PENSIONI INPS UN PO DI INFORMAZIONI UTILI - Associazione BPM 1865
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PENSIONI INPS UN PO DI INFORMAZIONI UTILI La Perequazione Automatica Il Trattamento minimo - Integrazione Da: “il dizionario di Pensioni Oggi.it” Pensioni 2016 La Perequazione automatica La Perequazione è l'aumento collegato all'inflazione che viene riconosciuto ai trattamenti pensionistici secondo determinate condizioni. La perequazione è il termine che identifica la rivalutazione dell'importo pensionistico legato all'inflazione. In pratica si tratta di un meccanismo attraverso il quale l'importo delle prestazioni medesime viene adeguato all'aumento del costo della vita come indicati dall'Istat. Il fine che la legge intende perseguire è quello di proteggere il potere d'acquisto del trattamento previdenziale pensionistico qualsiasi esso sia. In questi ultimi anni le modalità di erogazione della rivalutazione sono state più volte riviste dal legislatore per esigenze endemiche di contenimento della spesa pubblica sino a generare molta confusione. Cerchiamo dunque un attimo di fare chiarezza. Sino al 31 Dicembre 2011. Prima della Riforma Fornero la perequazione era suddivisa in tre fasce all'interno del trattamento pensionistico complessivo e l'adeguamento veniva concesso in misura piena, cioè al 100% per le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo; scendeva al 90% per le fasce di importo comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo; e ancora calava al 75% per i trattamenti superiori a cinque volte il minimo. Dal 1° gennaio 2012. Con il Decreto legge 201/2011 è stato invece disposto il blocco dell'indicizzazione nei confronti delle pensioni che erano di importo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps. Le pensioni di importo inferiore sono state invece adeguate pienamente all'inflazione (+ 2,7% nel 2012 e + 3% nel 2013). Le regole Attuali. Dal 1° gennaio 2014, la legge 147/2013, ha introdotto un sistema di rivalutazione suddiviso in cinque scaglioni. Per le pensioni di importo fino a tre volte il trattamento minimo l'adeguamento avviene in misura piena (100%); per le pensioni di importo superiore e sino a quattro volte il trattamento minimo viene riconosciuto il 95% dell'adeguamento; per quelle di importo superiore e sino a cinque volte il minimo l'adeguamento è pari al 75%; adeguamento che scende al 50 % per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il minimo e al 45% per i trattamenti superiori a 6 volte il trattamento minimo Inps. 1
Su queste norme si è di recente inserita la Sentenza della Corte Costituzionale 70/2015 con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale il blocco biennale previsto dalla Legge Fornero sui trattamenti superiori a 3 volte il minimo. Per accogliere la censura della Corte l'esecutivo è intervenuto con il decreto legge 65/2015, un provvedimento che tuttavia garantisce una rivalutazione parziale e retroattiva ai trattamenti ricompresi tra 3 e 6 volte il minimo Per una visione d'insieme degli effetti sugli assegni pensionistici prodotti dalle Riforme degli ultimi anni si rimanda alla seguente tabella: il "blocco" disposto con il Dl 201/2011, seppur attenuato dal recente provvedimento governativo, ha comunque prodotto un effetto negativo strutturale in danno di tutti i trattamenti superiori a tre volte il minimo Inps. 2
Il Trattamento minimo - Integrazione L'integrazione al trattamento minimo scatta quando il pensionato con i suoi contributi avrebbe diritto ad un importo pensionistico inferiore al minimo di sopravvivenza stabilito dalla legge. L'integrazione al trattamento minimo è un istituto introdotto dall'articolo 6 della legge 638/1983 che tutela i pensionati, al di sotto di un determinato livello di reddito, il cui assegno pensionistico non sia sufficiente a garantire una vita dignitosa. Qualora l'assegno sia al di sotto di un determinato importo fissato annualmente dalla legge il pensionato può avere diritto ad una integrazione. In altri termini il trattamento minimo è un’integrazione che lo Stato, tramite l’INPS, corrisponde al pensionato quando la pensione, derivante dal calcolo dei contributi versati, è di importo molto basso, al di sotto di quello che viene considerato il “minimo vitale”. In tal caso l’importo della pensione spettante viene aumentato (“integrato”) fino a raggiungere una cifra stabilita di anno in anno dalla legge. Il trattamento minimo per l'anno 2015 è fissato in 502,39 euro. Per cui le prestazioni a carattere previdenziale al di sotto di tale soglia possono essere oggetto di