Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale

Pagina creata da Nicola Pinto
 
CONTINUA A LEGGERE
Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
Lezione n. 2 – Dalla nascita della psichiatria
alla seconda guerra mondiale

   Paolo Francesco Peloso
   UO SM D 9 e SPCR Ospedale p. A. Micone del DSMD dell’ASL 3 «Genovese»

   Scuola di Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica Università di Genova
   I anno
   Corso di Storia dell’evoluzione del pensiero psichiatrico e riabilitativo

   Genova, 1 aprile 2020
Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
Vi ringrazio per le risposte che ho ricevuto, invierò prossimamente un commento personale a ciascuno .
Ora vi propongo un’altra lettera contenente la lezione del 1 aprile, che cercherà di ripercorrere un po’
condensata la storia della psichiatria dalla sua nascita all’inizio dell’800, alla seconda guerra mondiale.
Questa lezione si presta meno a interrogare i personaggi, perciò vi farò alla fine in modo più
tradizionale 20 domande io, alle quali potete rispondere liberamente. Prima però farei un passo
indietro, perché qualcuno tra voi si è «vendicato» (scherzo) e ha fatto a me domande molto stimolanti,
e un po’ difficili. Se fossimo in aula, tutti avreste sentito le domande e le mie risposte; perciò preferisco
rispondere in modo pubblico in modo che tutti possiate leggere e se volete dire la vostra.
1. Una volta non c’erano tutti i farmaci che ci sono oggi: in una visione un po’ contorta, è giusto
considerare la violenza che attuavano i guardiani come un modo comprensibile per placare chi era
particolarmente ingestibile? Se così non fosse, come avrebbero potuto gestire situazioni del genere?
E’ una domanda molto bella, che coglie un punto importantissimo e la risposta non è semplice. Mi pare
che la risposta da un lato possa essere che sì, quando non si disponeva degli strumenti che oggi
abbiamo (i farmaci, ma anche le tecniche psicoterapiche e riabilitative e tutta la storia di esperienze e
riflessioni che stiamo ripercorrendo) il fatto di reagire alla follia con la violenza fosse più comprensibile.
Ma dall’altro lato mi pare che la risposta stia anche nella seconda vicenda, quella di padre Antero, che
ci dimostra come fin dall’antichità ci fossero due modi per rispondere alla follia: con la violenza, oppure
usando l’intelligenza, l’astuzia, direi anche l’amore, per scoprire un modo non violento di entrarci in
relazione, che molti di voi infatti hanno apprezzato…
2. Menavino guardava a Timerahane con curiosità e spregio o con curiosità e ‘ammirazione’?
A me pare con curiosità e basta, sospendendo cioè il giudizio; come un fotografo che vede una cosa
strana e ce la mostra, senza commento. Credo che anche questo renda il brano più bello.
Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
3. L’uomo ammette che preferisce morire a causa delle bastonate, piuttosto che di avvelenamento: ciò
significa che preferirebbe morire di fame o per il bastone, ma non avrebbe mangiato per la paura del
veleno. Come mai allora, quando gli dicono che se non avesse mangiato sarebbe stato fucilato,
improvvisamente lui ha paura di morire, se prima non aveva paura né di morire per fame e né per
bastonate? Inizialmente, ho pensato che la morte per avvelenamento sarebbe stata per lui la peggiore,
ma alla fine sceglie di rischiare pur di non essere fucilato. In sintesi, non ho capito di cosa avesse
realmente paura l’uomo e come mai ha ceduto all’inganno della fucilazione se la sua vera paura, data
dalla malattia, era data dal veleno.
Anche questa è una domanda molto interessante e dimostra una lettura davvero attenta; la risposta
non è facile. Io proverò a fare qualche ipotesi, senza pretendere che sia giusta. Intanto credo che
dobbiamo arrenderci al fatto che non sempre la mente obbedisce a una logica; è quello che Antero
chiama «sconvolgendosi li fantasmi», cioè cambiando idea. Potrei raccontare di un paziente che spesso
si lamenta da anni di subire la seduzione di idee suicidarie per varie ragioni, e ora è stato il primo a
chiedermi di seguirlo per telefono perché «non esco perché ho troppa paura del virus»... Penso
comunque che il passaggio che determina il cambiamento stia nell’instaurarsi di una «relazione», tra
l’uomo e Antero. Prima di tutto, l’uomo sente che niente meno che la massima autorità del lazzaretto,
con tutto ciò che ha da fare, si sta occupando di lui e questo deve averlo certo colpito. Sente che ci si
preoccupa di lui, si sente importante. Poi dobbiamo considerare una parola che l’uomo usa: chiede che
gli chiamassero «il padre». Certo, apparentemente dice così perché Antero è un frate, e quindi è
normale che lo si chiami «padre». Però questo ci può far pensare anche che forse l’uomo abbia bisogno
realmente di un padre in quel momento, qualcuno che si occupi di lui in modo autoritario, gli dica cosa
fare, gli dia del cibo buono (non avvelenato), e gli consenta insomma di instaurare una relazione che
chiamiamo di «dipendenza». Antero sembra rispondere proprio, con il suo atteggiamento, a questo
bisogno. Certo, la mia è solo un’ipotesi, però mi pare che potrebbe aiutarci a comprendere qualcosa.
Spesso in psichiatria dobbiamo accontentarci di costruire delle ipotesi così; che non è detto che siano
«vere», però possono aiutarci a comprendere come potrebbero essere andate, forse, le cose.
Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
4. L’uomo aveva già dimostrato che non avrebbe avuto paura di morire per fame o per violenza fisica,
ma solo per avvelenamento: quindi, cos’ha portato a pensare che lo stratagemma della fucilazione
avrebbe funzionato? P.S queste erano domande che avrei voluto fare a Padre Antero, come
comprensione del testo, ma non riuscivo a trovare risposta.
Antero era una persona colta, e di grande esperienza. Di stratagemmi come questo era piena la
letteratura, quindi è molto probabile che lui avesse letto che in altri casi avevano funzionato, o forse
anche nella sua esperienza personale aveva già risolto altre situazioni in questo modo. Quanto a porre a
lui la domanda, beh credo che l’ipotesi che io ho fatto giocando sulla parola «padre», Antero non
avrebbe potuto farla per risponderti , perché rappresenta un modo di ragionare al quale ci ha abituato
la cultura psicoanalitica, che allora non c’era. Antero, quindi, probabilmente non ha capito in modo
cosciente che quell’uomo aveva bisogno di un padre, né ha deciso di interpretare per lui quel ruolo, e
perciò non avrebbe potuto dirti di averlo fatto perché lui stesso non lo sapeva. Semplicemente, il bisogno
di padre dell’uomo Antero lo ha forse «intuito» e messo in scena, senza che questo passasse per una sua
pianificazione cosciente. Per fortuna, questo tipo di intuizioni che chiamiamo per «empatia», che
utilizzano quella parte della nostra mente che Freud chiama «preconscio», ci aiuta molto nel lavoro in
psichiatria, anche oggi! Mi rendo conto che sono questioni difficili, e non so se sono stato abbastanza
chiaro; però se vi serve non fatevi scrupolo di chiedermi di ritornarci.
5. In che senso, il professor Sacco, proporrebbe le medicine per provare a vedere se il difetto sia negli
umori e negli spiriti? Qual è il suo approccio in questo caso?
Giustamente leggete qualcosa e volete capire cos’è. Rispondo però in estrema sintesi, perché questa è
una giusta curiosità di carattere storico, ma non credo sia utile alla vostra formazione come TeRP.
All’epoca del Sacco le idee sulla fisiologia del corpo umano erano completamente diverse dalle nostre.
Si era scoperta da poco la circolazione del sangue, ma si riteneva ancora che la salute del corpo e della
mente dipendessero da liquidi che circolano: gli umori, che sono distribuiti in tutto il corpo, e gli spiriti
che circolano nei nervi, che si riteneva fossero anch’essi dei canali, più sottili. E’ un modello molto diverso
dal nostro, insomma; vi riporto uno schema per chi è più curioso.
Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
Nel primo cerchio dall’esterno, vedete i quattro
                                          «temperamenti», cioè assetti di base che
                                          riguardano sia il corpo che quello che potremmo
                                          chiamare l’atteggiamento mentale di fondo, e nel
                                          secondo i quattro umori (sangue, bile gialla, bile
                                          nera, flegma) secondo la dottrina ippocratica.

