NUCLEARE? NO GRAZIE! In - risposta a Thomas Fazi di L. Mazzei

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NUCLEARE? NO GRAZIE! In - risposta a Thomas Fazi di L. Mazzei
NUCLEARE?   NO  GRAZIE!   In
risposta a Thomas Fazi di L.
Mazzei

Un’indagine impeccabile sulla questione dell’uso civile
dell’energia nucleare, una critica frontale a chi si ostina a
non capire o fa finta di farlo

L’articolo di Thomas Fazi — «Perché l’Occidente dovrebbe
diventare nucleare» — lascia sinceramente sconcertati. Se il
titolo è già un programma, il contenuto è un vero concentrato
di luoghi comuni, di superficialità, di cieca adesione alla
narrazione della lobby nucleare. Ma la cosa più sconcertante è
che l’autore non è un propagandista della casta neoliberista
al potere. Al contrario, Fazi si definisce un “sovranista di
sinistra”, ed in base ai suoi scritti che conosciamo la
definizione ci appare alquanto corretta.
E’ qui che il problema si fa più inquietante. Cosa spinge un
“sovranista di sinistra” ad assumere una posizione del genere?
Se l’articolo in questione fosse stato opera di un qualsiasi
fanatico dell’atomo, come quelli che calcano il palcoscenico
mediatico da mezzo secolo, ci sarebbe stato ben poco da dire.
Che l’abbia invece scritto uno come Fazi lascia piuttosto
interdetti.

La cosa è dunque intrigante. E una risposta è francamente
dovuta. Del resto, non si tratta di un caso isolato. Alla fine
dello scorso mese di ottobre sono stato invitato dagli amici
di Pro Italia ad un loro convegno sull’energia. In quella sede
ho rappresentato le ragioni del no al nucleare, confrontandomi
in una tavola rotonda con Fulvio Buzzi, un PhD in Ingegneria
Energetica, convinto sostenitore del sì all’energia atomica ed
amministratore della pagina Facebook L’Avvocato dell’Atomo.

Il gruppo che si raccoglie attorno a quella pagina è un club
di sfegatati sostenitori dell’energia nucleare, ma L’Avvocato
dell’Atomo è anche il titolo di un libro di Luca Romano, edito
proprio da Fazi Editore. Che dire? Il cerchio si chiude.

Benché la tavola rotonda di cui sopra sia stata integralmente
ripresa, il video non è mai stato pubblicato. Una vera
iattura, perché se invece fosse stato reso disponibile non
avrei che da rimandare a quella discussione, senza bisogno di
dover scrivere altro. In quella sede vi fu anche uno
spiacevole incidente. Sbroccando di brutto, uno dei relatori,
l’ingegnere nucleare Olivier Bessire, mi rivolse l’insolita
accusa di avere portato “troppi argomenti”.

Bene, ripartiamo allora da lì, dai tanti argomenti con i quali
i fanatici dell’atomo non vogliono proprio confrontarsi. Da
questo punto di vista l’articolo di Thomas Fazi è
assolutamente utile, proprio perché riproponendo tutti i temi
classici del nuclearismo più cieco, ci offre l’opportunità di
dimostrane l’assoluta e completa fallacia. Del resto, se il
nucleare non convince, e mai c’è riuscito in 70 anni di
storia, una ragione ci sarà…

Gli argomenti di Fazi (e di tutti gli incalliti pro nuke)

L’incipit dell’articolo non lascia spazio a dubbi:

«Da un lato, la tecnologia della fissione, sotto forma di
guerra nucleare, detiene ancora il potenziale per segnare la
fine dell’umanità; dall’altro, sotto forma di abbondante
energia nucleare priva di emissioni di carbonio, potrebbe
contenere la chiave per la sopravvivenza della civiltà».

Addirittura, la «sopravvivenza della civiltà»! Ma si può?! E’
questo un argomento trito e ritrito della propaganda pro nuke.
Da una parte vi sarebbe una forma di energia abbondante e
pulita, dall’altra una strana umanità che rifiuterebbe, chissà
il perché, di avvalersene. Il problema è che i pro nuke
proprio non riescono a spiegarsi questa contraddizione, o
meglio se la spiegano solo con la nota “ignoranza del popolo”.
Alla quale contrappongono una tecnoscienza ritenuta
evidentemente infallibile. E, peggio, ritenuta tale nonostante
i suoi ripetuti fallimenti, di cui il “popolo ignorante” si è
invece accorto. Ecco qui un primo problema per un “sovranista
di sinistra”.

