued relevance and legacy. As a ‘total artist,’ Behrens demonstrated the unique ability to work as a painter, graphic designer, typographer, architect, industrial designer, but also as an urban planner and landscape architect. Faced with the dramatic and urgent issues concerning the survival of the planet, architects and designers today are called to act in radically changed conditions: does it make sense to cite Behrens as a possible model? It is less the model of the “total artist” capable of practising a multi-faceted activity in isolation, that is important to contemporary architecture. It is instead the lesson of a multidisciplinary and open approach to “giving La Rivista di Engramma 164 aprile 2019 49
shape” that can be useful to us today at a moment when we are no longer tied to the figure of the individual author, but are instead focused on the creative engine of group work and collective action. Bibliography Anderson 2000 S. Anderson, Peter Behrens and a New Architecture for the 20th Century, Cambridge MA 2000. Anderson 2011 S. Anderson, Riflessioni su Peter Behrens. Interviste con Ludwig Mies van der Rohe e Walter Gropius, in Malcovati, Moro 2011, 101-108. Carter 1961 P. Carter, Mies van der Rohe. Auszugsweise Wiedergabe des Interviews, “Bauen und Wohnen”, 16 (1961), 229-45. Cohen 2011 J-L. Cohen, Le Corbusier di fronte all’“orso Behrens”, in Malcovati, Moro 2011, 109-116. Frank 2011 H. Frank, Dal piano allo spazio, in Malcovati, Moro 2011, 131-142. Giedion 19492 S. Giedion, Space, Time and Architecture, 2nd ed., Cambridge MA 1949. Gregotti 1960 V. Gregotti, Peter Behrens 1868-1940, “Casabella-continuità” 240 (1960), 5-8. Hitchcock 1960 H-R. Hitchcock, Peter Behrens, in Encyclopedia of World Art, New York 1960, 2: col. 413. Hoeber 1913 F. Hoeber, Peter Behrens, München 1913. Malcovati, Moro 2011 S. Malcovati, A. Moro (eds), P. Behrens maestro di maestri, Milano 2011. Malcovati 2011 S. Malcovati, La giusta forma, in Malcovati, Moro 2011, 77-84. Meyer 1940 P. Meyer, Architektur als Ausdruck der Gewalt, “Das Werk”, 27 (1940), 160-164. 50 La Rivista di Engramma 164 aprile 2019
Neumeyer 2011 F. Neumeyer, Peter Behrens, Mies van der Rohe e la “grande forma”, in Malcovati, Moro 2011, 117-129. Pevsner [1936] 1960 N. Pevsner, Pioneers of Modern Design [1936], Harmondsworth 1960. Richards [1940] 1953 J.M. Richards, An Introduction to Modern Architecture, Harmondsworth 1953. Abstract Does it make sense to cite Behrens as a possible model, today? What can we learn from him? Through the analysis of past and recent interpretations of his work in all its aspects, from Pevsner to Richards, from Giedion and Hitchcock to Meyer, from Gregotti to Cohen, Anderson, Frank and Malcovati, this essay aims at focusing on Behrens' relationship with issues like Modernity, Form, Shape and suggests that the lesson of a multidisciplinary approach to "giving shape" is the most useful one in an age, like ours, of group work and collective action. La Rivista di Engramma 164 aprile 2019 51
! la rivista di engramma aprile 2019 164 • Peter Behrens educatore e Gestalter del XX secolo Editoriale Giacomo Calandra di Roccolino, Christian Toson Behrens als Erzieher. Einführung zum Colloquium im Warburg-Haus Hamburg am 13. April 2018 Hartmut Frank Sull’attualità di Peter Behrens | On the Continued Relevance of Peter Behrens Pierre-Alain Croset Theater des Lebens Marco De Michelis Collaboratori, studenti ed epigoni di Peter Behrens Giacomo Calandra di Roccolino Un incontro incisivo. Karl Schneider nell’atelier di Peter Behrens (1915-1916) Monika Isler Binz Peter Behrens alla V Triennale di Milano, 1933 Silvia Malcovati Der „Geist des Archimedes“. Die Bedeutung von Peter Behrens für die Holländische Architektur Herman van Bergeijk € 12 i.i.
Puoi anche leggere