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LICEO SCIENTIFICO N. COPERNICO classe 5AS anno scolastico 2018/2019 gruppo di lavoro su Édouard Manet e l’Impressionismo allievi: Bongini Gioele Calamai Matteo Notarmasi Marco Solano Paolo prof. Claudio Puccetti
LA VITA Edouard Manet (1831-1883). Edoard Manet nasce a Parigi il 25 gennaio 1832 e fin da giovane si dimostra poco incline agli studi e molto attratto dal disegno e dalla pittura, contro il volere della sua famiglia. La sua formazione artistica comincia nel 1850 presso Thomas Couture, un pittore accademico allora molto quotato. Il giovane allievo però, dimostra ben presto una forte insofferenza per l'arte del maestro, giudicata vuota e innaturale, tanto che nel 1856 lascia l'atelier. Nel frattempo viaggia in Olanda, Germania, Austria e Italia, ammirando nei musei di questi paesi artisti come Tiziano, Rembrandt, Tintoretto e di tutti quegli artisti che, nelle loro opere, avevano dato grande importanza al colore. Tra i contemporanei ammira Delacroix, tanto da riprodurre La barca di Dante. Nel 1861 conosce Degas, spirito libero e solitario, con il quale stringe una profonda amicizia che costituirà il nucleo fondamentale attorno al quale si aggregheranno i giovani artisti del Café Guerbois. Nel 1869 l'artista, pur non abbandonando la pittura d'atelier, realizza i primi quadri en plein air, favorendo i giardini delle Tuileries. Negli anni successivi alterna la sua attività a nuovi viaggi di studio in Inghilterra e Olanda e, nonostante la fama ormai raggiunta, deve sempre combattere contro le giure accademiche dei Salons. Quando, nel 1874,gli Impressionisti danno vita alla loro prima esposizione, Manet non vi partecipa direttamente, ma la sua presenza morale e il suo influsso appaiono indiscutibili. Negli anni successivi l'artista soffre di frequenti crisi depressive e, a partire dal 1878,iniziano i sintomi dell'atassia. Nonostante questo Manet continua a dipingere fino alla morte, avvenuta nel 1883. Il giorno dei funerali, assente solo Renoir, il gruppo degli Impressionisti si ricompose dietro al feretro del maestro che aveva aperto la strada alla pittura contemporanea.
STILE PITTORICO Dal 1850 al 1856 studiò presso il pittore accademico Couture, pur non condividendone gli insegnamenti. Viaggiò molto in Italia, Olanda, Germania, Austria, studiando, nella convinzione che il rinnovamento della pittura dovesse compiersi all’interno della tradizione, soprattutto i pittori che avevano scelto il linguaggio tonale quali Giorgione, Tiziano, gli olandesi del Seicento, Goya e Velazquez. Notevole influenza ebbe sulla definizione del suo stile anche la conoscenza delle stampe giapponesi. Manet è stato un pittore poco incline alle posizioni avanguardistiche. Egli voleva giungere al rinnovamento della pittura operando all’interno delle istituzioni accademiche. E, per questo motivo, egli, pur essendo il primo dei pittori moderni, non espose mai con gli altri pittori impressionisti. Rimase sempre su posizione individuale e solitaria anche quando i suoi quadri non furono più accettati dalla giuria del Salon. La rottura con la critica avvenne solo dopo il 1863, quando Manet propose il quadro La colazione sull’erba. In questa tela sono già evidenti i germi dell’impressionismo. Manet aveva abbandonato del tutto gli strumenti classici del chiaroscuro e della prospettiva per proporre un quadro realizzato con macchie di colori puri e stesi uniformemente, pur riuscendo a ad ottenere una perfetta simulazione spaziale. Nei confronti degli impressionisti Manet ebbe sempre un atteggiamento distaccato. Partecipava alle loro discussioni, che si svolgevano soprattutto al Cafè Guerbois, e, in seguito, al Cafè della Nouvelle Athènes, ma non espose mai ad una mostra di pittura impressionista. Egli, tuttavia, non rimase impermeabile allo stile che egli stesso aveva contribuito a far nascere. Dal 1873 in poi, sono evidenti nei suoi quadri le influenze della pittura impressionista. Il tocco diviene più simile a quello di Monet, così come la scelta di soggetti urbani rientra appieno nella poetica dell’impressionismo. Egli, tuttavia, conserva sempre una maggior attenzione alla figura e continuerà sempre ad utilizzare il nero come colore, cosa che gli impressionisti non fecero mai.