Ma non c’è solo questo. A parte il fatto che affermare che le
centrali nucleari non emettono carbonio sarebbe un po’ come
dire che quelle a carbone non emettono radiazioni nucleari, ci
sono almeno altre due questioni da esaminare. In primo luogo,
considerando l’intero ciclo di vita degli impianti e del
combustibile, è certo vero che le centrali nucleari rilasciano
meno CO2 di quelle termiche, ma (secondo le stime dell’ONU)
pur sempre 3 volte di più del fotovoltaico, 13 volte di più
dell’eolico, 30 volte di più dell’idroelettrico. In secondo
luogo, ancora più importante, ma davvero vogliamo accettare
ciecamente l’interessata narrazione sul “cambiamento
climatico” che considera la CO2 come il male assoluto? Chi
scrive non la accetta affatto ed ha provato a spiegare il
perché.

Tutti pagati dai petrolieri?

Trattando del periodo d’oro dell’energia atomica (anni
sessanta-ottanta del secolo scorso), Fazi si lasciar andare –
en passant – ad un’affermazione rivelatrice assai:

«Nonostante la crescente opposizione dei gruppi ambientalisti
(spesso finanziati dall’industria petrolifera) e del pubblico
in generale, in gran parte a causa della confusione tra
l’energia nucleare e le armi nucleari nella mente di
quest’ultimo, questo periodo è stato comunque caratterizzato
da un diffuso ottimismo circa il potenziale dell’energia
nucleare per inaugurare un futuro post-fossile».

Et voilà! Le cose andavano meravigliosamente, se non fosse
stato per un’opposizione nata grazie al finanziamento dei
petrolieri! Avete capito perché è sorto il movimento
antinucleare? Mica per i primi incidenti nelle centrali
atomiche, le prime notizie (benché normalmente censurate)
delle perdite radioattive! No, solo grazie ai soldi dei
petrolieri! Ora, chi volesse adottare lo stesso modo di
ragionare dell’articolista, potrebbe tranquillamente spiegarsi
certe affermazioni pro nuke nella stessa maniera. Infatti,
come c’è una lobby del fossile, ce n’è pure una del nucleare.
E’ evidente che se si ragiona così ogni confronto serio
diventa impossibile.

Come riscrivere la storia dei disastri atomici

Ad ogni modo, dopo quell’età dell’oro, arriveranno Chernobyl e
Fukushima, due tragedie che per Fazi sono state ben poca cosa.
Dopo aver rilevato la diffusione dei timori (irrazionali, egli
dice!) suscitati da quelle vicende, ecco come le liquida:

«In realtà, l’energia nucleare ha un impressionante record di
sicurezza. Nell’intera storia pluridecennale dell’energia
nucleare civile, tra centinaia di reattori in tutto il
pianeta, ci sono stati solo due grandi incidenti in cui è
stata emessa una grande quantità di materiale radioattivo:
Chernobyl e Fukushima. A questo punto, molti ribattono che
basta un incidente per causare danni immensi. Ma Chernobyl e
Fukushima sono stati davvero così letali come pensiamo? Con
Chernobyl, 30 persone sono morte come conseguenza immediata
dell’incidente, mentre un’indagine delle Nazioni Unite quasi
20 anni dopo il disastro ha concluso che fino a 4.000 persone
potrebbero morire di cancro a causa dell’esposizione alle
radiazioni – un aumento che in termini statistici potrebbe
essere “molto difficile da rilevare”».

E ancora:

«La disconnessione tra realtà e percezione è ancora più
evidente nel caso di Fukushima. La maggior parte delle persone
probabilmente non è a conoscenza del fatto che, secondo gli
studi condotti da diverse agenzie delle Nazioni Unite, tra
cui l’Organizzazione mondiale della sanità, il numero totale
di persone uccise, sia direttamente attraverso l’elevata
esposizione alle radiazioni o probabilmente destinate a morire
in seguito a causa di tassi elevati di cancro nella
popolazione, era… zero. D’altra parte, si stima che
l’evacuazione non necessaria di centinaia di migliaia di
persone abbia causato fino a 1.600 morti, a causa di effetti
psicosociali a lungo termine sulla salute. È la paura
irrazionale dell’energia nucleare che uccide, non l’energia
nucleare stessa».

