Cent'anni di solitudine? L'Organizzazione Internazionale del lavoro

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Cent’anni di solitudine? L’Organizzazione Internazionale del lavoro
1919-2019

   A chi si applicano le Norme dell’OIL? L’ambito di applicazione soggettivo degli
International Labour Standards

   di Valerio De Stefano

Sommario: 1. A chi si applicano le Norme internazionali del lavoro? Una questione aperta. – 2. Inesistenza di
una generale definizione internazionale di lavoratore subordinato e applicazione delle Norme internazionali
del lavoro oltre il lavoro subordinato. – 3. Il ruolo esegetico dei comitati di supervisione e l’universalità delle
Convenzioni Fondamentali dell’OIL. – 4. La discussione sulla violenza e le molestie sul lavoro e la
protezione “a prescindere dalla qualificazione contrattuale” – 5. Il “Futuro del Lavoro” au-delà de l’emploi e
la Universal Labour Guarantee “a prescindere dai tipi di contratto o dalla qualificazione giuridica”.

         1.      A chi si applicano le Norme internazionali del lavoro? Una questione
         aperta.

       Il centenario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha fornito
l’opportunità all’Organizzazione stessa, ai suoi costituenti tripartiti, all’Ufficio
Internazionale del Lavoro (ILO) e a chiunque si interessi di lavoro, specie in una
dimensione internazionale, di riflettere sul ruolo, il “mandato” e l’ambito di azione
dell’OIL negli anni a venire. L’OIL ha da tempo intrapreso iniziative volte a verificare
l’idoneità del proprio apparato normativo e organizzativo a rispondere alle sfide che
investono il mondo del lavoro su scala globale. Tra queste, vale la pena di menzionare il
cosiddetto meccanismo di revisione delle Norme (Standard review mechanism), il cui
obiettivo è riesaminare il corpus normativo adottato dall’OIL durante il secolo appena
concluso per identificare quali Norme internazionali del lavoro (International Labour
Standards) dell’OIL, e cioè le convenzioni, le raccomandazioni e i protocolli adottati
dell’organizzazione, necessitino di essere aggiornate o anche abrogate per rispondere ai
mutamenti nel frattempo intervenuti nei mercati del lavoro dei Paesi membri dai tempi
della loro approvazione (ILO 2015).
       A questo processo di verifica della portata oggettiva delle Norme internazionali del
lavoro è anche utile accompagnare una riflessione sul loro ambito soggettivo. Come si
vedrà, infatti, è un tema, questo, che proprio negli ultimi anni è divenuto particolarmente
controverso.
       Va capito, in particolare, se le Norme (o Standard) si applichino esclusivamente ai
lavoratori tradizionalmente identificati come i principali destinatari della tutela
giuslavoristica, cioè i lavoratori subordinati. Il carattere così apparentemente
“novecentesco” dell’OIL, la sua struttura tripartita, l’importanza della dimensione

                                                                                                                 1
industriale nei meccanismi di governo dell’Organizzazione 1 , potrebbero generare
l’impressione che le Norme internazionali del lavoro riguardino il solo lavoro subordinato,
specie nelle grandi imprese industriali.
       Se questo fosse vero, le Norme rischierebbero di apparire in via di rapida
obsolescenza in quella parte di mondo “sviluppato” nel quale il paradigma dell’impresa
industriale è da lungo tempo sottoposto a fenomeni di “erosione” e il lavoro subordinato
nell’industria non ricopre più la centralità, in primo luogo socioculturale, goduta un tempo.
       Certo, una simile lettura dell’ambito soggettivo delle Norme non ne determinerebbe
comunque una compiuta inutilità, posto che il paradigma industriale è lungi dallo
scomparire nel mondo industrializzato (Aloisi, De Stefano in corso di pubblicazione) ed è
in espansione nei Paesi emergenti e in via di sviluppo. Sicuramente, però, se il diritto
internazionale del lavoro prodotto dall’OIL si rivolgesse sempre soltanto a quel socialtipo,
la sua rilevanza sarebbe destinata a diminuire sempre più nel mondo occidentale e sarebbe
in larga parte inesistente in quei Paesi dove il paradigma del lavoro subordinato, specie in
un’ottica industriale, non riguarda che una parte minima della forza lavoro (OIL 2018).
       Esistono sicuramente degli Standard destinati a regolare esclusivamente il lavoro
subordinato, come, ad esempio, la cd. Convenzione sui Licenziamenti, No. 158 (1982) il
cui titolo è stato tradotto in italiano come «Convenzione sulla cessazione della relazione di
lavoro ad iniziativa del datore di lavoro»2. La portata soggettiva di questa Convenzione va
determinata non tanto dalla lettura del titolo e dalla, opinabile, traduzione in italiano
dell’espressione inglese «termination of employment» in «cessazione della relazione di
lavoro» ma dalla lettura dell’intero testo di questo Standard. Tale lettura rende evidente
come i beneficiari delle protezioni qui previste siano i lavoratori subordinati e non anche
gli autonomi, sebbene il testo della Convenzione identifichi i destinatari della tutela nei
«workers», come fanno generalmente le Norme dell’OIL, utilizzando quindi un termine più
generico e ampio di employees che indica più specificamente, in inglese, i lavoratori
subordinati3.
       Si tratta però di capire se ciò valga per tutte le Norme internazionali del lavoro e, in
questo caso, se, cioè, esse si applicassero sempre e solo ai lavoratori subordinati, se la
qualificazione giuridica dei contratti o rapporti di lavoro sia rimessa interamente alle
legislazioni nazionali o se esista invece una definizione giuridica internazionale di “lavoro
subordinato” di cui si debba tener conto nel determinare la portata applicativa degli
Standard. Questo saggio tenterà di dare risposta a questi interrogativi.

