Marcel Proust: intrecci, metamorfosi, contaminazioni
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Marcel Proust: intrecci, metamorfosi, contaminazioni Reggio Emilia, 27 e 28 ottobre 2022 Aula L0.5 ‘‘Artigianelli’’ - Dipartimento di Educazione e Scienze Umane Palazzo Baroni - viale Timavo 93, Reggio Emilia Comitato scientifico Annamaria Contini, Marco Piazza, Federico Montanari, Ruggero Ragonese Comitato organizzativo Sofia Sandreschi de Robertis, Alice Giuliani, Lorenzo Manera Con il supporto di:
Prof. Gérard Bensussan gerard.bensussan@sfr.fr Titre: Levinas lit Proust Résumé: Levinas a très tôt lu Proust, et quelques autres classiques de la littérature française. Il y a même appris le français. La conférence examinera la question de l’altérité telle que Levinas en rencontre d’innombrables traces dans la Recherche, en particulier dans l’amour d’Albertine, génitif objectif et subjectif. Ce que le philosophe y trouve, c’est que l’Autre n’y est pas visé dans une fusion avec le Même, à jamais impossible, mais qu’il traverse la subjectivité éthique dans une « lutte avec l’insaisissable ». C’est ainsi le réel lui-même qui est repensé, et chez Proust, et chez Levinas, comme ce qui demeure irréductiblement autre, ou pour toujours extérieur. Prof. Patrick Bray p.bray@ucl.ac.uk Titre: Marcel morcelé: Proust et la répétition dans l’art Résumé: Dans La Prisonnière, le narrateur explique à Albertine la nature de la vérité de l’art comme une fonction de la répétition. En comparant ce passage fameux à un autre passage similaire, quand le narrateur écoute Odette qui joue du piano (dans À l’ombre des jeunes filles en fleur), on va pouvoir analyser comment la répétition et la relecture (par Marcel ou par le lecteur) crée du sens en alternant l’habitude et la sensation. À travers des lectures de Roland Barthes et de Gilles Deleuze, ainsi que les écrits théoriques sur l’art de Proust lui-même, on voit que La Recherche de Proust nous force à la morceler, à la relire même dès la première lecture, et à nous ressouvenir en la (re)lisant. Si “vrai” texte proustien il y a, il se trouve dans la comparaison continuelle de l’ordre chronologique du récit et les retours constants (dans le texte, dans nous-mêmes) pour contempler la composition de ce (dés)ordre. Prof. Marco Piazza marco.piazza@uniroma3.it Titolo: Proust realista? Così credeva Joan Sacs Abstract: La poetica proustiana è stata definita volta volta idealista (Raimond, Milly), prospettivista (Auerbach) o relazionista (Curtius) per sottolineare il suo scarto rispetto al realismo ottocentesco di un Balzac. L’oscuro e completamente obliato critico catalano Joan Sacs, uno degli pseudonimi del pittore-caricaturista-narratore e critico artistico e letterario Feliu Elias i Bracons (1878-1948), nei primi anni Trenta era convinto che dietro la poetica idealista della Recherche si celasse il “realismo” di Proust. Per quanto un po’ rudimentale nell’ argomentazione, l’interpretazione di Sacs coglie con acume alcuni elementi salienti dell’epistemologia proustiana, che, nel suo sovvertire il regime delle abitudini per sondare le regioni dell’inconscio, configura una sorta di “transrealismo” (Candido) che guarda con simpatia tanto alla tecnica pittorica dell’impressionismo (Crémieux) quanto a quella fotografica della stereoscopia (Shattuck). Prof. Stefano Poggi stefanopoggipoggi@gmail.com Titolo: Una strada assolata e una piccola finestra: Proust e la prospettiva Abstract: Nella penombra dell’atelier di Elstir, a Balbec, il visitatore, in una assolata giornata estiva, getta lo sguardo sulla luce che inonda una strada polverosa, intravista nell’apertura di una piccola