Avete capito bene: per Fazi quello di Chernobyl è stato un
incidente industriale come tanti – «la stragrande maggioranza
delle evacuazioni sull’area di Chernobyl non aveva
giustificazione alcuna» egli scrive – mentre a Fukushima
proprio non sarebbe successo nulla. Qui non si sa davvero se
ridere o se piangere. E’ evidente che i morti del nucleare non
si contano nell’immediato come quelli di un terremoto o di
un’alluvione, ma le valutazioni sull’incremento delle malattie
e dei decessi prematuri ci sono, specie su Chernobyl. Su
questa catastrofe le stime più basse (quelle dell’ONU) parlano
di 4.000 morti, altre di 60.000, per arrivare allo studio di 3
scienziati russi (autore principale il membro dell’Accademia
delle Scienze, Alexey Yablokov) che calcola in 985.000 le
morti premature dovute al rilascio radioattivo del 1986. Ora,
è chiaro che non si può sapere chi abbia ragione, ma la
superficialità e la partigianeria con la quale Fazi tratta
questi disastri lascia davvero sgomenti.

Non solo. Secondo la sua pittoresca ricostruzione dei fatti,
tanto le autorità sovietiche nel 1986, quanto quelle
nipponiche nel 2011 avrebbero preso dei granchi giganteschi.
Le evacuazioni sarebbero state non necessarie e perfino
dannose. Ma insieme a russi e giapponesi avrebbero toppato di
brutto anche tutti quei paesi (la stragrande maggioranza) che
dopo quegli incidenti decisero di fermare o comunque
ridimensionare i loro programmi nucleari.

Tutti fessi salvo i pro nuke?

Tutti fessi, salvo quelli de L’Avvocato dell’Atomo? Suvvia,
siamo seri. Negli anni settanta e ottanta, l’energia nucleare
godeva di un’ottima stampa, i suoi propagandisti erano sempre
in televisione, la sua lobby era ben più influente di altre.
In Italia, dove tutti gli schieramenti politici ne erano
fortemente condizionati, si arrivò ad ipotizzare la
costruzione di 62 centrali atomiche entro il duemila! Il Piano
Energetico Nazionale (PEN) ne prevedeva intanto una decina,
ciascuna da 2.000 Mw di potenza installata.

Perché tutto questo entusiasmo cominciò a raffreddarsi, per
poi congelarsi del tutto? La migliore risposta ci viene da
colui che fu il protagonista assoluto dei piani nucleari del
nostro Paese, l’allora ministro dell’Industria Carlo Donat-
Cattin. Così si legge nel sito della Fondazione che porta il
suo nome:

«Donat-Cattin, che quel piano aveva promosso e sostenuto, dopo
l’incidente di Chernobyl sarebbe rimasto perplesso, dubbioso
sulle assicurazioni date dagli esperti intorno a quella
scelta. Lui, non fisico e quindi incompetente del settore,
raccontava quanto i maggiori scienziati del paese gli avevano
dato per certo: “Dicevano: un incidente grave è possibile ogni
1.000 anni nel mondo. In realtà con Three Mile Island e
Chernobyl siamo a due incidenti pesanti in 8 anni”. Poi
sarebbe avvenuto anche quello di Fukushima».

Che dire? Meglio l’onestà intellettuale del vecchio ministro
democristiano, che l’odierna pervicacia di chi sembra ignorare
del tutto la vera storia del nucleare civile. Una storia fatta
di rassicurazioni e falsità, oggi come allora, il cui
meccanismo della menzogna ha sempre funzionato allo stesso
modo. In principio si afferma che i reattori in servizio sono
sempre “puliti e sicuri”. Poi, quando si verifica un
incidente, piccolo o grande che sia, entra in campo un circolo
ben collaudato: prima la negazione di quanto accaduto, poi (se
scoperti) la parziale ammissione, infine l’immancabile
rassicurazione sul futuro, quando avremo i mitici reattori di
“nuova generazione”. E’ così dagli anni settanta, quegli
stessi anni in cui si diceva che senza il nucleare saremmo
restati al buio entro il duemila…

Ma torniamo alla sufficienza con la quale il Fazi tratta i
disastri di Chernobyl e Fukushima. Un atteggiamento davvero
irresponsabile, che cozza con le stesse classificazioni di chi
sull’energia nucleare ci campa. Sia Chernobyl che Fukushima
sono state infatti definite come catastrofi di livello 7, il
più alto sulla scala INES. Il livello 7 viene attribuito
infatti agli “incidenti catastrofici” in cui si verifica “un
rilascio di materiale radioattivo di più grande entità, con
effetti ampiamente diffusi sulla salute e l’ambiente,
richiedendo l’attuazione di contromisure pianificate ed
estese”.

Si noti che classificazione e descrizione dei vari livelli non
vengono da qualche squinternato ambientalista, bensì dalla
AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), dunque da
un ambiente che più nuclearista non si può. Ma che ritenne
comunque opportuno sviluppare la scala INES nel 1989.