         2.     Inesistenza di una generale definizione internazionale di lavoratore
         subordinato e applicazione delle Norme internazionali del lavoro oltre il lavoro
         subordinato

      È innanzitutto possibile sgomberare il campo dall’ultima questione: un’unica,
universale e conclusiva definizione di “lavoro subordinato” non esiste nel diritto prodotto
dall’OIL. Pervenire a una definizione giuridica che sia dotata di senso, effettiva e
applicabile a tutti gli ordinamenti dei Paesi membri dell’Organizzazione non è,
probabilmente, fattibile. Le enormi differenze in termini di tradizione giuridica e di

1
  Si pensi che dieci dei ventotto seggi governativi del Consiglio di Amministrazione dell’ILO sono attribuiti
in permanenza agli «Stati di maggiore importanza industriale» (Brasile, Cina, Federazione Russa, Francia,
Germania, Giappone, India, Italia, Regno Unito e Stati Uniti).
2
    Il testo in italiano delle Norme internazionali del lavoro è disponibile al sito
https://www.ilo.org/rome/norme-del-lavoro-e-documenti/lang--it/index.htm. Dove non altrimenti specificato,
il testo delle convenzioni, delle raccomandazioni e delle dichiarazioni riportato in questo saggio è tratto dalle
traduzioni disponibili su questo sito.
3
  Per un’ampia disamina del significato del termine “worker” negli Standard, cfr. B. Creighton, S. McCrystal
2016.

                                                                                                               2
sviluppo economico che esistono tra i 187 Paesi dell’OIL rendono gli sforzi in questo
senso vani, come anche dimostrato dal fallimento – durante le sessioni del 1997 e 1998
della Conferenza Internazionale del Lavoro – delle negoziazioni per l’adozione di una
convenzione che fornisse specifiche tutele al cd. contract labour, inteso come fenomeno
comprendente forme di “lavoro autonomo dipendente” e di terziarizzazione (Casale 2011).
       Né è possibile rinvenire una definizione universalmente vincolante di lavoro
subordinato nell’Employment Relationship Recommendation, 2006 (N. 198), sia perché lo
strumento della raccomandazione è per sua natura non vincolante e quindi non idoneo a
fissare una volta per tutte gli elementi costitutivi di un architrave del sistema di
regolamentazione lavoristico, sia perché l’obiettivo della Raccomandazione N. 198 è
differente. Essa, infatti, si rivolge agli Stati affinché adottino misure volte a rafforzare
l’applicazione della legislazione del lavoro facendo in modo, tra le altre cose, che le
definizioni nazionali di contratto o rapporto di lavoro subordinato siano sufficientemente
ampie. A questo scopo, la Raccomandazione suggerisce di «considerare la possibilità» di
adottare «specifichi indicatori» che indichino l’esistenza di una «employment relationship».
Tra questi, essa menziona il fatto che «il lavoro si svolga secondo le indicazioni e sia
soggetto al controllo della controparte», che «il lavoratore sia integrato nell’organizzazione
dell’impresa», che «il lavoro si svolga personalmente», «il pagamento periodico di una
retribuzione», «l’assenza di rischio di impresa in capo al lavoratore»4, e diversi altri. Non si
tratta di una lista esaustiva di indicatori, né la Raccomandazione suggerisce in alcun modo
che la mancanza di uno di questi, nella fattispecie astratta o concreta, debba impedire di
considerare un certo contratto di lavoro come subordinato. È impossibile quindi ravvisare
in questi passaggi della Raccomandazione (o nel resto del testo) una definizione
internazionale di lavoro subordinato.
       A complicare la questione è anche la diversità terminologica presente nelle
traduzioni della Raccomandazione N. 198 nelle diverse lingue ufficiali dell’OIL, inglese,
francese e spagnolo. Il titolo della Raccomandazione in inglese è «Employment
Relationship Recommendation». Si usa quindi il termine “employment relationship” che in
inglese si riferisce, comunemente, al rapporto di lavoro subordinato. I titoli francese e
spagnolo, invece, sono «Recommendation sur la relation de travail» e «Recomendación
sobre la relacion de trabajo»: si utilizzano quindi i termini “travail” e “trabajo” che
corrispondono al generico termine inglese “work”, invece che “emploi” ed “empleo”, che,
come “employment”, sono riferiti più specificamente al lavoro subordinato.
       Sia i lavori preparatori sia il testo della Raccomandazione, che in inglese, francese e
spagnolo si riferisce rispettivamente ai lavoratori «employed», «salariés» e «asalaradios» e
alla loro distinzione dai lavoratori autonomi, non lasciano tuttavia dubbi sul fatto che la
Raccomandazione si riferisca al solo lavoro subordinato, quando tratta di employment
relationship.
       Queste considerazioni non valgono, però, ogni qual volta una Convenzione o
Raccomandazione parlino di employment o employment relationship. Il significato da
attribuire a questi termini è da ricostruirsi di volta in volta, facendo riferimento al testo e
agli obiettivi dei singoli Standard, ai lavori preparatori e alle opinioni degli organi di
supervisione dell’OIL.
       Ad esempio, il testo italiano dell’Articolo 1 della Convenzione sul Lavoro
Domestico, 2011 (N. 189) prevede: «a) l’espressione “lavoro domestico” significa il lavoro
svolto in o per una o più famiglie; b) l’espressione “lavoratore domestico” significa ogni
persona che svolge un lavoro domestico nel quadro di una relazione di lavoro; c) una
persona che svolga un lavoro domestico in maniera occasionale o sporadica, senza farne la
propria professione, non è da considerarsi lavoratore domestico».

