Ne bis in idem internazionale e diritto - internazionale generale - di Federica Iuliano

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ISSN 1826-3534

              29 APRILE 2020

Ne bis in idem internazionale e diritto
       internazionale generale

              di Federica Iuliano
               Dottore in Giurisprudenza
       Università degli Studi di Napoli Federico II
Ne bis in idem internazionale e diritto
                     internazionale generale *
                                          di Federica Iuliano
                                       Dottore in Giurisprudenza
                               Università degli Studi di Napoli Federico II

Abstract [It]: Il presente contributo, prendendo le mosse da una recente sentenza della Corte di Cassazione
relativa al ne bis in idem internazionale, si propone di esaminare, anche alla luce dei più recenti contributi dottrinali
e giurisprudenziali sul punto, la complessa questione dell’operatività del divieto del doppio giudizio sul piano
internazionale e della riconducibilità del principio in questione (con particolare riferimento alla dimensione
orizzontale dello stesso, ovvero concernente l’effetto preclusivo del giudicato nei rapporti tra diverse entità statuali)
al novero delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute.

Abstract [En]: This paper, starting from a recent decision of the Italian Corte di Cassazione concerning the ne bis
in idem principle (which prohibits multiple proceedings in relation to the same facts, between the same parties and
on the same legal ground) in international law, is aimed at analysing the possible applications of such principle –
well-known in domestic law systems – at the international level and at examining whether this principle can be
qualified as a rule of general international law.

Sommario: 1. Introduzione. 2. La decisione della Corte di Cassazione. 3. Le diverse accezioni di ne bis in idem:
interna, estradizionale e internazionale. 4. Il problema della riconducibilità della regola del ne bis in idem
internazionale (in senso proprio) al novero delle norme di diritto internazionale generale. 5. Conclusioni.

1. Introduzione
La Corte di Cassazione, in una sentenza resa recentemente all’esito di un giudizio che vedeva coinvolto
un cittadino albanese processato per il medesimo fatto sia in Italia sia in Albania1, è tornata a pronunciarsi2
sul principio del ne bis in idem internazionale e dunque sulla possibile efficacia preclusiva del giudicato
straniero in un procedimento penale italiano.
La sentenza si inserisce nel solco del più ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale concernente
l’esistenza di una norma di diritto internazionale generale che imponga agli Stati di astenersi dall’esercizio
della giurisdizione penale nei confronti del soggetto già processato per il medesimo fatto in un altro

* Articolo sottoposto a referaggio.
1 Cass., sez. I, 24 luglio 2019, n. 33564.
2 Per la pregressa giurisprudenza in materia v. Cass., sez. I, 5 aprile 2013, n. 20464; Cass., sez. I, 12 giugno 2014, n.

29664; Cass., sez. VI, 15 novembre 2016, n. 54467; Cass., sez. IV, 6 dicembre 2016, n. 3315.

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Stato3. Si tratta di una questione4 particolarmente complessa che, come meglio si vedrà, ha acquistato
particolare rilievo nei tempi più recenti.
La sentenza in commento offre quindi l’occasione per una riflessione sul principio del ne bis in idem
internazionale e, più specificamente, sulla sua natura giuridica. A tal fine, dopo averne brevemente
ripercorso i passaggi fondamentali, si procederà anzitutto ad esaminare le diverse accezioni in cui viene
in rilievo la regola del ne bis in idem. Si analizzerà, poi, in modo più specifico, il ne bis in idem internazionale
in senso proprio (processuale), nella duplice dimensione orizzontale e verticale, affrontando la complessa
questione concernente la riconducibilità del principio (con particolare riferimento alla sua dimensione
orizzontale, vale a dire riguardante l’effetto preclusivo del giudicato nei rapporti tra diverse entità statuali)
al novero delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, anche alla luce dei più
significativi contributi dottrinali e giurisprudenziali sul punto. Alla luce di queste considerazioni, si
procederà infine a riconsiderare criticamente le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione nel
caso di specie.

2. La decisione della Corte di Cassazione
La decisione trae origine dal ricorso per Cassazione presentato da un cittadino albanese contro l’ordinanza
della Corte di Assise di Milano (quale giudice dell’esecuzione) di rigetto dell’istanza da lui presentata al
fine di ottenere la revoca, ai sensi dell’art. 669 c.p.p., della sentenza di condanna emessa nei propri
confronti dalla Corte d’Assise stessa e successivamente confermata anche in appello. Il ricorrente, in
particolare, aveva posto a fondamento della pretesa azionata la violazione del principio del ne bis in idem,
sul presupposto che in precedenza era stato già giudicato e prosciolto per il medesimo fatto dal Tribunale
di Fier in Albania. Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, aveva rigettato la domanda in considerazione
dell’assenza di una norma di diritto internazionale pattizio che prevedesse l’operatività del divieto del
doppio giudizio nei rapporti tra Italia ed Albania.

3 In dottrina v. ad esempio: R. BARATTA, Ne bis in idem, diritto internazionale e valori costituzionali, in Divenire sociale e
adeguamento del diritto. Studi in onore di F. Capotorti Vol. I, Milano, 1999 pp. 3-31; N. GALANTINI, Una nuova dimensione per il
ne bis in idem internazionale, in Cassazione Penale, 2004, pp. 3474-3484; C. AMALFITANO, Dal ne bis in idem internazionale al ne
bis in idem europeo, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2002, pp. 923-960; G. CONWAY, Ne Bis in Idem in
International Law, in International Criminal Law Review, 2003, pp. 217-244. Per la giurisprudenza v. Corte Cost., 18 aprile
1967, n. 48; Corte Cost., 8 aprile 1976, n. 69; Corte Cost., 3 marzo 1997, n. 58; Cass., sez. I, 12 giugno 2014, n. 29664.
4 A tal proposito è opportuno precisare che la questione concernente l’operatività di tale principio nel rapporto tra

diversi Stati verrà esaminata con riferimento all’ordinamento internazionale e non all’ordinamento comunitario. Ciò in
quanto l’operatività di tale principio nei rapporti tra gli Stati dell’Ue è garantita da numerose Convenzioni quali l’art. 54
della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen e l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea .

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Il ricorrente, pertanto, ha presentato ricorso in Cassazione avverso la predetta ordinanza della Corte di
Assise deducendo il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della violazione del divieto
di bis in idem. La Suprema Corte, tuttavia, ha confermato la decisione della Corte di Assise5. In particolare,
essa ha statuito che il processo celebrato in un altro Stato nei confronti di un soggetto che ha posto in
essere un reato nel territorio italiano non impedisce la rinnovazione del giudizio nei confronti di
quest’ultimo ai sensi dell’art. 11 del codice penale, salvo che siano stati stipulati accordi tra gli Stati
coinvolti finalizzati a derogare a tale disposizione. La Corte, infatti, richiamando la pregressa
giurisprudenza in materia, ha affermato che il principio del ne bis in idem non costituisce un principio
generale del diritto internazionale6 e pertanto, non essendo riconducibile ad una norma del diritto
internazionale generale oggetto di ricezione automatica ai sensi dell’art. 10 Cost., “deve essere oggetto di
regolamentazione di natura pattizia tra gli Stati”7. Data l’assenza di uno specifico accordo volto a
riconoscere l’operatività del divieto di doppio giudizio nei rapporti tra Italia e Albania, la Corte ha escluso
che il processo precedentemente celebrato in quest’ultima precludesse la rinnovazione del giudizio in
Italia, a nulla rilevando – a tal proposito – che entrambi gli Stati fossero parte della Convenzione EDU,
la quale, come è noto, disciplina il principio in questione nella sua dimensione meramente interna8.
La Corte di Cassazione però, dopo aver negato la configurabilità del ne bis in idem internazionale quale
norma di diritto internazionale generale, ha affermato “che il principio che vieta la celebrazione di un
doppio giudizio costituisce un valore tendenziale cui si ispira l’ordinamento internazionale a tutela della
posizione del singolo difronte alla pretesa punitiva degli Stati”. Dunque la Suprema Corte ha quantomeno
riconosciuto al ne bis in idem il valore di principio tendenziale dell’ordinamento internazionale, senza
tuttavia specificare se tale riconoscimento debba essere operato con riferimento al principio in questione
nella sua dimensione interna o internazionale. Esaminando più nel dettaglio il ragionamento condotto sul
punto dalla Corte, essa ha proseguito affermando che offrono dimostrazione della progressiva
affermazione del ne bis in idem quale principio tendenziale alcune convenzioni quali la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea e l’Accordo di Schengen, e ha concluso nel senso che da tali accordi
emergerebbe la vigenza del divieto di bis in idem comunitario “ma soltanto in riferimento allo Stato in cui
si è svolto il giudizio e non nel caso dello svolgimento del processo in Stati diversi9”.

5 Corte d’Assise di Milano, ordinanza del 7 novembre 2018.
6 Par. 2.
7 Par. 2.2.
8 V. ex plurimis, C. edu., Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976; C. edu., Grande Stevens e altri c. Italia, 4 marzo 2014;

C.edu., Grande Camera, A e B c. Norvegia 15 novembre 2016.
9 Par. 2.1 “Tanto autorizza a ritenere che sia vigente il divieto di bis in idem in ambito comunitario, ossia valevole per i

Paesi aderenti all’Unione europea e che la sua violazione debba essere riscontrata dall’autorità giudiziaria dello Stato
procedente o dalla Corte di giustizia in sede di valutazione pregiudiziale ai sensi dell’ art. 35 del Trattato dell’Unione, ma

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In altre parole, la Corte ha richiamato le predette convenzioni a sostegno del fatto che la regola del ne bis
in idem si starebbe progressivamente affermando come principio tendenziale dell’ordinamento
internazionale, ma (come emerge dall’inciso “soltanto in riferimento allo Stato in cui si è svolto il
giudizio”) non le ha considerate sintomatiche dell’operatività del principio nei rapporti tra più Stati,
facendo intendere, al contrario, che lo riconoscano in una dimensione meramente interna. Da ciò
sembrerebbe dunque potersi ricavare che la Corte (oltre a riconoscere la vigenza del ne bis in idem interno
in ambito comunitario e non anche nei rapporti tra diversi Stati appartenenti all’Unione europea10) intenda
limitare il riconoscimento del valore di principio tendenziale del diritto internazionale unicamente al ne
bis in idem interno e non internazionale. Questa conclusione, come si vedrà, rappresenta il profilo
maggiormente critico della sentenza in commento in quanto sembra non tenere conto dei più recenti
sviluppi della prassi internazionale in materia, ponendosi peraltro in contraddizione con alcune pronunce
precedentemente rese dalla stessa Corte di Cassazione.

3. Le diverse accezioni di ne bis in idem: interna, estradizionale e internazionale
Il principio del ne bis in idem interno costituisce un “fondamentale principio di civiltà giuridica”11 che
integra l’effetto tipico della res iudicata penale consistente, per l’appunto, nel precludere la possibilità che
nei confronti del soggetto già sottoposto a giudizio si instauri nuovamente un procedimento penale per
il medesimo fatto12. Si tratta di un principio che, in tale sua dimensione interna, risulta essere riconosciuto
nella quasi totalità degli ordinamenti giuridici contemporanei, in alcuni dei quali addirittura a livello

soltanto in riferimento allo Stato in cui si è svolto il giudizio e non nel caso dello svolgimento del processo in Stati
diversi, pur se entrambi aderenti alla Convezione EDU”.
10 A tal proposito è opportuno sottolineare che questa conclusione è in realtà in contrasto con la pregressa giurisprudenza

della Corte di Cassazione ed in particolare con quanto da essa affermato nella sentenza n. 54467 del 15 novembre 2016.
In questa decisione, infatti, la Corte ha affermato che per effetto dell’introduzione dell’art. 54 della Convenzione di
applicazione dell’accordo di Schengen è stata attribuita “al giudicato nazionale un’efficacia preclusiva in ordine
all’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto in qualunque altro Stato membro” ed è stata pertanto realizzata “la
sostanziale equiparazione tra le sentenze definitive pronunciate dagli Stati contraenti”. La Corte ha inoltre sottolineato
che in seguito al riconoscimento di tale principio nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea il
principio del ne bis in idem si è ulteriormente consolidato nella sua dimensione europea configurandosi come un vero e
proprio diritto a tutela dell’imputato. Come sottolineato dalla Corte infatti l’art. 50 configura il ne bis in idem come una
garanzia generale da invocare nello spazio giuridico europeo ogni qual volta si sia formato un giudicato penale su un
medesimo fatto e nei confronti della stessa persona e pertanto, secondo la Corte, “l’inserimento del ne bis in idem nella
Carta di Nizza tra i diritti fondamentali dell’Unione europea può assicurargli il valore di principio generale nell’ambito
del diritto dell’Unione”.
11 Così definito dalla Corte Cost., 31 maggio 2016, n. 200, par. 7.
12 G. CONSO, V. GREVI, M. BARGIS, Compendio di procedura penale, settima edizione, Padova, 2014, p. 1106.

