Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
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Lezione n. 2 – Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale Paolo Francesco Peloso UO SM D 9 e SPCR Ospedale p. A. Micone del DSMD dell’ASL 3 «Genovese» Scuola di Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica Università di Genova I anno Corso di Storia dell’evoluzione del pensiero psichiatrico e riabilitativo Genova, 1 aprile 2020
Vi ringrazio per le risposte che ho ricevuto, invierò prossimamente un commento personale a ciascuno . Ora vi propongo un’altra lettera contenente la lezione del 1 aprile, che cercherà di ripercorrere un po’ condensata la storia della psichiatria dalla sua nascita all’inizio dell’800, alla seconda guerra mondiale. Questa lezione si presta meno a interrogare i personaggi, perciò vi farò alla fine in modo più tradizionale 20 domande io, alle quali potete rispondere liberamente. Prima però farei un passo indietro, perché qualcuno tra voi si è «vendicato» (scherzo) e ha fatto a me domande molto stimolanti, e un po’ difficili. Se fossimo in aula, tutti avreste sentito le domande e le mie risposte; perciò preferisco rispondere in modo pubblico in modo che tutti possiate leggere e se volete dire la vostra. 1. Una volta non c’erano tutti i farmaci che ci sono oggi: in una visione un po’ contorta, è giusto considerare la violenza che attuavano i guardiani come un modo comprensibile per placare chi era particolarmente ingestibile? Se così non fosse, come avrebbero potuto gestire situazioni del genere? E’ una domanda molto bella, che coglie un punto importantissimo e la risposta non è semplice. Mi pare che la risposta da un lato possa essere che sì, quando non si disponeva degli strumenti che oggi abbiamo (i farmaci, ma anche le tecniche psicoterapiche e riabilitative e tutta la storia di esperienze e riflessioni che stiamo ripercorrendo) il fatto di reagire alla follia con la violenza fosse più comprensibile. Ma dall’altro lato mi pare che la risposta stia anche nella seconda vicenda, quella di padre Antero, che ci dimostra come fin dall’antichità ci fossero due modi per rispondere alla follia: con la violenza, oppure usando l’intelligenza, l’astuzia, direi anche l’amore, per scoprire un modo non violento di entrarci in relazione, che molti di voi infatti hanno apprezzato… 2. Menavino guardava a Timerahane con curiosità e spregio o con curiosità e ‘ammirazione’? A me pare con curiosità e basta, sospendendo cioè il giudizio; come un fotografo che vede una cosa strana e ce la mostra, senza commento. Credo che anche questo renda il brano più bello.
3. L’uomo ammette che preferisce morire a causa delle bastonate, piuttosto che di avvelenamento: ciò significa che preferirebbe morire di fame o per il bastone, ma non avrebbe mangiato per la paura del veleno. Come mai allora, quando gli dicono che se non avesse mangiato sarebbe stato fucilato, improvvisamente lui ha paura di morire, se prima non aveva paura né di morire per fame e né per bastonate? Inizialmente, ho pensato che la morte per avvelenamento sarebbe stata per lui la peggiore, ma alla fine sceglie di rischiare pur di non essere fucilato. In sintesi, non ho capito di cosa avesse realmente paura l’uomo e come mai ha ceduto all’inganno della fucilazione se la sua vera paura, data dalla malattia, era data dal veleno. Anche questa è una domanda molto interessante e dimostra una lettura davvero attenta; la risposta non è facile. Io proverò a fare qualche ipotesi, senza pretendere che sia giusta. Intanto credo che dobbiamo arrenderci al fatto che non sempre la mente obbedisce a una logica; è quello che Antero chiama «sconvolgendosi li fantasmi», cioè cambiando idea. Potrei raccontare di un paziente che spesso si lamenta da anni di subire la seduzione di idee suicidarie per varie ragioni, e ora è stato il primo a chiedermi di seguirlo per telefono perché «non esco perché ho troppa paura del virus»... Penso comunque che il passaggio che determina il cambiamento stia nell’instaurarsi di una «relazione», tra l’uomo e Antero. Prima di tutto, l’uomo sente che niente meno che la massima autorità del lazzaretto, con tutto ciò che ha da fare, si sta occupando di lui e questo deve averlo certo colpito. Sente che ci si preoccupa di lui, si sente importante. Poi dobbiamo considerare una parola che l’uomo usa: chiede che gli chiamassero «il padre». Certo, apparentemente dice così perché Antero è un frate, e quindi è normale che lo si chiami «padre». Però questo ci può far pensare anche che forse l’uomo abbia bisogno realmente di un padre in quel momento, qualcuno che si occupi di lui in modo autoritario, gli dica cosa fare, gli dia del cibo buono (non avvelenato), e gli consenta insomma di instaurare una relazione che chiamiamo di «dipendenza». Antero sembra rispondere proprio, con il suo atteggiamento, a questo bisogno. Certo, la mia è solo un’ipotesi, però mi pare che potrebbe aiutarci a comprendere qualcosa. Spesso in psichiatria dobbiamo accontentarci di costruire delle ipotesi così; che non è detto che siano «vere», però possono aiutarci a comprendere come potrebbero essere andate, forse, le cose.
