NELLA LEGGE FINANZIARIA PER IL 2008 - LA RIFORMA DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO
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LA RIFORMA DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO NELLA LEGGE FINANZIARIA PER IL 2008 (Avv. Daniela Anselmi) 1. I poteri delle Regioni per la rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali Com’è noto, il servizio idrico integrato è organizzato sulla base di ambiti territoriali ottimali (art. 147 del D.lgs. n. 152/2006). Già la legge Galli, all’art. 8, comma 1, aveva individuato con precisione i criteri da seguire per ripartire il territorio nazionale in ambiti territoriali ottimali, affidando alle regioni detto compito, criteri che sono stati poi sostanzialmente ripresi dall’art. 147 del Codice dell’ambiente. Proprio con riferimento allo specifico settore della gestione delle risorse idriche, la legge Galli aveva tra i suoi fini quello di contemperare una gestione del servizio improntata al rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità con l’esigenza di proteggere e conservare le acque pubbliche, intese come risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà. Ovviamente, tali principi si connettono inscindibilmente con le esigenze collegate al servizio in questione, prime tra tutte quella di continuità ed adeguatezza nell’erogazione del servizio oltre che di garanzia dei fabbisogni delle generazioni future. Al fine di perseguire i suddetti obiettivi, il provvedimento normativo di cui sopra si è fatto portatore di una disciplina che consentisse il superamento della frammentarietà delle gestioni esistenti mediante la costituzione di “Ambiti Territoriali Ottimali” (ATO), nei quali il servizio idrico integrato (costituito “dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue”) fosse organizzato secondo criteri imprenditoriali ed in assenza di sprechi o di usi impropri della risorsa acqua. Ai sensi dell’art. 8, comma 2, della legge n. 36/1994, la delimitazione dei 1
suddetti ambiti territoriali ottimali veniva effettuata dalle regioni, sentite le province interessate, “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”. Per quanto concerne, poi, la disciplina della gestione del servizio idrico integrato, il primo comma dell’art. 9 della legge Galli stabiliva che “I comuni e le province di ciascun ambito territoriale ottimale di cui all’articolo 8, entro il termine perentorio di sei mesi dalla delimitazione dell’ambito medesimo, organizzano il servizio idrico integrato, come definito dall’art. 4, comma 1, lett. f), al fine di garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità”. In buona sostanza, nelle previsioni della legge Galli, l’organizzazione della gestione del servizio idrico integrato spettava agli enti locali come compito obbligatorio, da esercitare successivamente alla delimitazione da parte delle regioni della dimensione territoriale ottimale rispetto alla quale il servizio doveva essere erogato. Per l’organizzazione della gestione in esame, inoltre, la legge n. 36/1994 fissava specifici criteri. In primo luogo, come detto, la gestione del servizio de quo doveva essere organizzata in modo da garantire l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’attività svolta. In secondo luogo, la legge Galli indicava agli enti locali destinatari del compito di organizzazione del servizio pubblico integrato i modelli gestionali previsti in generale per tutti i servizi pubblici locali dalla legge n. 142/1990 (ora D.lgs. n. 267/2000). In buona sostanza, il rinvio operato dall’art. 9 della legge n. 36/1994 era alle cinque tipiche forme strutturali che fino alla riforma del 2001 (operata dall’art. 35 della legge n. 448/2001) avevano caratterizzato la gestione dei servizi pubblici locali, e cioè la gestione in economia, l’azienda speciale, l’istituzione, la concessione a terzi e la società mista. Infine, l’art. 11 della legge Galli disciplinava i rapporti tra enti locali e soggetti gestori del servizio idrico integrato, stabilendo che, per regolare siffatti rapporti, “La regione adotta una convenzione tipo e relativo disciplinare (…) in conformità ai criteri ed agli indirizzi di cui all’art. 4, comma 1, lettere f) e g)”. I criteri individuati dalla legge Galli prendevano, dunque, in considerazione il 2