finestra spalancata. È lo sguardo di un momento, perché, poi, tutta la sua attenzione andrà alle cattedrali e alle marine del grande artista. È uno sguardo fuggevole. Non è quello, oramai velato, con cui gli occhi di Bergotte morente si posano sul petit pan de mur jaune della Veduta di Delft. Ma è uno sguardo rivelatore. Rivelatore, ancora una volta, del debito di Marcel Proust nei confronti di John Ruskin. Dott.ssa Sofia Sandreschi de Robertis sofia.sandreschi@uniroma3.it Titolo: «Scatola 3, bobina 5»: Proust e il Krapp di Beckett Abstract: La Recherche conta, fra i suoi numerosi e celebri ammiratori, anche Samuel Beckett. Nel 1931, Beckett pubblica un saggio dal titolo laconico – Proust – e, per primo, rileva criticamente il potere che l’abitudine detiene nell’economia della Recherche. Più di venti anni dopo, scrive una pièce brevissima, L’ultimo nastro di Krapp (1958), dove ancora risuona, seppur implicitamente, l’eco proustiana. L’ipotesi di questo tardivo ritorno a Proust è stata avanzata da Ackerley (2009), ma, mentre la letteratura critica incentrata sul Proust di Beckett è abbastanza sviluppata, manca ad oggi un vero e proprio dibattito a questo proposito. La pièce del ’58 ruota attorno a due temi fondamentali nell’opera proustiana – la memoria e l’identità dell’io – che qui vanno in scena grazie alla mediazione tecnologica di un registratore. Krapp registra i suoi ricordi più recenti e riascolta quelli più antichi: l’andamento della memoria e il tentativo di ricomporre un’identità divengono così processi esteriori, o meglio esteriorizzati. Se l’ipotesi di Ackerley può essere in qualche modo confermata, devono esserne però discusse le conseguenze. Non si tratta infatti di esporre un’estetica – in continuità o in contrasto con quella esposta ne Il tempo ritrovato; se Beckett, nel saggio del ’31, si era posto nei confronti di Proust con l’atteggiamento del critico, nel ’58 invece lo affronta in un corpo a corpo, nei panni del drammaturgo. Dott. Andrea Nicolini andrea.nicolini.uni@gmail.com Titolo: Il risvolto del pensiero. Sul rapporto tra filosofia e letteratura Abstract: L’intento del mio intervento è quello di analizzare i rapporti tra letteratura e filosofia a partire dal saggio Proust et les signes dove Deleuze sembra dividere in modo fermo le due discipline. Secondo Deleuze, diversamente dalla filosofia, il cui intimo sforzo di afferrare la verità la conduce ad elaborare un sistema teso ad evitare ogni sorta di contraddizione, la letteratura non pratica alcuna astrazione razionale, andando invece a dar voce a tutte quelle contraddizioni che contraddistinguono e sostengono ogni emozione umana. Ciononostante, è importante sottolineare come sia proprio Deleuze ad affermare che la verità non è qualcosa che un soggetto disincarnato può trovare nel mondo. La verità, afferma infatti il filosofo, è l’effetto di una “violenza sul pensiero”, una violenza che, dall’esterno, colpisce il soggetto costringendolo a pensare. Per il filosofo, il pensiero non è l’atto di una volontà libera, ma è l’effetto del nostro essere al mondo come un corpo già da sempre compromesso con la contingenza dettata dalle sue emozioni. Da qui l’importanza che Deleuze attribuisce ai segni. I segni sono infatti le ferite che il tempo lascia sulla vita di un essere umano accendendo in lui il bisogno di comprendere cosa si cela dietro quelle stesse ferite. In questo senso, decifrare i segni significa certamente approcciarsi alla verità, ma ad una verità che non ha nulla a che fare con quell’istanza fondazionalistica tipica di un certo sapere filosofico che, separando il soggetto dal mondo, ne ha fatto una pura istanza conoscitiva. La verità̀ di cui parla Deleuze emerge al contrario proprio da una confusa e passionale commistione col mondo e trova la propria raison d'être a partire da quella inalienabile comunione tra il pensiero di un soggetto e il mondo entro cui questi si muove dando corpo alle proprie emozioni. La divisione tra filosofia e letteratura che Deleuze sembrava in un primo momento sostenere viene dunque problematizzata dal concetto di verità