una integrazione al minimo. I Requisiti - Per ottenere l'integrazione al minimo il soggetto deve soddisfare determinati requisiti di reddito in quanto non tutte le prestazioni al di sotto della soglia limite possono essere integrate. Vediamoli. I limiti di reddito individuali - Se il soggetto non è coniugato, ovvero coniugato con persona legalmente ed effettivamente separata, il limite di reddito definito in via previsionale per il 2015 per il diritto alla totale integrazione è pari a 6.531,07 euro; mentre l'integrazione parziale può essere concessa oltre la predetta cifra e sino a 13.062,14 euro (cioè due volte il trattamento minimo dell'anno in questione). Oltre tale cifra è esclusa l'integrazione. Ad esempio un pensionato che ha un reddito annuo di 5mila euro ed una pensione di 150 euro potrà contare sull'assegno pieno, pari a 502 euro al mese; se ha un reddito invece di 10mila euro potrà ottenere solo un'integrazione parziale dell'assegno pari a 235 euro al mese (13.062 € - 10.000 € / 13) e raggiungerà un assegno di 385 euro al mese. Nessuna integrazione sarà riconosciuta se il pensionato avesse 14mila euro di reddito annuo. Limiti di reddito coniugali - Se il soggetto è coniugato con persona non legalmente ed effettivamente separata, la questione si complica. E non di poco. Se la pensione ha avuto decorrenza prima del 1994 i redditi coniugali sono del tutto irrilevanti e pertanto non entrano in considerazione. Se la pensione ha 3
decorrenza nell'anno 1994 o dopo tale data l'integrazione è concessa a condizione che risultino soddisfatti entrambi i seguenti requisiti: 1) il beneficiario non superi i 13.062,14 euro di reddito individuale; 2) i redditi coniugali non superino 4 volte il trattamento minimo nell'anno di riferimento pari cioè per il 2014 a 26.124,28 euro (32.655,35 euro, pari a 5 volte il trattamento minimo nell'anno di riferimento, se la pensione ha avuto decorrenza nel 1994). La legge stabilisce che l’importo spettante è quello minore risultante dal doppio confronto tra il limite massimo di reddito personale (13.062,14) e quello effettivamente conseguito e tra il limite di reddito della coppia (26.124,28) e quello conseguito. Quindi proseguendo l'esempio precedente se il pensionato avesse 10mila euro di reddito personale e 25mila di reddito coniugale costui avrebbe diritto ad un'integrazione di soli 86 euro (26.124 € - 25.000 € / 13). Nessuna integrazione spetterebbe invece qualora i redditi coniugali fossero ad esempio pari a 30mila euro (ovviamente considerando una pensione liquidata post 1994). I redditi. L'integrazione al minimo è, come si è visto, strettamente legata ai redditi del pensionato e della coppia. Bisogna quindi valutare tutti i redditi personali e di quelli del coniuge con la sola eccezione: dei redditi esenti da Irpef (pensioni di guerra, rendite Inail, pensioni degli invalidi civili, i trattamenti di famiglia, Trattamento di fine rapporto, eccetera); la pensione da integrare al minimo; il reddito della casa di abitazione; gli arretrati soggetti a tassazione separata. Qualsiasi altro reddito entra nella valutazione. La Cristallizzazione del rateo. Ai sensi dell'articolo 6, comma 7 della legge 638/1983 l'importo del rateo integrato erogato alla data della cessazione del diritto all'integrazione viene conservato sino al suo superamento per effetto dell'applicazione delle disposizioni riguardanti la perequazione automatica delle pensioni. In altri termini se il pensionato perde il beneficio dell'integrazione al minimo (ad esempio per superamento dei vincoli di reddito) questi continuerà a vedersi corrispondere un rateo nella misura fissata al momento della cessazione del diritto all'integrazione. Prestazioni integrabili al minimo - In linea generale sono integrabili al minimo tutte le prestazioni previdenziali dirette ed indirette (pensioni ai superstiti) erogate dall'AGO, dai fondi per i lavoratori autonomi, dai fondi esclusivi e sostitutivi della medesima ad eccezione della sola pensione supplementare. Particolari condizioni interessano l'integrazione al minimo dell'assegno ordinario di invalidità nonchè i casi in cui il pensionato sia titolare di più trattamenti pensionistici. La disciplina dell’integrazione al minimo non è applicabile alle pensioni liquidate esclusivamente con le regole del sistema contributivo cioè per chi ha iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 (ciò determina la conseguenza che l'istituto non è applicabile ai lavoratori nella gestione separata). Le maggiorazioni. In questa sede, per completezza, pare utile ricordare che l'ordinamento riconosce anche ulteriori sostegni nei confronti delle pensioni di importo molto basso oltre all'integrazione al minimo. Da un lato ci sono infatti le cd. maggiorazioni sociali che possono portare una quota aggiuntiva pari a 25,83 euro al mese per coloro che hanno dai 60 ai 64 anni, 82,64 euro per chi ha un’età che si colloca tra 65 e i 69 anni. In favore degli ultra 70enni c'è poi la possibilità di ottenere un ulteriore incremento delle predette maggiorazioni affinché l'assegno in pagamento ragguagli il cd. Milione delle vecchie lire, oggi circa 640 euro al mese, (si veda la tavola per un approfondimento). 4