Eppoi le scorie stanno tutte in uno stadio di calcio…

Non contento degli sfondoni su Chernobyl e Fukushima, il Fazi
ci parla poi delle scorie, che ovviamente non sarebbero un
problema:

«Si ritiene generalmente che i reattori nucleari producano
grandi quantità di scorie radioattive che rimangono tossiche
per centinaia di migliaia di anni e che non siamo in grado di
immagazzinare in modo sicuro. In verità, poiché il
combustibile nucleare è incredibilmente denso, il volume
effettivo di rifiuti prodotti è notevolmente ridotto. L’intero
volume di combustibile esaurito di 50 anni di energia nucleare
americana potrebbe essere stipato in uno stadio di calcio,
ammucchiato a 20 piedi di altezza. Quantità così piccole sono
facili da contenere e gli attuali metodi di stoccaggio e
trasporto hanno record di sicurezza impressionanti».

Anche in questo caso, “Tutto va bene Madama la Marchesa”!
Purtroppo, Fazi non riesce a dirci nulla sul perché quello
delle scorie sia tuttora un problema irrisolto a livello
mondiale. Ci dice solo che le scorie prodotte dalle centrali
americane starebbero tutte in uno stadio di calcio. Ma che
forse è un problema di volumi? Fosse per questo, pure tutte le
bombe atomiche ci starebbero in uno stadio.

Sta di fatto che negli Stati Uniti, il paese dalla tecnologia
più avanzata e con ampi spazi a disposizione, siamo ancora
agli “stoccaggi temporanei”. Lasciando perdere i campi di
calcio, gli americani hanno immagazzinato le loro simpatiche
scorie in ben 80 località sparse su 35 stati. E questo perché?
Perché da decenni sono alla ricerca di un deposito geologico
profondo e dunque sicuro. Il problema è che finora non l’hanno
trovato. Ma forse è solo perché non hanno ancora pensato agli
stadi…

Ovviamente il problema americano è comune a tutto il mondo, e
questo ha anche un costo piuttosto rilevante. Giusto per avere
un’idea, la spesa per lo “stoccaggio provvisorio” del
modestissimo nucleare italiano, defunto definitivamente nel
1987, ammonta a 300 milioni di euro all’anno, per un totale ad
oggi di 10,8 miliardi. Una cifretta che, pur non sapendolo,
gli italiani hanno pagato (e continueranno a pagare) nelle
bollette elettriche. Così come hanno pagato altri 10 miliardi
per la partecipazione dell’Enel alla fallimentare avventura
del reattore autofertilizzante Superphénix, nella centrale
francese di Creys Malville, che non ha mai immesso in rete un
solo kilowattora. Ma, si sa, il nucleare conviene…

Le fantasie sui costi

Infatti, per i fanatici pro nuke l’energia atomica non solo è
sicura e pulita, ma pure economica. Ecco cosa scrive
Fazi:«Un’ultima questione che di solito viene utilizzata come
ultima linea di attacco contro l’energia nucleare è quella dei
suoi presunti costi proibitivi. Questo è probabilmente
l’argomento più assurdo di tutti. L’Agenzia internazionale per
l’energia atomica stima che l’investimento globale necessario
per costruire 10-20 nuovi reattori all’anno – che
raddoppierebbe la capacità di energia nucleare entro il 2040 –
costerebbe 80 miliardi di dollari all’anno. Ciò equivale a
meno dello 0,1% dell’attività economica annuale mondiale e una
frazione di quanto abbiamo speso per la pandemia. Non c’è
dubbio che possiamo “permetterci” di sviluppare il nucleare,
anche su una scala molto più ambiziosa di quella prevista
dall’AIEA».

Ammazzate! Che precisione! Intanto, dire 10-20 reattori non
dice nulla, se non se ne specifica la potenza. Ma poi,
assumendo il costo totale di 80 miliardi, se i reattori
fossero 20 il costo unitario sarebbe di 4 miliardi, mentre se
fossero 10 la spesa raddoppierebbe. Vabbè, ma lì c’è la
Scienzaaa!

Ma anche lasciando perdere queste “cosucce”, il problema è che
i costi delle centrali nucleari non sono questi. Nell’Unione
Europea si sono costruiti due soli reattori negli ultimi 15
anni: uno in Francia, l’altro in Finlandia. E già lì uno
dovrebbe interrogarsi sul perché di questa debacle: se
l’energia atomica è così vantaggiosa, perché quasi nessuno ci
investe più?