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costituzionale13, e che in questa accezione trova corrispondenza anche nel diritto internazionale, sia
pattizio sia generale14.
Invero, nei tempi più recenti l’esigenza di tutelare il reo dal rischio di una duplicità o pluralità di
procedimenti penali nei propri confronti ha iniziato a manifestarsi anche in ambito internazionale in
conseguenza del moltiplicarsi delle ipotesi di criminalità transnazionale, ovvero di fattispecie criminose
che presentano elementi di collegamento con una pluralità di ordinamenti giuridici nazionali tali da
determinare il sorgere delle concorrenti potestà punitive degli stessi, come nel caso in esame, nonché per
effetto dell’istituzione di tribunali internazionali operanti in ambito penale. Ciò ha reso particolarmente
attuale il dibattito dottrinale e giurisprudenziale concernente per l’appunto l’operatività del principio ne
bis in idem anche sul piano internazionale, ovvero nei rapporti tra giurisdizioni di diversi Stati e tra queste
ultime e le giurisdizioni internazionali (cd. ne bis in idem internazionale) e sulla sua riconducibilità, in
quest’ultima accezione, ad una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta (ed in
particolare alla categoria principi generali del diritto internazionale piuttosto che alla categoria dei principi
comuni agli ordinamenti interni).
Prima di esaminare tale questione occorre però, in via preliminare, ricordare la nota distinzione tra il ne
bis in idem internazionale in senso proprio (processuale) ed il cd. ne bis in idem estradizionale; si tratta,
infatti, di due fattispecie che spesso vengono erroneamente considerate sovrapponibili15. In effetti la
maggior parte delle convenzioni in materia di estradizione contengono clausole concernenti il ne bis in
idem in cui è prevista la facoltà o l’obbligo dello Stato richiesto di non concedere l’estradizione quando
l’estradando sia già stato giudicato per il reato per il quale si chiede l’estradizione16. Si tratta, tuttavia, come

13 V., ad esempio, l’art. 103 della Carta costituzionale tedesca, l’art. 39 Costituzione giapponese e il V emendamento
della Costituzione USA. Per un più approfondito esame sul punto v. J.L. DE LA CUESTA, Concurent national and international
criminal jurisdiction and the principle of ne bis in idem. General Report, in Revue internationale de droit pénal, 2002, pp. 707-736.
14 Tale principio è ad esempio previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che

prevede “Nessuno può essere perseguito o punito penalmente dalle giurisdizioni dello stesso Stato in ragione di un reato
per il quale è già stato assolto o condannato con una sentenza definitive conformemente alla legge e alla procedura
penale di questo Stato”. Nello stesso senso anche l’art. 14 par. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici che
dispone che “Nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio o a nuova pena, per un reato per il quale sia stato già
assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun Paese”. Per la
riconducibilità del ne bis in idem nella sua dimensione interna al diritto internazionale generale v. ad esempio B. CONFORTI,
Diritto internazionale, a cura di M. IOVANE, Napoli, 2018, p. 50.
15 Ciò è dimostrato ad esempio dal fatto che nel caso di specie il ricorrente, nell’asserire l’operatività del divieto del

doppio giudizio nei rapporti tra Italia ed Albania, abbia richiamato, tra l’altro, la Convenzione europea di estradizione.
16 Generalmente il divieto di concedere l’estradizione è previsto nel caso in cui il soggetto richiesto sia stato già giudicato

dalle autorità giudiziarie dello Stato richiesto. In tal senso ad esempio l’art. 9 della Convenzione europea di estradizione
del 1957 che dispone: “L’estradizione non sarà consentita quando l’individuo reclamato è stato definitivamente giudicato
dalle autorità competenti della Parte richiesta per i fatti che motivano la domanda”. Nello stesso senso anche l’art. 3 del
Trattato di estradizione tra il governo della Repubblica italiana e il governo del Canada del 2005 secondo cui:
“L’estradizione non è concessa quando, in relazione al reato per il quale è richiesta l’estradizione, è stata già pronunciata
sentenza definitiva di condanna nello Stato richiesto”. In termini simili anche art. 3 del Trattato di estradizione tra il
governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica del Kosovo del 2013 secondo il quale: “L’estradizione

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correttamente sottolineato in dottrina17, di una fattispecie diversa dal ne bis in idem processuale; il rifiuto
di estradizione, infatti, non preclude allo Stato richiedente di procedere ugualmente nei confronti del
soggetto richiesto, quantomeno nel caso in cui la presenza dell’imputato nel territorio dello Stato non
rappresenti una condizione di procedibilità18 ed ha come unico effetto quello di rifiutare la consegna
dell’individuo impedendo la concreta applicazione di una eventuale seconda sanzione. Esso rappresenta
dunque un limite alla cooperazione tra Paesi e non comporta una vera e propria preclusione processuale.
È proprio in siffatta circostanza che risiede la differenza con il ne bis in idem processuale ed è altresì in
virtù di questa sua connotazione che parte della dottrina ha considerato il cd. ne bis in idem estradizionale
come una garanzia effimera19.
La stessa Corte di Cassazione, nella sentenza in commento20, ha confermato la differenza tra le due
fattispecie nella misura in cui ha riconosciuto l’irrilevanza della Convenzione europea di estradizione ai
fini della decisione del caso in questione in quanto “disciplina la diversa fattispecie dell’estradizione ed il
meccanismo procedurale della stessa.” In termini simili si era tra l’altro espressa anche la Corte
Costituzionale la quale, nella sentenza n. 48 del 18 aprile 1967, ha affermato che “il divieto di estradare è
cosa ben diversa dal divieto di una secondo giudizio sullo stesso fatto”.
Fatta questa doverosa premessa, è altresì necessario sottolineare che il ne bis in idem internazionale in senso
proprio (operante, cioè, quale vera e propria preclusione processuale) viene in rilievo in una duplice
dimensione: da un lato, infatti, esso concerne l’effetto preclusivo del giudicato nei rapporti tra diverse
entità statuali e si parla a tal proposito di ne bis in idem orizzontale; dall’altro lato, invece, nella sua
dimensione verticale opera nei rapporti con le sentenze dei tribunali internazionali. A tal riguardo è
opportuno sottolineare che la giurisprudenza italiana e parte della dottrina sono pervenute, con
riferimento alle due accezioni, a conclusioni diverse in merito all’operatività del principio in questione.
Pertanto si rende necessario un esame separato delle diverse accezioni in cui, per l’appunto, si articola la
regola del ne bis in idem.

non è concessa se per il reato oggetto della richiesta di estradizione la persona richiesta è stata è stata giá definitivamente
giudicata dalle Autorità competenti dello Stato richiesto”. In altri casi invece divieto di estradizione opera anche quando
la persona richiesta sia stata già giudicata in uno Stato terzo; in tal senso si esprime, ad esempio, l’art. 4 del Trattato di
estradizione tra la Repubblica italiana e l’Australia del 1985 secondo il quale: “l’estradizione non sarà concessa se nella
Parte richiesta oppure in uno Stato terzo sia stata pronunciata una sentenza definitiva per il reato per il quale si chiede
l'estradizione della persona”.
17 In tal senso G. DEAN, Profili di un’indagine sul ne bis in idem estradizionale, in Riv. dir. proc., 1998, p. 58.
18 N. GALANTINI, Il principio del ne bis in idem internazionale nel processo penale, Milano, 1984, p. 162 dove l’A. afferma che

“nulla esclude che lo Stato richiedente, deciso in ogni modo a giudicare, lo faccia in contumacia dell’imputato o ne
ottenga la consegna attraverso altri mezzi tra i quali l’estradizione da un Paese terzo in cui lo stesso si è venuto a trovare”.