4
    Il testo italiano della Raccomandazione N. 198 riportato tra virgolette è stato tradotto da me.

                                                                                                      3
La lettera b), nel testo inglese, legge: «the term domestic worker means any person
engaged in domestic work within an employment relationship»5. Se si facesse discendere
dalla lettera b) l’applicazione della Convenzione N. 189 al solo lavoro domestico svolto
nell’ambito di un contratto o rapporto di lavoro subordinato si pregiudicherebbe
drasticamente la portata protettiva della Convenzione escludendo dalla tutela proprio i
lavoratori domestici più vulnerabili come quelli che lavorano “in nero” nell’economia
informale. Se, infatti, per un giurista occidentale è evidente che il lavoro “nero”, se
presenta le caratteristiche tipiche della subordinazione, vada ricondotto alla
regolamentazione lavoristica, lo stesso rischia di non valere in quei sistemi, specie nei
Paesi in via di sviluppo, dove l’assenza di un regolare contratto o rapporto di lavoro, come
definito a livello nazionale, talora con particolari requisiti formali, pregiudica l’accesso alla
protezione sostanziale o alla tutela giurisdizionale o amministrativa in campo lavoristico.
        Nel caso del lavoro domestico, che è spesso espressamente escluso tout court6 dal
campo di applicazione della normativa giuslavoristica o dalla competenza regolamentare e
amministrativa dei ministeri e ispettorati del lavoro (ILO 2010a), dare una lettura
formalistica del termine employment relationship utilizzato dalla Convenzione N. 189
rischia di lasciar privi di protezione proprio i lavoratori domestici che più ne sono
bisognosi. La lettura dei lavori preparatori conferma, infatti, che si è inteso escludere
dall’applicazione della Convenzione solo il lavoro domestico che venga eseguito per
guadagnare una qualche forma di «paghetta»7 e non su base professionale, come fonte di
sostentamento (ILO 2010b, pp. 12/30-31 par. 147). Il Comitato degli Esperti per
l’Applicazione delle Convenzioni e Raccomandazioni dell’OIL (CEACR) 8 ha difatti
recentemente stabilito che, indipendentemente dalla qualificazione del rapporto come
subordinato o autonomo, «la definizione di lavoratore domestico di cui all'Articolo 1 della
Convenzione esclude soltanto le persone che svolgono lavori domestici occasionalmente o
sporadicamente e non su base professionale»9.
       L’analisi fin qui svolta ha consentito di dare iniziale risposta anche alla prima
questione posta al primo paragrafo e cioè se le convenzioni dell’OIL si applichino sempre
soltanto ai lavoratori subordinati. La risposta è negativa innanzitutto perché, anche quando
il testo dello Standard si riferisca, nella versione inglese, alla employment relationship il
significato da attribuire a questa espressione va verificato di volta in volta a seconda del
testo complessivo e degli obiettivi dello strumento, identificabili tra l’altro dai lavori
preparatori e dall’opera esegetica dei comitati di supervisione dell’OIL. Esistono, poi,
degli Standard che esplicitamente includono nel proprio ambito i lavoratori autonomi10 o

5
  Corsivi miei.
6
  Ad esempio, in Cina, i lavoratori domestici, al pari dei lavoratori autonomi, sono esclusi dal novero delle
persone impiegate in una «labour relationship» regolata dalla Labour Contract Law e sono invece regolate
dal Codice Civile(民法) cinese.
7
  «Pocket money» nel testo in inglese dei lavori preparatori. Il compromesso sulla definizione di cui
all’Articolo 1 era stato raggiunto, come spesso accade in caso di stallo durante le discussioni tripartite, da un
Working Group ristretto. La portavoce del Gruppo dei Lavoratori riferendosi alla discussione interna al
Working Group e all’interpretazione data dal proprio Gruppo alla definizione ha specificato, senza che il
Gruppo dei Governi o dei Datori di lavoro proponessero una lettura alternativa, che sono inclusi «tutti i
lavoratori che svolgano lavoro domestico come fonte di sostentamento [as a living]» (ILO 2010b pp. 12/30-
31 par. 147) (traduz. mia).
8
  Nonostante l’autorevolezza delle posizioni espresse dai comitati di supervisione, va però chiarito che, ai
sensi dell’articolo 37 della Costituzione dell’OIL, le uniche interpretazioni vincolati delle Convenzioni
possono essere pronunciate dalla Corte Internazionale di Giustizia, la quale è stata adita solo una volta in
ambito OIL, o dal mai costituito Tribunale previsto dallo stesso articolo 37 (cfr. De Stefano 2014). Sul
funzionamento dei Comitati cfr. il contributo di S. Borelli e S. Cappuccio in questo fascicolo.
9
  CEACR – Ireland, Direct Request, C.189, pubblicata nel 2018 (traduz. mia)
10
   Per limitarsi alle Convenzioni, cfr. Convenzione sulle organizzazioni di lavoratori agricoli. L’articolo 2
prevede che «l’espressione «lavoratori agricoli», designa tutte le persone che esercitano, nelle zone rurali,