profilo ambientale, funzionale ed istituzionale. Alla stregua di siffatti parametri, gli ambiti territoriali ottimali dovevano, come accennato, rispettare anzitutto il ciclo delle acque, prescindendo dalle circoscrizioni degli enti territoriali. In buona sostanza, nello schema tratteggiato dalla legge Galli, gli ambiti territoriali ottimali dovevano raggiungere adeguate dimensioni territoriali, in modo da consentire di superare la frammentazione delle gestioni locali e realizzare economie di scala con un bacino di utenza che permettesse loro di generare introiti sufficienti a coprire i costi di gestione e gli investimenti necessari. In effetti, dall’esperienza pratica è emerso che l’estensione territoriale degli ambiti territoriali ottimali coincide, per la maggior parte, con quella della provincia e talvolta con quella della regione. Il superamento dei confini amministrativi dei singoli enti locali trova un’importante conferma nell’art. 147 del Codice ambientale, il quale, dopo aver riconosciuto alle regioni la possibilità di modificare gli ambiti territoriali ottimali individuati in base ai criteri stabiliti dalla legge Galli, indica i principi cui le stesse debbono informarsi per eseguire tali modifiche. Più precisamente, l’art. 147 citato dispone che “I servizi idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle regioni in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36. Le regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in particolare, dei seguenti principi: a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, tenuto conto dei piani di bacino, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati; b) unitarieta' della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni; c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici. 3
Le regioni, sentite le province, stabiliscono norme integrative per il controllo degli scarichi degli insediamenti civili e produttivi allacciati alle pubbliche fognature, per la funzionalità degli impianti di pretrattamento e per il rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalle relative autorizzazioni”. I criteri per la determinazione degli ambiti territoriali ottimali previsti dal Codice dell’ambiente, dunque, sono quelli della unità del bacino idrografico, unitarietà della gestione ed adeguatezza delle dimensioni gestionali. In ogni caso, le regioni, nel rispetto dei predetti parametri, possono modificare la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali soltanto per migliorare la gestione del servizio idrico secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità. In tema di ridelimitazione degli ambiti territoriali ottimali, importanti novità sono state poi apportate dalla legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244/2007). In particolare, per quanto qui interessa, il comma 38 dell’art. 2 della predetta legge ha previsto che “Per le finalità di cui al comma 33, le regioni, nell'esercizio delle rispettive prerogative costituzionali in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti, fatte salve le competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in ottemperanza agli obblighi comunitari, procedono entro il 1º luglio 2008, fatti salvi gli affidamenti e le convenzioni in essere, alla rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei medesimi servizi secondo i princìpi dell'efficienza e della riduzione della spesa nel rispetto dei seguenti criteri generali, quali indirizzi di coordinamento della finanza pubblica: a) in sede di delimitazione degli ambiti secondo i criteri e i princìpi di cui agli articoli 147 e 200 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, valutazione prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali ai fini dell'attribuzione delle funzioni in materia di rifiuti alle province e delle funzioni in materia di servizio idrico integrato di norma alla provincia corrispondente ovvero, in caso di bacini di dimensioni più ampie del territorio provinciale, alle regioni o alle province interessate, sulla base di appositi accordi; in alternativa, attribuzione delle medesime funzioni ad una delle forme associative tra comuni di cui agli articoli 30 e seguenti del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, composte da sindaci o loro delegati che vi partecipano senza percepire alcun compenso (…)”. 4
