LETTERE, PIZZINI ELETTRONICI, MOTO E AUTO DI LUSSO. L'"ECLISSE" DEI GRUPPI CRIMINALI LECCESI

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LETTERE, PIZZINI ELETTRONICI, MOTO E AUTO DI LUSSO. L'"ECLISSE" DEI GRUPPI CRIMINALI LECCESI
LETTERE, PIZZINI ELETTRONICI, MOTO E AUTO DI LUSSO.
L'«ECLISSE» DEI GRUPPI CRIMINALI LECCESI

                                      «Ho come l’impressione, più di un’impressione che ci sia una
                                      scelta da parte delle organizzazioni mafiose di maggior peso,
                                      quelle tradizionali (come i gruppi Buccarella, Tornese e gli stessi
                                      Padovano) di ricercare il consenso sociale evitando, o quanto
                                      meno riducendo quegli episodi ‘eclatanti’ che potrebbero seminare
                                      paura e terrore nella cittadinanza come omicidi, estorsioni,
                                      sparatorie...». Nel corso della conferenza stampa, il procuratore
                                      capo della Repubblica di Lecce, Cataldo Motta ha ribadito un
                                      concetto già emerso durante l’operazione «Vortice-Deja vu» che,
                                      nei giorni scorsi, aveva portato all’arresto di 26 esponenti
 considerati di spicco della Sacra Corona Unita: la nuova Scu che in passato non era mai riuscita a
 radicarsi sul territorio, ora è in cerca di legittimazione e visibilità utilizzando diversi ‘espedienti’:
 danno prestiti a fondo perduto a chi è in difficoltà, procurano lavoro, in alcuni casi addirittura
 sono le stesse vittime a offrire ‘spontaneamente’ denaro e cadeau ai boss, oppure come accaduto a
 Squinzano con il clan Pellegrino che ha cercato di inculcare l’idea che «se tutto va bene è merito
 loro»,usano uno degli sport più seguiti da sempre: il calcio. Una mafia "più raffinata" che strizza
 l'occhio alle nuove tecnologie e che non disdegna di utilizzare, accanto ai metodi tradizionali come le
 lettere, anche forme di comunicazione più moderne come facebook e Skype, più difficili da
 controllare a differenza delle intercettazioni telefoiniche e ambientali, a causa degli iter più complessi
 e senza dubbio più onerosi che gli inestigatori devono seguire per ottenere le autorizzazioni.
 Non sono rari, purtroppo, i casi in cui scorrono nei servizi televisivi le immagini di gente che
 aggredisce anche fisicamente le forze dell’ordine che stanno eseguendo gli arresti, come non
 meraviglia quasi più che un superlalitante, riuscito a scappare per anni, venga arrestato nel suo stesso
 paese d’origine, dove si era nascosto molto probabilmente coperto dalla comunità. E che dire delle
 statue dei Santi in processione, fatte sostare e perfino inchinare davanti ai balconi dei boss?
 Anche nel Salento avviene un po’ questo: la mafia “vecchio stampo” sta seguendo la «strategia di
 Bernardo Provenzano», la strategia dell’inabissamento delle attività criminali, quella silenziosa,
 fatta di una fitta rete di relazioni, di affari milionari gestiti nell’ombra. È la strategia, meno cruenta,
 ma più efficace del «calati giunco che la piena deve passare», un vecchio proverbio siciliano che Zu
 Binnu ha trasformato in linea d'azione dopo la ferocia degli anni '90, una strategia diversa da quella
 messa in pratica da Totò Riina, decisamente più «stragista». Così, all’esterno i boss appaiono
 addirittura come benefattori. Un “aneddoto” raccontato dal procuratore Motta, sulla base delle
 dichiarazioni fatte dal pentito Ercole Penna che ha svelato i segreti e logiche della Scu di ultima
 generazione, da solo, basta a capire «a Mesagne in una notte di febbraio del 2011 quando sono state
 eseguite due ordinanze di custodia cautelare, tutto un quartiere si è riversato in strada nel centro
 storico della città alle 3.00 di notte per manifestare la sua vicinanza e solidarietà non alle forze
 dell’ordine, ma ai destinatari del provvedimento, utilizzando frasi d’affetto del tipo “non vi
 preoccupate le piante le innaffiamo noi, il cane lo accudisco io, vi vogliamo bene, tornate presto”».