                                                                                                               4
ne ammettono espressamente l’inclusione da parte delle legislazioni nazionali11 o che, per
la natura della materia trattata sono espressamente indirizzati anche ad essi 12 . Altre
Convenzioni, invece, escludono espressamente dal proprio ambito soggettivo i lavoratori
autonomi.13
       La ricerca testuale delle disposizioni di convenzioni e raccomandazioni in tema di
lavoro subordinato o autonomo è complicata dal fatto che il testo di ogni Standard viene
negoziato, ormai nella maggioranza dei casi, singolarmente. I termini utilizzati, pertanto,
possono variare da uno Standard all’altro in funzione delle scelte dei costituenti, dettate da
motivazioni politiche o tecnico-giuridiche, che rispecchiano anche gli equilibri di volta in
volta raggiunti in sede tripartita, spesso con riferimento alla singola convenzione o
raccomandazione. La necessità di assicurare una terminologia coerente tra i diversi
Standard, quindi, può passare in secondo piano rispetto a quella di raggiungere un testo di
compromesso.
       Si è visto finora come il termine “employment relationship” possa avere un
significato diverso tra i diversi Standard. Anche il semplice termine employment può avere
un significato limitato al lavoro subordinato in uno strumento come la Migration for
Employment Convention (Revised)14 e un significato molto più ampio, relativo a ogni
forma di occupazione e impiego nella Employment Policy Convention15. A volte, invece,
succede che si utilizzino, tra strumenti differenti, termini diversi per indicare uno stesso
tipo contrattuale. Per riferirsi al lavoro autonomo, ad esempio, il testo inglese degli
Standard può utilizzare i termini «self-employed»16, «person […] employed […] on his
own account»17 o «independent worker»18.
       La verifica dell’ambito soggettivo di applicazione delle Norme internazionali del
lavoro, pertanto, va operata caso per caso e facendo attenzione a evitare conclusioni
affrettate basate sulla erronea idea che esse si riferiscano sempre al solo lavoro
subordinato; l’ambito soggettivo può variare da strumento a strumento a seconda del testo,
dei singoli vocaboli ed espressioni utilizzate e degli obiettivi delle singole Norme, anche
sulla base dei lavori preparatori e della attività esegetica dei comitati di supervisione degli
Standard dell’OIL.

         3.    Il ruolo esegetico dei comitati di supervisione e l’universalità delle
         Convenzioni Fondamentali dell’OIL.

      I comitati di supervisione da sempre contribuiscono a chiarire anche l’ambito
soggettivo di applicazione degli Standard. Una completa ricognizione dell’operato di
questi organi con riferimento a tutte le Norme internazionali del lavoro esula da questo
contributo. Al fine di esaminare quali siano le questioni più rilevanti emerse in questi
ultimi anni sulla portata soggettiva delle Norme è però essenziale soffermarsi sull’ambito
di applicazione delle Convenzioni Fondamentali dell’OIL. Come è noto, si tratta delle otto

una attività agricola, artigianale od altra, assimilata o connessa, sia che si tratti di salariati, o […] di persone
che lavorino in proprio [«self-employed person» nel testo inglese], ad esempio, affittuari agricoli, mezzadri o
piccoli coltivatori diretti».
11
   Cfr. Convenzione sulla sicurezza e la salute nelle costruzioni, 1988 (N. 167), articolo 2. La Convenzione
prevede che i lavoratori autonomi siano anche destinatari di obblighi di sicurezza (cfr. articoli 7 e 8).
12
   Raccomandazione sulla transizione dall’economia informale verso l’economia formale, 2015 (N. 205).
13
    Tra le Convenzioni considerate “aggiornate”, cfr. Convenzione sui lavoratori migranti (riveduta), 1949,
articolo 11; Convenzione sul lavoro a domicilio, 1996 (N. 177), articolo 1.
14
   Convenzione sui lavoratori migranti (riveduta), 1949, articolo 11.
15
   Convenzione sulla politica dell’impiego, 1961 (N. 122).
16
   Così la Convenzione indicata alla note 11. Confronta anche la Raccomandazione di cui alla nota 12.
17
   Così la Convenzione di cui alla nota 14.
18
   Convenzione sul lavoro a domicilio, 1996 (N. 177), articolo 1.

                                                                                                                  5
Convenzioni che fissano i cosiddetti Principi e Diritti Fondamentali nel Lavoro (PDFL).
Nel 1998, la Conferenza Internazionale del Lavoro, cioè l’assemblea “legislativa” tripartita
dell’OIL, ha adottato la Dichiarazione sui principi e diritti fondamentali nel lavoro,
secondo cui tutti gli Stati membri dell’Organizzazione «anche qualora non abbiano
ratificato le Convenzioni in questione, hanno un obbligo, dovuto proprio alla loro
appartenenza all’Organizzazione», di «rispettare, promuovere e realizzare, in buona fede e
conformemente alla Costituzione, i principi riguardanti i diritti fondamentali che sono
oggetto di tali Convenzioni: (a) libertà di associazione e riconoscimento effettivo del
diritto di contrattazione collettiva19; (b) eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o
obbligatorio 20 ; (c) abolizione effettiva del lavoro minorile 21 ; (d) eliminazione della
discriminazione in materia di impiego e professione»22.
       I PDFL, come ribadito dalla Conferenza Internazionale del Lavoro sia nella
Dichiarazione del 1998 che nella successiva Dichiarazione sulla giustizia sociale per una
globalizzazione giusta del 2008 hanno carattere «universale» e si applicano ai lavoratori di
qualsiasi Stato membro dell’OIL, anche quando le relative Convenzioni fondamentali non
siano state ratificate dallo Stato in questione e a qualsiasi forma di lavoro, a prescindere dal
tipo contrattuale e dalla qualificazione giuridica. I comitati di supervisione hanno ribadito
il carattere universale dei principi e diritti contenuti nelle Convenzioni Fondamentali in un
gran numero di occasioni. L’attività dei comitati ha permesso di portare alla luce
moltissimi casi in cui le legislazioni o le prassi nazionali escludevano determinate
categorie di lavoratori dalla titolarità o dall’esercizio effettivo dei PDFL, per i più svariati
motivi. Tra i lavoratori la cui protezione è stata ribadita dai Comitati, nonostante leggi o
prassi contrarie a livello nazionale, vi sono i lavoratori a tempo determinato, i lavoratori
somministrati, quelli di aziende appaltatrici, i lavoratori occasionali, i lavoratori domestici,
i lavoratori “in nero” («informal workers, nei testi in inglese) (ILO CEACR 2012, passim;
ILO 2016b, pp. 208 ss.; ILO CFA 2018, passim).
       Ancora una volta, se a prima vista appare scontato che tutti questi lavoratori godano
dei PFDL e può sembrare fuorviante il riferimento ai lavoratori in nero come a una
categoria in sé, va sottolineato come questo genere di statuizioni è decisamente influenzato
dal tipo di attività svolta dai Comitati. Tale attività è volta a verificare che gli Stati
rispettino il dettato e, mutuando una espressione da essi frequentemente utilizzata, lo
«spirito» delle Convenzioni nell’adozione delle normative nazionali e, soprattutto, nella
loro applicazione pratica.
       Gli organi di supervisione, pertanto, non perseguono finalità dogmatiche né
nomofilattiche. Innanzitutto, la terminologia da essi utilizzata ricalca spesso quella usata
nei documenti (rapporti, reclami, ecc.) ad essi inviati dai governi o dalle associazioni
datoriali e sindacali nazionali, la quale può variare da Paese a Paese. Il CEACR, ad
esempio, può riferirsi in inglese ai lavoratori autonomi come «self-employed workers»23,
                          24
«own-account workers» o riportare le allegazioni dei sindacati che si riferiscono al lavoro