Dobbiamo tenere presente che in effetti la psichiatria è, come dice Karl Jaspers, sia una scienza
naturale che una scienza umana. Per il primo aspetto, le cose invecchiano: i modelli che usa Sacco
sono vecchi, e non vi occorre conoscerli in dettaglio. Sappiate solo che sono esistiti. E se io dessi a un
paziente le medicine che dava Sacco, mi arresterebbero. E’ il secondo aspetto che non invecchia: per noi
è importante come si relazionano alla follia i guardiani di Timerahane, Antero, Sacco o la gente di Geel,
perché questo ha a che fare con come ci relazioniamo oggi noi. Per noi è utile studiare casi come questi
come per un filosofo conoscere Platone o Aristotele o un per letterato Omero o Saffo. Ciò che ha a che
fare con l’essenza dell’umano, non invecchia. Anche nel caso del TeRP, vedrete che le scale di
valutazione, o le tecniche di skill training che oggi imparate cambieranno 2 o 3 volte durante la vostra
carriera, altre più efficaci le sostituiranno. Invece quello che imparerete strada facendo sul modo di
stare insieme a una persona sofferente nel setting della riabilitazione ed esserle d’aiuto con la vostra
presenza, non invecchia. Rimane sempre importante, come il contenuto di queste scenette.
Intanto, passo alla seconda lezione, che anche se riguarda un arco temporale più breve sarà più
impegnativa; naturalmente mi farà molto piacere ricevere altre domande su entrambe.
Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
La necessità di un nuovo modo di affrontare la follia comincia a essere avvertito in Europa alla fine del
'700. In Inghilterra accade che un membro della comunità quacchera di York muoia nel manicomio
pubblico della città, e la comunità cui appartiene imputi la sua morte alla cattiva qualità dell'assistenza.
Questo induce uno dei membri più autorevoli, William Tuke, a dotare la comunità di una struttura privata,
di piccole dimensioni, il Ritiro, dove i membri della comunità divenuti folli possano essere trattati con
l'amore e il rispetto dovuti. Il trattamento si basa su una disciplina piuttosto rigida, di carattere religioso,
basata soprattutto sul valore terapeutico attribuito al lavoro; l'ambiente è confortevole e la struttura di
piccole dimensioni, il livello di qualità della vita e assistenza all’interno decisamente più alto rispetto alle
strutture pubbliche di quel periodo. Soprattutto, il Ritiro è importante perché è la dimostrazione di una
comunità, quella dei quaccheri di York appunto, che - anziché espellere il folle - se ne fa carico non
interrompendo il sentimento di appartenenza nei confronti di questo confratello più sfortunato, che è
colpito da una disgrazia che potrebbe colpire chiunque altro.
Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
Intanto in Europa si affermava nel corso del XVIII secolo la corrente filosofica dell’Illuminismo,
convinta che il lume della ragione potesse illuminare le aree buie della vita dove si rifugiava la sragione
(la religione, la superstizione, l’ignoranza ecc.). Tra queste la follia, per sua natura antitetica alla
ragione, rappresentava per l’Illuminismo la sfida forse più difficile e affascinante. L’Illuminismo si
persuase perciò che la follia avrebbe potuto essere soggiogata ed eliminata dalla ragione, se questa
fosse riuscita a imbrigliarla in un concetto per lei più maneggevole: quello di alienazione, o di malattia,
mentale. La malattia mentale, perciò, è la follia guardata con la lente della ragione, e questo
passaggio sarà molto importante ricordarlo quando nella prossima lezione studieremo Franco
Basaglia. Gli strumenti attraverso i quali quest’operazione poteva avere successo erano soprattutto tre
discipline, tra i cui cultori gli illuministi erano molto ben rappresentati: medicina, pedagogia e,
chiamiamola così la terza, scienze politiche, cioè la politica affrontata come se si trattasse di una
scienza. Discipline, quindi, che raccoglievano in quel momento le tre radici che, nella lezione
precedente, abbiamo visto avere costituito, fino a quel momento, tre approcci differenti e autonomi
l’uno dall’altro alla follia. La follia quindi fu ridefinita come “alienazione mentale” (dal latino alienus,
altro, diverso) e la figura che se ne sarebbe dovuta occupare era l’alienista, che era un medico, però
operava anche come funzionario dello Stato, e doveva essere capace di maneggiare anche gli
strumenti della filosofia, e in particolare di una sua branca, la pedagogia (una pedagogia, in questo
caso, per adulti).
Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
Quello che possiamo considerare il primo psichiatra in senso moderno fu Philippe Pinel, un medico che
