NUOVO ELENCO 2014 - I PEGGIORI INQUINATORI A LIVELLO MONDIALE

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NUOVO ELENCO 2014 - I PEGGIORI INQUINATORI A LIVELLO MONDIALE
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COMUNICATO STAMPA –

NUOVO ELENCO 2014 - I PEGGIORI INQUINATORI A LIVELLO
MONDIALE
Più del 70% del tonnellaggio mondiale derivante dallo
smantellamento navale inquina il subcontinente indiano e mette a
rischio la vita dei lavoratori.
I dati concernenti l’anno 2014 può essere scaricati cliccando sul seguente link:
>> http://www.shipbreakingplatform.org/press-release-new-list-of-global-dumpers-is-out-2

Bruxelles, 26 gennaio 2015 – La NGO Shipbreaking Platform, una coalizione di organizzazioni
internazionali che si occupano di prevenire danni ambientali e sociali derivanti dalle pericolose
attività di smantellamento navale a livello globale, pubblica oggi una lista completa di tutte le
imbarcazioni, appartenenti a diverse compagnie navali, riciclate nell’anno 2014 in tutte le parti del
mondo. Su un totale di 1.026 navi smantellate a livello globale nel 2014, 641 - che rappresentano il
74% del tonnellaggio lordo totale (GT) riciclato- sono state vendute a inadeguate strutture in India,
Pakistan e Bangladesh, ove gli scheletri metallici delle vecchie navi sono smontati direttamente sulle
zone intertidali [1]. In Asia Meridionale, nessun cantiere che effettua demolizioni rispetta le norme
internazionali in materia di sicurezza sul lavoro e di protezione ambientale, create ad hoc per
l’industria di smantellamento navale [2]. Le vecchie imbarcazioni contengono, all’interno delle loro
strutture, materiali altamente tossici quali amianto, metalli pesanti, policlorobifenili, residui di olio
combustibile e rifiuti organici [3] – queste sostanze inquinanti non possono essere adeguatamente
contenute o rimosse senza rischi nei piani mesolitorali. Lo smembramento dell’ossatura delle navi è
un’operazione pericolosa che dovrebbe essere svolta utilizzando specifiche tecnologie (es. gru) e
rispettando le rilevanti disposizioni in materia di salute e sicurezza – nel solo 2014, la Platform ha
segnalato 23 morti e 66 gravi ferimenti sulle spiagge asiatiche meridionali a causa d’incidenti quali
esplosioni, cadute e crolli di enormi lastre di metallo.
“L’Asia meridionale è ancora il luogo preferito da numerosi armatori per abbandonare rifiuti tossici e
non tossici, giacché si tratta di un contesto ove gli standard ambientali e sociali sono ignorati senza
conseguenze” afferma Patrizia Heidegger, Executive Director della NGO Shipbreaking Platform. “Le
compagnie navali vendono le proprie imbarcazioni a siti di smantellamento operanti sulle spiagge al
fine di ottenere un profitto maggiore rispetto a quello che sarebbe loro garantito se decidessero di
concludere affari con moderne strutture di demolizione. È una vergogna per l’intera industria navale il
fatto che cosi tanti armatori scelgono ancora di ignorare la realtà dei fatti in India, Pakistan e
Bangladesh; essi si rifiutano di assumere qualsiasi tipo di responsabilità e pretendere, o almeno
supportare, un riciclaggio navale pulito e sicuro”

