LETTURA ICONOGRAFICA DI DUE VASI DI FIORI SEICENTESCHI
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Cornelia Diekamp LETTURA ICONOGRAFICA DI DUE VASI DI FIORI SEICENTESCHI AMBIENTE E PERIODO Le due nature morte, protagoniste di questa lezione, sono state eseguite in Olanda nella seconda metà del Seicento. Una è firmata da Abraham Mignon (Francoforte 1640 – Francoforte 1679) e l’altra da Cornelis de Heem (Leida 1631- Anversa 1695). I due artisti appartengono alla cerchia di collaboratori e allievi più vicina a Jan Davidsz. de Heem (Utrecht 1606 – Anversa 1683/4), uno dei più grandi artisti barocchi di nature morte, vissuto in parte in Olanda e in parte nelle Fiandre. Jan non dipinge prevalentemente vasi di fiori. La gamma dei sui motivi comprende anche cestini di frutta, libri, colazioni, tavole imbandite, ghirlande di fiori e di frutti, frutti all’aperto e poco altro (tra cui 1 vanitas, 1 cucina e 1 ritratto). I tre artisti citati, Jan Davidsz. de Heem, suo figlio Cornelis e Abraham Mignon, vivono in un’epoca tribolata dalle guerre di religione e dalle loro conseguenze. Il maestro Jan, figlio di un calvinista emigrato dalle Fiandre cattoliche, è calvinista per i primi trent’anni della sua vita e poi si converte alla religione cattolica quando si trasferisce ad Anversa (nel 1635/36). Anche suo figlio Cornelis cambia religione. Abraham Mignon invece nasce in Germania, a Francoforte, da genitori calvinisti, fuggiti della Hainaut (oggi Belgio). Prima di lavorare con Jan Davidsz. de Heem, Abraham aveva studiato a Francoforte con Jacob Marrel (Frankenthal 1613/14-Francoforte 1681), il nipote di un ugonotto francese, anche lui fuggito a Francoforte. Marrel, a sua volta, si era già ispirato ad alcuni quadri di Jan Davidsz. de Heem quando viveva a Utrecht tra il 1634 e il 1651. Quindi Abraham è già preparato a recepire lo stile di Jan, quando si trasferisce nel 1664 a Utrecht (insieme a Marrel). Nel 1669 si iscrive nella gilda di Utrecht, proprio nel momento in cui Jan sta tornando da Anversa. Ma Jan si ferma a Utrecht solo per breve tempo, dal 1669 al 1672 quando, con l’invasione delle truppe francesi, fugge nuovamente ad Anversa, affidando la sua bottega di Utrecht a Abraham. Le vicissitudini della fede di questi artisti hanno una certa rilevanza La riforma aveva creato le condizioni per uno sviluppo di un’iconografia assai particolare. Le nature morte ne fanno parte.
I VASI DI FIORI Il quadro di Abraham Mignon dal titolo, Vaso con fiori e due pannocchie di granturco (Torino, Galleria Sabauda, inv. 83, cat. V. 311) è un tipico Vaso di fiori dell’artista che si inserisce nella produzione dell’epoca senza particolari novità, anche perché la scena riprodotta sul vaso di marmo(?) non è stata ancora individuata. Con ogni probabilità il quadro è stato eseguito nella bottega di Jan Davidsz. de Heem a Utrecht tra il 1669 e il 1672, perché alcuni motivi sembrano proprio copiati da un quadro di Jan, eseguito in quel periodo. Il vaso è collocato in una nicchia, leggermente spostato dal centro verso sinistra. La luce proviene dall’alto a sinistra. Il plinto è corroso. Il mazzo di fiori contiene soprattutto piante coltivate, fiori da giardino, con qualche accenno all’agricoltura tramite il mais sul plinto e le due spighe di grano nel vaso. Pochissimi sono i fiori e i frutti spontanei, come il papavero selvatico e il rovo a sinistra del vaso, che si contrappongono alle pannocchie di mais e al papavero da oppio sfiorito, cioè un frutto e un fiore coltivato, dall’altro lato. E’ ovvio che l’artista ha voluto inserire una contrapposizione tra natura selvatica da una parte e natura coltivata da giardino e agricoltura dall’altra. Quella che segue è un’analisi accurata di tutte le piante e insetti rappresentati nel quadro, realizzata grazie all’aiuto di diversi botanici e zoologi. Ringrazio soprattutto la dr. Rosa Camoletto Pasin del Museo Regionale di Scienze Naturali per aver dedicato tanta pazienza alla classificazione delle piante.