Occorre preliminarmente tenere conto delle finalità esplicitamente dichiarate dalla disposizione in esame, che sono quelle previste dal comma 33, il quale a sua volta dispone che: “Anche ai fini del coordinamento della finanza pubblica, in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione, lo Stato e le regioni, nell’ambito di rispettiva competenza legislativa, provvedono all’accorpamento o alla soppressione degli enti, agenzie od organismi, comunque denominati, titolari di funzioni in tutto o in parte coincidenti con quelle assegnate agli enti territoriali ed alla contestuale riallocazione delle stesse agli enti locali, secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. La finalità dell’intervento legislativo in esame è, dunque, essenzialmente quella del risparmio di spesa pubblica e lo strumento individuato dal legislatore è la soppressione di enti ritenuti “inutili”, in quanto “titolari di funzioni in tutto o in parte coincidenti con quelle assegnate agli enti territoriali”. In quest’ottica, la disposizione di cui trattasi attribuisce un ruolo importante alle regioni, sul presupposto che esse siano titolari di “prerogative costituzionali in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti”, il che costituisce un interessante riconoscimento delle competenze regionali, non altrettanto esplicitato dal Codice dell’ambiente, il quale, invece, contiene una dettagliata disciplina di tali materie, comprimendo così l’autonomia regionale. Il comma 38 testè menzionato appare, peraltro, di non facile interpretazione e recante alcuni profili problematici. Il primo aspetto problematico posto dalla disposizione in commento concerne proprio i criteri da seguire nella delimitazione degli ambiti territoriali ottimali. La citata norma, in sostanza, spinge verso la coincidenza dell’ambito territoriale ottimale con il territorio provinciale, in modo da attribuire “di norma” le funzioni in materia di servizio idrico integrato alla provincia corrispondente. In altri termini, la disposizione in esame tende ad attuare la finalità più generale di cui al comma 33 dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 e cioè quella di riallocare agli enti locali le funzioni in tutto o in parte coincidenti con quelle a loro assegnate ed attualmente svolte da enti che si intende accorpare o sopprimere. 5
Il più recente legislatore, dunque, tra i criteri per la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali, sembra aver privilegiato la ripartizione politico- amministrativa della provincia a scapito delle valutazioni di carattere idrogeologico ed economico. Tale scelta, come si è detto, si è soprattutto ispirata al contenimento dell’ormai insostenibile proliferazione di enti pubblici e, sotto questo profilo, può considerarsi condivisibile. Opportuna pare essere anche la parte della disposizione ove si precisa che le economie a carattere permanente derivanti dal ridimensionamento dell’apparato amministrativo dovranno essere destinate al potenziamento ed all’ammodernamento delle infrastrutture, nonché al contenimento delle tariffe per gli utenti domestici finali. Riassumendo, con la legge finanziaria per il 2008 il territorio provinciale diventa il criterio prevalente – ma non esclusivo - cui le regioni devono ispirarsi nella ridefinizione degli ambiti territoriali ottimali. Peraltro, ciò non sembra escludere che le regioni possano comunque prendere in considerazione, ai fini della delimitazione in questione, il territorio comunale, posto che la disposizione in commento parla semplicemente di “valutazione prioritaria”. Inoltre, la circostanza che detta disposizione richiami i criteri e i principi di cui all’art. 147 del D.lgs. n. 152/2006 – il quale, a sua volta, riprende le previsioni della Legge Galli – è un ulteriore indice di una possibile “continuità”, nella materia in esame, con il regime precedente. Non esiste, dunque, alcuna disposizione che imponga alle regioni di considerare esclusivamente l’ente provincia ai fini della determinazione dell’ambito territoriale ottimale: una tale norma non esisteva né in precedenza, né sussiste dopo la legge finanziaria per il 2008. Sotto un altro – e per certi versi contrapposto - punto di vista, la priorità data al territorio provinciale potrebbe cozzare, secondo un’altra parte della dottrina, con i criteri individuati dal Codice dell’ambiente per delimitare gli ambiti territoriali ottimali e segnatamente con quelli dell’unitarietà del bacino idrografico e dell’adeguatezza delle dimensioni gestionali, nonché con il principio di efficienza richiamato dalla stessa disposizione della legge finanziaria. 6