4. L’uomo aveva già dimostrato che non avrebbe avuto paura di morire per fame o per violenza fisica, ma solo per avvelenamento: quindi, cos’ha portato a pensare che lo stratagemma della fucilazione avrebbe funzionato? P.S queste erano domande che avrei voluto fare a Padre Antero, come comprensione del testo, ma non riuscivo a trovare risposta. Antero era una persona colta, e di grande esperienza. Di stratagemmi come questo era piena la letteratura, quindi è molto probabile che lui avesse letto che in altri casi avevano funzionato, o forse anche nella sua esperienza personale aveva già risolto altre situazioni in questo modo. Quanto a porre a lui la domanda, beh credo che l’ipotesi che io ho fatto giocando sulla parola «padre», Antero non avrebbe potuto farla per risponderti , perché rappresenta un modo di ragionare al quale ci ha abituato la cultura psicoanalitica, che allora non c’era. Antero, quindi, probabilmente non ha capito in modo cosciente che quell’uomo aveva bisogno di un padre, né ha deciso di interpretare per lui quel ruolo, e perciò non avrebbe potuto dirti di averlo fatto perché lui stesso non lo sapeva. Semplicemente, il bisogno di padre dell’uomo Antero lo ha forse «intuito» e messo in scena, senza che questo passasse per una sua pianificazione cosciente. Per fortuna, questo tipo di intuizioni che chiamiamo per «empatia», che utilizzano quella parte della nostra mente che Freud chiama «preconscio», ci aiuta molto nel lavoro in psichiatria, anche oggi! Mi rendo conto che sono questioni difficili, e non so se sono stato abbastanza chiaro; però se vi serve non fatevi scrupolo di chiedermi di ritornarci. 5. In che senso, il professor Sacco, proporrebbe le medicine per provare a vedere se il difetto sia negli umori e negli spiriti? Qual è il suo approccio in questo caso? Giustamente leggete qualcosa e volete capire cos’è. Rispondo però in estrema sintesi, perché questa è una giusta curiosità di carattere storico, ma non credo sia utile alla vostra formazione come TeRP. All’epoca del Sacco le idee sulla fisiologia del corpo umano erano completamente diverse dalle nostre. Si era scoperta da poco la circolazione del sangue, ma si riteneva ancora che la salute del corpo e della mente dipendessero da liquidi che circolano: gli umori, che sono distribuiti in tutto il corpo, e gli spiriti che circolano nei nervi, che si riteneva fossero anch’essi dei canali, più sottili. E’ un modello molto diverso dal nostro, insomma; vi riporto uno schema per chi è più curioso.
Nel primo cerchio dall’esterno, vedete i quattro «temperamenti», cioè assetti di base che riguardano sia il corpo che quello che potremmo chiamare l’atteggiamento mentale di fondo, e nel secondo i quattro umori (sangue, bile gialla, bile nera, flegma) secondo la dottrina ippocratica. Dobbiamo tenere presente che in effetti la psichiatria è, come dice Karl Jaspers, sia una scienza naturale che una scienza umana. Per il primo aspetto, le cose invecchiano: i modelli che usa Sacco sono vecchi, e non vi occorre conoscerli in dettaglio. Sappiate solo che sono esistiti. E se io dessi a un paziente le medicine che dava Sacco, mi arresterebbero. E’ il secondo aspetto che non invecchia: per noi è importante come si relazionano alla follia i guardiani di Timerahane, Antero, Sacco o la gente di Geel, perché questo ha a che fare con come ci relazioniamo oggi noi. Per noi è utile studiare casi come questi come per un filosofo conoscere Platone o Aristotele o un per letterato Omero o Saffo. Ciò che ha a che fare con l’essenza dell’umano, non invecchia. Anche nel caso del TeRP, vedrete che le scale di valutazione, o le tecniche di skill training che oggi imparate cambieranno 2 o 3 volte durante la vostra carriera, altre più efficaci le sostituiranno. Invece quello che imparerete strada facendo sul modo di stare insieme a una persona sofferente nel setting della riabilitazione ed esserle d’aiuto con la vostra presenza, non invecchia. Rimane sempre importante, come il contenuto di queste scenette. Intanto, passo alla seconda lezione, che anche se riguarda un arco temporale più breve sarà più impegnativa; naturalmente mi farà molto piacere ricevere altre domande su entrambe.
La necessità di un nuovo modo di affrontare la follia comincia a essere avvertito in Europa alla fine del '700. In Inghilterra accade che un membro della comunità quacchera di York muoia nel manicomio pubblico della città, e la comunità cui appartiene imputi la sua morte alla cattiva qualità dell'assistenza. Questo induce uno dei membri più autorevoli, William Tuke, a dotare la comunità di una struttura privata, di piccole dimensioni, il Ritiro, dove i membri della comunità divenuti folli possano essere trattati con l'amore e il rispetto dovuti. Il trattamento si basa su una disciplina piuttosto rigida, di carattere religioso, basata soprattutto sul valore terapeutico attribuito al lavoro; l'ambiente è confortevole e la struttura di piccole dimensioni, il livello di qualità della vita e assistenza all’interno decisamente più alto rispetto alle strutture pubbliche di quel periodo. Soprattutto, il Ritiro è importante perché è la dimostrazione di una comunità, quella dei quaccheri di York appunto, che - anziché espellere il folle - se ne fa carico non interrompendo il sentimento di appartenenza nei confronti di questo confratello più sfortunato, che è colpito da una disgrazia che potrebbe colpire chiunque altro.
Intanto in Europa si affermava nel corso del XVIII secolo la corrente filosofica dell’Illuminismo, convinta che il lume della ragione potesse illuminare le aree buie della vita dove si rifugiava la sragione (la religione, la superstizione, l’ignoranza ecc.). Tra queste la follia, per sua natura antitetica alla ragione, rappresentava per l’Illuminismo la sfida forse più difficile e affascinante. L’Illuminismo si persuase perciò che la follia avrebbe potuto essere soggiogata ed eliminata dalla ragione, se questa fosse riuscita a imbrigliarla in un concetto per lei più maneggevole: quello di alienazione, o di malattia, mentale. La malattia mentale, perciò, è la follia guardata con la lente della ragione, e questo passaggio sarà molto importante ricordarlo quando nella prossima lezione studieremo Franco Basaglia. Gli strumenti attraverso i quali quest’operazione poteva avere successo erano soprattutto tre discipline, tra i cui cultori gli illuministi erano molto ben rappresentati: medicina, pedagogia e, chiamiamola così la terza, scienze politiche, cioè la politica affrontata come se si trattasse di una scienza. Discipline, quindi, che raccoglievano in quel momento le tre radici che, nella lezione precedente, abbiamo visto avere costituito, fino a quel momento, tre approcci differenti e autonomi l’uno dall’altro alla follia. La follia quindi fu ridefinita come “alienazione mentale” (dal latino alienus, altro, diverso) e la figura che se ne sarebbe dovuta occupare era l’alienista, che era un medico, però operava anche come funzionario dello Stato, e doveva essere capace di maneggiare anche gli strumenti della filosofia, e in particolare di una sua branca, la pedagogia (una pedagogia, in questo caso, per adulti).