19   In tal senso G. DEAN, Profili di un’indagine, op. cit., p. 58.
20   Par. 2.4.

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4. Il problema della riconducibilità della regola del ne bis in idem internazionale (in senso
proprio) al novero delle norme di diritto internazionale generale
Il principio del ne bis in idem internazionale, nella sua accezione verticale, mira a scongiurare il rischio di
un doppio procedimento nei rapporti tra le giurisdizioni statuali e gli organi giurisdizionali internazionali.
Si tratta di un principio la cui operatività, in quest’ultima accezione, non pone particolari problemi
essendo ampiamente riconosciuto anzitutto in via convenzionale; la maggior parte degli Statuti dei
tribunali penali internazionali21, infatti, disciplina il principio del ne bis in idem, sia in una prospettiva
discendente concernente, cioè, gli effetti preclusivi che derivano dalle sentenze adottate dalle giurisdizioni
internazionali negli ordinamenti giuridici interni, sia nell’opposta prospettiva ascendente, concernente,
invece, gli effetti preclusivi per le giurisdizioni internazionali di un previo giudizio celebrato dinnanzi a
tribunali interni.
Più nello specifico questi Statuti prevedono tutti, in termini simili, un divieto per i tribunali interni di
sottoporre ad un nuovo procedimento per il medesimo crimine un soggetto già giudicato dal tribunale
internazionale. Sono invece rinvenibili delle sostanziali differenze22 nella disciplina, contenuta nei suddetti
Statuti, concernente l’efficacia preclusiva delle decisioni adottate dalle autorità giudiziarie nazionali. In
particolare, il principale elemento discretivo è rappresentato dal fatto che, pur prevedendo tutti un divieto
per le giurisdizioni internazionali di giudicare un soggetto già processato da un tribunale statale, siffatto
divieto è sancito nello Statuto della Corte penale internazionale con riferimento alla medesima condotta;
mentre negli Statuti del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e del Tribunale internazionale
per il Ruanda è invece previsto con riferimento agli atti costituenti gravi violazioni del diritto
internazionale umanitario, salvo che essi non siano stati qualificati nelle giurisdizioni interne come reati
comuni. Come sottolineato in dottrina23, si tratta di una differenza rilevante, in quanto nel primo caso ciò
che viene in rilievo al fine del prodursi dell’effetto preclusivo è il fatto storico, nella sua dimensione

21 V. art. 20 Statuto della Corte Penale internazionale; art. 10 Statuto del Tribunale penale internazionale per la ex
Jugoslavia; art. 9 Statuto del Tribunale internazionale per il Ruanda; art. 9 Statuto della Corte speciale per la Sierra
Leone.
22 Sulle ragioni di tale differenza si veda D. SPINELLIS, Global report the ne bis in idem principle in “global” instruments, in revue

internationale de droit pénal, vol. 73, 2002/3 dove l’A afferma “art. 20 of the ICC Statute has, in many respects, different
provisions from the ones of the two ad hoc Tribunals. In order to understand the reason of these differences, this
provision must be read together with the principle of complementarity contained in art. 17, according to which the ICC
will try cases that fall within its jurisdiction when a State is unwilling or unable genuinely to carry out the investigation
or prosecution of them. Therefore, the ICC has no compulsory jurisdiction and no priority over national criminal
courts”; in tal senso anche L. E. CARTER, The Principle of Complementarity and the International Criminal Court: the Role of Ne
Bis in Idem, in Santa Clara Journal of International law, vol. 8, 2010, p. 189 ss.
23 G. CONWAY, Ne Bis in Idem and the International Criminal Tribunals, in Criminal law forum, 2003, pp. 351-383;

T.MARINIELLO, The International Criminal Court in Search of its Purpose and Identity, Routledge, 2015; L. E. CARTER, The
Principle of Complementarity and the International Criminal Court: the Role of Ne Bis in Idem, in Santa Clara Journal of International
law, 2010, pp. 165-198.; V. FANCHIOTTI, M. MIRAGLIA, J.P. PIERINI, La Corte penale internazionale. Profili sostanziali e
procedurali, Torino, 2014, p. 51 ss.

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naturalistica, essendo del tutto irrilevante la qualificazione giuridica dello stesso (si parla tal proposito di
un’applicazione in concreto24 del principio). La Corte penale internazionale, quindi, non potrà dar corso ad
un ulteriore procedimento penale nei confronti del medesimo imputato in relazione al medesimo fatto
sul quale si è già pronunciato un Tribunale interno anche nel caso in cui ad esso venga attribuita una
diversa qualificazione giuridica. Diversamente, negli Statuti del Tribunale penale internazionale per la ex
Jugoslavia e del Tribunale internazionale per il Ruanda25 viene in rilievo una nozione più ristretta del
principio in questione (applicazione in abstracto del ne bis in idem26). A norma di detti Statuti, infatti, l’effetto
preclusivo del previo giudicato nazionale si realizza solo nella misura in cui nel giudizio dinnanzi al
tribunale interno la condotta sia stata qualificata come un crimine internazionale e non come crimine
ordinario. È infatti possibile, in quest’ultimo caso, celebrare un nuovo giudizio dinnanzi ai tribunali
internazionali avente ad oggetto il medesimo fatto seppur con una qualificazione giuridica diversa.
A prescindere dalle differenze qui accennate, l’elemento che emerge dall’esame degli Statuti sopra
richiamati, e che rileva al fine di valutare l’operatività del ne bis in idem verticale nel diritto internazionale,
è rappresentato dall’ampio riconoscimento che tale principio trova negli statuti istitutivi dei tribunali
internazionali. Di particolare rilievo è il fatto che, oltre ad essere ampiamente riconosciuto sul piano
convenzionale, il principio del ne bis in idem, nella accezione qui presa in considerazione, è stato anche
considerato da parte della dottrina27 e soprattutto dalla giurisprudenza italiana, costituzionale e di
legittimità, come riconducibile al diritto internazionale generale28, vuoi come norma consuetudinaria, vuoi
come principio generale del diritto internazionale o comune agli ordinamenti interni (ex art. 38, par. 1,
lett. (c) dello Statuto della Corte internazionale di giustizia). In maniera particolarmente incisiva, infatti,