Ma veniamo agli ultimi due reattori europei. Il primo è stato
installato ad Olikuoto, in Finlandia, dove i lavori sono
iniziati nell’agosto 2005, con un costo previsto di 3,2
miliardi di euro, ed un’entrata in funzione annunciata per il
maggio 2009. Ma, chissà perché, nel meraviglioso mondo del
nucleare deve essere successo qualcosa. Sta di fatto che
l’entrata in servizio è avvenuta (con trionfali annunci
notturni sui laghi finlandesi) alle ore 3:22 del 21 dicembre
2021, mentre la spesa è salita a 12 miliardi. Insomma, sia i
costi che i tempi di costruzione sono quadruplicati: un
successone!

Ora qualcuno potrebbe pensare ad una particolare inefficienza
dei finlandesi, ma non è così. Nella francese Flamanville,
cioè nella patria dell’atomo, dove (unico paese al mondo) la
fonte atomica copre oltre il 70% della produzione elettrica,
le cose non sono andate meglio. Qui i lavori, iniziati nel
2007, dovevano finire nel 2014 e invece… invece non sono
ancora terminati (ed adesso si parla di fine 2023). Ed i
costi? Électricité de France (Edf) ammette che sono
quadruplicati, passando da 3,3 a 12,7 miliardi, ma altre fonti
parlano invece di un conto finale da circa 20 miliardi.
Complimenti! Vista la malparata, bene fece l’Enel, che
deteneva una quota del 12,5% sull’impianto di Flamanville, a
tirarsi fuori da quell’impresa nel 2012, facendosi rimborsare
da Edf con 630 milioni di euro.

Ci fermiamo qui per non tediare i lettori, ma si dovrà pur
riconoscere che la realtà dei fatti – ammessa peraltro dalle
stesse compagnie elettriche – nulla ha a che fare con il
trionfalismo del Fazi.

Ecco a voi un’autentica perla!

Il problemino non dev’essergli però sfuggito, visto che dopo
aver sostenuto l’estrema convenienza economica del nucleare,
il Nostro si contraddice passando a chiedere sovvenzioni
pubbliche per l’energia atomica. Ora, qui i casi sono due: o
questa economicità c’è ed allora non si vede il perché delle
sovvenzioni, oppure non c’è ed allora non si capisce perché lo
Stato dovrebbe farsene carico magari a discapito delle
rinnovabili.

Ma il passaggio sul punto è un’autentica perla che va
riportata per intero:

«Il fatto che l’energia nucleare sia diventata un’ancora di
salvezza in Occidente è certamente incoraggiante. Ma il futuro
del settore in questi paesi rimane poco chiaro, afflitto com’è
da una miriade di sfide, tra cui un sostegno statale
insufficiente, una regolamentazione troppo gravosa e una
tiepida percezione pubblica». (le sottolineature sono nostre)

Abbiamo qui quattro affermazioni, tutte assai gravi, ma la
terza va al di là di ogni decenza. Non solo il nucleare
sarebbe «un’ancora di salvezza per l’Occidente», non solo
meriterebbe un sostegno statale, non solo l’opinione pubblica
sarebbe fatta da un popolo notoriamente inconsapevole, ma il
nucleare soffrirebbe per «una regolamentazione troppo
gravosa». Ecco qui un tipico discorso ultraliberista, quello
dei famosi “lacci e lacciuoli” sempre da rimuovere, stavolta
però sulle labbra di un antiliberista, per giunta “sovranista
e di sinistra”. Roba da restare allibiti.

La confusione sulle fonti rinnovabili

Dopo aver segnalato che anche le energie rinnovabili pongono
comunque diversi problemi ambientali – e qui siamo d’accordo:
è questo un tema che va seriamente discusso – il Nostro ricade
immediatamente nella narrazione nuclearista a senso unico:

«Anche con un’alta percentuale di energie rinnovabili, sarebbe
comunque necessaria una fonte di energia stabile e costante, e
si tratterebbe di combustibili fossili o di energia
nucleare. In effetti, innumerevoli studi hanno dimostrato che
l’energia nucleare, in combinazione con le rinnovabili, è
l’unica via percorribile per una rapida decarbonizzazione
globale. Non solo l’energia nucleare è disponibile 24 ore su
24, a differenza delle energie rinnovabili, ma è anche
significativamente più concentrata dell’energia eolica o
solare, il che significa che richiede un uso minimo del
suolo».