offerto dal filosofo stesso – un concetto grazie al quale egli esprime la necessità di superare le astrazioni del cogito per istituire un nuovo modo di fare filosofia. Ciò che è interessante sottolineare in relazione al rapporto tra filosofia e letteratura è che non solamente Deleuze, ma tutti i filosofi francesi che hanno lavorato su Proust – sia che siano riconducibile al cosiddetto post-strutturalismo francese, o che lo precedano, come nel caso di Bataille e Merleau-Ponty – sono impegnati nel disvelare come la dimensione di contingenza legata alle emozioni, ben lungi dall’essere estranee al cogito, lo strutturi come un cogito di carne e sangue, come un cogito che abita il mondo e lo influenza tanto quanto ne viene influenzato. Questo ribaltamento nel concepire il pensiero – che non rappresenta solo un cambio di stile ma una svolta nello stile del pensiero – è stata definita da Paul Ricoeuer in Soi-même comme un autre, “cogito brisé” ossia quel cogito che si frantuma proprio per dar voce alle contingenze emotive da cui il cogito stesso emerge. Al di là delle differenze che separano i filosofi appartenenti alla tradizione del cogito spezzato, ciò che li unisce sotto il segno di Proust sembra essere proprio il fatto che per loro non è più possibile fare filosofia se non attraverso una deriva letteraria. Una volta abbandonate le aspirazioni oggettivistiche che separano il pensiero dal mondo dal quale emerge, la tradizione del cogito spezzato si apre infatti a quelle infinite e frammentarie contingenze che solo la letteratura sa cogliere cosi bene. Come ha efficacemente sottolineato Vincent Descombes in Proust. Philosophie du Roman, il valore della letteratura si basa infatti proprio sulla straordinaria capacità di rappresentare la ricchezza e la diversità dei fenomeni concernenti la vita umana. La letteratura è in grado di mostrare quei fenomeni particolarmente elusivi come le passioni, i sentimenti, le relazioni intersoggettive, che sfuggono alla concettualizzazione tipica della filosofia. Affermando chiaramente questi aspetti dell’esperienza, la letteratura li mette sotto gli occhi del pensiero, e mostrandone l’importanza, li salva dall’oblio di un pensiero disincarnato. Da questa prospettiva, appare evidente come la letteratura non sia solo un valido strumento nelle mani del filosofo, ma sia il rovescio della filosofia stessa. Filosofia e letteratura non sono altro che il concavo e il convesso dello stesso pensiero incarnato. Sulla scorta della tradizione del cogito spezzato, intento del mio intervento è dunque mostrare come la divisione tra filosofia e letteratura debba essere abbandonata in vista di un modo differente di fare filosofia, un modo in grado di cogliere anche quelle contingenze che intessono la stoffa dell’esistenza e che solo la letteratura sa cogliere nella loro vibrante contraddittorietà. Dott. Ludovico Monaci ludovico.monaci@phd.unipd.it Titre: Proust sociolinguiste de la violence verbale: « toutes les injures imaginables » de la Recherche Résumé: Les études qui ont été consacrées aux idiolectes et aux sociolectes des personnages de la Recherche n’ont pas suffisamment attiré l’attention sur les manifestations de violence verbale. Pourtant, comme ils sont dépeints « au cours de leur vie normale et quotidienne » (LE BIDOIS 1939, 198), les personnages proustiens recourent souvent à l’injure et à la médisance1. La « sociologie romanesque » (HENRY 1983, 128) de la Recherche offre un échantillon représentatif des attitudes conversationnelles et comportementales que, sur la base de leur appartenance à une « caste » (RTP, I, 16, 20-21 ; III, 415) ou à un « groupement humain » (RTP, II, 544), les « membres du corps social » (RTP, II, 664) peuvent assumer dans un contexte agonal. Dans une perspective à la fois synchronique (centrée sur les étapes génétiques d’un épisode romanesque) et diachronique (centrée sur l’évolution diégétique du récit), on tracera les tendances sociodiscursives des êtres de papier principaux, à savoir ceux qui sont tour à tour les responsables, les victimes ou les témoins d’un acte de violence verbale : « Ce retournement de l’insulte marque la réversibilité toujours possible des rôles, qui suivent un mouvement de rotation » (DUVAL 2004, 320). Notre objectif est 1On appelle « injure » toutes les attaques verbales directes, où les propos sont tenus « en face » de la victime, et « médisance » toutes les attaques verbales indirectes, où un énoncé est proféré « dans son dos ».