Il Vaso di fiori (Torino, Galleria Sabauda, inv. 71, cat. V. 417) di Cornelis de Heem è databile tra il 1665 e il 1675 in base allo stile. Su un piedistallo di pietra è posato un vaso di vetro pieno di fiori. Il piedistallo, relativamente alto, si rastrema a gradini verso il basso. Le sue forme si perdono poi nell’indefinitezza del grigio scuro, quasi nero, del fondo. La luce spiove dall’alto a sinistra. Di conseguenza la parte sinistra del piano, dove è appoggiato il vaso, è più illuminata e mette in evidenza rotture e corrosioni. I fiori si irradiano dal centro del quadro, cioè dall’incrocio delle diagonali. Segue l’analisi delle piante e degli insetti dipinti:
Al botanico interessa prevalentemente che le piante siano riconoscibili. Questo è il caso per quasi tutti i fiori in primo piano. Constatiamo che ben 11 fiori (nel caso di Cornelis più della metà) sono proprio gli stessi sui due quadri (vedi gli elenchi 1-11/12). Sono le rose, la Peonia, il Papavero da oppio, la Palla di neve, il Vilucchio tricolore, la Calendula e i giaggioli. Essi non sono certo copiati gli uni da gli altri. Erano invece i preferiti nella scuola di Jan Davidsz. de Heem. Facendo una scelta significativa dei fiori rappresentati, propongo qui di seguito un confronto tra i due artisti e i fiori reali (o illustrazioni scientifiche), con accenni alla loro storia.
Rosa Sulfurea (Rosa hemisphaerica J. Herrmann) Mignon Rosa Lutea (Rosa foetida J. Herrmann) De Heem
Rosa Punicea (Rosa Foetida J. Herrmann “Bicolor”) Mignon De Heem
Rosa Rosamundi (Rosa gallica L. Versicolor) Mignon De Heem
Peonia (Paeonia officinalis L. “ Fl. Pl. “) Mignon De Heem
Calendula (Calendula officinalis L.) Mignon De Heem
Papavero da oppio (Papaver somniferum L.” Fimbriatum “ Fl Pl. “) Mignon De Heem
Giaggiolo (Iris sp.) Mignon De Heem
Garofano (Dianthus caryophyllus L. “ Fl. Pl. “ Albo-Rubrum) Mignon
Tulipano (Tulipa gesneriana L.s.l.) Mignon Jacob Marrel (Maestro di Mignon)
BREVI SPIEGAZIONI NATURALISTICHE PER LE 11 TAVOLE DI FIORI A CONFRONTO -- (elenco n. 1) Rosa x alba L. “Fl. Pl”. (it. Rosa bianca) Probabilmente da identificare con la Rosa Alba L. maxima che contiene fino a 50/60 petali ed è profumata delicatamente. La Rosa bianca è un ibrido di diverse razze ed era nota da secoli. Alberto Magno la descrive con esattezza. La vediamo rappresentata nelle illustrazioni dei manoscritti della scuola di Brugge e Gent del Quattro- e Cinquecento. -- (elenco n. 2) Rosa centifolia L. (it. Rosa di Provenza) Anche la “Rosa di Provenza” è stata molto amata nei secoli. Appartiene alla razza dei “Centifolia” ed è un ibrido da diverse rose con tantissimi petali. Una “Centifolia” era già nota in antichità ed è stata descritta da Teofrasto e Plinio come “Centifolia” appunto, perché secondo loro contava cento petali. La rosa di Plinio era ancora priva di profumo come viene constato da Clusius. La “Rosa di Provenza” invece è profumatissima. Caratteristici sono i petali più corti all’interno del fiore e il colore rosa pallido. Dal Cinquecento fino all’inizio del Settecento veniva quasi esclusivamente coltivata in Olanda (si chiama anche “Rose de Hollande”). Già nel Seicento veniva importata in Francia. L’imperatrice Josephine poi adorava le “Centifolia” e in particolare la “Rosa di Provenza”, e l’aveva fatta piantare nel suo giardino di rose a Malmaison. Un’illustrazione della “Rosa di Provenza” eseguita da Redouté (ill.) per l’imperatrice Josephine, a confronto con quelle di Mignon e de Heem. -- (elenco n. 3, rosa gialla) Rosa hemisphaerica J. Herrmann ”Fl. Pl.” (it. Rosa sulfurea) Il color giallo sul quadro di Mignon è in parte sparito perché l’artista ha usato il minerale “Orpiment” che, a contatto con la luce, tende ad alterare chimicamente la sua composizione. La Rosa sulfurea proviene dall’Asia Minore ed è nota nell’Europa settentrionale almeno dal 1607. Fino alla fine del Settecento era l’unica rosa gialla grande con doppi petali. Era difficilissima da coltivare e ottenere fiori. -- (elenco n. 3, rosa gialla) Rosa foetida J. Herrmann (it. Rosa lutea) La Rosa rappresentata da Cornelis de Heem è una Rosa foetida J. Herrmann. Questa antica razza fu coltivata in Asia Minore ed è stata descritta dal botanico Lobelius nel 1581. Clusius ha importato questa rosa in Olanda dall’Austria, dove era già coltivata.