Oltre alle maggiorazioni sulla pensione può essere attribuito l'importo aggiuntivo (pari a 154,94 € annui pagati con la mensilità di dicembre) e la cosiddetta quattordicesima istituita dal Governo Prodi dal 2007 in favore dei pensionati ultra 64enni che può portare dai 336 ai 504 € annui. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Pensioni 2016 Aumenti per importi medi Assegno più leggero per chi incassa fino a 3 volte il minimo o oltre 6 volte Nonostante il tasso di rivalutazione provvisorio da applicare alle pensioni nel 2016 sia zero, l’anno prossimo gli assegni compresi tra tre e sei volte il minimo cresceranno, seppur di poco, per effetto della sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco della perequazione nel 2012-2013. Chi sta sotto tre volte il minimo o sopra i sei, invece, sarà chiamato a restituire la differenza tra quanto incassato provvisoriamente nel 2015 e il valore definitivo. Inoltre, poiché l’assegno del 2016 sarà uguale a quello definitivo del 2015, e quindi più basso di quello attuale, l’anno prossimo avrà una pensione più leggera. Il decreto 19 novembre 2015 del ministero dell’Economia e delle Finanze ha stabilito che il tasso provvisorio di rivalutazione per il 2016 sia zero, e quello definitivo da applicare al 2015 sia 0,2% invece del provvisorio 0,3 per cento. Di conseguenza, sulla rata di gennaio 2016 saranno recuperate le somme erogate in eccesso quest’anno. In particolare, per un lavoratore che godeva nel 2012 di un assegno di 1.500 euro, nel corso del 2015 per effetto degli arretrati erogati in forza del decreto legge 65/2015, l’importo è stato adeguato a 1.526,94 riconoscendo altresì la somma a copertura del periodo gennaio-luglio 2015 (pari a 48,58 euro). A causa del tasso definitivo inferiore rispetto a quello stimato, l’assegno mensile si sarebbe dovuto fermare a 1.525,49 euro. Pertanto dovranno essere recuperati 18,85 euro relativi all’intero anno che sta per concludersi. Tuttavia il meccanismo stabilito nel Dl 65/2015 – che ha recepito gli effetti della sentenza 70/2015 di incostituzionalità dell’articolo della riforma Monti-Fornero che aveva bloccato l’indicizzazione per i trattamenti pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo – è complesso. 5
Infatti per il 2016 riconosce, per gli importi compresi tra tre e quattro volte il trattamento minimo ai fini del cosiddetto “trascinamento” il 50% del 40% dell’inflazione definitiva registrata negli anni 2011 e 2012. Poi, per gli anni seguenti, per effetto della legge di Stabilità 2014 (governo Letta) la perequazione viene riconosciuta nella misura del 95% della variazione registrata dall’Istat. In pratica, al fine di determinare l’importo dell’assegno pensionistico spettante per il 2016, occorre rideterminare il valore della pensione partendo dal valore definitivo in godimento alla fine del 2011. Da tale procedimento arzigogolato (volendo usare un eufemismo) l’importo sarà adeguato a 1.535,93 euro. Pertanto nel mese di gennaio tale valore subirà una decurtazione pari alla maggiore perequazione riconosciuta in più nel 2015 (appunto 18,85 euro) mentre dal mese di febbraio tornerà al suo valore “intero”. Gli incrementi rispetto all’anno in corso, comunque, sono molto contenuti e soprattutto sono più consistenti per chi sta nella fascia tra 3 e 4 volte il minimo, e diminuiscono per gli importi più alti, perché il meccanismo contenuto nel Dl 65/2015 penalizza gli assegni più ricchi. Da questo complesso procedimento sono salvi gli assegni di importo superiore a sei volte il trattamento minimo (circa 3.011 euro lordi mensili valore definitivo 2015) poiché non toccati dal Dl 65/2015, ma, al pari di quelli sotto tre volte il minimo, dovranno fare i conti con il recupero della differenza tra perequazione provvisoria e definitiva del 2015. In altre parole, l’anno prossimo l’assegno sarà più leggero di quello attuale e inoltre a gennaio ci sarà il 6
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