Questo ragionamento presenta una verità, una premessa assai
discutibile ed un’inesattezza inaccettabile. La verità è nella
prima frase: almeno per un periodo non breve (30-40 anni?) le
rinnovabili da sole non potranno bastare. Vero, ma perché
preferire il nucleare al gas? La risposta sta nella totale
adesione del Fazi al dogma imperante sul clima, quello che
piace tanto (domandiamoci il perché) ai signori di Davos. Da
qui la necessità di una decarbonizzazione accelerata costi
quel che costi. Questa premessa è del tutto discutibile e chi
scrive non la condivide affatto. Ma chi invece la prende come
buona, riaprendo così la strada alla follia nuclearista,
dovrebbe allora riconoscere che i tempi biblici della
realizzazione delle centrali atomiche risulterebbero comunque
troppo lunghi, incompatibili con l’obiettivo dichiarato della
rapida decarbonizzazione.

Veniamo ora all’inesattezza inaccettabile. Ovviamente è vero
che quella nucleare è una fonte costante, ma lo è pure quella
termica tradizionale (gas, carbone, petrolio). Tuttavia,
proprio questa costanza, che è fissa e non modulabile, può
rappresentare essa stessa un problema. Facciamo un esempio.
Siccome la notte i consumi giornalieri si dimezzano, la
Francia – proprio a causa dell’elevatissima quota di nucleare
– è normalmente costretta a vendere sottocosto la produzione
in eccesso ad altri paesi. Detto questo, è proprio vero che le
fonti rinnovabili sono tutte incostanti, volatili e dunque
ingovernabili come si lascia intendere?

Ecco, le cose non stanno esattamente così. Ed è su questa
voluta inesattezza che giocano i pro nuke. A prescindere dalla
loro “bontà”, su cui si può discutere, cinque sono le fonti
classificate come rinnovabili: solare, eolico, geotermico,
biomasse, idroelettrico.

Per sua natura il solare produce solo di giorno, ma è proprio
durante il giorno che si registrano i picchi della domanda.
Diverso è il discorso dell’eolico, certamente incostante ma
senza preferenze orarie. Geotermico e biomasse funzionano come
le centrali termiche tradizionali, dunque normalmente a carico
costante. L’idroelettrico è invece la fonte più modulabile di
tutte, e potendo giocare sugli invasi (unica forma di
immagazzinamento potenziale dell’energia elettrica oltre alle
batterie), ove servisse sarebbe possibile privilegiare la sua
produzione notturna rispetto a quella diurna. Conclusione: su
cinque fonti, due sono costanti, una è discontinua ma senza
preferenze orarie, una è attiva solo nelle ore diurne, mentre
l’ultima è modulabile a piacere almeno per il 90% della
produzione.

Questo non significa che in un futuro sistema di sole
rinnovabili non vi sarebbero problemi nella programmazione del
carico giornaliero. Ma questi problemi non saranno affatto
irrisolvibili come si vorrebbe far credere. Chi continua a
sostenerlo o è disonesto o è ignorante. Naturalmente, essere
ignoranti su questo o quel problema non è una colpa, ma nel
caso bisognerebbe essere più prudenti prima di rilanciare
certe panzane.

Ma torniamo al punto. Come abbiamo visto, le fonti rinnovabili
non sono tutte bizzose, incostanti, imprevedibili e dunque
ingovernabili. Per venire a capo dei problemi di
programmazione del carico basterà tenere conto di tre
direttrici: un giusto mix tra le varie fonti, una potenza
installata di riserva, un forte ritorno al pompaggio negli
impianti idroelettrici. Ovviamente tutto questo richiederà
investimenti importanti, ma non maggiori a quelli necessari
nel nucleare o nel termico tradizionale. Con la differenza che
alla fine si avrà meno inquinamento (non parlo della CO2,
sulla quale si sarà capito cosa penso), meno sfruttamento
delle risorse naturali, materia prima a costo zero.

Oggi, a differenza di quarant’anni fa, puntare sulle
rinnovabili è assolutamente realistico. Basti pensare che
negli ultimi anni (con l’eccezione del 2022, a causa del calo
dell’idroelettrico) la produzione da rinnovabili in Italia ha
già raggiunto e superato il 40% del totale. Dunque, non si
parte da zero.

Un “risveglio” nucleare?

Dopo aver riconosciuto che il nucleare arranca, il Nostro ci
annuncia che la recente crisi energetica sta ormai portando ad
un “risveglio” del nucleare. Ma andiamo con ordine, partendo
dalla sua ammissione sul reale stato delle cose:

«A metà del 2022, 411 reattori erano in funzione in 33 paesi,
sette in meno rispetto al 1989 e 27 al di sotto del picco del
2002 di 438. Tra il 2002 e il 2021 sono stati realizzati 98
impianti (mentre 105 sono stati chiusi), ma più della metà
delle nuove costruzioni è avvenuta in un solo Paese: la
Cina. Nel frattempo, al di fuori della Cina, negli ultimi 20
anni si è registrato un calo netto di 57 unità».