Édouard Manet è noto a tutti noi come protagonista di una rivoluzione espressiva determinante per lo sviluppo successivo della pittura. Manet “abolisce” chiaroscuro e mezze tinte, predilige contrasti cromatici netti e pennellate rapide, crea le forme attraverso il colore. “Padre” dell’arte del nostro tempo, scandalizza i suoi contemporanei mentre attinge a piene mani, con insolente libertà, dai maestri del passato, con cui instaura un dialogo continuo, profondo, attento e inatteso. Un dialogo che nasce durante le frequentazioni del Louvre, prosegue nei viaggi in Italia e in Europa, e continuerà per tutta la vita. Per molto tempo la critica ha evidenziato il ruolo della pittura spagnola tra le fonti di ispirazione di Manet. Ma notevolissima, come ha dimostrato la mostra tenutasi a Venezia, l’importanza dei maestri del Rinascimento italiano nella formazione della sua poetica: da Tiziano a Raffaello, da Andrea del Sarto a Tintoretto, Manet studia, cita, interpreta, stravolge. È una rilettura che si integra e si connette, nel processo creativo, anche a rimandi di carattere psicologico o biografico, e si rivela attraverso gli esiti del tutto nuovi delle modalità pittoriche e del senso stesso di ogni composizione. Lo straordinario accostamento che la mostra veneziana propose per la prima (e forse unica) volta tra Olympia di Manet e la Venere d’Urbino di Tiziano ne è esempio eclatante. A livello stilistico, Monet crea una sintesi tra il cromatismo di Goya, con un intenso uso del nero- blu e il richiamo all’impaginazione e all’assetto posturale dei dipinti italiani. E proprio su questa line segnaliamo la fonte di Colazione sull’erba, che l’artista trasse, sotto il profilo iconografico da un’incisione di Marcantonio Raimondi.
LA COLAZIONE SULL'ERBA Il quadro di Edouard Manet venne presentato al Salon del 1863. La giuria lo rifiutò. Proprio quell’anno gli artisti rifiutati al Salon furono ben 300. Napoleone III, per contenere le loro proteste, fece aprire un altro salone: il Salon dés Refusée. In esso venne esposto anche «La colazione sull’erba» di Manet. Ma, anche qui, le accoglienze del pubblico e della critica furono negative. Il quadro scandalizzava sia per il soggetto, sia per lo stile. In esso vi sono raffigurati, in primo piano, una donna completamente nuda che conversa con due uomini completamente vestiti. In secondo piano vi è una seconda donna che si sta bagnando in uno stagno. Non è il nudo della donna a scandalizzare, ma la sua rappresentazione troppo realistica in una situazione apparentemente quotidiana ma decisamente insolita. Ciò che in sostanza urta è che la nudità della donna rende volgare una Édouard Manet - 1863, olio su tela, 208x264 cm,Parigi, Musée d'Orsay conversazione tra normali borghesi.