La compagnia tedesca Ernst Komrowski è il maggiore “dumper” a livello mondiale con 14 navi
vendute a siti di smantellamento situati sulle spiagge asiatiche meridionali – tutte le imbarcazioni
facevano in precedenza parte della flotta Maersk e sono state oggetto di un contratto di locazione
charter a lungo termine con il gigante danese, che, al contrario di Komrowski, ha una politica interna
precisa e rigorosa per il riciclo delle proprie navi . Al secondo posto si trova Hanjing Shipping,
compagnia navale sud-coreana, con 11 imbarcazioni. Avendo la propria sede in un Paese leader nel
mercato della costruzione navale ed avendo un profilo aziendale molto forte dal punto di vista del
rispetto dell’ambiente, Hanjing dovrebbe essere al corrente dell’importanza ai giorni nostri di uno
smantellamento sicuro e pulito. Tuttavia, il colosso coreano pare ancora orientato a preferire un alto
profitto economico a spese delle persone e dell’ecosistema. Al terzo posto vi è la svizzera
Mediterranean Shipping Company (MSC), il secondo più grande operatore di navi container al
mondo. Le attività di demolizione delle navi MSC hanno già causato in India la morte di sei lavoratori
nell’anno 2009, quando un incendio è scoppiato sulla MSC Jessica. Nonostante le critiche ricevute
circa la gestione della sua vecchia flotta, MSC non ha ancora sviluppato alcuna politica volta a
prevenire tali tragici incidenti. E` opportuno rilevare come le condotte di Hanjing e MSC siano in forte
contrasto con quelle di alcune compagnie concorrenti, quali Maersk and Hapag Lloyd. Queste ultime,
difatti, si sono impegnate a riciclare le proprie flotte in moderne strutture di demolizione, evitando i
siti asiatici meridionali. Il colosso petrolifero brasiliano Petrobras si trova al quarto posto con 6 navi
inviate nel subcontinente indiano. Si tratta della più grossa compagnia dell’America Latina, che,
differentemente rispetto alle maggiori aziende coinvolte nel business del gas e petrolio, si rifiuta di
smantellare le petroliere dismesse in maniera conforme alla legge.

Komrowski, Hanjing, MSC e Petrobras sono seguite da un insieme d’imprese di navigazione che
hanno inviato, cadauna, 5 navi sulle spiagge asiatiche meridionali. Tra queste si trovano “famosi”
inquinatori quali Conti, compagnia tedesca che offre investimenti privati nell’industria navale, le
imprese greche G-Bulk e Danaos e l’italiana Ignazio Messina. Anche la statunitense TBS International,
la Pacific International di Singapore e la taiwanese Yang Ming hanno venduto lo stesso numero
d’imbarcazioni a siti di riciclaggio nel subcontinente indiano.

Nel 2014, la Platform, dopo aver indagato su quali navi sono occorsi incidenti, ha informato delle
morti e dei ferimenti i rispettivi armatori, i quali avevano irresponsabilmente venduto imbarcazioni a
siti di demolizione non conformi agli standard nazionali ed internazionali. La maggior parte delle
compagnie, quali la tedesca Johann M.K. Blumenthal e la Neptune Orient Lines (NOL) con sede a
Singapore, hanno ignorato la Platform, dimostrando la mancanza di senso di responsabilità. Tuttavia
occorre rimarcare il lodevole atteggiamento della norvegese Teekay, che ha espresso la propria
gratitudine per aver portato alla luce l’esplosione, a causa della quale alcuni lavoratori sono rimasti
gravemente infortunati, avvenuta a bordo di una petroliera Teekay adagiata sulle spiagge di
Chittagong, in Bangladesh. A seguito di uno scambio d’informazioni e opinioni, l’impresa ha deciso di
applicare internamente standard più elevati relativi alla scelta della destinazione finale delle
imbarcazioni dismesse.

 “È giunto il momento per i leader del settore navale di preferire un riciclaggio pulito e sicuro” afferma
Patrizia Heidegger. “Ogni singolo armatore può fare la differenza: invece di usufruire dei servizi
d’intermediari, vendendo per esempio la propria nave a cash-buyers, e perdere di conseguenza il
controllo sul destino della stessa, le compagnie di navigazione possono dialogare con esperti in
demolizione e negoziare le operazioni direttamente con moderne strutture di riciclaggio. L’adozione di
una policy aziendale dedicata esclusivamente allo smantellamento navale da parte di armatori quali
Teekay e Hapag Lloyd dimostra che le compagnie hanno la possibilità di fare scelte alternative”, rileva
Heidegger.

La Platform è in grado di consigliare gli armatori circa I passi da compiere per adottare un’adeguata
politica aziendale volta alla demolizione sicura e pulita delle flotte. Al momento, 13 tra le più
importanti compagnie smantellano, in armonia con gli standard internazionali, le proprie
imbarcazioni off-the-beach, in siti alternativi a quelli asiatici meridionali, seguendo le linee guida
offerte dalla NGO.