Dopo questa fotografia, dal suo punto di vista un vero grido
di dolore, Fazi passa agli annunci trionfali:

«Ma c’è un lato positivo nella crisi energetica. Gli ultimi
mesi hanno segnato una grande ripresa per le prospettive
dell’energia nucleare in tutto il mondo sviluppato».
In realtà questa “ripresa” si limita per ora (e per fortuna)
ad alcuni annunci tutti da verificare, e tuttavia questo è
sufficiente per far esultare il Nostro, fino a parlare di un
“risveglio nucleare” in corso. Ma perché un “sovranista di
sinistra” dovrebbe esserne così felice? Ecco la sua
spiegazione:

«È di vitale importanza che la fornitura di energia
abbondante, sicura e priva di emissioni di carbonio sia vista
come un bene pubblico essenziale e in effetti come una
questione cruciale per la sicurezza nazionale, nella misura in
cui libererebbe in gran parte i paesi dalla dipendenza dai
produttori di energia stranieri. In quanto tale, non può
essere valutato esclusivamente sulla base di metriche
economiche grezze a breve termine.        Abbiamo visto le
conseguenze    dell’affidarsi   a          gas   straniero
“economico”. Inoltre, le nuove tecnologie nucleari, come gli
SMR e le centrali nucleari galleggianti, possono essere
sviluppate a un costo molto inferiore».

Avete capito? Con il nucleare saremmo “sovrani”, per cui tutte
le altre considerazioni di carattere ambientale, economico e
sociale nulla contano. E’ accettabile tutto ciò? No, non lo è.
Ma c’è dell’altro.   A parte il fatto che il combustibile
nucleare in Italia proprio non c’è, il Fazi sottovaluta la
dipendenza tecnologica che si determinerebbe in ogni caso.
Quando 15 anni fa Berlusconi ebbe la brillante idea di
riprendere un programma nucleare, la fornitura dei reattori
era tutta in mano alla francese Areva (oggi Orano), quella dei
grandiosi risultati a Flamanville ed Olikuoto che abbiamo
visto. Ci sono forse delle ragioni per pensare che stavolta
andrebbe diversamente? Assolutamente no.

Nelle parole del Fazi c’è pure un accento antirusso che non ci
saremmo aspettati, laddove dice che: «Abbiamo visto le
conseguenze dell’affidarsi a gas straniero “economico”». Biden
non avrebbe potuto dire di meglio. In realtà, quello che le
persone comuni hanno visto, e soprattutto subito, sono state
semmai le conseguenze dello smettere di rifornirsi di gas
russo economico, non il suo contrario.

L’abbiamo fatta lunga con le citazioni, ma credo lo
meritassero. Così ognuno si sarà fatto un’idea della materia
del contendere. Ma qualora ci fossero ancora dei dubbi sulla
sua enfatica posizione, ecco come il Fazi chiude l’articolo:

«La nostra paura è irrazionale: il nucleare è   “mortale” come
l’energia eolica e solare , cioè per niente».

Non ci sono parole. Ma quello che ci viene da pensare è che
con simili propagandisti il nucleare un gran futuro non potrà
mai averlo!

Conclusioni

Abbiamo utilizzato l’articolo del Fazi per tornare su un tema,
quello del nucleare, che ultimamente ha preso a farsi strada
in ambienti insospettabili. Ho ricordato all’inizio il
convegno al quale ho volentieri partecipato nell’autunno
scorso. Confrontarsi è sempre positivo, anche se di fronte ad
un ingegnere nucleare che ti propone con tranquillità
l’installazione di 650 (seicentocinquanta) reattori SMR da 35
Mw cadauno in Italia, non puoi far altro che farti una sonora
risata.

I neo-fanatici dell’atomo non riescono proprio a fare i conti
con la realtà. In particolare, non riescono a rispondere ad
una domanda: perché in quasi settant’anni di storia (la prima
centrale è entrata in servizio nel 1956 in Gran Bretagna) il
nucleare non è mai riuscito a sfondare? Nel campo della
tecnologia, se una cosa non si afferma in un lasso di tempo
così lungo vuol dire che presenta dei limiti insormontabili.

