Pasqua Bbefanìa tutte le feste se porta via Donatella Cerulli - ARCA

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Pasqua Bbefanìa tutte le feste se porta via Donatella Cerulli - ARCA
CURIOSITÀ ROMANE

                  Pasqua Bbefanìa
                     tutte le feste se porta via

                                    Donatella Cerulli

A Roma la Befana ha una tradizione antica e radicata: una festività particolarmente
sentita che, nonostante la sleale concorrenza dello “straniero” Santa Claus o Babbo
Natale che dir si voglia, ancora oggi è molto amata dai romani, seconda soltanto al
Natale.
Dal punto di vista storico la “moderna” Befana romana si diffuse nei primi anni
dell’Ottocento quando, come testimoniano scrittori dell’epoca, i romani, grandi e
piccini, si recavano a frotte a Piazza «Ssant’Ustacchio e ppe’ le strade de lli intorno. In
mezzo a ppiazza de li Caprettari1 ce se faceva un gran casotto co’ ttutte bbottegucce
uperte intorno intorno, indove ce se vennévano un sacco de ggiocarèlli, che èra una
bbellezza. Certi Pupazzari, mettevano fòra certe bbefane accusì vvere e bbrutte…».2
Il Belli, a sua volta, in tre caustici sonetti dedicati a quella che una volta a Roma si
chiamava Pasqua Bbefania (dall'uso di definire “Pasqua” tutte le più antiche festività),
denuncia il rincaro dei prezzi di doni e regali, per poi svendere tutto a fine festa :

                                            A cchiunque m'accosto oggi me bbolla.
                                            …d’un artarino… oggi che ne chiedeveno?
                                            Otto ggnocchi;
                                            e dd’una pupazzaccia un ber zecchino.
                                            …ma cquanno sémo ar chiude er butteghino,
                                            la robba ve la dànno pe bbajocchi.

                                            In campagna, invece, la Pasqua Bbefania si
                                            festeggiava al suono di organetti e di
                                            tradizionali canti augurali, la Pasquarella,
                                            intonati da gruppi di uomini, i Pasquarellari,
Pasqua Bbefanìa tutte le feste se porta via Donatella Cerulli - ARCA
che giravano di casa in casa accolti con bicchieri di vino, uova, salsicce e uva secca.
Dopo il 1872, i festeggiamenti cittadini furono spostati nell’adiacente Piazza Navona
che divenne il principale mercato romano di Natale e dove, fino a poco tempo fa, era
tradizione acquistare addobbi natalizi, statuine e casette per rinnovare e arricchire i
presepi casalinghi e anche presepi belli e pronti, giocattoli e regali, calze e scopine,
dolci e carbone fra giostre, bancarelle e luminarie in un clima di allegra “caciara”.
Purtroppo, oggi, la gioiosa atmosfera di Piazza Navona è svaporata fra scandali e
sequestri, ma per i romani la festa della Befana continua ad essere un evento molto
sentito, anche perché sanno bene che

Pasqua Bbefanìa
tutte le feste se porta via…

Tanta consolidata tradizione ha le sue ragioni d’essere nelle origini stesse della
Befana3, un personaggio mitico, personificazione della cristiana festività dell’Epifania 4,
che affonda le sue radici nei riti propiziatori della fertilità celebrati al solstizio
d’inverno nel paganesimo dell’antica Roma: un momento di rinnovamento e un nuovo
inizio sancito dalla rinascita del Sole che torna a trionfare sulle tenebre. I Romani,
durante i dodici giorni5 dopo il solstizio d’inverno (Natalis Solis Invicti) festeggiavano
diverse divinità femminili, propiziatrici di benessere e prosperità. I nostri antenati
credevano che in quelle dodici notte le dee si manifestavano volando sui campi
coltivati per propiziarne la fertilità. E così, vedevano svolazzare Abundantia,
protettrice dell’agricoltura, Satia, dea della sazietà, Diana, dea della caccia e della
vegetazione, e Strenia, che presiedeva ai doni per il nuovo anno.

                               Alle calende di gennaio le sacerdotesse di Vesta
                               recidevano rami di alloro nel bosco sacro alla dea Strenia
                               e con essi ornavano le colonne del tempio. In questo
                               giorno era di buon auspicio mangiare fichi secchi, datteri,
                               miele e dolci a base di farina di ghiande, l’arcaico cibo
                               spontaneo prima dell’introduzione del farro e del grano.
                               Con questa farina i romani facevano dei dolci di
                               marzapane a forma di pupazze con tre seni6 in onore di
                               Diana-Artemide, la dea rappresentata con tante mammelle
                               e dunque legata prettamente al significato di maternità,
                               fertilità e abbondanza, e perché la quercia era l’albero
                               sacro della Grande Madre prima che passasse a Giove.
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Il culto di Strenia era dunque molto diffuso, specie nelle campagne, e il Cristianesimo
non riuscì mai a sradicarlo del tutto. Il dodicesimo giorno dopo il Natalis Solis
(divenuto il Natale di Gesù), per mascherare la festa pagana, diventò l’Epifania, e
Strenia divenne Strina, ovvero una strega dalle fattezze grottesche, seppure benevola,
che volava su una scopa: la Befana, festeggiata il 6 gennaio, giorno della Manifestazione
di Gesù. In quanto alla scopa su cui vola Strina-Befana, questo suo mezzo di
locomozione si spiega con l’usanza nell’antica Roma, tra la fine e l’inizio dell’anno, di
porre sulla porta di casa una scopa7 a protezione dagli spiriti maligni…