In altri termini, è proprio la dimensione provinciale a far sorgere in alcuni talune perplessità. Sotto questo profilo, come notato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione del 22 novembre 2007, tra le principali difficoltà sin qui sperimentate nel raggiungimento di un’organizzazione efficiente delle imprese che svolgono l’attività di gestori dei servizi idrici integrati, vi sono proprio le dimensioni ancora eccessivamente ridotte dei singoli ambiti operativi, per lo più corrispondenti ai territori provinciali, che nella maggior parte dei casi non consentono la realizzazione di opportune economie di scala, le quali rappresentano una condizione indispensabile affinché le imprese del settore siano effettivamente in grado di fornire servizi di migliore qualità, con costi e quindi prezzi realmente competitivi. 2. L’attribuzione delle funzioni in materia di servizio idrico integrato Con specifico riferimento alla gestione delle risorse idriche, il D.lgs. n. 152/2006, riprendendo le previsioni della legge Galli, stabilisce, all’art. 142, commi 2 e 3, che “Le regioni esercitano le funzioni e i compiti ad esse spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali di cui al comma 1, ed in particolare provvedono a disciplinare il governo nel rispettivo territorio. Gli enti locali, attraverso l’Autorità d’ambito di cui all’articolo 148, comma 1, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo, secondo le disposizioni della parte terza del presente decreto”. Il secondo aspetto problematico del comma 38 in commento concerne proprio l’attribuzione delle funzioni in materia di servizio idrico integrato ed è dato dall’inciso “ai fini dell’attribuzione (…) delle funzioni in materia di servizio idrico integrato di norma alla provincia corrispondente (…)”, sempre contenuto nella lett. a) del predetto comma. 7
Stante l’oscurità di tale disposizione, essa appare suscettibile di due diverse interpretazioni. In primo luogo, essa può essere interpretata nel senso di dare alle regioni il compito, oltre che, come visto prima, di delimitare gli ambiti territoriali ottimali, anche di attribuire alle province le funzioni in materia di servizio idrico integrato. Se così interpretata, peraltro, la disposizione in esame violerebbe, come meglio si vedrà, sia il D.lgs. n. 152/2006, sia il dettato costituzionale in tema di riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali. Sotto il primo profilo, occorre rilevare come il D.lgs. n. 152/2006 si configuri quale “fonte atipica”, in quanto dotata di una forza passiva potenziata, e cioè una maggiore resistenza all’abrogazione ed alla modifica da parte di fonti successive. L’art. 3 del Codice ambientale, infatti, dispone che “Le norme di cui al presente decreto non possono essere derogate, modificate o abrogate se non per dichiarazione espressa, mediante modifica o abrogazione delle singole disposizioni in esse contenute”. In buona sostanza, le eventuali antinomie che si dovessero creare tra il Codice dell’ambiente e successive fonti di rango primario non potranno essere risolte sulla base del tradizionale criterio cronologico, stante, appunto, la disposizione sopra menzionata che attribuisce al decreto stesso una forza passiva peculiare. In altri termini, le norme del Codice potranno essere modificate e/o derogate soltanto da un’eventuale successiva fonte di carattere primario che espressamente preveda detta modifica e/o deroga. Per quanto riguarda il tema in esame, l’art. 148 del D.lgs. n. 152/2006 prevede il trasferimento all’Autorità d’ambito – “alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente” – delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche. È l’Autorità d’ambito, dunque, il soggetto, avente personalità giuridica, che esercita le funzioni de quibus. Nella legge finanziaria, per contro, l’ATO diventa un criterio soltanto residuale ai fini dell’attribuzione delle funzioni in materia di servizio idrico integrato: il comma 38 in commento, infatti, dispone, a tal proposito, che “… in alternativa, attribuzione delle medesime funzioni ad una delle forme associative tra comuni di cui 8