celui de montrer que les insultes, les invectives, les injures et les médisances ne sont pas seulement un instrument d’agression, mais qu’elles sont aussi le miroir de la mentalité, des peurs, des codes et des systèmes de valeurs d’un individu, d’« une ethnie sociale » (BARTHES 2020, 172) et, plus en général, d’une civilisation et d’une époque. Cette intervention s’inscrit dans le premier axe de propositions (« la contamination […] entre différents champs disciplinaires ») : en particulier, à travers une approche qui relève à la fois de la sociologie et de la linguistique pragmatique, on se concentrera notamment sur les « stimulations » que Marcel Proust offre « au débat contemporain » en matière de « la conception de l’individu et de la société ». Prof. Federico Montanari federico.montanari@unimore.it Titolo : ‘Essere sensibile ai segni’. Conoscenza e verità nel Proust di Deleuze: ipotesi per un Proust spinozista Abstract: Lo scopo di questo paper è di ripartire dal ben noto e classico studio di Deleuze, Proust e i segni. Di riprendere la tesi e, se possibile, "rilavorare", questa lettura di Proust. Sappiamo che, come per molti altri libri di Deleuze, quello su Proust possiede uno dei caratteri tipici del filosofo: quello di un “fare irruzione” in campi, in apparenza non propri, non direttamente appartenenti al campo della filosofia. Talvolta suscitando, perlomeno in un primo momento, la reazione irritata degli storici della letteratura o dei critici. Ma quali punti crediamo sia importante riprendere e riattualizzare del lavoro di Deleuze? Da un lato vogliamo concentrarci sulla valutazione generale dell’opera di Proust: come è noto, Deleuze insiste su un punto fondamentale che riprende direttamente da Proust, che infrangeva perlomeno allora un luogo comune. La Recherche è un grande lavoro "non sulla memoria ma sulla conoscenza", e addirittura di una “verità”: attraverso la percezione, e la stratificazione di diverse tipologie di segni. Dunque, cercheremo in primo luogo di riprendere queste mappe e tipologie dinamiche. Ma anche, in secondo luogo, di formulare un’ipotesi: chiederci se il lavoro di Deleuze su Proust sia un lavoro anche di “rifondazione”, in anticipo sui tempi, di una semiotica; e legata, forse, ad una filosofia che, come noto, sta al centro dell’opera di Deleuze, quella di Spinoza. Dott. Ruggero Ragonese e Prof.ssa Emanuela Piga Bruni ruggero.ragonese@unimore.it emanuela.pigabruni@unimercatorum.it Titolo: Segni di Proust. Visioni, previsioni e revisioni Abstract: Quelquefois l'avenir habite en nous sans que nous le sachions, et nos paroles qui croient mentir dessinent une réalité prochaine (À la recherche du temps perdu - Tome 3 - Le Côté de Guermantes). Un centenario è sempre l’occasione, spesso la scusa, per fare un punto, per mettere in prospettiva un autore e un’opera. Questo vale a maggior ragione per Proust la cui vita stessa, sia nel mito posteriore sia nella realtà biografica, si è snodata in un continuo rispecchiamento con i suoi testi. In questo senso, la Colomba pugnalata di cui ci parla Piero Citati, scomparso proprio in questo anno proustiano, resta forse l’immagine più affascinante del dilemma proustiano, capace di mettere a fuoco (in un modo volutamente non accademico) questa particolare e ragionata ‘confusione’ fra storia personale e storia narrativa. A partire da testi come quello di Citati e dalle revisioni critiche sul concetto di autorialità (Genette, De Man) proveremo a tracciare un percorso articolato del modo in cui Proust ci ha fatto segno post mortem. Se il portato di un autore nella cultura che gli succede è ravvisabile sempre (qualsiasi opera di fatto è oggetto di letture, riletture, e fonte di modelli e mitizzazioni), nel caso dello scrittore della Recherche si ravvisa un passaggio ulteriore che rende l’anniversario del 2022 non scontato. L’opera proustiana in qualche modo si allunga in una