-- (elenco n. 4) Rosa foetida J. Herrmann “Bicolor” (it. Rosa punicea) La Rosa punicea era già nota alla fine del Cinquecento. Particolare e unica è la sua colorazione: i petali della rosa sono gialli esternamente (nel quadro risultano sbiaditi) e internamente di un colore tra arancione e rosso. Anche la Rosa punicea è stata rappresentata da Redouté (ill.) per l’imperatrice Josephine. -- (elenco n. 5) Rosa gallica L. “Versicolor” (it. Rosa Mundi o Rosamundi) La rosa strisciata di bianco e rosso chiaro, “Rosa Mundi”, è la più antica rosa coltivata in Francia. Clusius la descrive alla fine del Cinquecento come una rosa già nota. Secondo una leggenda la Rosa è stata importata da un crociato e offerta ad una certa Rosemonde che le ha dato il nome. Ancora nel 1816 il Curtis’s Botanical Magazine scrive “perhaps not exceeded in beauty by any rose cultivated in our gardens”. -- (elenco n. 6) Paeonia officinalis L. “Fl. Pl. (it. Peonia) Proviene dall’Europa meridionale. In cultura dal 1542. Sui quadri vediamo sempre una coltivar piena con petali rossi scuri. Nei vasi di fiori non manca quasi mai. Ai cinque tipi di rose si aggiunge la peonia. Per la sua similitudine con le rose piene veniva anche chiamata nell’emblematica del Cinquecento “quoddarum specie rosarum” (Camerarius) e identificata con la Rosa centifolia, descritta da Theofrasto e Plinio. -- (elenco n. 10) Calendula officinalis L. (it. Calendula) La Calendula proviene dall’Europa meridionale ed era in cultura già ai tempi dei romani. Nei vasi di fiori nordici è molto frequente. Si chiama in olandese “Goudsbloem” = ‘fiore d’oro’. -- (elenco n. 7) Papaver somniferum L. “Fimbriatum Rubrum Fl. Pl.” (it. Papavero da oppio) I due vasi di fiori mostrano dei papaveri da oppio. Questa pianta è stata coltivata per il seme fin dall’età della pietra. I fiori rappresentati sono coltivati nei giardini. I Papaveri da oppio in alto nella composizione floreale sono rossi, pieni, con i petali sfrangiati. Un’altra coltivar del papavero da oppio, bianco e rosso (elenco n. 8) con petali diversamente sfrangiati come piume, appare nel dipinto di Mignon sulla destra. Le due variazioni del papavero mostrano la capacità naturale di mutazione che viene sfruttata dal coltivatore.
-- (elenco n. 12 [Mignon] / n. 11 [de Heem]) Iris sp. (it. Giaggiolo) Lo stesso discorso di facile mutazione vale per gli iris (in cultura dal medioevo), di cui esistono molte specie, e i loro ibridi. Accanto agli esempi di Mignon e de Heem due foto, realizzate nel giardino botanico di Torino che danno un’idea della grande varietà degli iris. -- (solo elenco Mignon n. 16) Dianthus caryophyllus L. “Fl. Pl. Albo-Rubrum (it. Garofano) Facilmente mutabili sono anche i garofani che sono coltivati fin dall’antichità, dei quali esistono infinite varianti e altrettante sono già state dimenticate. -- (solo elenco Mignon n. 13) Tulipa gesneriana L. s. l. (it. Tulipano) Famosa è la storia delle numerose varietà del Tulipano, in genere causate da un virus. I tulipani coltivati nei giardini non derivano dai tulipani selvatici che crescono spontaneamente in Europa, ma provengono dalla Turchia. In Persia i tulipani si coltivavano già nel dodicesimo secolo. Nei giardini degli Osmani del Quattro- e del Cinquecento erano molto ambiti e raggiunsero il culmine del successo all’inizio del Settecento. Con l’introduzione del tulipano in Europa, negli anni cinquanta del Cinquecento, è entrato in scena un fiore dal fascino orientale. Molto prima che in Occidente, infatti, i giardini osmani erano destinati al puro piacere. Per il percorso dell’introduzione del tulipano in Europa rimando a quanto è stato detto dalla dr. Della Beffa nella lezione sulla “Storia dei giardini in Occidente”. In Olanda i tulipani sono stati importati da Clusius che aveva ricevuto i semi in Austria, quando era il supervisore dei giardini imperiali a Vienna. Lo stesso Clusius aveva anche scritto il primo trattato sul tulipano come appendice a Rariorum aliquot stirpium per Hispanias Observationes istoria, nel 1576 (ripreso e allargato in scritti più recenti). In Olanda, come si sa, la moda per i tulipani variopinti ha scatenato delle speculazioni folli che hanno raggiunto l’apice nel 1637. Si dice che il gusto per i tulipani è cambiato. A quei tempi non era ricercato il tulipano di color unico, ma il gioco di colori strisciati o fiammanti. Non importava molto se la colorazione non era stabile e se l’anno successivo non era ripetibile, anzi, l’unicità aumentava il fascino e la preziosità del fiore. La variabilità delle forme e dei colori si basava su un concetto oggi spesso dimenticato: cioè che la natura è bella proprio per la sua grande varietà. La natura intesa come Proteo, il dio che muta sempre. In Olanda gli artisti eseguivano dei veri ritratti dei tulipani variegati, riuniti in libricini. Erano in pratica dei cataloghi di vendita per i bulbi di tulipani. Anche il maestro di Abraham Mignon, Jacob Marrel ne aveva fatto uno.