agli articoli 30 e seguenti del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (…)”. Pertanto, laddove si ritenesse che, in virtù dell’art. 2, comma 38, della legge finanziaria 2008, le regioni possano attribuire le funzioni in questione alle province, si determinerebbe una “modifica tacita” del predetto art. 148 e, dunque, la violazione dell’art. 3 sopra menzionato. Il comma 38 in esame, infatti, non prevede espressamente l’abrogazione di alcuna disposizione del Codice dell’ambiente ed, anzi, la lett. a) richiama proprio i principi fissati dal D.lgs. n. 152/2006. Siffatta conclusione trova conferma, tra l’altro, nella circostanza che l’originario emendamento Legnini, proprio per evitare la violazione dell’art. 3 del Codice, prevedeva espressamente la soppressione delle Autorità d’ambito, a far data dal 1° luglio 2008. Inoltre, l’attribuzione da parte delle regioni alle province delle funzioni in materia di servizio idrico integrato contrasterebbe altresì con quanto previsto dall’art. 147 del Codice dell’ambiente, laddove vengono fissati i criteri cui le regioni stesse devono ispirarsi in sede di delimitazione degli ambiti territoriali ottimali. La disposizione citata, come detto, prevede, quali criteri generali, oltre a quelli di efficienza, efficacia ed economicità, anche i principi dell’unicità del bacino idrografico e del sub-bacino, unicità della gestione e adeguatezza delle dimensioni gestionali. Inoltre, sia la legge Galli che il successivo Codice ambientale, parlando genericamente di “enti locali”, ponevano, come detto, un’indifferenza tra comuni e province quanto all’attribuzione delle funzioni in materia di servizio idrico integrato. Limitare la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali alle province ed assegnare a queste ultime le funzioni in materia di servizio idrico integrato comporterebbe, dunque, una modifica dei criteri – più generali – previsti dal citato art. 147. Ciò, di conseguenza, determinerebbe, sotto altro profilo, un’ulteriore violazione dell’art. 3 del D.lgs. n. 152/2006, atteso che si verrebbe ad avere un’altra modifica tacita del Codice. Inoltre, se interpretato nel senso anzidetto, il comma 38 in commento si 9
porrebbe altresì in contrasto con il dettato costituzionale in tema di riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali. L’art. 117, comma 2, lett. p), della Costituzione, infatti, riserva alla competenza esclusiva dello Stato la determinazione delle funzioni fondamentali di comuni e province. In buona sostanza, soltanto una legge statale può prevedere ed attribuire a comuni e province le principali funzioni che questi potranno e dovranno esercitare. Appare evidente, a questo proposito, come le funzioni in materia di servizio idrico integrato rientrino nella previsione de qua, in quanto funzioni fondamentali dell’ente locale. Qualora, pertanto, si ritenesse che la disposizione in esame debba essere interpretata nel senso di attribuire alle regioni il compito prima di delimitare gli ambiti territoriali ottimali e successivamente di attribuire alle province le relative funzioni, la disposizione medesima risulterebbe costituzionalmente illegittima per violazione del predetto art. 117 Cost. Inoltre, il comma 38 violerebbe le previsioni costituzionali in tema di riparto di competenze tra Stato e regioni anche sotto un ulteriore profilo. La materia “governo del territorio” rientra, infatti, a norma del 3° comma dell’art. 117 Cost., tra le materie di legislazione concorrente, ossia quelle materie in cui la legislazione dello Stato determina i “principi fondamentali della materia”, mentre il resto della disciplina compete alle regioni, le quali, ovviamente, dovranno rispettare i principi appunti fissati dallo Stato mediante le cosiddette leggi cornice. Alla luce di tale principio, lo Stato, nel determinare tali “principi fondamentali”, dovrà ovviamente dettare una disciplina di carattere generale, posto che la “specificazione” della stessa dovrà essere effettuata, successivamente, dalle regioni. Il comma 38 in esame, per contro, individuando esclusivamente nella provincia l’ente cui attribuire le funzioni in materia di servizio idrico integrato, contiene una specificazione che pare contrastante con i principi sopra menzionati, i quali presiedono il funzionamento della potestà legislativa concorrente. Ancora, l’attribuzione delle funzioni in materia di servizio idrico integrato alle province da parte delle regioni sembra altresì contrastante con il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione, in base al quale le funzioni 10