19
   Si tratta della Convenzione sulla libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale, 1948 (N. 87) e della
Convenzione sul diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva, 1949 (N. 98).
20
   Convenzione sul lavoro forzato, 1930 (N. 29) e Convenzione sull’abolizione del lavoro forzato, 1957 (N.
105).
21
   Convenzione sull’età minima, 1973 (N. 138) e Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile,
1999 (N. 182).
22
    Convenzione sull’uguaglianza di retribuzione, 1951 (N. 100) e Convenzione sulla discriminazione
(impiego e professione), 1958 (N. 111).
23
   CEACR – Central African Republic, Direct Request, C.87, pubblicata nel 2018
24
   CEACR – Bolivia, Observation, C.87, pubblicata nel 2010

                                                                                                                6
autonomo come «contract labour»25: il tutto per ribadire come i diritti sindacali protetti
dalle Convenzioni Fondamentali si applichino anche a questo tipo di lavoro a fronte di
situazioni concrete in cui le leggi e le prassi nazionali limitino o escludano i lavoratori
autonomi dalla titolarità o dall’esercizio di questi diritti. In secondo luogo, i Comitati
seguono un approccio funzionale e volto a dare una risposta inequivocabile e, per quanto
possibile, spedita alle questioni da loro esaminate. Per questo motivo, quando la natura
universale dello Standard da applicare lo consente, i Comitati ribadiscono l’applicabilità
dei relativi diritti e principi ai lavoratori in questione senza esaminare nello specifico la
questione della loro qualificazione giuridica. È frequente, quindi, che i Comitati si
riferiscano ai “lavoratori in nero” senza distinguere tra chi dovrebbe essere correttamente
qualificato come subordinato o come autonomo, pur essendo ovviamente consapevoli che
l’“economia informale” abbracci entrambi i fenomeni26.
       Ad esempio, commentando la Convenzione N. 138, che fissa l’età minima per
l’accesso a qualsiasi forma di «employment or work in any occupation», il CEACR ha più
volte ribadito che l’età minima debba essere fissata con riferimento a qualsiasi lavoro,
anche se autonomo o svolto nell’ambito dell’“economia informale”27, osservando come
spesso gli Stati non includano compiutamente questi fenomeni nelle politiche di contrasto
al lavoro minorile (ILO CEACR 2012, p. 153, traduz. mia). Situazione, questa, ancora più
seria quando le attività lavorative rientrano tra le forme peggiori di lavoro minorile
identificate dalla Convenzione N. 182, come i lavori pericolosi per i minori. Il CEACR ha
ricordato di avere «osservato casi in cui la legislazione non è abbastanza ampia da
proteggere tutti i bambini rispetto all’essere impiegati in un lavoro pericoloso per la
propria salute, sicurezza e moralità. Ciò vale in particolare per i bambini che esercitano
un’attività autonoma o per i bambini che lavorano nell’economia informale, dato che la
legislazione nazionale spesso non comprende nel proprio ambito i bambini che svolgano
lavori pericolosi al di fuori di un contratto o un rapporto di lavoro subordinato» (ILO
CEACR 2012, p. 234, traduz. mia).
       Anche le Convenzioni in materia di lavoro forzato hanno carattere di universalità. La
Convenzione N. 29 definisce infatti il lavoro forzato come «ogni lavoro o di servizio
estorto a una persona sotto minaccia di una punizione o per il quale detta persona non si sia
offerta spontaneamente». Il CEACR ha ribadito che la definizione include «tutti i tipi di
lavoro, servizio o impiego [employment, nel testo in inglese] a prescindere dal settore
produttivo in cui si svolgano, inclusa l’economia informale» (ILO CEACR 2012, p. 111,
traduz. mia).