24 G. CONWAY, Ne Bis in Idem and the International Criminal Tribunals, op. cit., p. 358.
25 Nello stesso anche art. 9 dello Statuto della Corte speciale per la Sierra Leone.
26 Ibidem.
27 La validità di tale principio sul piano internazionale è stata ad esempio riconosciuta da N. GALANTINI, Il principio del

ne bis in idem internazionale, op. cit., p. 63, dove l. A. afferma che “tale aspetto del ne bis in idem internazionale è sicuramente
da accogliersi in quanto con esso si attuano le finalità tipiche del principio. Si può anzi affermare che il divieto di
rinnovamento del giudizio imposto ai singoli ordinamenti in presenza di una sentenza internazionale è ancor più
pregnante rispetto alla corrispondente proibizione fondata su decisioni interne: in quel caso esisterà infatti a priori una
comunanza di interessi alla repressione di fattispecie criminose riconosciute lesive dell’intero ordinamento internazionale
e come tali suscettive di un giudizio fondato su criteri uniformi”. Sul punto, v. anche F.M. P ALOMBINO, Introduzione al
diritto internazionale, Roma-Bari 2019, p. 51.
28 A ben vedere, come efficacemente sostenuto da parte della dottrina, le minori resistenze riscontrabili nella

giurisprudenza e dottrina al riconoscimento al ne bis in idem, in tale accezione, del valore di norma di diritto internazionale
generale trova giustificazione nel fatto che le fattispecie criminose che vengono in rilievo in tale ambito sono considerate
lesive dell’ordinamento giuridico internazionale nel suo complesso e pertanto, sussistendo una comunanza di interessi
al perseguimento delle stesse, da parte degli organi internazionali ad hoc o da organi statali, sono “suscettive di un
giudizio fondato su criteri uniformi” (N. GALANTINI, Il principio del ne bis in idem internazionale, op. cit., p. 65) Al di fuori di
tale ipotesi, invece, ogni Stato ha un autonomo interesse al perseguimento delle singole condotte criminose potendo
l’esercizio della potestà punitiva dei singoli Stati condurre anche a “risultati non coincidenti ed indipendenti l’uno
dall’altro” (R. BARATTA, Ne bis in idem, op. cit., p. 23).

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si è pronunciata sul punto la Corte di Cassazione la quale ha asserito che “nel diritto internazionale, ai
fini dell’art. 10 comma 1, il principio del ne bis in idem è valido per le sentenze dei tribunali internazionali
ma non anche per le sentenze degli Stati nei loro reciproci rapporti”29. Di particolare rilievo è il richiamo
operato dalla Suprema Corte all’art. 10 della Costituzione in quanto, essendo questa disposizione lo
strumento di adeguamento dell’ordinamento giuridico interno al diritto internazionale generale, è
indicativo del fatto che la Cassazione ritiene che il principio del ne bis in idem operi nei rapporti con le
sentenze dei tribunali internazionali in virtù di una norma di diritto internazionale generale. Anche la
Corte Costituzionale, nella stessa sentenza n. 48 del 18 aprile 1967, in cui ha negato la possibilità di
qualificare il principio del ne bis in idem orizzontale quale principio comune agli ordinamenti interni ha
invece affermato che “il principio del ne bis in idem ha la sua validità anche nell’ordinamento internazionale
essendo applicabile alle sentenze dei tribunali internazionali, come è stato ammesso dalla giurisprudenza
dei predetti tribunali, e come è richiesto, per i rapporti giuridici internazionali, dalle medesime esigenze
che sono a fondamento del principio nei rapporti interni”. In termini pressoché identici si è nuovamente
pronunciata, seppur in maniera incidentale, sulla questione la Corte Costituzionale anche nella successiva
sentenza n. 69 dell’8 aprile 1976. In questa pronuncia, infatti, la Corte nel ribadire che “il divieto di bis in
idem con riferimento alle sentenze pronunciate all’estero (ne bis in idem orizzontale) non ha valore di
principio comune alla generalità degli ordinamenti statuali moderni” ha affermato che “per vero il
riconoscimento della sua validità anche nell’ordinamento internazionale con riferimento alle sentenze dei tribunali
internazionali non comporta affatto quale logica conseguenza l’applicabilità del medesimo principio come
norma generale regolatrice delle relazioni tra le competenze giurisdizionali e le decisioni in materia penale
di organi appartenenti ad ordinamenti diversi”30. La Corte, dunque, nelle sentenze qui esaminate, sembra
affermare che la regola del ne bis in idem, nella sua accezione verticale, possa essere considerata come
norma di diritto internazionale generale, senza però specificare da quale fonte sia posta. Ad un esame più
attento però sembrerebbe infierire che si tratti di una norma desumibile da un principio comune agli
ordinamenti interni31.
In questo senso potrebbe essere infatti letto il riferimento operato dalla Corte nella sentenza del 1967 alle
“medesime esigenze che giustificano l’applicazione del principio nei rapporti interni”. Inoltre, una simile

29 Cass., sez. II, 31 gennaio 1980, n. 144587; in tal senso anche Cass., sez. II, 11 gennaio 1985, n. 168781.
30 Corte Cost., 8 aprile 1976, n. 69, par. 2.
31Con questa espressione si fa riferimento ad una particolare categoria di norme diritto internazionale generale

disciplinata dall’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di Giustizia che annovera tra le fonti del diritto
internazionale i “principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili”. Secondo la ricostruzione preferibile essi
integrano una consuetudine sui generis e pertanto sarebbero applicabili purché gli stessi operino nella gran parte degli
ordinamenti giuridici interni (diuturnitas) e siano considerati vincolanti anche sul piano internazionale (opinion iuris sive
necessitatis). Per un esame più approfondito v. ad esempio B. CONFORTI, Diritto internazionale; op. cit., pp. 49- 54; F.M.
PALOMBINO, Introduzione, op. cit., pp. 51-53.

