Massa Martana, il capitano dei carabinieri che fu "suicidato" dai fascisti

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Massa Martana, il capitano dei carabinieri che fu "suicidato" dai fascisti
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LA STORIA

          Massa Martana, il capitano dei carabinieri
                che fu “suicidato” dai fascisti

Di Marcello Marcellini

Questa storia è realmente accaduta.
Il 5 novembre 1943 i carabinieri di Todi comunicavano al Pretore che alle ore 22 della sera prima il
capitano Carlo Barbieri di anni 35, di Parma, comandante della 208ª compagnia lavoratori speciali,
appartenente all’81° Rgt fanteria, si era suicidato “mediante un colpo di pistola alla testa presso la
caserma della Milizia Stradale situata al bivio dei Cappuccini.
Ma non tutti furono disposti a credere che il capitano Barbieri si fosse tolto la vita. Due giorni prima
a Massa Martana era stato arrestato dalla milizia fascista per aver costituito dopo l’8 settembre in
montagna una banda composta da suoi uomini e da ex prigionieri alleati, pronta ad entrare in azione
contro i tedeschi e i fascisti della Repubblica Sociale non appena gli Alleati fossero giunti in
Umbria. Era, pertanto, più logico ritenere che fosse stato ucciso per vendetta oppure per impedirne
la liberazione ad opera dei suoi uomini. Ci fu, in particolare, una persona che non solo si rifiutò di
accettare la tesi del suicidio ma che accusò apertamente i fascisti di aver ucciso il capitano Barbieri.
Si trattava di Maria Pia Caruso, la fidanzata del Barbieri che due anni dopo presentò al Procuratore
del Re un lungo memoriale in cui accusava Giuseppe Casanova, un maresciallo della Milizia
Stradale, di aver deliberatamente ucciso il capitano inscenando un finto suicidio.
A seguito del memoriale della ragazza venne aperto un procedimento penale per omicidio contro
l’accusato il quale all’epoca aveva proceduto all’arresto di Barbieri. Il relativo fascicolo penale si
trova attualmente custodito presso l’Archivio di Stato di Perugia e soltanto per puro caso, in
occasione di una ricerca su fatti riguardanti la RSI in Umbria, mi è capitato di trovarlo e di venire a
conoscenza di questa drammatica vicenda che va inquadrata nella storia della resistenza militare in
Umbria.
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Maria Pia aveva 22 anni ed era di Roma dove aveva conosciuto Barbieri con il quale si era
fidanzata. A fine luglio, assieme a sua madre lo aveva raggiunto a Massa Martana, anche per
sfuggire ai bombardamenti che avevano causato nella capitale migliaia di morti. I tre erano ospiti
del podestà Achille Orsini che sarà uno dei protagonisti di questa storia.
Subito dopo l’8 settembre 1943, Barbieri, come tanti altri militari italiani, aveva deciso di restare
fedele al governo Badoglio e al re Vittorio Emanuele III e di combattere contro i tedeschi e i fascisti
della RSI. Pertanto si era dato da fare per organizzare assieme al capitano Guido Rossi, tornato
dalla Russia da pochi giorni con il suo 228° reparto misto, una banda di “patrioti” sui monti sopra
Colpetrazzo, una frazione di Massa Martana. Da parte dei due capitani si riteneva che gli Alleati
sarebbero arrivati in Umbria a fine settembre e, quindi la loro azione era consistita, ripetiamo,
principalmente nell’arruolare uomini, procurarsi armi, vestiario, cibo e quant’altro fosse necessario
per azioni di guerriglia contro la Wehrmacht e la Milizia fascista da intraprendere non appena gli
Alleati fossero giunti in Umbria.
Una breve parentesi. Mentre per i tedeschi e i fascisti della Repubblica Sociale i componenti di
queste bande di matrice militare erano considerati dei “ribelli” da passare per le armi una volta
catturati, essi si consideravano “patrioti”, e così verranno definiti nel D.L.L. 9 novembre 1944 n.
319 emanato dal governo presieduto da Bonomi. Soltanto quando a capo del governo subentrerà
Parri, con Togliatti e Nenni nel ruolo di ministri, il termine “patrioti” verrà sostituito dal D.L.L. 21
agosto 1945 n.158 con quello di “partigiani” che, come sappiamo, è entrato nel lessico comune.
La compagnia di Barbieri si occupava principalmente di lavori forestali ed era acquartierata nel