 Tuttavia, i gruppi più giovani preferiscono utilizzare i vecchi metodi: atti intimidatori, colpi di
 pistola contro negozi e abitazioni effettuati con spavalderia e noncuranti del fatto che gesti
 simili possano attirarsi addosso l'attenzione delle Forze dell'ordine, estorsioni, traffico di droga,
 persino spedizioni punitive all'interno degli istituti penitenziari. Come se non avessero paura di
nascondersi, se scegliessero di non agire nell’ombra. Su tutto questo ha fatto luce l’operazione
Eclisse, che ha portato, all’alba di questa mattina, all’ennesimo blitz contro la criminalità locale che
ha terrorizzato fino a poche settimane fa la città di Lecce.
La Squadra Mobile del capoluogo barocco, insieme ai colleghi di Potenza e Matera, del Reparto Volo
e dei Cinofili di Bari, ha eseguito 35 misure cautelari, di cui 34 in carcere ed una agli arresti
domiciliari, disposte dal Giudice per le Indagini Preliminari, il dott. Alcide Maritati su richiesta del
Pubblico Ministero della DDA di Lecce, il dott. Guglielmo Cataldi, nei confronti di alcuni esponenti
della Scu, legati a diversi clan particolarmente attivi a Lecce e nell’hinterland.
Si tratta di Alessandro Ancora, 35 anni, di Lecce; Adriano Barbetta, 24 anni, di Cavallino;
Carmen Blago, 40 anni, di Lecce; Pasquale Briganti, 45 anni, di Lecce, attualmente detenuto;
Giuliano Calò, leccese, trentacinque anni; Massimiliano Calò, leccese, trentanove anni; Gianluca
Capilungo, leccese, 23anni; Maurizio Contaldo, leccese, 53 anni; Daniele De Matteis, di
Lizzanello, 30enne attualmente detenuto; Roberto Mirko De Matteis, 38anni, attualmente detenuto;
Ivan Firenze, leccese, 33anni; Marco Firenze, leccese, 48 anni; Carlo Gaetani, leccese, 40enne;
Gioiele Greco, leccese, 37 anni, attualmente detenuto; Ubaldo Luigi Leo, leccese, 50enne; Antonio
Leuzzi, leccese, 23 anni; Francesco Luggeri, di Trepuzzi, 35 anni; Omar Marchello, di Lizzanello,
36 anni; Fabio Marzano, leccese, 45 anni, attualmente detenuto; Carmine Mazzotta, leccese, 41
anni; Angelo Monaco, leccese, 38 anni, attualmente detenuto; William Monaco, leccese, 25 anni;
Antonio Alvaro Montinari, leccese, 43 anni; Nicola Montinaro, leccese, 48 anni; Marco
Pacentrilli, leccese, 31 anni; Antonio Pepe, leccese, 53 anni, attualmente detenuto; Cristian Pepe,
leccese, 40enne attualmente detenuto; Marco Pepe, leccese, 29 anni; Antonio Perrone, leccese, 31
anni; Pier Luigi Rollo, leccese, 25 anni; Francesco Rotondo, leccese, 30enne; Salvatore
Tarantino, leccese, 35 anni; Oronzo Toffoletti, leccese, 49 anni; Juri Zecca, leccese, 22 anni.
È stato invece sottoposto agli arresti domiciliari Simone Filograna, 36enne leccese. Attualmente
risultano irreperibili Juri Zecca, Antonio Alvaro Montinari e Luigi Ubaldo Leo.