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conclusione si potrebbe anche ricavare in considerazione del fatto che quella dei principi comuni agli
ordinamenti interni sembra essere l’unica categoria di norme di diritto internazionale generale prese in
considerazione dalla Corte nelle anzidette sentenze e, ragionando a contrario, dal fatto che la Corte
Costituzionale abbia escluso la riconducibilità a tale categoria unicamente della regola del ne bis in idem
orizzontale, riconoscendo invece l’operatività in ambito internazionale della regola in questione nella sua
accezione verticale32.
Alla luce di quanto detto, dunque, il quesito che ci si pone è se la medesima conclusione possa essere
raggiunta anche con riferimento al principio del ne bis in idem orizzontale, definito in dottrina come
“principio che esclude la rinnovabilità del procedimento penale avente ad oggetto un fatto già giudicato
in via definitiva con sentenza straniera di condanna o di proscioglimento, emanata da un autorità
giudiziaria appartenente ad un ordinamento diverso da quello potenzialmente competente a procedere in
idem”33.
A tal proposito è opportuno, prima di tentare di rispondere ad un simile interrogativo, premettere più in
generale che la questione relativa alla riconducibilità del divieto del doppio giudizio in quest’ultima
accezione al diritto internazionale generale è una questione tutt’oggi ampiamente dibattuta. Infatti
nonostante ciò sia stato generalmente negato dalla giurisprudenza e dottrina tradizionale34 non sussiste
affatto unità di vedute sulla tematica in questione ed anzi, soprattutto nei tempi più recenti, si rinvengono
sia in dottrina che in giurisprudenza degli atteggiamenti di maggiore apertura e si riscontra una maggiore
propensione al riconoscimento al principio del ne bis in idem del valore di norma di diritto internazionale
generale quantomeno tendenziale35.
Passando, quindi, ad esaminare più nello specifico la questione relativa alla possibilità di considerare il
principio del ne bis in idem orizzontale come principio generale di diritto comune agli ordinamenti interni

32 In dottrina v. F.M. PALOMBINO, Introduzione, op. ult. cit., p. 51.
33 N. GALANTINI, Il principio del ne bis in idem internazionale, op. cit., p. 6.
34 A titolo esemplificativo v. G. DEAN, Profili di un indagine, op. cit., p. 56; P. FIORE, Effetti internazionali delle sentenze e degli

atti, parte II, Pisa-Torino-Roma-Firenze, 1877, p. 95 ss.; G. VENTURINI, Il riconoscimento delle sentenze penali straniere, in
Riv. it. dir. pen., 1940, p. 119; N. PALAIA, L’efficacia preclusiva delle sentenze penali straniere, in Riv. dir. int. priv. proc., 1969, p.
727; M. TRAVERS, Les effets internationaux des jugements rèpressifs, in Recueil des Cours, 1924, p. 419 ss.

35 Nel senso della possibilità di considerare il principio in questione come principio di diritto generalmente riconosciuto,
quantomeno in via di formazione v. N. GALANTINI, Una nuova dimensione, op. cit., p. 3484; E. ZANETTI, Efficacia
extraterritoriale del giudicato, in Enciclopedia del diritto, Annali II, vol. I, 2008, p. 192 dove l’A. afferma: “Se a tutt’oggi non
sembra ancora possibile asserire che a regola del ne bis in idem abbia conseguito lo status di principio di diritto
generalmente riconosciuto – come tale oggetto di ricezione automatica ex art. 10 comma 1 cost. – è però indubbio che
sia in atto una costante evoluzione in tal senso”; A. GIOVENE, Giudicato, in Digesto delle discipline penalistiche, vol. V,
Torino, 1991, pp 423-442; V. ESPOSITO, Gli effetti internazionali della garanzia del ne bis in idem nell’ambito comunitario, in
Documenti di Giustizia, n. 4-5, 1992, pp. 475 ss.; P. BOUZAT, Les effets internationaux de la sentence pénale, in Rev. int. dr. pén.,
1963, p. 99, il quale configura il principio del ne bis in idem internazionale come una norma di diritto naturale; in termini
simili anche H. DONNEDIEU DE VABRES, in Annuaire de l'Institut de droit international, 1959, II, p. 286.

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bisogna in primo luogo sottolineare che una caratterizzazione in tal senso è stata costantemente negata
dalla Corte Costituzionale. Quest’ultima, infatti, sin dalla sentenza n. 48 del 18 aprile del 1967 nella quale
è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 11 comma 1 c.p36, nella parte in cui
prevede che, in caso di reati commessi nel territorio italiano, “il cittadino o lo straniero è giudicato nello
Stato, anche se sia stato giudicato all’estero”, ha affermato che non fosse possibile attribuire al principio
del ne bis in idem, nella accezione qui considerata, la natura di principio comune agli ordinamenti interni.
La Corte ha, infatti, ritenuto che non fosse sufficiente, al fine di ricostruire simile principio, il fatto che
il divieto di bis in idem sia previsto, nella sua dimensione interna, in quasi tutti gli ordinamenti giuridici ed
evidenziando che, al contrario, la maggior parte dei codici penali degli Stati contemporanei si ispirano agli
opposti principi di territorialità ed obbligatorietà della legge penale di cui sono espressione tra l’altro gli
art 6 e seguenti del c.p. italiano.
Inoltre, secondo i giudici della Corte Costituzionale, la prevalenza dei suddetti principi nelle legislazioni
nazionali trova giustificazione nella “difforme realtà della disciplina penale e processuale penale nei diversi
ordinamenti giuridici positivi”37. Quest’orientamento è stato successivamente confermato dalla Corte
Costituzionale anche nella già menzionata sentenza n. 69 dell’8 aprile 1976, in cui la Consulta ha dovuto
prendere in considerazione la pretesa illegittimità del secondo comma dell’art. 11 c.p38, nella parte in cui
prevede la possibilità, in caso di reati commessi all’estero, di sottoporre ad un nuovo giudizio in Italia il
cittadino o lo straniero già giudicato all’estero purché il Ministero della giustizia ne faccia richiesta. In
questa pronuncia, infatti, la Corte ha ribadito la propria tesi sulla base di argomentazioni analoghe a quelle
già esposte e ha tratto ulteriori argomenti confermativi dalla circostanza che solo nei tempi più recenti