25
   CEACR – Netherlands, Observation, C.98, pubblicata nel 2011. Si tratta del famoso caso degli orchestrali
olandesi poi deciso nel 2014 dalla Corte di Giustizia UE nella nota sentenza FNV Kunsten (Cgue 4 dicembre
2014, n. 413/13 in
ECLI:EU:C:2014:2411. Più recentemente, sullo stesso caso vedi CEACR – Netherlands, Observation, C.98,
pubblicata nel 2018.
26
   Secondo il CEACR, l’espressione “economia informale” comprende «tutte le attività economiche che, di
diritto o di fatto, non sono coperte o non sono sufficientemente coperte da disposizioni formali. Questo
termine tiene conto della notevole diversità di lavoratori e di unità economiche, in diversi settori
dell'economia e in contesti rurali e urbani, che sono particolarmente vulnerabili e insicuri, che soffrono di
gravi deficit di lavoro dignitoso e che spesso rimangono intrappolati nella povertà e in attività a bassa
produttività. L’economia informale comprende lavoratori subordinati e lavoratori autonomi, quelli che
lavorano nella attività di famiglia e coloro che si spostano da una situazione all’altra, così come alcuni di
coloro che sono impegnati in nuove forme di lavoro flessibile e che si trovano alla periferia dell’impresa
principale o all’estremità più bassa della catena di produzione» (ILO CEACR 2012, p. 21 traduzione mia).
27
   Il CEACR tratta spesso dei due temi, insieme, perché sono frequenti i casi in cui le legislazioni nazionali
escludono dalla propria protezione i bambini impiegati come lavoratori autonomi e quelli impiegati
nell’“economia informale”, cfr. da ultimo CEACR – Afghanistan, Observation, C.138, pubblicata nel 2018;
CEACR – Bolivia, Observation, C.138, pubblicata nel 2018; CEACR – Botsawana, Direct Request, C.138,
pubblicata nel 2018.

                                                                                                            7
Anche le Convenzioni in materia di discriminazione si applicano universalmente e
includono il lavoro autonomo e l’economia informale. Il CEACR ha anche ricordato come
in fase di negoziazione della Convenzione N. 111 la proposta di escludere i lavoratori
autonomi dalle tutele garantite dallo strumento sia stata bocciata due volte (ILO CEACR
2012, pp. 307-308, traduz. mia). Anche i lavori preparatori e il testo della Convenzione N.
100, che si riferisce, in inglese, ad «all workers», confermano che la Convenzione non
ammette nessun tipo di esclusione dal proprio ambito di applicazione (ILO CEACR 2012,
pp. 275-276, traduz. mia).
       La Convenzione N. 87 sulla libertà sindacale si applica, pure, con l’eccezione delle
forze armate e della polizia, a tutti i lavoratori «senza alcuna distinzione». Il campo di
applicazione della Convenzione 98 sul diritto di organizzazione e di negoziazione
collettiva coincide quasi perfettamente con quello della Convenzione 8728. Come osservato
supra, il CEACR ha sottolineato in più occasioni che, con le sole eccezioni ricordate, i
diritti collettivi spettino a tutti i lavoratori, inclusi i lavoratori autonomi. Nel campo dei
diritti collettivi è rilevante anche l’opinione del Comitato sulla Libertà di Associazione, la
cui composizione è tripartita e secondo cui la titolarità della libertà sindacale «non si basa
sull'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, che spesso è inesistente, ad esempio nel
caso dei lavoratori agricoli, dei lavoratori autonomi in generale o delle persone che
esercitano le professioni liberali, che dovrebbero comunque godere del diritto di
organizzarsi [in sindacato]» (ILO CFA 2018, p. 70, traduz. mia). Sia per il CEACR che per
il Comitato per la Libertà Sindacale, i lavoratori autonomi sono titolari anche del diritto
alla contrattazione collettiva (ILO CEACR 2012, p. 85; ILO CFA 2018, p. 240)29.
       Proprio la titolarità di quest’ultimo diritto è stata di recente oggetto di particolare
attenzione da parte dei comitati di supervisione, con specifico riferimento a casi in cui la
Cgue o altre istituzioni della UE abbiano finito per negare l’accesso dei lavoratori
autonomi alla contrattazione collettiva, in applicazione della normativa antitrust. Il
CEACR, riferendosi espressamente alla sentenza FNV Kunsten30, ha voluto ribadire la
propria posizione in materia, dicendosi consapevole che i tradizionali meccanismi di
contrattazione collettiva «potrebbero non essere adatti alle specifiche circostanze e
condizioni in cui lavorano i lavoratori autonomi» ma invitando il Governo e le parti sociali
olandesi a «introdurre le modifiche necessarie a quei meccanismi per facilitarne
l’applicazione» a tali lavoratori31. In un’altra occasione, in cui il Governo irlandese aveva
rinunciato a estendere l’immunità dal diritto antitrust per determinate categorie di
lavoratori autonomi per l’opposizione della Commissione Europea, il caso, dopo essere
stato esaminato dal CEACR32, che aveva ribadito la propria posizione circa il diritto dei
lavoratori autonomi alla contrattazione collettiva, è stato trattato dal Comitato per
l’Applicazione delle Norme.
       Quest’ultimo è un organo tripartito che, tra l’altro, discute ogni anno dei casi di più
rilevante violazione delle Norme internazionali del lavoro. In quella sede alcuni
rappresentanti dei datori di lavoro hanno sollevato dubbi sull'applicazione della
Convenzione N. 98 ai lavoratori autonomi, poiché l'articolo 4 della Convenzione, nel
fissare il diritto alla contrattazione collettiva, si riferisce solo ai «terms and conditions of
employment» (ILO 2016a, p. II/105). Tuttavia, questo sembra proprio uno di quei casi in

28
   La Convenzione N. 98, oltre a rimettere alle legislazioni nazionali la disciplina sindacale delle forze armate
e della polizia, «non concerne la condizione dei funzionari pubblici» (articolo 6).
29
   Cfr. anche CEACR – Netherlands, Observation, C.98, pubblicata nel 2018.
30
   Cfr. nota 25.
31
   CEACR – Netherlands, Observation, C.98, pubblicata nel 2018.
32
   CEACR – Netherlands, Observation, C.98, pubblicata nel 2016. Il CEACR è ritornato sul caso nel 2016 e
nel 2017.