Quello che possiamo considerare il primo psichiatra in senso moderno fu Philippe Pinel, un medico che operò in Francia tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, e pubblicò nell’anno 1800 un libro fondante, un trattato - che definisce come vedete medico-filosofico - sull’”alienazione mentale”, dove sono chiariti, già nel frontespizio, i rapporti vincolanti dell’autore con il potere politico. E’ un funzionario dell’imperatore, non più di Bajazet, ma di Napoleone. La tradizione racconta – non si sa se però questa scena sia avvenuta davvero, almeno nel modo in cui è stata tramandata - che prima di quel volume che avrebbe ispirato per la prima parte del XIX secolo tutti gli psichiatri, Pinel abbia liberato nel 1793, durante la Rivoluzione, dalle catene i folli agitati che si trovavano presso l’ospizio di Bicètre, di cui era direttore. Gli era accanto in quel momento Jean Baptiste Poussin, che la storia definisce infermiere- capo, ma io proporrei di considerare più come un operatore misto, un po’ infermiere e un po’ TeRP. Se Pinel era il medico-filosofo, il detentore di un sapere teorico, Poussin era il detentore di un sapere pratico sulla follia e secondo molti storici il suo ruolo nella liberazione dei folli fu più importante di quello di Pinel. La psichiatria nasce dunque con una promessa di liberazione: per controllare ed estirpare la follia non erano più necessarie le catene – dalle quali abbiamo visto quanto era rimasto colpito Menavino - ma avrebbe dovuto essere sufficiente il soggiogamento psicologico della mente dell’alienato da parte della mente dell’alienista, che gli avrebbe fatto da guida verso la guarigione, cioè da mente protesica (come una stampella in ortopedia) finché la sua mente non funzionava bene. Per operare questo soggiogamento l’alienista poteva valersi della parola, della suggestione, dello stratagemma, proprio come aveva fatto padre Antero.
Se guardiamo il monumento alla vostra sx che i parigini eressero a Pinel di fronte all’ospedale della Salpétrière, non credo che nessuno di voi abbia difficoltà a capire subito quale dei due personaggi è l’alienista, cioè Pinel, e quale l’alienato: intanto c’è una sproporzione tra le dimensioni dell’uno e dell’altro, poi la diversa posizione, uno accovacciato ai piedi dell’altro. Questo potrebbe farci pensare al rapporto tra un adulto e un bambino (la psichiatria, e ancor più la riabilitazione psichiatrica, erano infatti considerate una pedagogia per adulti), ma potrebbe anche fare pensare, almeno a quelli di noi che conoscono Genova, a un altro monumento, quello a Cristoforo Colombo di fronte alla Stazione Principe, dove pure l’Ammiraglio è rappresentato molto più grande dell’indigeno, accovacciato ai suoi piedi. Teniamo a mente questo paragone perché ci sarà utile quando nel nostro terzo incontro parleremo di Frantz Fanon e di Basaglia.
Jean-Dominique Etienne Esquirol era un allievo-collega di Pinel che tradusse nella pratica molti dei suoi insegnamenti. Fu lui, tra l’altro, uno dei primi alienisti a visitare nel 1821 il villaggio di Geel e a trarre di lì qualche suggerimento su come dovevano essere concepiti i manicomi. Lodò la straordinaria disponibilità degli abitanti, ma si lamentò del fatto che quando i malati si agitavano gli strumenti di contenzione fossero utilizzati al di fuori di un controllo medico. Da quell’incontro furono influenzati i manicomi, che furono dotati di una colonia agricola che aspirava a somigliare a Geel, ma anche Geel fu trasformato e posto sotto l’autorità medica dello psichiatra perdendo così parte della sua originalità. Esquirol pensava che per l’attuazione del trattamento morale fosse necessario costruire un luogo pensato apposta: una delle sue frasi più celebri fu che “il manicomio è uno strumento di guarigione: nelle mani di un medico abile, è l’agente terapeutico più potente contro le malattie mentali”. Per questo fece costruire nei sobborghi di Parigi, a Charenton, un prototipo di manicomio che corrispondesse esattamente alle sue idee, e servisse da modello per tutti gli altri. Il manicomio di Charenton era fuori città (ora è dentro, ma è la città che si è espansa), ma non troppo distante da Parigi, e disponeva di ampi campi per l’ergoterapia; metà dello spazio era riservato agli uomini, metà alle donne, e i diversi padiglioni ospitavano i diversi tipi di pazienti, con i meno gravi più vicino all’ingresso e i più gravi via via sempre più in profondità.
Manicomio di Charenton: vista dall’alto.