POSSIBILI RAPPORTI TRA BOTANICA E ARTE Nelle annotazioni sui fiori ricorre diverse volte il nome di Clusius (= Charles de l’Ecluse), considerato il più influente orticultore scientifico di tutto il Cinquecento. Era anche uno dei pionieri della botanica. Clusius è nato nel 1526 a “Atrecht” nei Paesi Bassi asburgici (oggi “Arras” in Francia). Da giovane coltivava interessi per oggetti d’arte, antichità e la storia di popoli. La sua passione per la botanica nasce solo nel 1551. Aveva aderito alla riforma ed era molto religioso. Dopo aver compiuto studi in legge a Louvain, studia medicina a Montpellier. A quell’epoca la botanica non era ancora una disciplina a sé stante. Dal 1573-1587 è direttore dei giardini imperiali a Vienna sotto Massimiliano II e Rodolfo II. Dal 1588-1593 è a Francoforte, dove frequenta anche artisti ed umanisti. Nel 1593 gli viene offerto la cattedra di botanica all’università di Leida. Si dedica con impegno al ”Hortus Academicus”, creato nel 1587. Effettua tanti scambi internazionali di piante. Muore a Leida nel 1609. Grazie alle sue attività la città di Leida era diventata il centro botanico forse più importante d’Europa.
Significativamente i botanici Clusius e Dodoneus vengono ritratti sul frontespizio del “Hortus floridus” di Crispijn de Passe II del 1614. Come Clusius, anche Dodoneus (Rembert Dodoens, Mechelen 1516-Leiden 1585) aveva rivestito un ruolo di rilievo in Olanda. Era stato il predecessore di Clusius all’università di Leida nella facoltà di medicina. Importante anche il suo contributo nella botanica sulla scia degli erbari pubblicati in Germania negli anni trenta e quaranta (Otto Brunfels, Hieronymus Bock e Leonhard Fuchs). Conosce Clusius a Vienna, dove esercitava la professione medica alla corte di Massimiliano II, e poi di Rodolfo II, tra il 1574 e il 1580. Crispijn de Passe invece era un artista di erudizione classica che solo eccezionalmente si dedicò al disegno di fiori. Per il “Hortus floridus” aveva ritratto i fiori dal vero in modo molto accurato, come dice il titolo. Il libro si rivolge prevalentemente ad amatori di giardini e pittori e, per questi ultimi, in appendice erano indicati i colori. L’”Hortus floridus”, di cui esistono anche edizioni in lingua olandese, francese e inglese, è suddiviso in quattro parti, come le stagioni dell’anno. Anche sulle nature morte è importante osservare il tempo della fioritura. Confrontando i due “Vasi di fiori” di Cornelis e Abraham osserviamo una differenza. Nel quadro di Cornelis non ci sono apparenti incongruenze. Tutte le piante rappresentate fioriscono fine primavera/ inizio estate. Le piante rappresentate da Abraham invece non si limitano ad una stagione per quanto riguarda la loro fioritura o maturazione, anche se la maggior parte è simile a quelle di Cornelis. L’alkekengi matura soltanto in autunno, il fiordaliso dei giardini fiorisce a lungo dall’estate fino in autunno, lo stesso vale per la maturazione del rovo. Ci sono ovviamente delle differenze tra i due artisti. Ma quello che più si nota, sono le convergenze nella scelta dei fiori, la loro disposizione anche sotto il profilo del colore e il trattamento specifico di ogni pianta. Anche se abbiamo in questa sede solo due campioni di vasi di fiori, possiamo intuire che queste nature morte sono abbastanza ripetitive e standardizzate, soprattutto se appartengono alla stessa scuola. I fiori e anche gli insetti variano solo in parte. Ovviamente in questo genere di pittura c’erano delle regole da osservare. Fortunatamente disponiamo degli scritti di due pittori olandesi e teorici dell’arte che ci danno delle informazioni preziose sui concetti simbolici di base a cui attenersi eseguendo un vaso di fiori .