                                                                                                               8
cui il termine “employment” debba necessariamente essere interpretato in senso lato, come
sinonimo di “occupazione”.
       L'articolo 1 della Convenzione, ad esempio, vieta di subordinare l’«employment» di
un lavoratore «alla condizione che egli non aderisca ad un sindacato o smetta di far parte di
un sindacato». Un’interpretazione restrittiva del termine “employment” in questo contesto
inciderebbe direttamente non solo sul diritto alla contrattazione collettiva, ma sullo stesso
diritto di organizzazione. Inoltre, come sottolineato supra, una lettura formalistica di
questo termine avrebbe conseguenze particolarmente negative sulla possibilità di accedere
pienamente ai diritti collettivi per alcuni tra i lavoratori più vulnerabili, ad esempio, i
lavoratori “in nero” che, in molti Paesi, potrebbero trovarsi nell'impossibilità di far
accertare l’esistenza di un formale rapporto di lavoro subordinato. Un tale approccio
avrebbe inoltre sconfessato l’operato pluridecennale dei comitati di supervisione in
materia. Il Comitato per l’Applicazione delle Norme, infatti, ha deciso in accordo con la
posizione del CEACR (ILO 2016a, p. II/107). Si tratta ovviamente di un tema molto
sensibile che pone, tra l’altro, delicati problemi di contrasto tra varie fonti sovranazionali e
internazionali in materia (Countouris, De Stefano 2019, pp. 29 e 48 ss.) e che sarà
probabilmente oggetto di nuovi pronunciamenti negli anni a venire.

           4.     La discussione sulla violenza e le molestie sul lavoro e la protezione “a
           prescindere dalla qualificazione contrattuale”.

      La questione delle di tutele di base che spettano a tutti i lavoratori, inclusi gli
autonomi, non è dibattuta soltanto negli organismi di supervisione. Di recente essa ha
riguardato sia i costituenti tripartiti sia altri organismi indipendenti in sede OIL. Nel 2018,
la Conferenza Internazionale del Lavoro ha discusso l’adozione di una Convenzione e di
una Raccomandazione sull’eliminazione della violenza e delle molestie sui luoghi di
lavoro. La discussione di questi Standard si è rivelata particolarmente complicata. Uno dei
principali nodi da sciogliere è stato, appunto, l’ambito di applicazione dei nuovi strumenti
normativi. Il Gruppo dei Datori di lavoro proponeva di adottare una definizione del
termine “worker” che comprendesse «i lavoratori [workers, nel testo inglese] definiti come
tali dalle leggi e prassi nazionali sia nell’economia formale che informale, sia nelle aree
urbane che rurali». La proposta, tuttavia, non è stata approvata. Altri delegati, sia
governativi sia del Gruppo dei Lavoratori, hanno infatti osservato come proprio le leggi e
prassi nazionali siano spesso troppo restrittive, e come invece andassero tutelati tutti i
lavoratori «a prescindere dalla qualificazione contrattuale [irrespective of contractual
status, nel testo inglese]». I Governi dei Paesi africani, in particolare, premevano su questo
punto affinché il testo degli Standard avesse copertura globale nelle proprie giurisdizioni.
Il Governo dell’Uganda, parlando a nome di tutti i Governi africani, «sottolineava
l’importanza di specificare nel testo l'inclusione di tutte le persone indipendentemente a
prescindere dalla qualificazione contrattuale. Se ciò non fosse stato specificato, le persone
più vulnerabili nell’ambito dell’economia informale sarebbero rimaste prive di
protezione»33.
      Dopo lunghe trattative, il testo provvisorio è: «la presente Convenzione riguarda i
lavoratori [workers, nel testo inglese] e altre persone, compresi i lavoratori subordinati
[employees, nel testo inglese] come definiti dalla legislazione e dalle prassi nazionali,
nonché le persone che lavorano a prescindere dalla qualificazione contrattuale, le persone
in [rapporti di] formazione, compresi gli stagisti e gli apprendisti, i lavoratori il cui
impiego sia cessato, i volontari, le persone in cerca di lavoro e i candidati a un posto di

33
     Il testo tra virgolette è tratto da ILO 2018b, pp. 39-47, parr. 285-375 (traduz. mia).

                                                                                              9
lavoro, in tutti i settori, sia nell’economia formale che informale, sia nelle aree urbane che
rurali» (ILO 2019, p. 8).
       Si tratta di una ambito di applicazione praticamente universale, che dipende
strettamente dalle finalità dello strumento, volto a combattere la violenza e le molestie sul
lavoro in ogni ambito34, anche prima della conclusione di un qualsiasi contratto di lavoro
così come dopo la sua cessazione. Bisognerà attendere la conclusione della Conferenza
Internazionale del Lavoro del 201935 per avere la certezza che una Convenzione venga
adottata e che questo testo rimanga invariato. Di sicuro, però, il dibattito e il testo
provvisorio dimostrano come l’ambito di applicazione degli Standard sia, proprio oggi, un
tema centrale, anche per tenere debito conto della grande varietà delle forme di lavoro
esistenti nei Paesi industrializzati e in via di sviluppo.

        5.    Il “Futuro del Lavoro” au-delà de l’emploi e la Universal Labour
        Guarantee “a prescindere dai tipi di contratto o dalla qualificazione giuridica”.