operò in Francia tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, e pubblicò nell’anno 1800 un libro fondante,
un trattato - che definisce come vedete medico-filosofico - sull’”alienazione mentale”, dove sono chiariti,
già nel frontespizio, i rapporti vincolanti dell’autore con il potere politico. E’ un funzionario
dell’imperatore, non più di Bajazet, ma di Napoleone. La tradizione racconta – non si sa se però questa
scena sia avvenuta davvero, almeno nel modo in cui è stata tramandata - che prima di quel volume che
avrebbe ispirato per la prima parte del XIX secolo tutti gli psichiatri, Pinel abbia liberato nel 1793,
durante la Rivoluzione, dalle catene i folli agitati che si trovavano presso l’ospizio di Bicètre, di cui era
direttore. Gli era accanto in quel momento Jean Baptiste Poussin, che la storia definisce infermiere-
capo, ma io proporrei di considerare più come un operatore misto, un po’ infermiere e un po’ TeRP. Se
Pinel era il medico-filosofo, il detentore di un sapere teorico, Poussin era il detentore di un sapere
pratico sulla follia e secondo molti storici il suo ruolo nella liberazione dei folli fu più importante di quello
di Pinel. La psichiatria nasce dunque con una promessa di liberazione: per controllare ed estirpare la
follia non erano più necessarie le catene – dalle quali abbiamo visto quanto era rimasto colpito
Menavino - ma avrebbe dovuto essere sufficiente il soggiogamento psicologico della mente dell’alienato
da parte della mente dell’alienista, che gli avrebbe fatto da guida verso la guarigione, cioè da mente
protesica (come una stampella in ortopedia) finché la sua mente non funzionava bene. Per operare
questo soggiogamento l’alienista poteva valersi della parola, della suggestione, dello stratagemma,
proprio come aveva fatto padre Antero.
Lezione n. 2 - Dalla nascita della psichiatria alla seconda guerra mondiale
La nascita della psichiatria: una promessa di liberazione, la follia «scatenata»
Se guardiamo il monumento alla vostra sx che i parigini eressero a Pinel di fronte all’ospedale della
Salpétrière, non credo che nessuno di voi abbia difficoltà a capire subito quale dei due personaggi è
l’alienista, cioè Pinel, e quale l’alienato: intanto c’è una sproporzione tra le dimensioni dell’uno e
dell’altro, poi la diversa posizione, uno accovacciato ai piedi dell’altro. Questo potrebbe farci pensare al
rapporto tra un adulto e un bambino (la psichiatria, e ancor più la riabilitazione psichiatrica, erano
infatti considerate una pedagogia per adulti), ma potrebbe anche fare pensare, almeno a quelli di noi
che conoscono Genova, a un altro monumento, quello a Cristoforo Colombo di fronte alla Stazione
Principe, dove pure l’Ammiraglio è rappresentato molto più grande dell’indigeno, accovacciato ai suoi
piedi. Teniamo a mente questo paragone perché ci sarà utile quando nel nostro terzo incontro
parleremo di Frantz Fanon e di Basaglia.
Jean-Dominique Etienne Esquirol era un allievo-collega di Pinel che
tradusse nella pratica molti dei suoi insegnamenti. Fu lui, tra l’altro, uno
dei primi alienisti a visitare nel 1821 il villaggio di Geel e a trarre di lì
qualche suggerimento su come dovevano essere concepiti i manicomi.
Lodò la straordinaria disponibilità degli abitanti, ma si lamentò del fatto
che quando i malati si agitavano gli strumenti di contenzione fossero
utilizzati al di fuori di un controllo medico. Da quell’incontro furono
influenzati i manicomi, che furono dotati di una colonia agricola che
aspirava a somigliare a Geel, ma anche Geel fu trasformato e posto sotto
l’autorità medica dello psichiatra perdendo così parte della sua originalità.
Esquirol pensava che per l’attuazione del trattamento morale fosse
necessario costruire un luogo pensato apposta: una delle sue frasi più
celebri fu che “il manicomio è uno strumento di guarigione: nelle mani di
un medico abile, è l’agente terapeutico più potente contro le malattie
mentali”. Per questo fece costruire nei sobborghi di Parigi, a Charenton,
un prototipo di manicomio che corrispondesse esattamente alle sue idee,
e servisse da modello per tutti gli altri. Il manicomio di Charenton era fuori
città (ora è dentro, ma è la città che si è espansa), ma non troppo distante
da Parigi, e disponeva di ampi campi per l’ergoterapia; metà dello spazio
era riservato agli uomini, metà alle donne, e i diversi padiglioni ospitavano
i diversi tipi di pazienti, con i meno gravi più vicino all’ingresso e i più gravi
via via sempre più in profondità.
Manicomio di Charenton: vista dall’alto.
Il triangolo del trattamento morale