IL TEMA DEL VASO DI FIORI NELLA TEORIA DELL’ARTE OLANDESE Il primo, Karel van Mander (1548-1606), fiammingo d’origine, ma emigrato in Olanda perché appartenente alla chiesa riformata calvinista, ha pubblicato il suo Het Schilder-Boeck a Haarlem nel 1604 (2. ed. 1618). Traduce le Vite di Vasari e tratta in un supplemento le vite di pittori nordici. Tra questi descrive l’attività di un certo Lodewijck Jansz. van den Bosch, intorno al 1550, che era famoso per dipingere nature morte con vasi di fiori. Sui fiori e le piante selvatiche (erba) Van den Bosch dipingeva anche la rugiada, qualche insetto, tra cui farfalle e moscerini. Secondo le parole di van Mander l’artista impegnava molto tempo, pazienza e zelo a rendere questi motivi così precisi da sembrare naturali. Van den Bosch era nato ca. 1520 nelle Fiandre a s’Hertogenbosch ed era emigrato pure lui per motivi religiosi in Olanda. La descrizione che ne fa van Mander sembra rivelare un atteggiamento che oscilla tra la devozione per la creazione di dio e l’osservazione naturalistica fin nel dettaglio, un atteggiamento diffuso tra i pittori riformati che respingevano le rappresentazioni sacre delle chiese (iconoclastia ad Anversa 1566, e prediligevano l’idea della natura come rivelazione della bontà di dio. L’espressione “biblia naturae” esiste solo in ambienti riformati. Van Mander ci insegna così che il vaso di fiori come tema autonomo era già praticato nel nord a metà Cinquecento. Un brano, sempre di van Mander, su Jacques de Gheyn, famoso grafico olandese, mostra come la pittura del vaso di fiori fosse consigliata agli artisti per imparare un’armoniosa combinazione dei vari colori. I colori infatti sono fondamentali nel Vaso di fiori e costituiscono un tema a sé. Van Mander inizia il capitolo sull’accostamento cromatico, nel suo scritto teorico contenuto nel Schilder-Boeck, con la storia antica di Glicera e Pausia (riferito da Plinio): la fioraia Glicera che, con il suo felice accostamento dei fiori nelle composizioni floreali, fa ingelosire ed innamorare l’artista Pausia. Una storia, questa, che accenna alla competizione tra arte e natura.
Esplicitamente di fiori, invece, parla un altro artista e teorico olandese un secolo più tardi: Gerard de Lairesse (1640-1711), nato nello stesso anno di Abraham Mignon. Il Groot Schilderboek di Lairesse esce nel 1707, visto però che l’artista era diventato cieco nel 1690, evidentemente la sua teoria si era evoluta prima. Lairesse dedica il XII libro del Groot Schilderboek esclusivamente alla pittura dei fiori, una fonte preziosa per noi. Lairesse svolge la sua argomentazione in modo pratico e mira ad offrire dei precetti agli artisti di Vasi di fiori. La concordanza tra i Vasi di fiori di Abraham Mignon e Cornelis de Heem e il testo del tardo teorico è sorprendente. Lairesse raccomanda testualmente: •la scelta solo di fiori belli e selezionati – occorre evitare fiori comuni e poveri; •una buona distribuzione e armonia – si deve riservare la posizione rilevante ai fiori più belli e nobili – combinare tutti i colori, sia robusti e variegati sia deboli, in un modo che piaccia, soddisfi l’occhio e crei un leggiadro arcobaleno; •un tratto di pennello preciso e tenero – caratterizzare ogni fiore secondo la sua natura e proprietà: un fiore sottile, l’altro dalla scorza spessa, uno fiacco e flessibile, l’altro grosso e robusto, uno lucente, l’altro spento e smorto.
A proposito del punto 1: i fiori di Abraham Mignon e Cornelis de Heem sono effettivamente belli e selezionati. La selezione tende probabilmente a consolidarsi, diventando una formula facili da ripetere: si spiega così la ripetizione degli stessi fiori su questi quadri. Le piante selvatiche compaiono davvero raramente e impegnano spesso un posto significativo per il contenuto iconografico.