Il soggetto del quadro è una rilettura del “Concerto campestre” di Giorgione/Tiziano. Nel quadro del pittore veneziano le figure hanno un preciso significato allegorico. La donna nuda di spalle, con il flauto in mano, sta insegnando la musica ai due pastorelli innanzi a lei. L’altra sta versando dell’acqua in una vaschetta, per simboleggiare un rito di purificazione. Le due donne sono nude perché rappresentano due ninfe. Sono la natura, mentre i due uomini appartengono alla civiltà e perciò sono vestiti. Il significato allegorico dell’immagine sta in ciò: l’uomo civile riceve dalla natura il dono della musica, che rimane la più trascendentale tra le arti, solo dopo essersi purificato. Questo tipo di allegoria, carica di significati alchemici (l’acqua che purifica), andava molto di moda nel Cinquecento. Il soggetto aveva un significato nascosto ma ben individuabile da chi aveva la cultura per leggere una simile immagine. Manet – Colazione sull’erba Nel caso di Manet il soggetto non ha un messaggio così preciso da comunicare. È solo un pretesto per evidenziare la modernità della sua pittura rispetto a quella del passato. Il contenuto del quadro di Manet è solo la novità tecnica della sua pittura. Ma ciò determinò un ulteriore sconcerto da parte del pubblico e della critica. La tecnica pittorica di Manet apparve decisamente poco elaborata e quasi rozza rispetto ai canoni della pittura accademica di quegli anni. Il suo quadro vuole Giorgione e Tiziano – Concerto campestre cercare il più possibile la sensazione luminosa della visione dal vero, e per fare ciò Manet evita il più possibile la sintesi sottrattiva dei colori. Accosta solo colori puri, stesi senza alcuna diluizione o velatura per dar loro l’effetto chiaroscurale. Ad una visione ravvicinata il quadro si presenta come una somma di macchie. Acquista maggior suggestione, e senso di verità, solo ad una visione distanziata. Il pubblico del tempo non era, in realtà, abituato a considerare i quadri in questo modo. Per loro uno dei parametri per giudicare la bravura di un pittore era proprio la verifica a distanza ravvicinata che consentiva di apprezzare il livello di definizione e perfezione della stesura pittorica. Tutto ciò era negato nel quadro di Manet che, al contrario, a distanza ravvicinata rendeva manifesto come l’occhio riesce a percepire un’immagine anche tra colori che non definiscono una forma precisa. Fu questo che, in realtà, suscitò notevole entusiasmo tra i giovani pittori che presero insegnamento da Manet: la possibilità di usare i colori in totale libertà, svincolandosi dal problema di creare prima una forma e poi attribuirgli un colore.
OLYMPIA Il quadro raffigurante Olympia è il rifacimento di un tema inventato da Giorgione e Tiziano, poi ripreso da Goya nella «Maja desnuda». Il quadro di Manet è realizzato con la stessa tecnica del contrasto cromatico e luministico, qui usato quasi con intento dimostrativo. «Olympia» è di maggior rottura che non la «Colazione sull’erba», anche per la voluta ambiguità dei passaggi tonali bianco su bianco e nero su nero che rendono difficile una immediata comprensione dell’immagine. La testa della serva e il gattino ai piedi della donna scompaiono quasi nella oscurità dello sfondo. Il bianco delle lenzuola viene rilevato con sovrapposizioni di pennellate grigie, mentre il corpo nudo della donna si presenta di un bianco uniforme, la cui piattezza è però compensata dalla ben calibrata posizione degli arti. È un Édouard Manet - 1863, olio su tela, 130x190 cm, Parigi, Musée d'Orsay esercizio di virtuosismo stilistico, in cui le piccole macchie di colore rosso e verde danno il punto di saturazione del tono luminoso in bilico tra il bianco-luce e il nero-oscurità.