                  ISOLARE

SUDDIVIDERE                         ATTIVARE
Mentre i trattamenti propriamente medici che questi primi alienisti avevano a disposizione non
differivano molto da quelli di cui disponevano i medici della generazione di Pompeo Sacco, la vera
novità era rappresentata dal “trattamento morale”, chiamato così perché allora ciò che oggi
consideriamo il corpo si chiamava «il fisico», e ciò che consideriamo la psiche si chiamava «il morale».
Quindi con «morale» allora si intendeva ciò che noi oggi chiamiamo «psicologico», o meglio ancora
«psicosociale». Il trattamento morale era un triangolo i cui pilastri erano rappresentati da tre azioni:
isolare; suddividere; attivare. Innanzitutto isolare: questa esigenza nasceva dalla constatazione da
parte degli alienisti che spesso sembrava che fossero le famiglie, con i loro conflitti, e la società
“moderna” (allora) che aveva reso la vita più complessa e competitiva con l’urbanizzazione e
l’industrializzazione, a determinare o aggravare l’alienazione mentale. Si pensava che occorresse
perciò, per guarire il soggetto, sottrarlo per qualche tempo all’influenza della famiglia e della società,
collocarlo in una situazione ideale nella quale l’alienista avesse la possibilità di orientare tutto in
direzione della guarigione del soggetto, per poi restituirlo guarito al suo ruolo nella famiglia e alla
società. Possiamo quindi immaginare il manicomio come una lavatrice, nella quale il panno viene
inserito sporco (malato) e dopo un certo trattamento lo restituisce pulito (guarito). Come vedremo,
questa illusone durò una settantina d’anni, poi ci si rese conto che isolare il soggetto dal suo contesto
e porlo in una realtà artificiale era dannoso, perché si abituava a quella situazione artificiale e non
era più in grado di affrontare la normalità. Tuttavia la tentazione di portare via il soggetto anche per
periodi lunghi da contesti stressanti è ancora oggi molto forte negli operatori, perché nella psichiatria
se qualcosa è venuto in mente a qualcuno nel corso degli anni, vuol dire che un qualche fondamento
ce l’ha, e perciò non è detto che non ritorni in mente anche a noi. Spesso infatti anche oggi nella
mente di operatori, familiari o magistrati il ricovero in strutture residenziali, soprattutto se isolate e
lontane, ha ancora a che fare con questo. Nell’immagine, vedete un padiglione del manicomio di
Prato Zanino presso Genova, che quando fu costruito fu chiamato la «città dei folli».
Il secondo pilastro del trattamento morale è suddividere, fare ordine nel marasma dell’alienazione
mentale che occorreva distinguere innanzitutto dalla normalità, e poi doveva essere divisa tra
categorie diverse anche al suo interno. La prima esigenza nasceva dal dover decidere chi aveva
bisogno del manicomio e chi no. In realtà nasceva anche da esigenze legate al diritto penale e civile
figli anch’essi dell’Illuminismo, che avevano bisogno che gli alienisti dicessero loro chi era normale, e
quindi doveva rispondere dei suoi atti, e chi è alienato, e perciò doveva essere sottoposto a una
legislazione speciale, pensata apposta per lui. Pinel fu anche tra i primi a studiare la «follia ragionante»
che era una forma clinica in cui convivevano ragione e alienazione di mente; quindi stabilire chi era
alienato e chi no si presentò subito molto difficile.
Ma occorreva anche suddividere all’interno dell’alienazione mentale le diverse forme in cui può
presentarsi. Pinel, oltre che fondatore della psichiatria, è autore di una delle prime “nosografie”
mediche (la classificazione, cioè delle malattie). Nacque così, con Pinel, Esquirol e la loro scuola, una
classificazione delle alienazioni mentali sulla base dei sintomi clinici, alla quale ne seguirono molte
altre tanto che anche adesso regna molta incertezza in proposito. Poi prese piede anche, per la
necessità di distribuirli nel manicomio in gruppi omogenei sulla base dei bisogni, un secondo modo di
classificare in base a quello che oggi chiamiamo un «assessment» che distingueva agitati, semi-agitati,
tranquilli, “sudici” (che erano quelli che non potevano provvedere alla pulizia personale), alcoolisti ecc.
E per ogni gruppo c’era il suo padiglione e la sua organizzazione dell’assistenza.
Attivare è la parte del trattamento morale che ha più a che fare con la riabilitazione, dunque con voi.
Vedrete che nelle comunità e nei centri diurni si usano molte attività umane normali, dallo sport, all’arte
manuale, la musica, la scrittura/lettura, l’artigianato, alle stesse attività di pulizia e di cucina che sono
necessarie alla struttura per sopravvivere ecc.; bene, le stesse cose in sostanza i primi alienisti
pensavano che potessero essere utili al trattamento morale. Ma, più di tutto, pensavano che fosse utile
che il soggetto, una volta isolato dalla famiglia e dal suo contesto, fosse messo al lavoro. Meglio in
campagna, perché si era convinti (più ancora di adesso) che l’aria aperta faccia bene, e meglio se
possibile impegnandoli in un lavoro simile a quello che facevano prima della malattia e che,
presumibilmente, ritornerà a fare una volta guarito. Qui di seguito vi riporto il giudizio di due dei
maggiori psichiatri del XIX secolo, Pinel ed Emil Kraepelin, che alla fine del XIX secolo ha proposto una
classificazione delle malattie mentali alla quale si ispirano ancora quelle di oggi, sul lavoro e sulle sue
utilità. L’ergoterapia, cioè la terapia del lavoro, rappresentò per quasi tutti gli psichiatri l’anima della
psichiatria. Si discusse molto: se il lavoro vada riservato ai soli tranquilli o possano farlo anche gli agitati;
se sia opportuno dare agli alienati strumenti pericolosi (martelli, coltelli, falci, vanghe ecc.) per il lavoro,
o no; se il loro lavoro debba essere o no retribuito; se questa retribuzione debba essere in parte
accumulata per sostenere i progetti di dimissione. Un’osservazione che viene spontanea leggendo i testi
dell’epoca è che quando nei manicomi si pratica di più l’ergoterapia, si pratica meno la contenzione
fisica. Nelle due immagini, esempi di ergoterapia nel manicomio di Prato Zanino presso Genova.
Philippe Pinel, 1800

Un lavoro costante spezza la morbosa
concatenazione delle idee, rinsalda le
facoltà intellettive con l'esercizio, mantiene
l'ordine in qualunque gruppo di alienati (…).