A proposito del punto 2: se confrontiamo i due quadri possiamo osservare che anche la composizione dei colori si assomiglia in qualche modo. La raccomandazione di riservare la posizione rilevante ai fiori più belli e nobili è stata soddisfatta da Abraham e Cornelis tramite le cinque rose, la peonia e la palla di neve che occupano all’incirca i centri dei due vasi di fiori. Anche la seconda parte della frase – combinare tutti i colori… - è stata realizzata: sullo sfondo grigio scuro, considerato un colore adatto per far stagliare meglio i colori, ci sono tanti fiori rossi e uno di color rosa (la Rosa di Provenza,) oppure variegati di rosso e bianco. E’ presente anche l’arancione. Il giallo è sbiadito, come già detto. Il bianco della rosa centrale ha una forza espansiva, sembra che avanzi. Il bianco viene ripreso ancora al di sotto della rosa con la palla di neve, da un lato, e la cavolaia, presenti in entrambi i quadri. Il colore blu (presente nell’iris e nel Vilucchio tricolore sia in Abraham che in Cornelis, a cui si aggiungono da un lato il Fiordaliso dei giardini, le more e il tulipano di color viola e dall’altro lato l’Aquilegia e la Dulcamara) contrasta con i colori caldi e il bianco, e viene usato a “scacchiera” (Lairesse) - insieme al verde delle foglie – per correggere e armonizzare la composizione dei colori. Si è cercato un’alternanza dei colori, una concordanza e un’armonia. Come detto prima, il “Vaso di fiori” era un genere pittorico che permetteva agli artisti di fare esperienza con l’accostamento dei colori senza essere troppo legati ai soggetti da dipingere. Non solo de Gheyn a cavallo tra il Cinque- e il Seicento, ma anche nel corso del Sei- e all’inizio del Settecento i maestri raccomandavano agli apprendisti di esercitarsi anche con modelli di carta colorata, durante l’inverno. Certo, ai tempi di Abraham e Cornelis gli artisti sembrano aver trovato delle formule che si ripetono. Ma la ripetizione non significa che i concetti di base fossero stati dimenticati. L’armonia dei colori era uno di questi concetti. C’è da rispettare la simmetria, l’analogia e la proporzione nella composizione dei colori. Il concetto di armonia è collegato a quello di temperanza che consiste nell’evitare gli estremi, temperandoli l’uno con l’altro, e che ama i colori medi come il verde. L’armonia dei colori veniva paragonata all’armonia nella musica, in quanto arte della misurazione. Esiste anche un paragone dei colori chiari e scuri con i toni alti e bassi. La natura stessa fornisce gli esempi più belli dell’armonia: un prato fiorito e l’arcobaleno, per esempio, ristorano gli occhi.
A proposito del punto 3, caratterizzare ogni fiore secondo la sua natura e proprietà, si può constatare con quanta cura i fiori siano stati trattati in modo differenziato (per esempio: la lucentezza del papavero da oppio e della peonia in confronto con il trattamento della calendula di Abraham che mostra un colore intenso, ma una superficie smorta; la sottigliezza del frutto dell’Alkekengi in confronto con la compattezza delle pannocchie di mais; la flessibilità dei steli dei papaveri, del rovo o del caprifoglio atlantico in confronto con i steli robusti degli iris). Una tale caratterizzazione del singolo fiore o frutto è ottenuta nascondendo al massimo la pennellata. Difficilmente si trovano esempi simili tra le nature morte in Italia, anche se ci sono eccezioni illustri come il “Cestino di frutta” di Caravaggio. Nella cerchia di Jan Davidsz. de Heem possiamo affermare che esiste l’intenzione di imitare la natura fino alla perfezione e all’inganno. Cornelis de Bie, il primo biografo di Jan e Cornelis de Heem, racconta nel 1662 che i due artisti, padre e figlio, hanno ripetuto con successo il famoso pezzo di bravura dell’antico pittore Zeusi, riferito da Plinio. Zeusi aveva dipinto le uve in modo così perfetto che gli uccelli del cielo si erano lasciati ingannare e erano volati su di essi per mangiarli. Quindi l’arte vuole competere con la natura, sua grande maestra. Il concetto di mimesi è sin dall’inizio strettamente legato all’arte delle nature morte, soprattutto nel nord a quanto pare, e in ogni caso nella scuola di de Heem. Questa imitazione perfetta riguarda però sempre singoli oggetti, mai tutto l’insieme. Il quadro non rispecchia una realtà davanti agli occhi, non è una fotografia, ma è costruito secondo vari concetti. L’armonia dei colori e la mimesi sono due di questi concetti. Chi conosce bene la cultura barocca sa come i concetti siano intrecciati l’uno con l’altro.