Tra i reati a vario titolo contestati vi sono l’associazione a delinquere di stampo mafioso,
detenzione e spaccio di droga, estorsione e detenzione illegali di armi e danneggiamento ad
esercizi pubblici.
Non è stato semplice ricostruire quanto accaduto nei mesi scorsi nel capoluogo barocco, teatro di
scorribande notturne il cui obiettivo, secondo gli inquirenti, oltre a seminare terrore tra i residenti
era quello di far capire agli altri clan che c’erano dei confini da rispettare sul territorio. Insomma, ai
commercianti richieste di pizzo e ai rivali minacce per non estendersi in zone considerate off limits.
Atti che hanno determinato un clima di paura nei cittadini – come hanno spiegato il Questore di
Lecce, Antonio Maiorano e la dirigente della Squadra Mobile, Sabrina Manzone e che sono
continuati fino a settembre circa: «abbiamo indagato notte e giorno per restituire tranquillità alla
popolazione. Questa operazione è la risposta dello Stato alle legittime preoccupazioni».

Gli investigatori sono riusciti a ricostruire ad uno ad uno tutti gli episodi "sospetti" avvenuti in città,
solo in parte di matrice estorsiva, come in un puzzle che, una volta completato, ha svelato nero su
bianco le dinamiche e gli equilibri interni ai gruppi criminali, minati dopo l'operazione Cinemastore,
che nel gennaio del 2012, portò all’arresto di 49 persone ritenute vicine alla frangia leccese della
Sacra Corona Unita, in quel momento capeggiata da Pasquale Briganti e Roberto Nisi.
Il suicidio di Luca Rollo
Tra gli episodi più eclatanti o di maggiore gravità su cui è stata fatta luce, rientrano i finti manifesti
funebri che annunciavano la scomparsa di un noto pregiudicato, Davide Vadacca, affissi in città con
la scritta esplicita «Tragicamente è venuto a mancare all’affetto dei suoi cari, Davide Vadacca, fu
Pompilio. Ne danno il triste annuncio la moglie, il padre, la madre, la figlia ed i parenti tutti.
Rimarrai sempre nu lurdu e infame» ed il suicidio di Luca Rollo, il 21enne di Cavallino trovato
impiccato lo scorso 12 gennaio ad un albero di ulivo, in una campagna della zona. Un suicidio che
– a detta degli investigatori - sarebbe riconducibile agli ingenti debiti contratti per l’acquisto di droga.
Circa 20mila euro che il giovane avrebbe dovuto restituire. Vessato da continue minacce, violenze e
percosse il giovane avrebbe scelto di togliersi la via, pur di sottrarsi ai soprusi continui del clan. Per
questo agli autori delle continue minacce al 21enne, Adriano Barbetta e Salvatore Tarantino su
mandato di Gioele Greco, Daniele De Matteis e Yuri Zecca è contestato, tra l’altro, il reato di ”morte
come conseguenza di altro delitto”, dal momento che come detto, secondo quanto ricostruito
avrebbero fatto pressioni su Rollo fino a spingerlo al suicidio.
Insomma, come scrive il gip nell’ordinanza: «Le condotte reiterate di vessazione, minaccia e
violenza compiute nei confronti del povero Rollo Luca, sono state di tale insistenza e cattiveria da
non potersi certamente ritenere che l’evento suicidario non debba essere messo in stretta relazione
causale con il delitto di spaccio di sostanze stupefacenti e conseguente estorsione pluriaggravata
finalizzata a recuperare i debiti maturati dal Rollo».
Tocca fare un passo indietro...
Per capire, i nuovi equilibri che si erano creati in nel capoluogo barocco bisogna partire
dall’operazione Cinemastore in cui emersero i ruoli che in città avevano i clan capeggiati da
Pasquale Briganti e Roberto Nisi che nel corso dell’udienza preliminare del processo aveva
pubblicamente ammesso, anzi rivendicato il suo ruolo attivo, di capo, all’interno dell’organizzazione
sia pure, a detta degli investigatori, al fine di scagionare i familiari.