Anche questo quadro di Manet scandalizzò per il soggetto. Olympia, infatti, era una nota prostituta parigina che qui si mostra con una sfrontatezza decisamente volgare. Lo sguardo così diretto della donna, la sua posa, i particolari eccessivamente realistici, come le pantofole ai piedi, non permettono all’osservatore di trascendere la vera realtà di ciò che è rappresentato sul quadro. “La venere di Urbino” di Tiziano – il quadro a cui direttamente si ispira Manet nel dipingere l’Olympia – aveva ben altro significato. Questo tipo di quadro nasceva come dono di nozze e l’immagine della donna nuda, oltre ad esaltare le qualità estetiche della futura moglie, serviva ad una nuova allegoria. La sensualità e la seduzione rappresentano sicuramente uno Manet – Olympia dei fascini maggiori del matrimonio. La scena in fondo a destra, ove si vede una nurse con una bambina, con il suo carattere familiare serve a ricordare che la seduzione femminile è un bene da consumarsi nelle Tiziano – La Venere d’Urbino coordinate del focolare domestico. La rosa che la donna ha in mano serve, invece, a ricordare che la bellezza fisica tende a sfiorire. Il cagnolino ai piedi, infine, indica l’attributo più richiesto ad una moglie: la fedeltà. Nel quadro di Manet viene tutto invertito. La nurse diviene una serva per altre funzioni. Il mazzo di rose è il chiaro segno di una richiesta galante di tipo non nunziale. Il cagnolino diviene qui un gattino che, nella stessa logica simbolica, è attributo demoniaco (il gatto, nelle mitologie antiche, veniva considerato il messaggero che le streghe utilizzavano per comunicare con il diavolo). Il quadro, esposto al Salon del 1865, subì la stessa sorte della «Colazione», ricevendo aspre e violente critiche.
MONET CHE DIPINGE SULLA SUA BARCA Il dipinto, la testimonianza più alta del rapporto di reciproca stima e affetto che intercorreva tra Manet e Monet, è anche noto come Monet che dipinge sull'atelier galleggiante, alludendo ironicamente all'importanza che gli Impressionisti attribuivano all'en plein air: era una pratica che prevedeva la realizzazione di quadri all'aria aperta, a contatto con la natura, e non nel chiuso degli atelier, confortevoli ma anonimi. Con quest'opera anche Manet si cimentò nell'en plein air, non volendo sottoporre l'amico ad lunghe e faticose sedute di posa, date anche le problematiche poste dal soggetto stesso. Le pennellate, in particolare, sono rapide e vivaci e trascurano i dettagli, per trasmettere l'impressione d'insieme. Si delinea in questo senso una sostanziale vicinanza dell'opera alla maniera impressionista, anche per quanto concerne la sua tessitura cromatica, giocata sulle tonalità del blu. Édouard Manet - Monet che dipinge sulla sua barca Speciale menzione merita la resa della mobilità 1874, olio su tela, 80x98 cm, Monaco (Germania) dell'acqua e dei mille riflessi che la colorano, dettaglio Neue Pinakothek che avvicina il dipinto alle opere più alte del Monet. In Monet che dipinge sulla sua barca, infatti, Manet frammenta la luce in piccole chiazzette di giallo, verde, rosa e anche nero: questa scelta cromatica, stante l'odio che gli Impressionisti nutrivano per il colore nero, ritenuto proibito, rivela tuttavia la sostanziale autonomia della concezione artistica manetiana rispetto all'influenza dei giovani colleghi.