                       La Pupazza Frascatana
                       Ricetta tradizionale

Ingredienti per 5-6 Pupazze da 25 cm
500 grammi di miele di acacia                                               farina 00 q.b.
250 ml di olio di oliva                                              chicchi di grano
1/2 cucchiaino di aroma d’arancio o di estratto di vaniglia

Tempo di preparazione: 30 minuti

Procedimento
Versare il miele in una pentola e amalgamarlo con l’olio di oliva a fuoco molto basso, meglio se
a bagnomaria.
Togliere dal fuoco e aggiungere l’aroma di arancio o la vaniglia e lentamente la farina.
Mescolare fino ad ottenere un composto sufficientemente duro da lavorare con le mani.
Versare l’impasto sulla spianatoia e con il mattarello ottenere uno strato non troppo sottile.
Con uno stampino o a mano delineare la sagoma di una pupazza.
Aggiungere i tre seni creando tre palline e utilizzare i semi di grano per gli occhi e la bocca.
Con una forchetta o un coltello disegnare i particolari: la gonna, i capelli, le mani…
Cuocere in forno a 150°-160° su carta forno per circa 10 minuti o fin quando non diventa
dorata.
Sfornare, lasciar riposare le pupazze a temperatura ambiente, quindi servirle fredde.
Attenzione: estratte dal forno le pupazze sono ancora morbide, poi si induriscono, ma si
ammorbidiscono di nuovo a contatto con l’esterno.

Pe mantenerle croccanti, conservarle in sacchetti di carta o in contenitori ermetici o in scatole
per biscotti per 6-7 giorni.
La Befana del Pizzardone
                                                         Ancora nella seconda metà del secolo
                                                         scorso il 6 gennaio, intorno alla
                                                         pedana da cui dirigevano il traffico
                                                         i vigili urbani, si accatastavano
                                                         panettoni, spumanti, giocattoli e
                                                         regali donati da aziende e cittadini
                                                         agli amati-odiati Pizzardoni,
                                                         dimenticando per un giorno
                                                         fischietti, multe e verbali…
                                                         Il termine romanesco “pizzardone”,
                                                         affibbiato ai capitolini vigili urbani,
                                                         nasce nell’Ottocento, quando le
                                                         guardie municipali portavano la
                                                         pizzarda, un cappello a due punte
(pizzi). Nel tempo il copricapo è cambiato, i vigili non ricevono più doni alla Befana, ma i
Pizzardoni sono ancora una tradizionale figura romana, un vero mito celebrato dalla
cinematografia internazionale: To Rome with Love di Woody Allen, Guardia, guardia scelta,
brigadiere e maresciallo di Mauro Bolognini e su tutti Il Vigile Otello Celletti interpretato nel
1960 da Alberto Sordi.

                Note

                1 La Piazza deve il nome ai venditori ambulanti di capretti e abbacchi che qui
                si stabilirono all'inizio del Seicento. Non si servivano di bancarelle, ma
                riponevano le carni in due grandi ceste appese sul dorso di un asino.
                2 Giggi Zanazzo, Curiosità romane.
                3 Il nome Befana deriva dalla volgarizzazione, attraverso i secoli, del termine

                greco Epifania divenuto nel tempo Bifania e Befania.
                4 Il termine greco Epifania letteralmente significa “Manifestazione” e la Chiesa

                cristiana celebra il 6 gennaio la “Manifestazione” di Gesù al mondo attraverso
                l’episodio della visita dei Re Magi.
                5 I dodici giorni rappresentavano i dodici mesi dell’anno. Quasi certamente,

                prima della riforma del calendario giuliano (che portò l’antico anno romuleo
                di dieci mesi a quello attuale) i giorni computati dopo il Solstizio d’inverno
                erano dieci.
                 6 Ancora oggi la “Pupazza Frascatana”, un caratteristico dolce squisitamente

                natalizio a forma di procace bambolina (“pupazza” in romano), fa bella mostra
                dei suoi tre seni nudi in tutti i forni e le pasticcerie di Frascati.
                7 La scopa è un simbolo apotropaico (dal gr. apotropao, “allontanare”): come

                spazza via lo sporco, così scaccia, allontana il male.
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