amministrative devono essere attribuite in prima battuta ai Comuni, i quali diventano, quindi, gli enti dotati di una competenza amministrativa generale. D’altra parte, anche la legge delega (legge n. 308/2004) aveva espressamente previsto che i decreti correttivi e/o integrativi al Codice dell’ambiente dovessero pur sempre rispettare il predetto principio di sussidiarietà, oltre che le “attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 57 e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”. Infine, si può ancora rilevare come l’attribuzione alle province delle funzioni in questione appaia contraria a quei principi di efficienza, efficacia ed economicità menzionati dall’art. 147 del D.lgs. n. 152/2006. Com’è noto, infatti, a partire dal R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, i titolari delle funzioni in materia di servizio idrico integrato sono sempre stati i Comuni, di talchè le province non possiederebbero neppure le adeguate e necessarie strutture amministrative per esercitare dette funzioni. In ogni caso, come accennato, la disposizione in commento è suscettibile anche di un’altra e diversa interpretazione. Più precisamente, la seconda interpretazione che può essere fornita del comma 38 è quella secondo cui le regioni si dovrebbero limitare soltanto a ridefinire, entro il 1° luglio 2008, gli ambiti territoriali ottimali, mentre le funzioni in materia di servizio idrico integrato dovrebbero essere attribuite alle province o agli altri soggetti menzionati direttamente dalla legge finanziaria. In altri termini, una volta che le regioni hanno provveduto, entro il predetto termine, alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali, le funzioni de quibus vengono automaticamente trasferite alle province o agli altri soggetti indicati nel comma 38. Seguendo questa interpretazione, dunque, sarebbe una legge statale (la legge n. 244/2007) a provvedere all’attribuzione delle funzioni in materia di servizio idrico integrato alle province o agli altri soggetti di cui sopra. Così interpretato, dunque, il comma 38 sarebbe compatibile con quanto previsto dall’art. 117, comma 2, lett. p), della Costituzione, atteso che sarebbe una legge statale, come detto, ad attribuire le funzioni in questione alle province e agli altri soggetti menzionati nel comma 38 stesso. 11
Peraltro, anche in questo caso si determinerebbe la violazione, sotto un diverso profilo rispetto a quello illustrato in precedenza, dell’art. 117, comma 3 Cost. Ut supra rilevato, ai sensi di detta disposizione, la materia “governo del territorio” rientra tra le materie di legislazione concorrente. Se si accoglie questa seconda interpretazione, peraltro, con riguardo alle funzioni in materia di servizio idrico integrato, si verrebbe ad avere soltanto l’intervento statale, senza lasciare spazio alle regioni, se non con esclusivo riferimento alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali. Ma la violazione più evidente, se si accoglie l’interpretazione in esame, è, ancora una volta, quella dell’art. 3 del D.lgs. n. 152/2006, disposizione che, come già rilevato, conferisce al Codice dell’ambiente una forza passiva peculiare, e cioè l’impossibilità di essere modificato e/ o derogato se non per dichiarazione espressa. In altri termini, anche alla luce di questa seconda interpretazione, si determinerebbe una “modifica tacita” dell’art. 148 del Codice dell’ambiente testè citato – il quale, si ricorda, prevede il trasferimento all’Autorità d’ambito delle competenze spettanti agli enti locali in materia di gestione delle risorse idriche - e, dunque, la violazione del predetto art. 3. Il comma 38 in esame, infatti, è utile ribadirlo, non prevede espressamente l’abrogazione di alcuna disposizione del Codice dell’ambiente ed anzi, la lett. a) richiama proprio i principi fissati dal D.lgs. n. 152/2006. Anche questa seconda interpretazione, poi, attribuendo le funzioni in materia di servizio idrico integrato alle province – ancorchè per mezzo di una legge statale – pare confliggere, per le ragioni sopra esposte, con il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione. Un ultimo accenno merita essere svolto con riguardo alle “forme associative tra enti locali” cui possono essere attribuite le funzioni in materia di servizio idrico integrato ai sensi del comma 38, lett. a) della legge finanziaria 2008. Viene, infatti, espressamente previsto che “a) in sede di delimitazione degli ambiti (…) valutazione prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali ai fini dell'attribuzione delle funzioni in materia di rifiuti alle province e delle funzioni in materia di servizio idrico integrato di norma alla provincia corrispondente (…) in alternativa, attribuzione delle medesime funzioni ad una delle forme 12