36 La questione di legittimità dell’art. 11 comma 1 c.p. era stata sollevata dal giudice rimettente (Corte di assise di La
Spezia) in riferimento all’art. 10 Cost.
37 “In realtà, fermo restando che il principio del ne bis in idem è valido, come si è detto, per le sentenze dei Tribunali

internazionali, per ritenerlo esteso aldilà di questo limite non solo non ricorrono elementi favorevoli, ma sussistono
fondate ragioni in senso contrario. Ponendosi in una prospettiva ideale, che già trova fervide iniziative e convinti
sostenitori, si può auspicare per il futuro l’avvento di una forma talmente progredita di società di Stati da rendere
possibile, almeno per i fondamentali rapporti della vita, una certa unità di disciplina giuridica e con essa una unità, e una
comune efficacia, di decisioni giudiziarie. Ben diversa tuttavia, pur nel continuo evolversi, si presenta la realtà attuale,
dove la valutazione sociale e politica dei fatti umani, in ispecie nel campo penale, si manifesta con variazioni molteplici
e spesso profonde da Stato a Stato. E ciò in conformità dei diversi interessi e dei variabili effetti e riflessi della condotta
degli uomini in ciascuno di essi, con la conseguente tendenza a mantenere come regola, nell’autonomia dei singoli
ordinamenti, il principio della territorialità. Una efficacia preclusiva della sentenza penale in campo internazionale
presupporrebbe d’altronde, oltre la già rilevata identità di riflessi sociali e politici, anche una assai larga uniformità di
previsione delle varie fattispecie penali, e una pressoché identica valutazione, nella coscienza dei popoli, delle varie forme
delittuose e della entità e pericolosità della delinquenza in ciascuno Stato; condizioni che non sussistono o non sussistono
in maniera adeguata. Il che spiega e da fondamento attuale al permanere del principio della territorialità nelle varie
legislazioni. E se in taluni codici (danese, greco, ecc.) è stabilito che nell’infliggere la pena il giudice debba tener conto
di quella eventualmente scontata per lo stesso fatto in altro Stato, questa è una particolare norma, suggerita da
comprensibili criteri di equità, che conferma il principio stesso”.
38 La questione di legittimità dell’art. 11 comma 2 c.p. era stata sollevata dal giudice rimettente (Corte di assise di

Venezia) in riferimento agli art. 10 e 24 Cost.

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questo principio “è divenuto oggetto di accordi internazionali e che la sua affermazione anche in via
convenzionale ha finora incontrato difficoltà molteplici”. Invero, uguali resistenze al riconoscimento
dell’efficacia preclusiva del giudicato straniero sono rinvenibili anche in parte della giurisprudenza
straniera39 e nella dottrina la quale, salvo alcune eccezioni40, ha generalmente negato che il principio del
ne bis in idem, nell’accezione ora considerata, possa qualificarsi come principio comune agli ordinamenti
interni. In particolare, una delle argomentazioni più frequentemente addotte a sostegno di tale
conclusione è rappresentata dal fatto che, pur essendo il principio del ne bis in idem, nella sua dimensione
interna, disciplinato nella quasi totalità degli ordinamenti giuridici contemporanei, non sarebbe possibile,
a partire da questi ultimi, procedere alla formulazione di un principio comune agli ordinamenti interni ai
sensi dell’art 38 dello Statuto della Corte internazionale di Giustizia a causa delle profonde differenze
riscontrabili nelle legislazioni nazionali sul punto41.
In effetti, accogliendo la tesi di quella parte della dottrina internazionalistica42 che configura i principi
comuni agli ordinamenti interni come consuetudini sui generis, per la ricostruzione dei quali è quindi
necessaria la sussistenza dei due requisiti della diuturnitas e dell’opinio juris sive necessitatis con riferimento
alla ripetuta applicazione – sul piano interno – di un certo principio nella convinzione che esso sia
obbligatorio e necessario, si riscontrano particolari difficoltà nel tentativo di ricondurre la regola del ne
bis in idem a questa particolare categoria di principi di diritto. Ciò in quanto sorgono seri dubbi in ordine
alla possibilità di ritenere sussistente l’elemento della uniforme previsione ed applicazione del principio da parte

39 Corte costituzionale federale tedesca BVerfG, 15 dicembre 2011, 2 BvR 148/11 par. 31 “al momento non sussiste
alcuna norma di diritto internazionale generale secondo la quale una persona non può essere perseguita o punita per gli
stessi fatti per i quali è stata già definitivamente condannata o prosciolta in un altro Stato”.
40 Cfr. G. CONWAY, Ne Bis in Idem in International Law, op. cit., p. 221, dove l’A. pur riconoscendo le diversità rinvenibili

nelle legislazioni nazionali in materia, ha sostenuto che sarebbe comunque individuabile un nucleo comune alle stesse
che, in un’ottica de lege ferenda, potrebbe rappresentare il contenuto di una norma di diritto internazionale generale sia
essa consuetudinaria o un principio comune ai sensi dell’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di Giustizia.
41 Cfr. M.N. MOROSIN, Double jeopardy and international law: obstacles to formulating a general principle, in Nordic journal of

international law, vol. 64, 1995, p. 261 dove l’A. afferma che nonostante la previsione del principio in questione nelle
legislazioni nazionali le diversità di interpretazione ed applicazione dello stesso nei vari ordinamenti rappresentano un
serio ostacolo alla formulazione dello stesso in ambito internazionale; in termini simile anche M. C. BASSIOUNI,
International Criminal law, Vol III, international enforcement., terza edizione, 2008, p. 547 dove l’A. afferma che “art 14 ICCPr
and its recognition of ne bis in idem as a legal principle as such, should at very least be an expression of general princples of law within the
meaning of article 38 of the ICJ Statute application by the vast majority of states of ne bis in idem in one form or another possibly be an
element of state practice leading to its recognition as a part of cusomary law, althought this appears to be far from accepted for all the application
of the principle in the international sphere, especially between differnt prosecuting states, exactly because of the wide variations of national
practice in detail”; D. OEHLER, The european system, in M.C. BASSIOUNI (a cura di), International Criminal law, Vol. II, Procedural
and Enforcement Mechanism, 1999, pp. 617-618; nel senso dell’impossibilità di procedere ad una ‘acritica trasposizione’ del
principio sul piano dei rapporti internazionali anche in considerazione delle differenze tra le legislazioni nazionali in N.
GALANTINI, Il principio del ne bis in idem internazionale, op. cit.
42 B. CONFORTI, Diritto internazionale, op. cit., p. 51. Per una diversa ricostruzione dei principi comuni agli ordinamenti

interni v. D. ANZILOTTI, Corso di diritto internazionale, Padova, 1964; T. TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali,
Milano, 2005.