L'opera, rimasta incompleta, coglie Claude Monet di profilo mentre lavora su un battello, vero e proprio protagonista del dipinto, che risulta occupato per la maggiore proprio dalla sagoma dell'imbarcazione. Monet, in particolare, è intento ai pennelli, in compagnia della moglie che - abbigliata con un abito bianco sporco e un cappello nero - siede a una rispettosa distanza dal pittore. Nella fattispecie Monet ha appena iniziato a dipingere un paesaggio: si tratta di un'ulteriore allusione alla rilevanza della pittura en plein air in ambito impressionista. Édouard Manet - Monet che dipinge sulla sua barca particolare
IL BAR DELLE FOLIES-BERGÉRE In quest’opera sono riassunte tutte quelle che sono le caratteristiche che rappresentano lo stile di Manet; cerchiamo di capire cosa ha cercato di trasmettere al pubblico mediante la realizzazione di questo quadro con protagonista il Folies Bergeres. Per prima cosa cerchiamo di definire quale sia il punto di vista dell’osservatore: negli anni passati sono state tantissime le discussioni che hanno circondato quest’opera, poiché differentemente da qualsiasi altra opera pittorica tradizionale, questa volta la posizione per osservare il quadro non consiste nello stare effettivamente davanti al quadro. In parole povere, per avere la corretta prospettiva degli oggetti che vengono rappresentati all’interno della composizione, bisognerebbe essere nella medesima posizione in cui si trova l’uomo la cui sagoma viene riprodotta mediante lo specchio in alto a destra del quadro. Molti hanno criticato Édouard Édouard Manet - Il bar delle Folies-Bergére - 1881-82, Manet per alcune sue carenze tecniche, dove olio su tela, 96x130 cm, Londra, Courtland Institute of Art Gallery soprattutto i suoi critici contemporanei non hanno perso tempo a sminuirlo ed hanno cercato in tutti i modi di renderlo un pittore più conosciuto per i vasti scandali che circondavano la sua figura, piuttosto che per le opere d’arte che riusciva a realizzare.
Oltre alla prospettica, Il bar delle Folies-Bergère è un quadro assai interessante per il gran numero di dettagli che sono presenti; cerchiamo di scoprire quali sono quelli che potrebbero interessarci. Diamo un’occhiata alla protagonista assoluta del quadro, ovvero la barista: in molti l’hanno identificata come Suzon, una donna che ha veramente lavorato all’interno di quel locale nel 1880, e che Manet ha deciso di rappresentare. Bisogna sapere che il pittore non ha realizzato questo quadro mentre si trovava nel locale, bensì lo ha dipinto direttamente nel suo studio, e per rappresentare la donna, ha chiesto a quest’ultima di posare per lui. Rimanendo sempre ben saldi attorno alla figura della donna, bisogna notare il piatto di arance presente sulla destra, le quali risaltano per il colore deciso che il pittore ha utilizzato; stando a diversi studi parrebbe che Manet associasse questo elemento allegasse il soggetto al mondo della prostituzione, e sembrerebbe anche che questa teoria sia stata confermata, definendo Suzon sia una barista che una prostituta. Per molti anni si è creduto addirittura che Manet avesse sbagliato completamente la prospettiva presente all’interno di questo quadro, ma dopo innumerevoli studi anche di fotografia e con delle evidenti prove, è stato affermato, proprio come indicavamo precedentemente, che per poter avere una corretta rappresentazione prospettica degli oggetti presenti nel quadro, bisogna stare nella stessa posizione dell’uomo che sta parlando con la barista. .
In seguito, possiamo notare in alto a sinistra invece il paio di piedi color verde che sembra essere lontano dal primo piano del quadro: questi sono dei piedi di un trapezista, il quale sta deliziando il pubblico presente all’interno del locale con le sue acrobazie. Molto interessante anche il gruppo di bottiglie di birra che sono presenti sul bancone: queste sono richiamabili ad una marca di birra inglese molto in voga durante quegli anni, e la scelta di Manet di voler rappresentare proprio questo tipo di bevanda, oltre ad essere un forte elemento realista, indica la vicinanza al mondo inglese e soprattutto un forte distacco, se non disprezzo, per la Germania negli anni successivi alla guerra franco-prussiana. La grandezza di questo quadro la possiamo rintracciare semplicemente osservando il mondo presente davanti alla protagonista, e che è accessibile a noi grazie al grande specchio alle spalle di Suzon. Manet ha cercato di rappresentare un momento di grande festa e di convivialità, proprio come in Musica alle Touleries, e che, attraverso il complesso gioco di punti di vista a cui accennavamo all’inizio di questo articolo, rende questa rapida occhiata al mondo della società francese, molto riassuntiva ed interessante, soprattutto se messa in contrapposizione allo sguardo pensoso e riflessivo della protagonista Suzon.
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