A FLORA Poesia con la quale Lairesse inizia il libro XII riservato ai fiori
La poesia “A Flora” di F. de Kaarsgieter, con il quale Lairesse inizia il libro XII del “Groot Schilderboek” fa comprendere quanti altri temi e concetti siano collegabili con i “Vasi di fiori”. Strofa 1: Flora (intercambiabile con Venere) Bellezza Adolescenza Terra Colori fondamentali dello spettro Strofa 2: stagioni dell’anno, in part. Primavera e Estate Bellezza Rugiada (sta per freschezza ed è legata alla ninfa dell’Aria) Odorato e Vista (dalla serie dei 5 sensi) Accompagnamento di danze e canti (letizia, allegria, “Sanguigno”) Strofa 3: Il “Vaso di fiori” deve abbagliare l’occhio con lo splendore (meraviglia) Trasmettere gioia e allegrezza Salvare i fiori e il loro splendore mediante i colori dall’ineluttabile distruzione Paragone tra arte e pittura: la breve durata dei fiori – Natura La gloria dell’artista rimane - Strofa 4: Il mutamento di Proteo - la mutazione nell’orticultura Strofa 5: Corrispondenza tra colori sublimi e azioni sublimi dell’anima I fiori come messaggeri d’amore.
Alle spalle di queste righe si rivela un simbolismo consueto. Per quasi tutti i concetti si possono trovare paralleli nell’”Iconologia” di Cesare Ripa, una raccolta di allegorie che ha avuto una grandissima diffusione dal 1593 fino alla seconda metà del Settecento. I concetti indicati ci aiutano a comprendere meglio i motivi dipinti da Abraham Mignon e Cornelis de Heem, i quali hanno rappresentato i fiori della tarda primavera e dell’estate, in concordanza con l’idea che è espressa nella poesia: unire insieme ai fiori tanti colori, appagare vista e odorato con la giusta scelta. Diversi passi esprimono allegria, letizia, gioia, piacere o fanno parte dei sensi. I fiori possono essere messaggeri d’amore. - In fondo colleghiamo ancora oggi simili idee con un mazzo di fiori che vogliamo regalare. Una scelta di tre allegorie dall’”Iconologia” di Ripa ci permette di gettare uno sguardo in questo mondo, che pare un mondo di idee in sé conchiuso e dal quale non è pensabile che gli artisti di nature morte si distanziassero. L ‘allegoria di PIACERE riassume quanto detto prima, le allegorie di STABILITA’ e NATURA invece approfondiscono il concetto generale della instabilità e della variabilità del mondo e della natura.
L’allegoria di “PIACERE” da C.Ripa Iconologia
L’allegoria di “ STABILITA’ ” da C. Ripa Iconologia
L’allegoria di “NATURA” da C. Ripa Iconologia
E’ ben percepibile nei due “Vasi di fiori” il concetto di NATURA che si esprime nella contrapposizione dei bei fiori, principio attivo chiamato forma, e i segni di distruzione sui plinti di pietra e su qualche foglia, collegati con il principio passivo, indice del tempo che passa e che divora tutto. Il mondo inteso nella sua instabilità, espressa nell’allegoria STABILITA’ tramite il contrario, si collega in particolare con la strofa 4 della poesia “A Flora” che parla del mutamento di Proteo e della mutazione nell’orticultura. Abbiamo visto nella serie dei particolari, quanto gli artisti abbiano insistito sulla variabilità delle rose, dei giaggioli, dei papaveri da oppio, delle aquilegie e dei tulipani. Il coltivatore sfrutta la capacità naturale di mutazione. Alcune piante si prestano più di altre a produrre tante varietà. L’orticoltore si mette in competizione con la natura e la sua fantasia giocosa, il lusus naturae. Un esempio di questo lusus viene indicato senza dubbio tramite le farfalle belle. La variabilità della natura non è solo un tema dell’arte, ma più ancora dell’orticoltura: si tratta di una concezione generale tipica della cultura barocca, i cui esiti sia estetici sia tecnici hanno avuto grandissima importanza. Le coltivazioni floreali del Seicento sono un campo di indagine difficile, che richiede specialisti. Una tale ricerca presuppone studi interdisciplinari, spostando il maggior peso sul lavoro dei botanici. L’artista imita la natura nelle varie forme fino all’inganno (mimesi) (concetto “ut ars natura - ut natura ars”), ma la natura stessa è paragonabile ad un artista, in quanto muta e crea facilmente ibridi, come in alcuni fiori rappresentati da Mignon (tulipani, iris, papaveri e garofani - citati anche da Lairesse come esempi dei mutamenti di Proteo).