Il triangolo del trattamento morale ISOLARE SUDDIVIDERE ATTIVARE
Mentre i trattamenti propriamente medici che questi primi alienisti avevano a disposizione non differivano molto da quelli di cui disponevano i medici della generazione di Pompeo Sacco, la vera novità era rappresentata dal “trattamento morale”, chiamato così perché allora ciò che oggi consideriamo il corpo si chiamava «il fisico», e ciò che consideriamo la psiche si chiamava «il morale». Quindi con «morale» allora si intendeva ciò che noi oggi chiamiamo «psicologico», o meglio ancora «psicosociale». Il trattamento morale era un triangolo i cui pilastri erano rappresentati da tre azioni: isolare; suddividere; attivare. Innanzitutto isolare: questa esigenza nasceva dalla constatazione da parte degli alienisti che spesso sembrava che fossero le famiglie, con i loro conflitti, e la società “moderna” (allora) che aveva reso la vita più complessa e competitiva con l’urbanizzazione e l’industrializzazione, a determinare o aggravare l’alienazione mentale. Si pensava che occorresse perciò, per guarire il soggetto, sottrarlo per qualche tempo all’influenza della famiglia e della società, collocarlo in una situazione ideale nella quale l’alienista avesse la possibilità di orientare tutto in direzione della guarigione del soggetto, per poi restituirlo guarito al suo ruolo nella famiglia e alla società. Possiamo quindi immaginare il manicomio come una lavatrice, nella quale il panno viene inserito sporco (malato) e dopo un certo trattamento lo restituisce pulito (guarito). Come vedremo, questa illusone durò una settantina d’anni, poi ci si rese conto che isolare il soggetto dal suo contesto e porlo in una realtà artificiale era dannoso, perché si abituava a quella situazione artificiale e non era più in grado di affrontare la normalità. Tuttavia la tentazione di portare via il soggetto anche per periodi lunghi da contesti stressanti è ancora oggi molto forte negli operatori, perché nella psichiatria se qualcosa è venuto in mente a qualcuno nel corso degli anni, vuol dire che un qualche fondamento ce l’ha, e perciò non è detto che non ritorni in mente anche a noi. Spesso infatti anche oggi nella mente di operatori, familiari o magistrati il ricovero in strutture residenziali, soprattutto se isolate e lontane, ha ancora a che fare con questo. Nell’immagine, vedete un padiglione del manicomio di Prato Zanino presso Genova, che quando fu costruito fu chiamato la «città dei folli».
Il secondo pilastro del trattamento morale è suddividere, fare ordine nel marasma dell’alienazione mentale che occorreva distinguere innanzitutto dalla normalità, e poi doveva essere divisa tra categorie diverse anche al suo interno. La prima esigenza nasceva dal dover decidere chi aveva bisogno del manicomio e chi no. In realtà nasceva anche da esigenze legate al diritto penale e civile figli anch’essi dell’Illuminismo, che avevano bisogno che gli alienisti dicessero loro chi era normale, e quindi doveva rispondere dei suoi atti, e chi è alienato, e perciò doveva essere sottoposto a una legislazione speciale, pensata apposta per lui. Pinel fu anche tra i primi a studiare la «follia ragionante» che era una forma clinica in cui convivevano ragione e alienazione di mente; quindi stabilire chi era alienato e chi no si presentò subito molto difficile. Ma occorreva anche suddividere all’interno dell’alienazione mentale le diverse forme in cui può presentarsi. Pinel, oltre che fondatore della psichiatria, è autore di una delle prime “nosografie” mediche (la classificazione, cioè delle malattie). Nacque così, con Pinel, Esquirol e la loro scuola, una classificazione delle alienazioni mentali sulla base dei sintomi clinici, alla quale ne seguirono molte altre tanto che anche adesso regna molta incertezza in proposito. Poi prese piede anche, per la necessità di distribuirli nel manicomio in gruppi omogenei sulla base dei bisogni, un secondo modo di classificare in base a quello che oggi chiamiamo un «assessment» che distingueva agitati, semi-agitati, tranquilli, “sudici” (che erano quelli che non potevano provvedere alla pulizia personale), alcoolisti ecc. E per ogni gruppo c’era il suo padiglione e la sua organizzazione dell’assistenza.
Attivare è la parte del trattamento morale che ha più a che fare con la riabilitazione, dunque con voi. Vedrete che nelle comunità e nei centri diurni si usano molte attività umane normali, dallo sport, all’arte manuale, la musica, la scrittura/lettura, l’artigianato, alle stesse attività di pulizia e di cucina che sono necessarie alla struttura per sopravvivere ecc.; bene, le stesse cose in sostanza i primi alienisti pensavano che potessero essere utili al trattamento morale. Ma, più di tutto, pensavano che fosse utile che il soggetto, una volta isolato dalla famiglia e dal suo contesto, fosse messo al lavoro. Meglio in campagna, perché si era convinti (più ancora di adesso) che l’aria aperta faccia bene, e meglio se possibile impegnandoli in un lavoro simile a quello che facevano prima della malattia e che, presumibilmente, ritornerà a fare una volta guarito. Qui di seguito vi riporto il giudizio di due dei maggiori psichiatri del XIX secolo, Pinel ed Emil Kraepelin, che alla fine del XIX secolo ha proposto una classificazione delle malattie mentali alla quale si ispirano ancora quelle di oggi, sul lavoro e sulle sue utilità. L’ergoterapia, cioè la terapia del lavoro, rappresentò per quasi tutti gli psichiatri l’anima della psichiatria. Si discusse molto: se il lavoro vada riservato ai soli tranquilli o possano farlo anche gli agitati; se sia opportuno dare agli alienati strumenti pericolosi (martelli, coltelli, falci, vanghe ecc.) per il lavoro, o no; se il loro lavoro debba essere o no retribuito; se questa retribuzione debba essere in parte accumulata per sostenere i progetti di dimissione. Un’osservazione che viene spontanea leggendo i testi dell’epoca è che quando nei manicomi si pratica di più l’ergoterapia, si pratica meno la contenzione fisica. Nelle due immagini, esempi di ergoterapia nel manicomio di Prato Zanino presso Genova.