convento della Pace. Da lì il suo comandante, d’accordo con i suoi sottoposti, portava in montagna
con gli automezzi a sua disposizione, armi, uomini e vettovaglie per la sua banda.
L’attività di Barbieri era molto rischiosa perché si svolgeva principalmente alla luce del sole.
Alcune volte veniva aiutato da Maria Pia che con la sua bicicletta precedeva il camion da lui
guidato e ai posti di blocco distraeva i militi per evitare che perquisissero l’automezzo dove sotto un
telone erano nascosti gli uomini e i materiali da portare in montagna.
Barbieri era stimato sia dalla gente sia dai suoi superiori anche per la sua generosità. L’11 agosto, ad
esempio, in occasione del primo e terrificante bombardamento di Terni che causò circa mille morti,
agendo di sua iniziativa, aveva radunato i suoi uomini e con i camion del reparto era corso a
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soccorrere la gente restata intrappolata tra le macerie. Era riuscito anche “a sbloccare rifugi dove
numerosi civili erano rimasti intrappolati”. Per questa azione “sollecita, accorta e decisa” ricevette,
come risulta dal suo stato di servizio, un encomio solenne da parte dal Comandante della Zona
Militare di Perugia.
Il procedimento penale iniziato con la denuncia di Maria Pia si concluse con un nulla di fatto. Il 31
marzo 1949 la Sezione Istruttoria della Corte d’Appello di Perugia assolse Giuseppe Casanova
dall’accusa di omicidio con la formula “perché il fatto non sussiste” avendo ritenuto che Carlo
Barbieri mentre era nelle mani dei fascisti si sia suicidato “in un momento di sconforto” provocato
dall’incertezza della sua sorte.”
I giudici si convinsero della innocenza dell’imputato poiché, oltre alla insufficienza di prove a suo
carico, sarebbe mancato il movente. Secondo loro, infatti, la Milizia Stradale di Todi nel novembre
del 1943 svolgeva soltanto compiti “tecnici” che erano quelli riguardanti la sicurezza stradale e
quindi non vi sarebbe stata alcuna ragione politica per il loro comandante di sopprimere Barbieri.
Ma i giudici non considerarono che la Milizia Stradale di Todi nel novembre del 1943, quando
l’Umbria era governata dalla RSI, era ben diversa da come sarebbe diventata nel 1949. All’epoca
della   morte di Barbieri, infatti, la Milizia Stradale di Todi era ancora una specialità della
fascistissima Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale che sotto la direzione del centurione
Schweiger svolgeva compiti di polizia che implicavano l’arresto di “ribelli” e rastrellamenti.
Purtroppo raramente la verità giudiziaria coincide con la verità storica. Forse, se i giudici di Perugia
avessero ricordato da chi era governata l’Umbria dopo l’8 settembre 1943, avrebbero deciso
diversamente. .
Comunque di questa sentenza il Ministro della Difesa non volle tener conto e nel 1953 propose e
ottenne dal Presidente della Repubblica di decorare Carlo Barbieri di medaglia d’argento al valor
militare alla memoria con la seguente motivazione:
“Organizzatore ed animatore della lotta partigiana nella sua regione, caduto in mani nemiche,
lungamente e barbaramente interrogato, manteneva contegno fiero ed esemplare, facendosi uccidere
piuttosto che rivelare cosa alcuna che potesse compromettere i patrioti da lui dipendenti.”
Per aver coraggiosamente accusato i fascisti dell’omicidio del suo uomo, quando nel novembre del
1943 l’Umbria, come sappiamo, era ancora in mano alla RSI, Maria Pia Caruso rischiò l’arresto. La
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gente del paese aveva paura di dimostrarle amicizia o solidarietà. Nel suo memoriale la giovane
ricorda che intorno a lei “si era fatto un pietoso vuoto, ma vuoto” e nessuno aveva il coraggio di
avvicinarla. “La situazione “era diventata impossibile” e anche il podestà Orsini che l’ospitava
correva il rischio di essere arrestato. Così una mattina di novembre ottenne un passaggio per Roma
su un camion carico di farina del molino Cappelletti e lasciò Massa Martana portando con sé le
uniche cose che gli erano restate del suo uomo: le mostrine e le stellette che Casanova gli aveva
permesso di tenere per ricordo.