SIMBOLOGIA DI ALCUNI FIORI Per completare la lettura iconografica dei due “Vasi di fiori” è necessario ancora un altro strato interpretativo che non è stato preso in considerazione finora. I fiori e gli insetti possono contenere dei messaggi simbolici e morali. Tratterò questo filone solo per sommi capi. Le rose, considerate i fiori più belli e nobili, occupano una posizione centrale nei due quadri. Le cinque rose, in parte profumatissime, erano molte desiderate. Come tutte le rose antiche non avevano una lunga durata. Questo spiega meglio perché nella poesia la rosa veniva così spesso associata alla brevità della vita umana. La rosa è dedicata a Venere, la dea dell’amore, come è ben noto. Insieme a Venere la rosa è legata all’idea del “Piacere” e agli altri concetti ad esso collegati come bellezza, letizia e allegria. Ma visto che i fiori non durano, i “piaceri” di Venere alla fine mutano, diventano un monito per la vanità o brevità della vita e assumono un senso moralistico, se collegate con Venere. Non tutti i fiori dipinti hanno un significato particolare, ma il grande fiore in cima sì. Il papavero da oppio fa da controparte alle rose. Il suo significato è legato sopratutto al sonno, ma può anche indicare la morte. E’ possibile che l’ombrellifera di fianco al papavero nel quadro di Mignon sia inteso come la velenosissima Cicuta (elenco Mignon, n. 14). In modo ancora più esplicito, in un senso moralizzante, Mignon dipinge poi un vero attacco alla vita: in basso, a destra, un ragno crociato (non determinabile ulteriormente) sta per uccidere un imenottero che si posa sulla capsula di semi del Papavero da oppio (elenco Mignon, e, f, il papavero sfiorito erroneamente indicato con n. 6, invece di 7). Cornelis de Heem mostra la stessa contrapposizione tra le rose e il papavero da oppio. Egli rinforza il senso della brevità della vita e della morte con altri due fiori messi in posizione centrale, il fiore della fava, bianco e nero, immediatamente sopra la rosa bianca (elenco de Heem n. 12) e il vilucchio tricolore (elenco de Heem, n. 9) immediatamente sotto. Il fiore della fava sta per la morte, come spiega Vincenzo Cartari in Immagini delli Dei de gl’ Antichi (1. ed. 1556; una influente iconologia, ben nota e tradotta anche nei paesi nordici) ed è legato al culto di Cerere: le macchie nere ricorderebbero, infatti, certe lettere dell’alfabeta che rappresentano il pianto. Si diceva che le anime dei morti andassero a cacciarsi nelle fave. Il vilucchio invece che è posizionato proprio nel punto dell’incrocio delle diagonali del quadro, ha una caratteristica facilmente osservabile in natura. La pianta produce tantissimi fiori, ma ognuno si apre solo una volta alla mattina e appassisce già nel pomeriggio. Si chiama in olandese “Dagschone” = ’Bella di giorno’. E’ stato importato dal Mediterraneo in Olanda solo nel 1623 (Segal). C’è un fiore simile illustrato da Georg Hoefnagel in “Archetypa” con un verso che spiega il senso di transitorietà: “Ipsa dies aperit, conficit ipsa dies” = ‘Lo stesso giorno apre il fiore, lo stesso giorno lo finisce’.
Da “Archetypa studiaque patris Georgii Hoefnagelii” 1592
Concludendo si può constatare che i due quadri di Abraham Mignon e Cornelis de Heem stanno ancora nella tradizione moralizzante e classicheggiante dell’inizio del Seicento, fortemente influenzata dalla cultura riformata di calvinisti, ugonotti e luterani. Un esempio è, a mio parere, la serie di sei incisioni di Jan Theodor de Bry, datate 1604, che riproducono Vasi di fiori, dipinti da Jacob Kempener, delle quali presentiamo due riproduzioni qui di seguito. Gli eloquenti sottotitoli parlano dei fiori come specchio della vita in un modo non dissimile alla lettura iconografica delle due nature morte della seconda metà del Seicento.
Joh. Theodor de Bry da Jakob Kempener Polyptoton de Flore, 1604
LETTURA CONSIGLIATA Cornelia Diekamp, Cinque nature morte di Jan Davidsz. de Heem e la sua cerchia ambientate nel Belvedere del Principe Eugenio, 1, «Labyrinthos» XVIII, 36/36 1999, pp. 134-169. Mosco, M. & Rizzotto M. (Eds.), Floralia: florilegio dalle collezioni fiorentine dei Sei-Settecento, cat. mostra Firenze, Palazzo Pitti, 10 gennaio – 10 aprile 1988, Firenze 1988
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