associative tra comuni di cui agli articoli 30 e seguenti del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, composte da sindaci o loro delegati che vi partecipano senza percepire alcun compenso (…)”. Alla luce della predetta disposizione, la regione può, dunque, optare per la soluzione delle forme associative fra enti locali, che è alternativa sia all’attribuzione delle funzioni alla singola provincia, sia a più province, sia alla regione stessa. Siffatta valutazione è rimessa alla discrezionalità delle regioni, le quali, nell’esercizio della propria autonomia, potranno fornire indicazioni di maggiore dettaglio. Nell’ipotesi del ricorso ad una delle forme associative tra enti locali, posto che il Codice dell’ambiente prevede la personalità giuridica di diritto pubblico delle AATO, le forme associative concretamente ipotizzabili sono il consorzio e l’unione di comuni. In quest’ultima ipotesi, inoltre, il legislatore pone due importanti limiti: a) tali forme associative devono essere composte da sindaci o loro delegati; b) i quali vi partecipano senza percepire alcun compenso. Dal nuovo quadro normativo sembra, pertanto, che il legislatore si sia orientato prioritariamente verso una forma associativa di tipo convenzionale, con delega di funzioni ad uno degli enti locali contraenti, la provincia, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti (ex art. 30, comma 4, del D.lgs. n. 267/2000). Parte della dottrina dubita, invece, che il legislatore abbia pensato al consorzio, in quanto, con questa forma associativa, si devono nominare, oltre all’assemblea composta dai sindaci (o dai loro delegati) degli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale, anche un consiglio di amministrazione ed un presidente. Con la convenzione, per contro, si può costituire un’assemblea dei comuni interessati, composta dai rappresentanti degli enti associati nella persona del sindaco o di un suo delegato, e delegare le funzioni alla provincia. Del resto, rileva questa parte della dottrina, esiste già la prassi di far rappresentare l’autorità d’ambito, che ha optato per la forma convenzionale, dagli organi monocratici (presidente della provincia o sindaco) dell’ente locale che svolge le funzioni di coordinamento (provincia o comune maggiore). 13
In tal modo, peraltro, rischia di restare in ombra l’obiettivo, che emerge, invece, dal Codice ambientale, di conferire all’autorità d’ambito una propria soggettività giuridica. D’altra parte, come accennato, con la finanziaria 2008 il legislatore persegue un fine opposto e cioè quello della riduzione degli enti pubblici e per questo si opta per l’attribuzione delle funzioni in materia di servizio idrico integrato direttamente agli enti locali (o addirittura alle regioni), i quali si troveranno a dover svolgere direttamente con proprio personale dette funzioni, senza il tramite di un soggetto distinto. Detti enti dovranno, pertanto, necessariamente trovare al loro interno strutture amministrative che abbiano una capacità tecnica adeguata per lo svolgimento delle complesse attività attribuite all’autorità d’ambito. Sotto altro profilo, secondo l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (cfr. segnalazione del 22 novembre 2007), l’affidamento diretto di queste funzioni agli enti locali rischia di confondere “nello stesso soggetto le funzioni di regolazione con l’attività di gestione del servizio, che è svolta in condizioni di monopolio naturale, molto spesso dall’impresa dallo stesso posseduta”. Ad avviso di parte della dottrina, suscita altresì perplessità il richiamo fatto dalla norma in esame alle regioni, per l’ipotesi di bacini di dimensioni più ampie del territorio provinciale. In particolare, non si comprenderebbe se ad esse debbano passare (rectius, essere delegate sulla base di accordi) le funzioni in materia di servizio idrico integrato riconosciute all’autorità d’ambito. Se così fosse, non pare essere questa una soluzione appropriata, anche perché si tratta di funzioni che spettano agli enti locali e non alle regioni, alle quali ultime il codice dell’ambiente affida compiti diversi ed in tal modo verrebbero nuovamente a confondersi i ruoli. 14