A livello nazionale, tra i Paesi che ogni anno contribuiscono all’inquinamento del subcontinente
indiano, vi è l’Italia. Da sempre attiva nel settore marittimo, vista la posizione strategica ricoperta
dalla penisola, l’Italia è sede di numerose compagnie di navigazione. Queste hanno l’esigenza,
specialmente negli ultimi anni, di affrontare il problema dello smantellamento, dal momento che
numerose imbarcazioni sono oramai giunte alla fine del ciclo di vita. Nel 2014, 11 navi, appartenenti
ad armatori italiani, sono state smantellate nel mondo. Di queste, ben 8 sono state arenate per
essere smembrate sulle spiagge asiatiche meridionali, per la precisione in India e Bangladesh. Ignazio
Messina & C. S.p.A. può essere considerata una delle peggiori compagnie degli ultimi anni da un
punto di vista di responsabilità sociale ed ambientale. Nel solo 2014, ha inviato 5 imbarcazioni (4 in
India e 1 in Bangladesh) nell’Asia del Sud. Negli ultimi tre anni, ha fatto demolire in strutture non
adeguate 12 unità della propria flotta, violando normative internazionali e nazionali. Un altro
armatore irresponsabile è Vittorio Bogazzi & Figli S.p.A., che, nonostante abbia rottamato una sola
nave in India nel 2014, ha inquinato le aree costiere di Alang (India) e Chittagong (Bangladesh) con 12
imbarcazioni nell’ultimo triennio. 1 nave, invece, è stata inviata in India da Grimaldi Group Napoli, il
quale negli ultimi quattro anni ha inviato nel subcontinente indiano 5 imbarcazioni. Grimaldi merita
attenzione per la particolarità della politica interna adottata. Difatti, il Gruppo ha anche fatto
demolire nel 2014 un’unità presso una delle strutture turche di Aliaga, area che garantisce una
maggiore protezione dell’ambiente e dei lavoratori viste le moderne tecniche adottate. Ci si chiede
pertanto quale sia il motivo per cui Grimaldi non decida di optare, essendo a conoscenza delle
differenze tra i metodi di demolizioni adottati in Asia del Sud e quelli europei, per uno
smantellamento pulito e sicuro per tutte le proprie imbarcazioni. Infine, merita di essere menzionata
la new entry Premuda S.p.a., pressoché inattiva nello smantellamento navale nell’ultimo
quinquennio. La compagnia ha fatto demolire un’imbarcazione in Bangladesh, ove, come sopra
ricordato, nelle operazioni di smantellamento vengono impiegati anche bambini e donne. Pertanto
pare evidente come un cambio radicale di condotta sia necessario a livello nazionale, magari su input
delle autorità competenti. Vi sono senz’altro, a livello internazionale (es. Maersk, Hapag Lloyd), buoni
esempi e/o compagnie modello le cui orme possono essere seguite dagli armatori italiani
irresponsabili, sopra menzionati, al fine di contribuire alla creazione di un futuro sostenibile.

L’Unione Europea ha una particolare responsabilità ad agire, visto che il 34% del tonnellaggio lordo
derivante dallo smantellamento navale smembrato l’anno scorso nel subcontinente indiano era
europeo. Tra tutte le navi demolite nel 2014, 285 erano di proprietà di armatori europei o battevano
bandiera di uno Stato Membro. Due terzi delle imbarcazioni europee - 182, tra cui molte operanti
principalmente in acque europee – sono finite sulle spiagge asiatiche meridionali. Grandi nazioni,
colossi a livello navale, quali Grecia e Germania, si trovano in cima alla lista dei peggiori inquinatori,
avendo venduto rispettivamente 70 e 41 grosse navi a siti di smantellamento in Asia del Sud. Tali
Paesi risultano essere anche in cima alla lista degli Stati che hanno inviato le proprie flotte dismesse
quasi esclusivamente in Asia meridionale, anziché in moderne strutture “off-the-beach”. Gli armatori
ciprioti hanno venduto addirittura il 92% delle loro vecchie navi nel subcontinente indiano, le
compagnie tedesche l’87%, mentre le imprese greche il 76%. A titolo comparativo, gli armatori cinesi,
comprendenti anche quelli con sede ad Hong Kong, hanno fatto riciclare solo il 39% della flotta in
India, Bangladesh e Pakistan. La Cina è ad oggi l’unica grande nazione attiva nel settore navale che
sta cercando di aumentare la propria capacità di demolizione al fine di raggiungere una gestione
autosufficiente della propria vecchia flotta.