       Proprio in questa direzione si è mossa la Commissione Globale sul Futuro del
Lavoro, una commissione indipendente di 27 esperti proveniente dal mondo politico,
sindacale, datoriale e accademico che comprendeva ex officio anche il Direttore Generale
dell’ILO e autorevoli membri dei Gruppi dei Datori di lavoro e dei Lavoratori dell’OIL36.
Tra le varie proposte che la Commissione ha formulato vi è l’adozione di una Universal
Labour Guarantee (ULG). La ULG comprenderebbe i Principi e i Diritti Fondamentali nel
Lavoro dell’OIL, dei quali dovrebbe entrare a far parte anche la salute e la sicurezza sul
lavoro e, inoltre, la garanzia di «limiti all’orario di lavoro» e di «un salario adeguato»37. La
Commissione propone che l’ULG si applichi a tutti i lavoratori «a prescindere dai tipi di
contratto o dalla qualificazione giuridica [regardless of their contractual arrangement or
employment status, nel testo inglese]», e quindi anche ai lavoratori autonomi (ILO GCFW
2019, pp. 38-39).
       Si tratta di una vera e propria svolta. Senza dubbio, infatti, le proposte della
Commissione non vincolano i costituenti, che a giugno 2019 negozieranno un possibile
documento di celebrazione del centenario dell’OIL che guiderà l’attività
dell’Organizzazione nei suoi primi passi nel suo secondo secolo di attività. Il solo fatto,
però, che un organismo di esperti provenienti dai più diversi settori e da tutti i continenti
suggerisca l’adozione della ULG in sede OIL è comunque epocale. Non viene infatti solo
ribadita la titolarità universale dei PDFL, suggerendo di includervi un nuovo diritto, ma si
propone di rendere universali anche diritti socio-economici come la tutela salariale e i
limiti all’orario di lavoro.
       Qualunque cosa decideranno i costituenti tripartiti, è chiaro che, alla svolta del
centenario, l’OIL è chiamata a interrogarsi profondamente sui destinatari delle tutele
lavoristiche nel mondo del lavoro del futuro. Se questo sarà, come sembra, sempre più

34
   Basti pensare che la bozza provvisoria della Convenzione individua come potenziali vittime (e
perpetratori) di violenze e molestie oltre che i lavoratori come definiti nel testo, i datori di lavoro, i
rappresentanti sindacali e datoriali e anche «terze parti, compresi clienti, consumatori, fornitori di servizi,
utenti, pazienti e membri del pubblico» (cfr. ILO 2019, articoli 2 e 4, traduz. mia).
35
   L’adozione Norme Internazionali del Lavoro avviene, normalmente, nel corso di due sessioni successive
della Conferenza Internazionale del Lavoro. La discussione sugli Standard di cui nel testo, iniziata nella
sessione del 2018, si concluderà nella sessione del 2019. In quest’ultima sessione, il testo finale potrebbe
cambiare, così come la Conferenza potrebbe non trovare l’accordo per l’adozione di uno o entrambi questi
Standard.
36
   Questi ultimi, però, partecipavano a titolo personale e non come rappresentanti dei Gruppi.
37
   «Adequate living wage», nel testo inglese, e, quindi, qualcosa di più di un “salario minimo” (minimum
wage).

                                                                                                           10
variegato e complesso, realizzare il principio fondante dell’OIL, «il lavoro non è una
merce», raggiungendo sempre più lavoratori e senza diluire le protezioni esistenti38 sarà
una delle sfide principali a livello nazionale e internazionale. La Universal Labour
Guarantee è sicuramente un passo avanti per iniziare una discussione in questo senso.

     Riferimenti bibliografici

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      fundamental Conventions concerning rights at work in light of the ILO Declaration
      on Social Justice for a Fair Globalization, 2008, International Labour Conference,

38
  È importante sottolineare che la Commissione non propone la ULG come alternativa al contratto di lavoro
subordinato e alla sua protezione. Essa invita infatti anche a sostenere la tutela dei lavoratori subordinati e la
ULG è indicata come uno strumento per «rafforzare il lavoro subordinato, ampliando nel contempo la
portata della protezione lavoristica al di là di esso» (ILO GCFA 2019, p. 39 traduzione mia).

                                                                                                              11
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                                                                                   12
To whom do ILO standards apply? The personal scope of International Labour
Standards, by Valerio De Stefano

This essay investigates the personal scope of the International Labour Standards of the
ILO. By analysing the wording of International Labour Standards (ILSs) and the opinions
of the ILO Supervisory Bodies, it argues that there is not a universal international
definition of “employees” or of the “employment contract” or “the employment
relationship”. It suggests that even when ILSs do use such terms as “employment” or
“employment relationship” the personal scope of ILO instruments should be determined on
a case-by-case basis, also by referring to the travaux préparatoires and to the opinions of
the Supervisory Bodies and by taking into account the objectives of the relevant
instruments. This article examines in particular the ILO Fundamental Conventions and
their application by the ILO Supervisory Bodies and refers to debates currently taking
place at the ILO on the adoption of ILSs on the elimination of violence and harassment in
the world of work and of a Universal Labour Guarantee that apply to “all workers,
regardless of their contractual arrangement or employment status”.

Keywords: personal scope of International Labour Standards, International Labour
Organization, employment relationship, work au-delà de l’emploi

Valerio De Stefano è BOF-ZAP Reserch Professor of Labour Law all’Università di
Lovanio (KU Leuven) (Faculty of Law, Institute for Labour Law, KU Leuven, Blijde
Inkomststraat 17, 3000, Leuven, Belgium) valerio.destefano@kuleuven.be . Questo
articolo è parte della ricerca sostenuta dall’Odysseus grant finanziato dalla FWO –
Research Foundation Flanders “Employment rights and labour protection in the on-
demand economy”.

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