Ricapitolando, nel 2012 a Lecce due erano i gruppi criminali più importanti: uno che faceva capo a
Briganti e Nisi, l’altro, quasi contrapposto era il gruppo capeggiato da Andrea Leo detto “Vernel”
che, però, si stava avviando verso il declino, soprattutto dopo l’arresto del suo capo. Episodio che
aveva permesso al clan Nisi di estendere la propria influenza anche su quei territori una volta sotto
l’ala di Leo e di Alessandro Verardi, poi diventato collaboratore di giustizia.
Ma il nuovo equilibrio viene per così dire “interrotto” con l’arresto di Roberto Nisi avvenuto nel
maggio 2012, che giocoforza ha creato diversi malumori interni tra Daniele Vadacca, da un lato e
Gioele Greco e Daniele De Matteis dall’altro. I contrasti, secondo gli investigatori, avrebbero avuto
origine nel traffico di cocaina. Il ruolo di spicco assunto da Greco sarebbe stato documentato dagli
incontri che avrebbe avuto con alcuni trafficanti di stupefacenti, in passato vicini ai “Vernel”, come
Omar Marchello, così come dal versamento di somme di denaro in favore di Remo De Matteis, che
usufruiva di permessi premio concessi dal Tribunale di sorveglianza di Trapani.
Sarebbero quindi sorti accordi per la gestione dello spaccio fra Gioele Greco, i fratelli Remo e
Daniele De Matteis, Omar Marchello e Yuri Zecca. E non senza usare la violenza per mantenere il
predominio.
Il tempo è trascorso tra minacce e sparatorie come quella avvenuta la sera del 12 gennaio del 2013
quando all’interno di un distributore di carburanti a Cavallino Ciro Vacca colpì Gioele Greco
all’addome con alcuni colpi di pistola (episodio per il quale è stato condannato con rito abbreviato
alla pena di sei anni di reclusione).
In un certo senso, l’arresto di Gioele Greco, il 19 marzo, aveva messo fine, almeno temporaneamente
a questa spirale di violenza.
Le indagini, che avevano sino ad allora documentato la genesi e le ragioni di alcuni episodi di
violenza sono andate avanti portando alla luce altri fatti. Il gruppo di Vacca, ad esempio avrebbe
favorito la latitanza di due persone di elevatissimo spessore criminale. Una di queste era Serghei
Vitali, evaso il 21 gennaio dal carcere di Padova e arrestato a Frigole il 23 marzo del 2013.
E qui inizia un altro capitolo. L’evasione di Vitali dal carcere di Padova e la presenza proprio in
quello stesso carcere di Cristian Pepe, condannato all’ergastolo, hanno indotto la Squadra Mobile a
concentrare l’attenzione su quella Casa Circondariale, intuizione questa che portava a eccezionali
risultati investigativi.
Analizzando il traffico delle celle telefoniche della città veneta, infatti, è venuto fuori come Cristian
Pepe e Ivan Firenze, lì detenuti, avessero all’interno del carcere la disponibilità di computer e
chiavette Usb con cui comunicavano con i familiari all’esterno. Utilizzando “Facebook Video
Calling” e “Skype”, i detenuti effettuavano videochiamate con i familiari e, per loro tramite, con i
membri dell’organizzazione all’esterno, impartendo direttive e ricevendo notizie.
Tali comunicazioni, considerate “sicure”, sono state invece intercettate e ciò permetteva di
apprendere quali fossero le attività ed i nuovi assetti dell’organizzazione.
In particolare, è stata accertata l’esistenza di un grave contrasto tra Gioele Greco e Davide Vadacca
difeso da Nisi, ormai ritenuto non più in grado di guidare con autorevolezza il suo gruppo. Ed ancora
l’avvicinamento di Greco a Cristian Pepe ed infine il passaggio di Ivan Firenze, il cui rapporto con
Totò Rizzo si era incrinato, al gruppo Pepe.