Nonostante il nuovo Regolamento Europeo n. 1257/2013 relativo al riciclaggio delle navi, entrato in
vigore il 30 Dicembre 2013 e vietante l’utilizzo del metodo “beaching” per la demolizione di navi
battenti bandiera europea, 41 imbarcazioni, registrate sotto le bandiere di Malta, Italia, Cipro, Regno
Unito e Grecia, hanno raggiunto le spiagge dell’Asia del Sud nel 2014. In aggiunta, 15 navi hanno
cambiato le proprie bandiere, scegliendo insegne non europee, solo alcune settimane prima di
raggiungere il subcontinente indiano. Come negli anni precedenti, specifiche bandiere di comodo
come Saint Kitts and Nevis (64 navi), Comoros (39 navi), Tuvalu (24 navi), Tanzania (20 navi) e Togo
(20 navi), che sono meno utilizzate durante il ciclo di vita operativo delle imbarcazioni, sono state
issate nel 2014 da numerose navi durante il loro ultimo viaggio verso le spiagge asiatiche meridionali.
Qualsiasi tentativo di disciplinare il riciclaggio di navi basandosi solo sulla responsabilità della nazione
di bandiera avrà inevitabilmente poco impatto visto la popolarità delle bandiere ombra.
L’introduzione di un incentivo economico volto a integrare il Regolamento rappresenta l’unica
soluzione possibile. Senza tale meccanismo, l’utilizzo di bandiere di convenienza quali Tuvalu e
Comoros è destinato ad aumentare, permettendo agli armatori di ignorare il dispositivo legislativo
nel momento in cui sara` applicabile, e continuare ad inquinare le spiagge pakistane, indiane e del
Bangladesh [4].

CONTATTI
Patrizia Heidegger
Executive Director
+32 2 609 9419
patrizia@shipbreakingplatform.org

Ingvild Jenssen
Policy Advisor
+32 2 609 9420
ingvild@shipbreakingplatform.org
NOTE
[1] Le navi sono smantellate in Bangladesh, Pakistan e India in zone intertidali; tali aree sono instabili,
viste le frequenti maree, e incapaci di sopportare il peso dell’equipaggiamento necessario a sollevare
grandi porzioni metalliche derivanti dallo smembramento delle imbarcazioni. Anche l’utilizzo di altre
attrezzature, volte alla sicurezza dei lavoratori, e l’accesso ai mezzi di soccorso per le emergenze
sono ostacolati dalla morfologia dell’ambiente costiero. Nessun Paese sviluppato consentirebbe lo
smantellamento delle navi sulle sue spiagge. La rottamazione navale può senz’altro essere svolta in
maniera sicura e pulita con l’utilizzo di tecnologie e infrastrutture adeguate, e un’applicazione
efficace delle leggi. Tuttavia, la maggior parte dei proprietari delle navi preferisce usufruire dei servizi
di cantieri che si trovano in zone in via di sviluppo, ove il profitto è notevolmente maggiore. In queste
zone, vi sono persone vulnerabili – spesso migranti, tra cui anche bambini e donne – che smantellano
sulle spiagge melmose enormi navi tossiche senza alcun tipo di protezione (es. guanti, scarpe, caschi,
maschere), venendo di conseguenza esposte ad amianto e fumi pericolosi. L’Organizzazione
Mondiale del Lavoro ha constatato che la rottamazione delle navi sulle spiagge asiatiche è tra i lavori
più pericolosi al mondo. È importante notare, però, che la tutela dell’ambiente e dei lavoratori non è
garantita nemmeno qualora le navi siano smantellate in cantieri moderni. Oltre alle tecnologie, tale
industria pericolosa richiede competenza e formazione dei lavoratori, coinvolgimento delle autorità,
trasparenza, tracciabilità dei rifiuti ed indipendenza dei sindacati. Per ulteriori informazioni, vedi la
sezione “Problems and solutions”: http://www.shipbreakingplatform.org/problems-and-solutions/

[2] Vedi “South Asia Quarterly Update”, il quale offre recenti informazioni sui siti di smantellamento
asiatici, spiegando il motivo per cui tali strutture non rispettano tanto gli standard internazionali
quanto quelli locali: http://www.shipbreakingplatform.org/newsletter-archive/

[3] Vedi la sezione “Why ships are toxic”:
http://www.shipbreakingplatform.org/problems-and-solutions/why-ships-are-toxic/

[4] Vedi la sezione “European campaign”:
http://www.shipbreakingplatform.org/european-campaign/
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