Philippe Pinel, 1800 Un lavoro costante spezza la morbosa concatenazione delle idee, rinsalda le facoltà intellettive con l'esercizio, mantiene l'ordine in qualunque gruppo di alienati (…). Come ho potuto constatare personalmente sono molto pochi gli alienati che anche negli accessi di furore, devono essere allontanati da ogni occupazione pratica; che spettacolo penoso vedere in tutti gli stabilimenti [in tanti reparti, case e residenze, oggi? P.F.P.] del nostro Paese, gli alienati di tutti i tipi agitarsi senza scopo, in un movimento continuo e vano, oppure miseramente prostrati in uno stato di inerzia e di stupore!
Tipografia
“Soprattutto si deve cercare di scegliere per l'infermo una adatta occupazione, la quale, benché stimolante, non deve essere faticosa; ciò è la cosa più adatta per distrarre il pensiero dell'infermo dal suo stato intimo e per far risvegliare l'interesse per il mondo esterno, per l'abituale attività. [...] Specialmente negli stati terminali della dementia praecox [primo nome che ebbe la schizofrenia], che riempiono i nostri manicomi, è molto facile, data la perdita della capacità volitiva, il pericolo di un ottundimento psichico. In tal caso le occupazioni manuali hanno un grande successo contro questo pericolo, risvegliando negli infermi, in apparenza completamente stupidi e incapaci, una sorprendente quantità di abilità”. Emil Kraepelin, 1897
Agricoltura
Il fatto che Pinel avesse liberato i folli e la psichiatria dalle catene, non significa però che li avesse liberati da ogni costrizione fisica; al posto delle catene, infatti, furono introdotti una serie di strumenti per lo più in tela rigida o cuoio, utilizzati per immobilizzare del tutto o in parte l’alienato quando il soggiogamento psicologico operato dall’alienista non era sufficiente (qui ne vedete un campionario collezionato da Carlo Livi, uno psichiatra italiano della seconda metà dell’800 che li raccolse e denominò la raccolta «museo delle anticaglie» e fu questo il primo nucleo del Museo di Storia della Psichiatria, reinaugurato pochi anni fa a Reggio Emilia, che se ne avete l’opportunità vi consiglierei di visitare). Nell’immagine successiva una camicia di forza e un letto di contenzione. Si continuava nonostante tutto a legare in vari modi le persone, e dobbiamo a un alienista inglese, John Conolly, il primo tentativo di farne del tutto a meno (ammetteva solo un breve isolamento dell’agitato in cella imbottita). Conolly pubblicò nel 1856 un libro dal titolo “Trattamento del malato di mente senza metodi costrittivi”, il cui pregio non è solo quello di importanti intuizioni come quella che talvolta è la violenza dell’istituzione a rendere violenti i pazienti e perciò la contenzione deve essere evitata, ma anche quello di contenere molte idee sorprendentemente moderne sul lavoro psichiatrico. Per esempio che perché il programma no restraint, cioè di non legare in nessun modo, abbia successo occorre la collaborazione di tutti, medici e infermieri (cioè dell’intera équipe), mentre a quell’epoca gli infermieri erano in genere chiamati “serventi” e avevano il divieto di parlare coi malati, per non confondere ciò che diceva loro l’alienista. O ancora che in psichiatria gentilezza e attenzione da parte dello staff possono essere strumenti più efficaci dell’esercizio della forza fisica.
“Tutti codesti vecchi arnesi, usati quando la forza stava in luogo della ragione, sono stati tratti fuori di nuovo, non per martoriare la umanità, ma per venire a fare testimonianza che i tempi presenti sono non solamente più savi degli antichi, ma anche più buoni, più umani e caritatevoli.” Carlo Livi (1875 ca.)
«Non solo è possibile dirigere un grosso manicomio senza applicare ai pazienti la coercizione fisica, ma dopo l’abolizione totale di tale metodo di controllo, le caratteristiche di un manicomio subiscono un graduale e benefico cambiamento» J. Conolly, 1842
La sicurezza e il buon comportamento dei pazienti dipendono completamente dalla cura e vigilanza ininterrotta degli infermieri; e al sistema repressivo va sostituito un metodo di cura sostenuto dalla serena collaborazione di ogni singolo dipendente, così che tutti siano gentili, protettivi e, per così dire, familiari. Per l’attuazione di questo piano è quindi indispensabile che tutto il personale sia concorde Conolly, (1840), 1856
La critica dell’isolamento manicomiale: Evariste Marandon de Montyel (1851-1908) Un altro autore importante della seconda metà del XIX secolo fu Evariste Marandon de Montyel, direttore dei manicomi della regione di Parigi, il quale ribaltò completamente, sulla base di ottant’anni di esperienza, le idee di Pinel ed Esquirol sull’isolamento dei folli dal loro ambiente e sulla loro collocazione in un ambiente artificiale, il manicomio, il cui progetto era nato dalla mente dell’alienista come strumento di guarigione. Ottant’anni dopo, insomma, gli alienisti compresero che il manicomio non guariva, ma rendeva cronici. Per questo Marandon de Montyel pensa che il manicomio debba essere riservato a 1/3 circa dei malati, quelli più difficili da gestire, mentre i 2/3 più tranquilli debbano rimanere in una sorta di villaggio, e che non debbano esserci limitazioni alle visite dei familiari che devono essere anzi incoraggiate; scrive tra l’altro: “I nostri attuali manicomi, con i loro muri di prigioni o di chiostri, le loro disposizioni regolari e simmetriche, sono, per un grandissimo numero d'alienati, delle fabbriche d'incurabili e noi, attraverso l'isolamento che noi imponiamo ai nostri malati, la vita di reclusi alla quale noi li condanniamo, la disciplina severa che noi loro imponiamo, noi siamo in un grandissimo numero di casi, senza esserne coscienti e con le migliori intenzioni del mondo, dei fabbricanti di cronici”. Marandon de Montyel, 1896
Nell’immagine, il primo manicomio costruito a Genova nell’attuale via Cesarea, nel 1841, a forma di stella perché dal centro sia possibile controllare tutti i raggi (panopticon).