Come ho potuto constatare personalmente
sono molto pochi gli alienati che anche
negli accessi di furore, devono essere
allontanati da ogni occupazione pratica;
che spettacolo penoso vedere in tutti gli
stabilimenti [in tanti reparti, case e
residenze, oggi? P.F.P.] del nostro Paese, gli
alienati di tutti i tipi agitarsi senza scopo, in
un movimento continuo e vano, oppure
miseramente prostrati in uno stato di inerzia
e di stupore!
Tipografia
“Soprattutto si deve cercare di scegliere per l'infermo
una adatta occupazione, la quale, benché stimolante,
non deve essere faticosa; ciò è la cosa più adatta per
distrarre il pensiero dell'infermo dal suo stato intimo e
per far risvegliare l'interesse per il mondo esterno, per
l'abituale attività. [...] Specialmente negli stati
terminali della dementia praecox [primo nome che
ebbe la schizofrenia], che riempiono i nostri manicomi,
è molto facile, data la perdita della capacità volitiva, il
pericolo di un ottundimento psichico. In tal caso le
occupazioni manuali hanno un grande successo contro
questo pericolo, risvegliando negli infermi, in
apparenza completamente stupidi e incapaci, una
sorprendente quantità di abilità”.
                                 Emil Kraepelin, 1897
Agricoltura
Il fatto che Pinel avesse liberato i folli e la psichiatria dalle catene, non significa però che li avesse
liberati da ogni costrizione fisica; al posto delle catene, infatti, furono introdotti una serie di strumenti
per lo più in tela rigida o cuoio, utilizzati per immobilizzare del tutto o in parte l’alienato quando il
soggiogamento psicologico operato dall’alienista non era sufficiente (qui ne vedete un campionario
collezionato da Carlo Livi, uno psichiatra italiano della seconda metà dell’800 che li raccolse e
denominò la raccolta «museo delle anticaglie» e fu questo il primo nucleo del Museo di Storia della
Psichiatria, reinaugurato pochi anni fa a Reggio Emilia, che se ne avete l’opportunità vi consiglierei di
visitare). Nell’immagine successiva una camicia di forza e un letto di contenzione. Si continuava
nonostante tutto a legare in vari modi le persone, e dobbiamo a un alienista inglese, John Conolly, il
primo tentativo di farne del tutto a meno (ammetteva solo un breve isolamento dell’agitato in cella
imbottita). Conolly pubblicò nel 1856 un libro dal titolo “Trattamento del malato di mente senza
metodi costrittivi”, il cui pregio non è solo quello di importanti intuizioni come quella che talvolta è la
violenza dell’istituzione a rendere violenti i pazienti e perciò la contenzione deve essere evitata, ma
anche quello di contenere molte idee sorprendentemente moderne sul lavoro psichiatrico. Per
esempio che perché il programma no restraint, cioè di non legare in nessun modo, abbia successo
occorre la collaborazione di tutti, medici e infermieri (cioè dell’intera équipe), mentre a quell’epoca gli
infermieri erano in genere chiamati “serventi” e avevano il divieto di parlare coi malati, per non
confondere ciò che diceva loro l’alienista. O ancora che in psichiatria gentilezza e attenzione da parte
dello staff possono essere strumenti più efficaci dell’esercizio della forza fisica.
“Tutti codesti vecchi arnesi, usati quando la forza stava in luogo
della ragione, sono stati tratti fuori di nuovo, non per martoriare la
umanità, ma per venire a fare testimonianza che i tempi presenti
sono non solamente più savi degli antichi, ma anche più buoni, più
umani e caritatevoli.” Carlo Livi (1875 ca.)
«Non solo è possibile dirigere un
grosso manicomio senza applicare
ai pazienti la coercizione fisica, ma
dopo l’abolizione totale di tale
metodo di controllo, le
caratteristiche di un manicomio
subiscono un graduale e benefico
cambiamento» J. Conolly, 1842
La sicurezza e il buon
comportamento dei pazienti
dipendono completamente dalla
cura e vigilanza ininterrotta
degli infermieri; e al sistema
repressivo va sostituito un
metodo di cura sostenuto dalla
serena collaborazione di ogni
singolo dipendente, così che
tutti siano gentili, protettivi e,
per così dire, familiari. Per
l’attuazione di questo piano è
quindi indispensabile che tutto
il personale sia concorde
       Conolly, (1840), 1856
La critica dell’isolamento manicomiale: Evariste Marandon de
 Montyel (1851-1908)
Un altro autore importante della seconda metà del XIX secolo fu Evariste Marandon de Montyel,
direttore dei manicomi della regione di Parigi, il quale ribaltò completamente, sulla base di ottant’anni
di esperienza, le idee di Pinel ed Esquirol sull’isolamento dei folli dal loro ambiente e sulla loro
collocazione in un ambiente artificiale, il manicomio, il cui progetto era nato dalla mente dell’alienista
come strumento di guarigione. Ottant’anni dopo, insomma, gli alienisti compresero che il manicomio
non guariva, ma rendeva cronici. Per questo Marandon de Montyel pensa che il manicomio debba
essere riservato a 1/3 circa dei malati, quelli più difficili da gestire, mentre i 2/3 più tranquilli debbano
rimanere in una sorta di villaggio, e che non debbano esserci limitazioni alle visite dei familiari che
devono essere anzi incoraggiate; scrive tra l’altro:

“I nostri attuali manicomi, con i loro muri di prigioni o di chiostri, le loro disposizioni
regolari e simmetriche, sono, per un grandissimo numero d'alienati, delle fabbriche
d'incurabili e noi, attraverso l'isolamento che noi imponiamo ai nostri malati, la vita di
reclusi alla quale noi li condanniamo, la disciplina severa che noi loro imponiamo, noi
siamo in un grandissimo numero di casi, senza esserne coscienti e con le migliori
intenzioni del mondo, dei fabbricanti di cronici”.        Marandon de Montyel, 1896
Nell’immagine, il primo manicomio costruito a Genova nell’attuale via Cesarea, nel
1841, a forma di stella perché dal centro sia possibile controllare tutti i raggi
(panopticon).
Intorno alla metà del XIX secolo il ruolo della borghesia, la classe alla quale gli alienisti appartenevano,
si ribaltò. Dall’essere stata la classe rivoluzionaria, innovativa, propulsiva, piena di fiducia in se stessa,
divenne la classe che doveva difendersi: dai proletari che rivendicavano giustizia sociale, dagli indigeni
delle colonie che si ribellavano all’oppressione, da un mondo di emarginati che si era accumulato ed
esercitava la delinquenza. Così, dall’ottimismo dei primi alienisti che pensavano che la follia potesse
essere curata e guarita dal trattamento morale, si passò a una nuova dottrina psichiatrica – il
degenerazionismo – che, anche in conseguenza del fallimento dell’isolamento manicomiale come
metodo di cura oltre che per questi fattori generali, concepiva l’umanità come destinata su base
genetica a peggiorare, e l’alienazione mentale, l’alcolismo, la criminalità, la prostituzione come tare
trasmesse nella famiglie e destinate a peggiorare di generazione in generazione; che non potessero
essere efficacemente curate né tanto meno guarite ma dovessero essere solo sottoposte a custodia. In
Italia Cesare Lombroso fu lo psichiatra più vicino a questa corrente.

Il movimento eugenetico, fondato da sir Francis Galton, cugino di Charles Darwin, nacque invece in
sintonia ma anche in reazione al degenerazionismo, dall’idea che l’evoluzione umana potesse essere
governata attraverso scelte utili a migliorare le generazioni a venire. Vedremo oltre le conseguenze cui
questo avrebbe portato nel secolo successivo.
Cesare Lombroso, e due immagini
del Museo Lombroso a Torino
Provvedimenti eugenetici in termini di «peso» (in corsivo i
provvedimenti considerati radicali):

                - Provvedimenti igienici generici
                - Provvedimenti igienici
                  limitanti sfere significative
                  della libertà personale (p. es.
                  limiti al matrimonio)
                - Sterilizzazione obbligatoria
                - Aborto selettivo
                - Soppressione dell’individuo
                  tarato e disgenico
Con l’inizio del nuovo secolo una enorme catastrofe sconvolse il mondo: la prima guerra mondiale.
La psichiatria si era costruita un’immagine molto importante, e si era data una dimensione
cosmopolita, a trazione tedesca. Fu molto doloroso, perciò, per gli psichiatri dividersi e mettersi gli
uni contro gli altri. Però ad essa tutti gli eserciti belligeranti guardarono per identificare, giudicare,
curare masse molto grandi di soggetti maschi, spesso privi di precedenti problemi psichiatrici, che
avevano sofferto di “trauma di guerra”. Non era possibile pensare al manicomio per la cura di tutte
quelle persone e si scoprì anzi che le guarigioni erano più frequenti e più rapide quanto più
l’intervento psichiatrico avveniva rapidamente e vicino al fronte. Un lascito positivo fu che nasceva,
insomma, nel corso della guerra una nuova psichiatria: che curava patologie mentali traumatiche in
genere meno gravi e meno spesso destinate alla cronicizzazione di quelle curate nei manicomi, in
soggetti giovani-adulti; che per curare non aspettava che il paziente le fosse portato in manicomio,
ma si recava essa stessa vicino al fronte, dove il soggetto si trovava. Furono cose molto importanti,
che dopo la guerra si tradussero in una spinta della psichiatria verso il territorio, sulle orme della
campagna antitubercolare, con l’apertura di ambulatori volti all’igiene mentale, cioè allo sforzo di
intercettare i disturbi mentali in forma ancora lieve, evitando così il loro aggravamento e la
necessità di arrivare al ricovero manicomiale.

Nella pagina successiva uno psichiatra impegnato nell’esercito descrive la situazione psicologica dei
soldati.
«Alle volte sono tali i disagi ed i pericoli, tante le ansie, le trepidazioni, le scosse, che voi vi
sentite come lacerare l'anima, e tutto l'organismo si tende e vibra come negli spasimi di
una angosciosa agonia: il riposo è continua tensione degli orecchi, degli occhi, di tutti i
sensi, di tutti i pori, verso il luogo dove, nella nebbia, nelle tenebre, nel mistero, si nasconde
l'agguato; il sonno breve è un'alternativa incessante di incubi e di risvegli improvvisi:
sempre, a tutte le ore, nel cervello un ronzio insistente, una musica disgregante dì
cannonate, di schioppettate, di sibili, di lamenti, di urli, di rantoli, poi grida di gioia per la
vittoria agognata. Ma non basta». (lo psichiatra Vincenzo Bianchi sulla guerra, 1917)
Dalla guerra, nascerà un movimento volto ad andare incontro alla malattia e prevenire l’internamento
in manicomio, l’igiene mentale, che i Italia ebbe uno sviluppo modesto, ma molto più importante in
altri Paesi. Ci sono però altri tre fatti da registrare nei primi decenni del ‘900, importanti perché
incontreremo le loro conseguenze nella nostra III lezione:
- La nascita della psicoanalisi, ad opera di Sigmund Freud, con la pubblicazione nell’anno 1900 del
    volume «L’interpretazione dei sogni»
- La rivisitazione del concetto di schizofrenia rispetto all’originale descrizione di Emil Kraepelin da
    parte di Eugen Bleuler nel 1911
- La rifondazione della psicopatologia e lo spostamento dell’attenzione dalla ricerca dei segni
    all’ascolto dei vissuti del malato con la pubblicazione nel 1913 del volume «Psicopatologia generale»
    ad opera di Karl Jaspers
- L’introduzione delle terapie di shock negli anni trenta, con le quali si intendeva curare la malattia
    mentale sottoponendo il malato a un forte shock fisico, e in particolare nel 1938 quella
    dell’elettroshock da parte di Ugo Cerletti, che oggi è poco utilizzato in Italia, ma ha ancora una certa
    diffusione nel resto del mondo
Dopo la prima guerra mondiale le idee eugenetiche ripresero a circolare; la sterilizzazione obbligatoria
dei disabili era già stata adottata in alcuni Stati degli USA prima della guerra e si diffuse. Nel 1920 uno
psichiatra e un giurista tedeschi affrontarono in un libro la questione se le vite “prive di valore”, cioè
quelle delle persone considerate improduttive e incurabili tra le quali rientravano molti malati di
mente, potessero essere soppresse, dando una risposta positiva. Nel 1923, Enrico Morselli, professore
di psichiatria a Genova e presidente della Società Italiana di Psichiatria, polemizzò con questa tesi,
sollevando una serie di obiezioni di carattere prevalentemente morale, che contribuirono a mantenere
negli anni successivi il mondo psichiatrico italiano contrario ai provvedimenti dell’eugenetica radicale.
In questo modo quella generazione di psichiatri italiani che aderì in massa, con poche meritevoli
eccezioni, al fascismo, e che aderì al Manifesto degli scienziati razzisti nel 1938, si oppose però ai
crimini più gravi compiuti in quegli anni contro i malati di mente. Non fu così però per altri Paesi, come
gli USA. Nella Germania nazista poi, poco prima dell’inizio seconda guerra mondiale, Hitler decise di
autorizzare con un ordine segreto, Aktion T4, la soppressione delle «vite prive di valore» (esiste, se
avete l’opportunità di vederlo, uno spettacolo molto emozionante di Marco Paolini sul tema:
Ausmerzen che qualche tempo fa è stato trasmesso anche dalla RAI).
La sterilizzazione obbligatoria degli individui considerati disgenici (che cioè avrebbero potuto
trasmettere alla prole i caratteri che si ritenevano alla base della disabilità, della malattia mentale,
della criminalità o dell’alcoolismo), iniziò a essere praticata negli USA nel 1899 e si stima abbia
interessato lì circa 65.000 persone. Fu adottata anche in Canada, Svizzera, Danimarca, Svezia,
Norvegia, Finlandia, Giappone dove interessò altre migliaia di persone. In Germania fu uno dei primi
provvedimenti adottati dal nazismo già nel 1933 e si stima che abbia interessato oltre 400.000
persone. Qui di seguito la lettera drammatica di una madre a Hitler perché sua figlia fosse dispensata
dalla sterilizzazione obbligatoria, che non ottenne mai nessuna risposta.