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degli Stati all’interno dei rispettivi ordinamenti. Infatti, la maggior parte degli ordinamenti giuridici
contemporanei, in ossequio ai principi di sovranità territoriale e di indipendenza degli ordinamenti
giuridici, non riconoscono, salvo alcune eccezioni43, l’operatività del principio del ne bis in idem in rapporto
alle sentenze penali straniere. Al contrario, essi si ispirano, come detto nelle sentenze della Corte
Costituzionale sopra richiamate e come si vedrà anche dalla sentenza in commento (che per quest’aspetto
è da accogliere con favore), ai principi di territorialità ed obbligatorietà della legge penale44.
Le considerazioni sinora svolte non devono però indurre necessariamente a concludere che il principio
del ne bis in idem orizzontale non possa assurgere a norma di diritto internazionale generale. Come chiarito
in dottrina, infatti, la categoria dei principi generali di diritto che costituiscono fonti del diritto
internazionale generale comprende non solo i principi comuni agli ordinamenti interni ma anche i cd.
principi generali del diritto internazionale – una categoria che non pare essere stata presa in
considerazione dalla Corte Costituzionale nella sua giurisprudenza in tema di ne bis in idem internazionale.
Gli stessi costituiscono una autonoma fonte del diritto internazionale e si ricavano attraverso un
procedimento di induzione e generalizzazione da norme convenzionali e consuetudinarie preesistenti che
informano l’ordinamento nel suo complesso45. Tali principi non costituiscono, quindi, dei “fattori
eteronomi di integrazione dell’ordinamento internazionale ma sono estratti dalla logica normativa dello
stesso ordinamento internazionale”46.
Pertanto, pur condividendo le opinioni dottrinali e giurisprudenziali sopra riportate in ordine
all’impossibilità di annoverare il ne bis in idem internazionale tra i principi comuni agli ordinamenti interni,
non sembra potersi escludere in maniera categorica la possibilità di ricondurlo, quanto meno in via
tendenziale, alla diversa categoria dei principi generali del diritto internazionale, e più specificamente del
diritto penale internazionale. In questa prospettiva un importante elemento da prendere in considerazione
è rappresentato dal progressivo accoglimento del principio in un numero sempre crescente di accordi

43 V. ad esempio art. 68 del codice penale olandese che riconosce l’applicabilità del principio del ne bis in idem sia ai
giudicati nazionali che stranieri. Per un esame più approfondito sul punto v. C. AMALFITANO, Dal ne bis in idem
internazionale, op. cit., p. 931.
44 Nel senso dell’impossibilità di configurare il principio in questione come principio generale di diritto riconosciuto

dalle nazioni civili “stante il difetto della diuturnitas, qui consistente nel mancato o parziale riconoscimento del ne bis in
idem internazionale nelle legislazioni interne” L. CORDI, Il principio del ne bis in idem in Europa, in Meritum, 2008, pp. 131-
176; in tal senso anche B. CONFORTI, Diritto internazionale, op. cit., p. 53.
45 F.M. PALOMBINO, Introduzione, op. cit., p. 53.
46 E. CANNIZZARO, Diritto internazionale, Torino, 2016 p. 137. Per un esame più approfondito sui principi generali del

diritto internazionale v. anche A. VIVIANI, R. P. MAZZESCHI General principles of international law: from rules to values?, in P.
DE SIENA, R. P. MAZZESCHI (a cura di), Global justice, human rights and modernitation of international law, Cham, 2018, pp.
113-161.

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internazionali47; è innegabile, infatti, che tali convenzioni siano sintomatiche, come d'altronde sostenuto
anche dalla giurisprudenza di legittimità, di un’evoluzione legislativa che sta prendendo piede nel diritto
internazionale volta a riconoscere valenza sovranazionale al principio in questione, sancendone
l’operatività anche nei rapporti tra decisioni in materia penale adottate da organi giudiziari appartenenti
ad ordinamenti giuridici diversi. Esse dunque costituiscono un segno del maggiore favor48
dell’ordinamento internazionale al valore giuridico del ne bis in idem. Pertanto questo principio potrebbe
essere ricostruito sulla base delle dinamiche normative proprie dell’ordinamento internazionale49
piuttosto che essere prelevato dagli ordinamenti interni. Dai summenzionati accordi infatti si può ricavare
attraverso un procedimento di astrazione e generalizzazione, tipico dei principi del diritto internazionale
nell’accezione qui considerata, un principio in via di formazione, volto a tutelare il singolo dal rischio di
duplicità dei procedimenti anche nei rapporti interstatuali.
Si potrebbe quindi concludere che seppur non ancora qualificabile come principio generale del diritto
internazionale è certamente possibile ritenere esistente un’evoluzione in tal senso50.
In termini simili d’altronde sembrerebbe esprimersi quella parte della dottrina che, pur affermando che
non è ancora esistente un principio generale che impedisce agli Stati di processare nuovamente un
soggetto già giudicato all’estero per i medesimi fatti, ha ritenuto esistente quantomeno “un principio in
embrione volto a tener conto del valore giuridico sotteso alla regola del ne bis in idem” riconducendolo nel
novero dei “principi di normazione settoriale propri dell’ordinamento internazionale, desunti attraverso
un procedimento logico di astrazione e generalizzazione di norme pattizie”51.

47 A titolo esemplificativo il principio del ne bis in idem è sancito nell’art. art 86 della III Convenzione sul trattamento dei
prigionieri di guerra adottata a Ginevra il 12 agosto 1949; art. 53 della Convenzione europea sulla validità dei giudizi
repressivi adottata all’Aja il 28 maggio 1970: art. 36 della Convenzione unica sugli stupefacenti di New York del 10
marzo 1961; art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; art. 54 della Convenzione di applicazione
dell’accordo di Schengen.; art. 35 della Convenzione europea sul trasferimento dei procedimenti penali adottata a
Strasburgo il 15 maggio 1972; art. 17 della Convenzione europea sugli illeciti relativi ai beni culturali adottata a Delfi il
23 giugno 1985. Vi sono poi una serie di disposizioni pattizie che pur non prevedendo espressamente una preclusione
processuale sono ispirate all’esigenza di evitare un doppio procedimento in idem. Le stesse, infatti, prevedono che nel
caso in cui più Stati abbiano giurisdizione in relazione al medesimo fatto essi debbano consultarsi per individuare quale
tra gli stessi sia più appropriato per l’esercizio dell’azione penale. V. ad esempio: art. 22 della Convenzione del Consiglio
d’Europa sulla criminalità informatica firmata a Budapest il 23 novembre 2001; art. 31 della Convenzione del Consiglio
d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani firmata a Varsavia il 16 maggio 2005; art. 4 della Convenzione OCSE
sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri firmata a Parigi il 17 dicembre 1997; art. 6 della Convenzione
relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee firmata a Bruxelles il 26 luglio 1995; art. 14
Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione del terrorismo adottata a Varsavia il 16 maggio 2005.
48 In tal senso si è espresso R. BARATTA, Ne bis in idem, op. cit., p. 10.
49 F.M. PALOMBINO, Introduzione, op. cit., p. 53.
50 in tal senso anche E. ZANETTI, Efficacia extraterritoriale, op. cit., p. 192 secondo la quale “Se a tutt’oggi non sembra

ancora possibile asserire che a regola del ne bis in idem abbia conseguito lo status di principio di diritto generalmente
riconosciuto – come tale oggetto di ricezione automatica ex art. 10 comma 1 cost. – è però indubbio che sia in atto una
costante evoluzione in tal senso”.
51 R. BARATTA, Ne bis in idem, op. cit., p. 23.

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