Quando nell’autunno del 1943 accadevano le vicende rievocate in questo dramma non avevo ancora
sei anni e anch’io mi trovavo a Massa Martana dove la mia famiglia era sfollata dopo il
bombardamento dell’11 agosto che aveva devastato Terni. Avevamo trovato alloggio in un piccolo
appartamento al primo piano di un edificio che si trovava sulla piazzetta Giordano Bruno, a pochi
passi dalla casa del podestà Achille Orsini il quale, come sappiamo, ospitava Maria Pia Caruso e il
capitano Carlo Barbieri. Ma io, data l’età, non ho alcun ricordo di queste persone che sicuramente
avrò incontrato chissà quante volte. Non so neanche che aspetto avessero perché durante le mie
ricerche non ho rinvenuto loro foto, né, d’altronde, i documenti da me esaminati mi hanno fornito
qualche elemento utile per farmi un’idea delle loro sembianze.
Tuttavia ben poche volte mi sono imbattuto in personaggi così vivi e reali.
Il merito va sicuramente alla passione con cui Maria Pia ha scritto il memoriale che ho largamente
utilizzato in questa riduzione teatrale.
Del periodo trascorso a Massa Martana mi restano sprazzi di ricordi: la grande animazione che c’era
nei vicoli del paese, i panni stesi alle finestre, il canto delle donne in fila al grande lavatoio e poco
più in là il maniscalco che ferrava i cavalli tra una bestemmia e l’altra. E poi ricordo i tanti bambini,
tutti magri, con cui giocavo alla guerra, e il pane nero dei tedeschi, che sfamava più del nostro, e la
paura, tanta paura, quando durante i bombardamenti si correva trafelati alla grotta posta sotto le
mura esterne del paese.
Per procurarci da mangiare mio padre dava una mano a un suo cugino che a Sarioli conduceva un
podere a mezzadria. Alcune volte assieme a dei compaesani andava con la bicicletta fino a
Civitavecchia per prendere il sale che serviva ai contadini per conservare la carne. Le strade erano
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bianche e le biciclette avevano le ruote piene, e ancora mi chiedo come facessero quegli uomini a
macinare tutti quei chilometri e a tornare con un sacco di sale di circa 30 chili sulla canna.
Naturalmente anche mio padre era magro come un chiodo.
Tutti i protagonisti di questa storia sono scomparsi. Di come sia vissuta Maria Pia Caruso, dopo
aver lasciato Massa Martana, non sono riuscito ad avere che poche notizie. All’anagrafe di Roma
risulta che nel 1950 si sposò e si trasferì a Nettuno con suo marito. Non ebbe figli e morì a Anzio
nell’ottobre del 2009.
Un vero peccato non averla potuta conoscere e intervistare.
Anche i componenti della famiglia di Carlo Barbieri sono tutti scomparsi, compreso il suo unico
fratello, Francesco, deceduto a Bologna nel 1994 senza lasciare figli.
Mi reco spesso a Massa Martana dove ultimamente ho conosciuto due bravi e appassionati storici,
Carlo Ridolfi e Francesco Campagnani, che mi hanno aiutato e consigliato nella mia ricerca.
Il paese, dopo gli importanti lavori per riparare i danni del terremoto del 1997, ha un aspetto lindo e
ordinato. Una delle ultime case ad essere ristrutturate è stata proprio quella del podestà Achille
Orsini. Un giorno vi capitai mentre erano ancora in corso i lavori. All’interno si vedeva un cortile
con al centro un vecchio pozzo. Le crepe sui muri, dove l’intonaco cadeva a pezzi, mi sembrarono
come cicatrici di antiche e mai sopite sofferenze..
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