Intorno alla metà del XIX secolo il ruolo della borghesia, la classe alla quale gli alienisti appartenevano, si ribaltò. Dall’essere stata la classe rivoluzionaria, innovativa, propulsiva, piena di fiducia in se stessa, divenne la classe che doveva difendersi: dai proletari che rivendicavano giustizia sociale, dagli indigeni delle colonie che si ribellavano all’oppressione, da un mondo di emarginati che si era accumulato ed esercitava la delinquenza. Così, dall’ottimismo dei primi alienisti che pensavano che la follia potesse essere curata e guarita dal trattamento morale, si passò a una nuova dottrina psichiatrica – il degenerazionismo – che, anche in conseguenza del fallimento dell’isolamento manicomiale come metodo di cura oltre che per questi fattori generali, concepiva l’umanità come destinata su base genetica a peggiorare, e l’alienazione mentale, l’alcolismo, la criminalità, la prostituzione come tare trasmesse nella famiglie e destinate a peggiorare di generazione in generazione; che non potessero essere efficacemente curate né tanto meno guarite ma dovessero essere solo sottoposte a custodia. In Italia Cesare Lombroso fu lo psichiatra più vicino a questa corrente. Il movimento eugenetico, fondato da sir Francis Galton, cugino di Charles Darwin, nacque invece in sintonia ma anche in reazione al degenerazionismo, dall’idea che l’evoluzione umana potesse essere governata attraverso scelte utili a migliorare le generazioni a venire. Vedremo oltre le conseguenze cui questo avrebbe portato nel secolo successivo.
Cesare Lombroso, e due immagini del Museo Lombroso a Torino
Provvedimenti eugenetici in termini di «peso» (in corsivo i provvedimenti considerati radicali): - Provvedimenti igienici generici - Provvedimenti igienici limitanti sfere significative della libertà personale (p. es. limiti al matrimonio) - Sterilizzazione obbligatoria - Aborto selettivo - Soppressione dell’individuo tarato e disgenico
Con l’inizio del nuovo secolo una enorme catastrofe sconvolse il mondo: la prima guerra mondiale. La psichiatria si era costruita un’immagine molto importante, e si era data una dimensione cosmopolita, a trazione tedesca. Fu molto doloroso, perciò, per gli psichiatri dividersi e mettersi gli uni contro gli altri. Però ad essa tutti gli eserciti belligeranti guardarono per identificare, giudicare, curare masse molto grandi di soggetti maschi, spesso privi di precedenti problemi psichiatrici, che avevano sofferto di “trauma di guerra”. Non era possibile pensare al manicomio per la cura di tutte quelle persone e si scoprì anzi che le guarigioni erano più frequenti e più rapide quanto più l’intervento psichiatrico avveniva rapidamente e vicino al fronte. Un lascito positivo fu che nasceva, insomma, nel corso della guerra una nuova psichiatria: che curava patologie mentali traumatiche in genere meno gravi e meno spesso destinate alla cronicizzazione di quelle curate nei manicomi, in soggetti giovani-adulti; che per curare non aspettava che il paziente le fosse portato in manicomio, ma si recava essa stessa vicino al fronte, dove il soggetto si trovava. Furono cose molto importanti, che dopo la guerra si tradussero in una spinta della psichiatria verso il territorio, sulle orme della campagna antitubercolare, con l’apertura di ambulatori volti all’igiene mentale, cioè allo sforzo di intercettare i disturbi mentali in forma ancora lieve, evitando così il loro aggravamento e la necessità di arrivare al ricovero manicomiale. Nella pagina successiva uno psichiatra impegnato nell’esercito descrive la situazione psicologica dei soldati.
«Alle volte sono tali i disagi ed i pericoli, tante le ansie, le trepidazioni, le scosse, che voi vi sentite come lacerare l'anima, e tutto l'organismo si tende e vibra come negli spasimi di una angosciosa agonia: il riposo è continua tensione degli orecchi, degli occhi, di tutti i sensi, di tutti i pori, verso il luogo dove, nella nebbia, nelle tenebre, nel mistero, si nasconde l'agguato; il sonno breve è un'alternativa incessante di incubi e di risvegli improvvisi: sempre, a tutte le ore, nel cervello un ronzio insistente, una musica disgregante dì cannonate, di schioppettate, di sibili, di lamenti, di urli, di rantoli, poi grida di gioia per la vittoria agognata. Ma non basta». (lo psichiatra Vincenzo Bianchi sulla guerra, 1917)
Dalla guerra, nascerà un movimento volto ad andare incontro alla malattia e prevenire l’internamento in manicomio, l’igiene mentale, che i Italia ebbe uno sviluppo modesto, ma molto più importante in altri Paesi. Ci sono però altri tre fatti da registrare nei primi decenni del ‘900, importanti perché incontreremo le loro conseguenze nella nostra III lezione: - La nascita della psicoanalisi, ad opera di Sigmund Freud, con la pubblicazione nell’anno 1900 del volume «L’interpretazione dei sogni» - La rivisitazione del concetto di schizofrenia rispetto all’originale descrizione di Emil Kraepelin da parte di Eugen Bleuler nel 1911 - La rifondazione della psicopatologia e lo spostamento dell’attenzione dalla ricerca dei segni all’ascolto dei vissuti del malato con la pubblicazione nel 1913 del volume «Psicopatologia generale» ad opera di Karl Jaspers - L’introduzione delle terapie di shock negli anni trenta, con le quali si intendeva curare la malattia mentale sottoponendo il malato a un forte shock fisico, e in particolare nel 1938 quella dell’elettroshock da parte di Ugo Cerletti, che oggi è poco utilizzato in Italia, ma ha ancora una certa diffusione nel resto del mondo
Dopo la prima guerra mondiale le idee eugenetiche ripresero a circolare; la sterilizzazione obbligatoria dei disabili era già stata adottata in alcuni Stati degli USA prima della guerra e si diffuse. Nel 1920 uno psichiatra e un giurista tedeschi affrontarono in un libro la questione se le vite “prive di valore”, cioè quelle delle persone considerate improduttive e incurabili tra le quali rientravano molti malati di mente, potessero essere soppresse, dando una risposta positiva. Nel 1923, Enrico Morselli, professore di psichiatria a Genova e presidente della Società Italiana di Psichiatria, polemizzò con questa tesi, sollevando una serie di obiezioni di carattere prevalentemente morale, che contribuirono a mantenere negli anni successivi il mondo psichiatrico italiano contrario ai provvedimenti dell’eugenetica radicale. In questo modo quella generazione di psichiatri italiani che aderì in massa, con poche meritevoli eccezioni, al fascismo, e che aderì al Manifesto degli scienziati razzisti nel 1938, si oppose però ai crimini più gravi compiuti in quegli anni contro i malati di mente. Non fu così però per altri Paesi, come gli USA. Nella Germania nazista poi, poco prima dell’inizio seconda guerra mondiale, Hitler decise di autorizzare con un ordine segreto, Aktion T4, la soppressione delle «vite prive di valore» (esiste, se avete l’opportunità di vederlo, uno spettacolo molto emozionante di Marco Paolini sul tema: Ausmerzen che qualche tempo fa è stato trasmesso anche dalla RAI).