3. Raccordo con la disciplina prevista dal D.lgs. n. 152/2006 Come si è già avuto modo di rilevare, il comma 38 in esame, con riguardo alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali, richiama “i criteri e i princìpi di cui agli articoli 147 (e 200) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” alla lett. a). Più precisamente, i principi enunciati nell’art. 147 citato sono i seguenti: a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, tenuto conto dei piani di bacino, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati; b) unitarieta' della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni; c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici. Le regioni, dunque, in sede di ridelimitazione degli ambiti territoriali ottimali ai sensi del nuovo comma 38 della legge finanziaria per il 2008, dovranno prendere in considerazione, accanto ai principi menzionati dal citato comma 38 (efficienza, riduzione della spesa, valutazione prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali), anche quelli di cui all’art. 147 del Codice ambientale. Con riguardo ai criteri di cui al predetto art. 147, appare necessario rilevare che la lett. b) è stata di recente modificata dall’ultimo decreto correttivo del Codice ambientale (D.lgs. n. 4/2008), il quale ha sostituito le parole “unicità della gestione” con le parole “unitarietà della gestione”. L’emendamento non è puramente lessicale, costituendo, invece, una profonda correzione. Al fine di meglio comprendere gli effetti di tale modificazione appaiono utili le parole utilizzate dalla Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato nel parere 5 novembre 2007, n. 3838, reso sul citato decreto correttivo: “Il comma 13 modifica l’art. 147, comma 2, lett. b) (…) sostituendo le parole “unicità della gestione” con le parole “unitarietà della gestione. Lo scopo è, nell’ambito del servizio idrico integrato e del servizio relativo ai rifiuti, quello di una gestione con criteri 15
unitari, ma non necessariamente con un unico gestore nell’ambito di ciascun bacino. Nella relazione si legge che la modifica si adegua ad una richiesta della VIII Commissione della Camera. La sezione si riporta alle osservazioni critiche già espresse nel proprio precedente parere n. 2660 del 2007: rileva che la modifica comporta un significativo cambiamento della scelta effettuata dal decreto legislativo, atteso che un conto è l’unicità di gestore, un conto è la pluralità di gestori ancorché secondo criteri unitari. Invero, attraverso la pluralità di gestori per ciascun ambito, si corre il rischio di un sostanziale ritorno al sistema precedente e dunque ad un numero di gestori potenzialmente pari al numero di Comuni che fanno parte dell’a.t.o. La modifica esula pertanto dai limiti del potere correttivo e integrativo, perché non risulta giustificata da una esigenza pratica specifica; e invero, il testo attuale del decreto legislativo consente già temperamenti al sistema del gestore unico, come si evince dall’art. 200”. Tra gli altri profili di contatto tra il comma 38 in esame e la disciplina contenuta nel Codice dell’ambiente, oltre ai criteri da seguire per la ridefinizione degli ambiti territoriali ottimali, viene, poi, in rilievo, anche la dimensione territoriale da considerare in tale sede: a tal riguardo, infatti, il comma 38, come più volte evidenziato, sembra dare la preferenza al territorio provinciale, mentre il Codice dell’ambiente non contiene alcuna disposizione che imponga alle regioni di considerare esclusivamente l’ente provincia ai fini della determinazione dell’ambito territoriale ottimale. Sotto altro profilo, poi, la priorità data al territorio provinciale potrebbe cozzare con i criteri sopra menzionati dell’unitarietà del bacino idrografico e dell’adeguatezza delle dimensioni gestionali, appunto individuati dal Codice dell’ambiente per delimitare gli ambiti territoriali ottimali. Un altro profilo di raccordo tra legge finanziaria e Codice ambientale concerne, ancora, i soggetti titolari delle funzioni in materia di servizio idrico integrato. Il Codice dell’ambiente, all’art. 142, stabilisce che “Gli enti locali, attraverso l’Autorità d’ambito di cui all’articolo 148, comma 1, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione e 16
relativo controllo, secondo le disposizioni della parte terza del presente decreto”. L’art. 148, al comma 1, poi, dispone che “L’Autorità d’ambito è una struttura dotata di personalità giuridica (…) alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad esse spettanti in materia di gestione delle risorse idriche (…)”. Il Codice ambientale non contiene, dunque, alcuna specificazione di quale sia l’ente locale (regione, provincia o comune) che in concreto dovrà svolgere le funzioni in questione. La legge finanziaria 2008, sebbene oscura - e, dunque, suscettibile di differenti interpretazioni -, sembra, invece, anche in questo caso aver voluto attribuire alla provincia le funzioni de quibus, il che, come visto, costituisce un’altra modifica implicita del codice e, conseguentemente, una violazione dell’art. 3 del D.lgs. n. 152/2006. 17
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