Tra l’estate e l’autunno del 2013, numerosi episodi inducevano a ritenere che la leadership di Roberto
Nisi si stesse progressivamente indebolendo. La progressiva emarginazione di Nisi trovava conferma
nel pestaggio subito all’interno del carcere di Lecce il 28 marzo 2014, mandante del quale risultava
essere proprio Briganti, nel frattempo ammesso al regime degli arresti domiciliari, e nuovamente
arrestato il 26 febbraio 2014, nell’operazione “Network”.
Negli stessi giorni analoga aggressione era stata subita da Gioele Greco nel carcere di Taranto,
che sino a quel momento continuava a riconoscere come proprio referente Nisi. A Picchiarlo Andrea
Leo “Vernel”.
Il 18 aprile del 2014 la polizia penitenziaria era riuscita ad intercettare una lettera inviata da Greco,
tramite un altro detenuto, a Briganti e Antonio Pepe in cui, dopo l’aggressione, avrebbe manifestato
l’intenzione di lasciare il gruppo Nisi per entrare a far parte di quello capeggiato da Briganti. E non si
sarebbe limitato a questo, ma avrebbe anche vendicato l’aggressione, ordinando l’esplosione di colpi
d’arma da fuoco contro l’abitazione dei genitori di Leo, a Vernole. Infatti, il 15 aprile 2014 sono stati
esplosi sei colpi di pistola calibro 38, che le indagini hanno permesso di attribuire a Daniele De
Matteis, in quel momento latitante e fidato amico di Greco. Questi avrebbe trasmesso l’ordine tramite
una sua parente, nel corso di un colloquio in carcere.
Tutto questo in un momento in cui Briganti stava intensificando le attività estorsive commesse
tramite la compagna, intervenendo anche per imporre la sua protezione nei confronti di persone
sottoposte ad estorsione da altri.
È il caso del gestore di due furgoni fast food nel centro di Lecce che sottoposto ad estorsione ad
opera di Massimiliano Calò e subìto un attentato incendiario (22 marzo 2014), avrebbe richiesto
l’intervento di Briganti per porre un argine.
Ed è andata avanti così, fino a settembre del 2014 mentre l’installazione di una microspia all’interno
dell’autovettura in uso a William Monaco, fratello di Angelo, permetteva agli investigatori di
apprendere “in tempo reale” le dinamiche associative ed i rapporti tra i vari gruppi operanti nella città
di Lecce, e di individuare i responsabili di una serie di episodi criminosi che avevano fatto gridare
all’allarme.
I sequestri
Il gip, con un’ordinanza separata, ha disposto in seno ai fatti, il sequestro di autovetture e motoveicoli
risultati di proprietà o comunque nella disponibilità degli indagati, il cui valore appare sproporzionato
rispetto al reddito dichiarato e all’attività economica svolta.
Si tratta di: una Mercedes 300 ML Cdi 4 Matic, in uso a Carmen Blago; una moto Ducati, in uso a
Oronzo Toffoletti; una Smart Four Two Mhd,in uso a Carmen Blago; un’Audi A3, in uso a Ubaldo
Luigi Leo; una Mercedes classe A 180 Cdi, in uso a William Monaco; una Mercedes classe A 160, in
uso ad Angelo Monaco; una Mini Cooper S One in uso a Massimiliano Calò; uno scooter YAmaha
T-Max 500 in uso ad Angelo Monaco; una Moto Yamaha Fzs 60 Fazer in uso ad Angelo Monaco;
una moto Bmw S 1000 Rr in uso ad Antonio Alvaro Montinari; uan Smart Four Two Mhd, in uso ad
Antonio Alvaro Montinari; una Renault Clio R “Monaco Gp” in uso a Nicola Pinto; un Range Rover
Evoque in uso ad Antonio Alvaro Montinari; una Ford Ka 1.3. Tdi in uso ad Antonio Pepe; una
Smart Four Two Pure in uso ad Oronzo Toffoletti; una Mercedes Classe C 220 Cdi in uso ad Oronzo
Toffoletti.
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