La sterilizzazione obbligatoria degli individui considerati disgenici (che cioè avrebbero potuto trasmettere alla prole i caratteri che si ritenevano alla base della disabilità, della malattia mentale, della criminalità o dell’alcoolismo), iniziò a essere praticata negli USA nel 1899 e si stima abbia interessato lì circa 65.000 persone. Fu adottata anche in Canada, Svizzera, Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, Giappone dove interessò altre migliaia di persone. In Germania fu uno dei primi provvedimenti adottati dal nazismo già nel 1933 e si stima che abbia interessato oltre 400.000 persone. Qui di seguito la lettera drammatica di una madre a Hitler perché sua figlia fosse dispensata dalla sterilizzazione obbligatoria, che non ottenne mai nessuna risposta. «Mia figlia considera la sterilizzazione un trattamento umiliante e si sentirà una cittadina di seconda classe espulsa dalla società. Preferirebbe morire che fare esperienza di una tale umiliazione. (…) E’ disponibile a accettare ogni altra misura preventiva protettiva da una discendenza indesiderata. Il 14 novembre 1935 ha ricevuto una lettera dal nostro ufficio sanitario che prescrive la sterilizzazione. Il 18 novembre 1935 mi sono rivolta all’ufficio sanitario chiedendo di rimandare l’intervento ma la mia istanza è stata respinta e le è stato detto di presentarsi senza indugio, oppure sarà portata là sotto scorta della polizia. Preoccupata per la sua vita e la sua salute mi rivolgo a voi come la nostra ultima risorsa, mein Furher!».
Dorothea Sophie Back- Zechlin: una delle vittime della sterilizzazione obbligatoria operata dal nazismo, poi negli ultimi anni uno dei leader mondiale delle associazioni di pazienti psichiatrici
Enrico Morselli (1852-1929), Il libro scritto da Binding e Hoche professore di psichiatria a nel 1922, nel quale si sosteneva Genova, autore di un saggio che le vite «prive di valore» contro l’uccisione dei malati di potessero essere soppresse. mente inguaribili nel 1923
Le giustificazioni addotte per la soppressione dei malati inguaribili e improduttivi erano di quattro tipi: -ragioni umanitarie: liberare il singolo da una sofferenza inutile perché priva di speranza -ragioni utilitaristiche: eliminare costi inutili per la collettività -ragioni igieniche: eliminare elementi improduttivi, asociali o antisociali -ragioni eugenetiche: impedirne la riproduzione ed evitare il rischio che queste caratteristiche fossero tramandate alla discendenza Credo che abbiate sentito in queste settimane che l’epidemia in atto ha spinto la Società scientifica degli anestesisti italiani a porre molto seriamente il problema di chi debba avere la precedenza nell’accedere alla rianimazione, quando gli strumenti non sono sufficienti per tutti. O, anche, che alcuni Stati degli USA hanno adottato la decisione per cui, in momenti di emergenza, ai disabili può essere negato l’accesso alla rianimazione. O, ancora, che il premier britannico aveva proposto in fase iniziale che al virus fosse consentito di dilagare nel Paese, rassegnandosi alla conseguenza che avrebbe mietuto vittime soprattutto nella parte anziana e meno produttiva della popolazione. Certo non è la stessa cosa della soppressione delle vite prive di valore proposte dagli eugenisti radicali: un conto è sopprimere qualcuno che di per sé potrebbe continuare a vivere anche per molti anni; e un altro conto negare strumenti salvavita perché scarseggiano a qualcuno che di per sé è destinato a morire. Pure, l’area bioetica complessiva mi sembra la stessa, e vi chiederò un’’opinione al riguardo. Quanto ai nazisti invece, trovate di seguito l’immagine di uno dei luoghi nei quali ebbe luogo lo sterminio dei malati di mente, con una sintesi del progetto di sterminio, e poi le parole e l’immagine di uno dei più coraggiosi oppositori del progetto Aktion T4 che, insieme ad altri, riuscì ad ottenere che Hitler lo interrompesse.