temporalità extratestuale. Nel perimetro peritestuale, fra l’opera e le sue successive revisioni, si inserisce un dispositivo estetico che ne regola lo spazio di lettura. Proust si fa paradossalmente regola, si organizza come meccanismo replicabile, dissemina la sua dimensione biografica in un modello universale. Un HyperProust (Gidding 2002) che non si esaurisce in un perimetro intratestuale, ma trasborda oltre i limiti del testo in modo metodico, traducendosi non tanto nella semplice citazione, ma in un percorso di inferenzialità semiotica. Prof.ssa Marisa Verna e Prof.ssa Antonella Marchetti marisa.verna@unicatt.it antonella.marchetti@unicatt.it Titolo: Percezione, memoria autobiografica e sé: il naso di Proust Abstract: Questo contributo rappresenta una prima sistematizzazione di uno studio più vasto sull’olfatto nella Recherche proustiana, in cui ci concentreremo in modo particolare sulla relazione fra olfatto e memoria nella scrittura di Marcel Proust. Infatti, se è noto che il tempo costituisce il perno intellettuale e il motore estetico del romanzo proustiano, meno nota è l’importanza dell’olfatto nell’operazione di conservazione della memoria, il cui risultato (la reminiscenza, o memoria involontaria) va molto oltre il banale recupero di un ricordo e la sua traduzione “nostalgica” in una prosa poetica. Più stabile di altri tipi di memoria, dotata di un carattere edonico ed emotivo molto forte (Jean-Yves et Marc Tadié, 1999) la memoria olfattiva viene usata da Proust per liberare “l’essenza dell’io” (Serça 2022), permettendo al narratore della Recherche di superare la frammentazione del sé sperimentata lungo tutta la narrazione (Jean-Marc Devaud 2022). L’intuizione di Proust rispetto al ruolo dell’olfatto nella cognizione del reale e nel recupero della memoria si colloca in rottura rispetto alla cultura a lui contemporanea, che vede nell’olfatto il più primitivo dei sensi, “inutile” (se non dannoso) in un’umanità evoluta. Nella prima parte dell’intervento analizzeremo alcuni passaggi del romanzo, in cui l’olfatto sembra trovati all’origine stessa della vocazione letteraria del narratore, il bandolo “triviale” del cammino spirituale dell’arte. Nella seconda parte presenteremo una serie di ricerche in ambito psicologico, neuropsicologico e psicobiologico che avvalorano, dall’osservatorio di un altro vertice disciplinare, la succitata rottura operata dalle intuizioni proustiane rispetto alla cultura contemporanea all’Autore, fornendo una serie di evidenze sperimentali interessanti in relazione al tema “olfatto e memoria”. Verranno citati alcuni ambiti di indagine particolarmente cruciali. Un primo ambito riguarda il ruolo comparativo dell’olfatto rispetto agli altri sensi nel sollecitare memorie autobiografiche in termini sia di capacità evocativa sia di intensità dei ricordi evocati (Toffolo et al., 2012; de Bruijn, Bender, 2018; Ernst et al, 2021). Un secondo ambito concerne la natura “antica” vs “recente” delle memorie olfattive rispetto alle altre memorie sensoriali (Willander, Larsson, 2008). Un terzo ambito è relativo al nesso tra stimoli olfattivi, ippocampo e memoria episodica (Baudry, 2020). Un quarto ambito ha rilevanza clinica. Alcuni studi hanno infatti evidenziato due tipi di fenomeni: da un lato, gli effetti benefici esercitati sul sistema immunitario dalla secrezione di determinate molecole, conseguente all’esperienza di memorie emotive autobiografiche a valenza positiva olfattivamente mediate (Matsumaga et al., 2013; dall’altro la funzione dell’olfatto come fattore protettivo rispetto ai deficit di memoria associati ad alcune patologie neurodegenerative e rispetto alla sintomatologia depressiva che spesso accompagna sia questo tipo di patologie sia la recente patologia del Long Covid (Guedj et al., 2021).
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