Ma negli ultimi decenni l’energia atomica non solo non è
andata avanti, essa è regredita nel tempo. Se nel passato il
nucleare era arrivato a coprire il 6% dei consumi energetici
totali, nel 2021 la sua quota è scesa al 4%. Limitandoci alla
produzione elettrica (sostanzialmente l’unico settore in cui
l’energia atomica è utilizzata) i dati sono altrettanto
chiari. Secondo la Statistical Review of World Energy 2022
della Bp plc, autentica “Bibbia” delle statistiche in campo
energetico, nel 2021 la quota del nucleare era del 9,8%,
contro il 12,1% del 2011. In questo decennio, mentre i consumi
globali passavano da 22.689 a 28.466 miliardi di Kwh (+
25,4%), la produzione nucleare restava ferma attorno ai 2.800
miliardi. Nello stesso periodo una fonte “matura” come
l’idroelettrico cresceva del 16% arrivando a 4.273 miliardi di
Kwh nel 2021. Il “risveglio” atomico di cui parla Fazi ci sarà
pure, ma per intanto il declino appare inarrestabile.

Nel frattempo sono usciti proprio in questi giorni i dati
della produzione di elettricità nell’Unione Europea nel 2022.
Secondo la Rassegna europea dell’elettricità del think tank
Ember, le cose per il nucleare sono andate malissimo.
Nell’anno appena trascorso la produzione nucleare è diminuita
di 119 miliardi di Kwh (-16%) rispetto al 2021. Certo, il calo
è stato causato principalmente dal clamoroso tracollo del
nucleare francese (- 82 miliardi), ma il fatto che
quest’ultimo sia stato il frutto di gravi problemi di
sicurezza ad un gran numero di reattori (si è arrivati a
fermarne 32 su un totale di 56) ci dimostra le criticità del
nucleare e la rapida obsolescenza degli stessi (costosi)
impianti.Insomma, questa scoperta dell’atomo in nome della
sovranità proprio non è convincente. Anzi, a dirla tutta, ci
pare proprio una sciocchezza incredibile. Altre sono le strade
da percorrere, ma qui ci siamo dilungati fin troppo ed è
perciò il caso di limitarci ad enunciare solo i quattro punti
principali di una strategia alternativa.

In primo luogo, occorre una risposta politica immediata alla
crisi energetica in corso. Il che significa nazionalizzazione
del settore dell’energia, prezzi amministrati dallo Stato,
fine delle sanzioni e ripristino delle forniture del gas
russo. In secondo luogo, la produzione da fonti rinnovabili va
sicuramente sviluppata, ma in maniera equilibrata, senza le
ansie interessate da “sindrome Thunberg” e secondo i criteri
già accennati in questo articolo. In terzo luogo, per alcuni
decenni il contributo dei combustili fossili potrà (e dovrà)
essere ridotto con decisione, ma senza l’illusione di poterlo
azzerare del tutto. In quarto luogo, perché non pensare ad un
rapporto virtuoso (cioè conveniente per entrambe le parti) tra
la sponda sud e quella nord del Mediterraneo? Utilizzando per
la produzione fotovoltaica solo lo 0,02% del Sahara (2.000 Kmq
su 9 milioni di Kmq) si coprirebbe l’intero fabbisogno
elettrico dell’Italia.

So che quest’ultima idea può sembrare folle, ma in realtà non
lo è. Tra l’altro, con un 40% di rinnovabili sul territorio
nazionale, e con la loro prevedibile crescita futura, la
superfice di deserto da utilizzare già si dimezzerebbe. Certo,
si tratterebbe comunque di un’opera imponente, con diversi
problemi tecnici, ma tutti sicuramente risolvibili.
D’altronde, non esiste la soluzione perfetta alle questioni
dell’energia come ai problemi della società umana in genere.
Ma immaginate quanto sarebbe meglio, dal punto di vista
ambientale e sociale, utilizzare le aree desertiche piuttosto
che riempire l’Adriatico di piattaforme eoliche galleggianti!

Al tempo stesso, questo progetto, se concepito e realizzato in
base a rapporti economici e politici amichevoli e paritari,
favorirebbe la formazione di un’area economica mediterranea
alternativa all’Unione Europea. E, forse, per i sovranisti
sarebbe proprio questa la miglior notizia. Altro che nucleare!

Pensiamoci seriamente, che i nostri nemici già si stanno
muovendo – naturalmente a modo loro – in quella stessa
direzione. E’ infatti del dicembre scorso la notizia
dell’apertura di un primo corridoio elettrico tra Italia ed
Africa. Che sia una mossa stupida? Non credo proprio. Di
nuovo: altro che nucleare!
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