Particolare del monumento che presso l’ex Ospedale psichiatrico di Kaufbauren ricorda lo sterminio di 2000 pazienti durante l’operazione Aktion T4 e gli anni Locandina della mostra organizzata dalle successivi da parte del nazismo. Società tedesca e italiana di Psichiatria per ricordare lo sterminio dei malati di mente sotto il nazismo
Il castello di Grafenek, uno dei luoghi dove fu realizzata l’operazione Aktion T4 ordinata da Hitler nell’ottobre 1939, che portò alla sperimentazione della camera a gas e allo sterminio di oltre 70.000 disabili. Altre decine di migliaia di internati nei Clemens August von Galen (1878- manicomi furono sterminati dai nazisti in Germania 1946), vescovo di Muntzen dopo la fine di questa operazione, e altre durante l’occupazione nazista dell’Unione Sovietica.
Nonostante l’ordine dell’Aktion T4 fosse segreto, le numerose sparizioni dai manicomi e dalle cliniche furono notate, e cominciarono a piovere critiche. Tra gli altri Clemens August Graaf von Galen, arcivescovo di Muntzen, il quale dedicò ad esse tre prediche che respingono la soppressione delle «vite prive di valore» facendo sentire che il malato di mente e il disabile sono persone come tutte, sono tra i documenti più belli, io credo, della storia della psichiatria. Ecco un estratto: «A quanto mi si dice, dalla casa di cura e dal manicomio di Warstein sono state portate via già cento persone. Così dobbiamo presumere che i poveri pazienti privi di aiuto prima o poi saranno uccisi (…). Perché, nell'opinione di qualche dipartimento, sul parere di qualche commissione, sono divenuti "vite senza valore", perché, secondo questa perizia, sono “connazionali improduttivi". Si giudica: non possono produrre più, sono come una vecchia macchina che non funziona più, sono come un vecchio cavallo che è divenuto inguaribilmente zoppo, sono come una mucca che non dà più latte. E cosa si fa cosa con quella vecchia macchina? È demolita. Cosa si fa cosa con un cavallo zoppo, con una mucca improduttiva? No, io non voglio continuare il paragone fino alla fine - perché sono terribili la sua pertinenza e la sua forza illuminante (…). Qui si tratta di esseri umani, i nostri consimili, nostri fratelli e sorelle. Povere persone ammalate, se vi piace, anche improduttive! Ma non meritano per questo di essere uccisi. Avete, ho il diritto di vivere solamente finché siamo produttivi, finché siamo riconosciuti da altri come produttivi? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo “improduttivo” può essere ucciso, guai per tutti noi quando diverremo vecchi e decrepiti! Se è permesso uccidere le persone improduttive, guai per coloro che sono invalidi perché hanno sacrificato e hanno perso le loro ossa sane nel processo produttivo. Se è permesso sopprimere un connazionale improduttivo, guai per i nostri bravi soldati che ritornano in patria seriamente invalidi e mutilati.
Se si arriverà ad ammettere che delle persone hanno diritto di uccidere dei consimili “improduttivi” - anche se ora ciò colpisce solamente poveri malati di mente senza difesa - poi per principio sarà permesso l’assassinio di tutte le persone improduttive, in altre parole i malati incurabili, gli invalidi di lavoro e di guerra, e noi tutti quando diveniamo vecchi, decrepiti e perciò improduttivi. È solo necessario ordinare con un decreto segreto che la procedura sviluppata per i malati di mente sia estesa ad altre persone “improduttive” (…). Poi, nessuno è più sicuro della propria vita. Qualunque commissione potrà includerlo nell'elenco degli “improduttivi”, che nella loro Propaganda nazista: opinione sono divenuti vite prive di valore» l’ariano costretto a Clemens von Galen, 3 agosto 1941. sostenere il peso di un criminale e un disabile
Proposta Vi farò ora 20 domande, a partire dalle cose scritte nel testo. 1. Quale vi pare che fosse la caratteristica più interessante del Ritiro di York? 2. Perché possiamo dire che la figura di Pinel, il primo psichiatra, si pone alla convergenza dei tre approcci alla follia che abbiamo considerato nella prima lezione? 3. Su quali tre pilastri si fondava il triangolo del «Trattamento morale»? 4. Cosa pensi dell’idea di isolare i folli dal loro ambiente per curarli? 5. Quali erano le utilità dell’ergoterapia secondo Pinel e secondo Kraepelin? Secondo Pinel il lavoro nei manicomi doveva essere riservato ai soli tranquilli? 6. Cos’era il manicomio secondo Esquirol? 7. La riforma di Pinel ed Esquirol abolì completamente l’abitudine di legare gli alienati? 8. Quali sono le cose che vi colpiscono di più dell’insegnamento di John Conolly? 9. Quale furono le critiche più importanti che Marandon de Montyel portò alla concezione della psichiatria nata da Pinel ed Esquirol? 10. Che cos’è il «degenerazionismo» e quale effetto ebbe sulla psichiatria?
11. Che differenza c’è tra il degenerazionismo e l’eugenetica? 12. Quali erano i 3 strumenti considerati tipici dell’eugenetica radicale? 13. Quali erano le ragioni addotte dai sostenitori dell’eliminazioni delle «vite senza valore»? Ti pare che abbiano qualche attinenza con questioni bioetiche attuali? E tu cosa ne pensi? 14. Quali furono le novità introdotte in psichiatria dalla prima guerra mondiale? 15. Quali furono quattro novità importanti per la psichiatria negli anni che vanno dall’inizio del XX secolo alla seconda guerra mondiale? 16. L’idea che le «vite prive di valore» dei malati considerati inguaribili e improduttivi potessero essere soppresse, nacque con il nazismo? 17. Quale fu l’atteggiamento della psichiatria dell’Italia fascista di fronte a questa ipotesi? 18. Che cos’è l’operazione Aktion T4? 19. Cosa ti colpisce di più dell’omelia pronunciata dal vescovo von Galen nel 1941 contro l’operazione Aktion T4? 20. In sintesi, di questo secolo e mezzo di storia della psichiatria che abbiamo percorso un po’ al galoppo, quali cose ti hanno colpito di più e quali ti sembrano più importanti per il tuo futuro lavoro di TeRP?
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