«Mia figlia considera la sterilizzazione un trattamento umiliante e si sentirà una
cittadina di seconda classe espulsa dalla società. Preferirebbe morire che fare
esperienza di una tale umiliazione. (…) E’ disponibile a accettare ogni altra misura
preventiva protettiva da una discendenza indesiderata. Il 14 novembre 1935 ha ricevuto
una lettera dal nostro ufficio sanitario che prescrive la sterilizzazione. Il 18 novembre
1935 mi sono rivolta all’ufficio sanitario chiedendo di rimandare l’intervento ma la mia
istanza è stata respinta e le è stato detto di presentarsi senza indugio, oppure sarà
portata là sotto scorta della polizia. Preoccupata per la sua vita e la sua salute mi
rivolgo a voi come la nostra ultima risorsa, mein Furher!».
Dorothea Sophie Back- Zechlin: una delle vittime della
sterilizzazione obbligatoria operata dal nazismo, poi negli ultimi
        anni uno dei leader mondiale delle associazioni di
                       pazienti psichiatrici
Enrico Morselli (1852-1929),
Il libro scritto da Binding e Hoche
                                      professore di psichiatria a
nel 1922, nel quale si sosteneva      Genova, autore di un saggio
che le vite «prive di valore»         contro l’uccisione dei malati di
potessero essere soppresse.
                                      mente inguaribili nel 1923
Le giustificazioni addotte per la soppressione dei malati inguaribili e improduttivi erano di quattro
tipi:

-ragioni umanitarie: liberare il singolo da una sofferenza inutile perché priva di speranza
-ragioni utilitaristiche: eliminare costi inutili per la collettività
-ragioni igieniche: eliminare elementi improduttivi, asociali o antisociali
-ragioni eugenetiche: impedirne la riproduzione ed evitare il rischio che queste caratteristiche
fossero tramandate alla discendenza

Credo che abbiate sentito in queste settimane che l’epidemia in atto ha spinto la Società
scientifica degli anestesisti italiani a porre molto seriamente il problema di chi debba avere la
precedenza nell’accedere alla rianimazione, quando gli strumenti non sono sufficienti per tutti. O,
anche, che alcuni Stati degli USA hanno adottato la decisione per cui, in momenti di emergenza, ai
disabili può essere negato l’accesso alla rianimazione. O, ancora, che il premier britannico aveva
proposto in fase iniziale che al virus fosse consentito di dilagare nel Paese, rassegnandosi alla
conseguenza che avrebbe mietuto vittime soprattutto nella parte anziana e meno produttiva della
popolazione. Certo non è la stessa cosa della soppressione delle vite prive di valore proposte
dagli eugenisti radicali: un conto è sopprimere qualcuno che di per sé potrebbe continuare a
vivere anche per molti anni; e un altro conto negare strumenti salvavita perché scarseggiano a
qualcuno che di per sé è destinato a morire. Pure, l’area bioetica complessiva mi sembra la stessa,
e vi chiederò un’’opinione al riguardo.
Quanto ai nazisti invece, trovate di seguito l’immagine di uno dei luoghi nei quali ebbe luogo lo
sterminio dei malati di mente, con una sintesi del progetto di sterminio, e poi le parole e
l’immagine di uno dei più coraggiosi oppositori del progetto Aktion T4 che, insieme ad altri, riuscì
ad ottenere che Hitler lo interrompesse.
Particolare del monumento che presso
l’ex Ospedale psichiatrico di Kaufbauren
ricorda lo sterminio di 2000 pazienti
durante l’operazione Aktion T4 e gli anni   Locandina della mostra organizzata dalle
successivi da parte del nazismo.            Società tedesca e italiana di Psichiatria per
                                            ricordare lo sterminio dei malati di mente
                                            sotto il nazismo
Il castello di Grafenek, uno dei luoghi dove fu
realizzata l’operazione Aktion T4 ordinata da Hitler
nell’ottobre 1939, che portò alla sperimentazione
della camera a gas e allo sterminio di oltre 70.000
disabili. Altre decine di migliaia di internati nei    Clemens August von Galen (1878-
manicomi furono sterminati dai nazisti in Germania        1946), vescovo di Muntzen
dopo la fine di questa operazione, e altre durante
l’occupazione nazista dell’Unione Sovietica.
Nonostante l’ordine dell’Aktion T4 fosse segreto, le numerose sparizioni dai manicomi e dalle cliniche
furono notate, e cominciarono a piovere critiche. Tra gli altri Clemens August Graaf von Galen,
arcivescovo di Muntzen, il quale dedicò ad esse tre prediche che respingono la soppressione delle «vite
prive di valore» facendo sentire che il malato di mente e il disabile sono persone come tutte, sono tra i
documenti più belli, io credo, della storia della psichiatria. Ecco un estratto: «A quanto mi si dice, dalla
casa di cura e dal manicomio di Warstein sono state portate via già cento persone. Così dobbiamo
presumere che i poveri pazienti privi di aiuto prima o poi saranno uccisi (…). Perché, nell'opinione di
qualche dipartimento, sul parere di qualche commissione, sono divenuti "vite senza valore", perché,
secondo questa perizia, sono “connazionali improduttivi". Si giudica: non possono produrre più, sono
come una vecchia macchina che non funziona più, sono come un vecchio cavallo che è divenuto
inguaribilmente zoppo, sono come una mucca che non dà più latte. E cosa si fa cosa con quella vecchia
macchina? È demolita. Cosa si fa cosa con un cavallo zoppo, con una mucca improduttiva? No, io non
voglio continuare il paragone fino alla fine - perché sono terribili la sua pertinenza e la sua forza
illuminante (…). Qui si tratta di esseri umani, i nostri consimili, nostri fratelli e sorelle. Povere persone
ammalate, se vi piace, anche improduttive! Ma non meritano per questo di essere uccisi. Avete, ho il
diritto di vivere solamente finché siamo produttivi, finché siamo riconosciuti da altri come produttivi? Se
si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo “improduttivo” può essere ucciso, guai per tutti noi
quando diverremo vecchi e decrepiti! Se è permesso uccidere le persone improduttive, guai per coloro
che sono invalidi perché hanno sacrificato e hanno perso le loro ossa sane nel processo produttivo. Se è
permesso sopprimere un connazionale improduttivo, guai per i nostri bravi soldati che ritornano in
patria seriamente invalidi e mutilati.
Se si arriverà ad ammettere che delle
persone hanno diritto di uccidere dei
consimili “improduttivi” - anche se ora ciò
colpisce solamente poveri malati di mente
senza difesa - poi per principio sarà
permesso l’assassinio di tutte le persone
improduttive, in altre parole i malati
incurabili, gli invalidi di lavoro e di guerra,
e noi tutti quando diveniamo vecchi,
decrepiti e perciò improduttivi. È solo
necessario ordinare con un decreto segreto
che la procedura sviluppata per i malati di
mente sia         estesa ad altre persone
“improduttive” (…). Poi, nessuno è più
sicuro della propria vita. Qualunque
commissione potrà includerlo nell'elenco
degli “improduttivi”, che nella loro              Propaganda nazista:
opinione sono divenuti vite prive di valore»      l’ariano costretto a
Clemens von Galen, 3 agosto 1941.                 sostenere il peso di un
                                                  criminale e un disabile
Proposta Vi farò ora 20 domande, a partire dalle cose scritte nel testo.
1. Quale vi pare che fosse la caratteristica più interessante del Ritiro di York?
2. Perché possiamo dire che la figura di Pinel, il primo psichiatra, si pone alla
   convergenza dei tre approcci alla follia che abbiamo considerato nella prima
   lezione?
3. Su quali tre pilastri si fondava il triangolo del «Trattamento morale»?
4. Cosa pensi dell’idea di isolare i folli dal loro ambiente per curarli?
5. Quali erano le utilità dell’ergoterapia secondo Pinel e secondo Kraepelin? Secondo
   Pinel il lavoro nei manicomi doveva essere riservato ai soli tranquilli?
6. Cos’era il manicomio secondo Esquirol?
7. La riforma di Pinel ed Esquirol abolì completamente l’abitudine di legare gli
   alienati?
8. Quali sono le cose che vi colpiscono di più dell’insegnamento di John Conolly?
9. Quale furono le critiche più importanti che Marandon de Montyel portò alla
   concezione della psichiatria nata da Pinel ed Esquirol?
10. Che cos’è il «degenerazionismo» e quale effetto ebbe sulla psichiatria?
11. Che differenza c’è tra il degenerazionismo e l’eugenetica?
12. Quali erano i 3 strumenti considerati tipici dell’eugenetica radicale?
13. Quali erano le ragioni addotte dai sostenitori dell’eliminazioni delle «vite senza valore»?
Ti pare che abbiano qualche attinenza con questioni bioetiche attuali? E tu cosa ne pensi?
14. Quali furono le novità introdotte in psichiatria dalla prima guerra mondiale?
15. Quali furono quattro novità importanti per la psichiatria negli anni che vanno dall’inizio
del XX secolo alla seconda guerra mondiale?
16. L’idea che le «vite prive di valore» dei malati considerati inguaribili e improduttivi
potessero essere soppresse, nacque con il nazismo?
17. Quale fu l’atteggiamento della psichiatria dell’Italia fascista di fronte a questa ipotesi?
18. Che cos’è l’operazione Aktion T4?
19. Cosa ti colpisce di più dell’omelia pronunciata dal vescovo von Galen nel 1941 contro
l’operazione Aktion T4?
20. In sintesi, di questo secolo e mezzo di storia della psichiatria che abbiamo percorso un
po’ al galoppo, quali cose ti hanno colpito di più e quali ti sembrano più importanti per il
tuo futuro lavoro di TeRP?
Puoi anche leggere